00 03/09/2009 09:35
C’è chi dice: "Si vis intelligere Caietanum, lege Thomam" questa è un po’ una malizia, sapete il Gaetano era il grande commentatore di San Tommaso, del cinquecento, ebbene questo dire "se vuoi capire Gaetano leggi San Tommaso è poco carino verso il Gaetano, come dire, il commento è del tutto inutile, per capire il commento, bisogna interpretarlo alla luce del testo originale. Questa è una cattiveria, nel senso che il Gaetano spiega tante cose, però non sempre è ligio alla lettera di San Tommaso, quindi bisogna leggere sempre entrambi, cioè bisogna leggere San Tommaso, la lettera, il testo, poi i commentari cardinalis Caietani, (bellissimi sono soprattutto i commenti di San Giovanni di San Tommaso, una cosa monumentale, stupenda). Purtroppo la parte metafisica, la filosofia non c’è. C’è la logica, la psicologia, ma non c’è la metafisica. C’è invece un "Cursus Theologiae" completo e quindi le implicazioni metafisiche le vedrete poi eventualmente nel cursus theologicus. Perché dico questo? Il pensiero tomistico è qualche cosa di vivo, qualche cosa che continua, che và sempre avanti. E’ curioso che questi innovatori ad oltranza amino fare delle cesure nella storia, per annientare la tradizione.

Quindi gli scolastici, giustamente interpretando San Tommaso, sogliono differenziare l’oggetto formale, che è quello che dà specie alla conoscenza, cioè specifica, determina il tipo di conoscenza dall’oggetto materiale. Quello materiale è la cosa in sé, la cosa conosciuta, ogni cosa, in quanto conoscibile, è l’oggetto materiale. Non ha tanta importanza la cosa che si conosce, quanto piuttosto l’aspetto sotto il quale la si conosce. Questo si chiama l’oggetto formale. Vi posso fare un esempio tratto dalla teologia delle virtù teologali, la speranza e la carità hanno lo stesso oggetto materiale: Dio, non cambia. Nessuna virtù teologale può avere come fine, come oggetto, qualche bene creato, sia la speranza che la carità si rapportano a Dio. Tuttavia vi si rapportano in maniera diversa. La carità ama Dio perché è Dio, la speranza anche essa ama Dio, ma non tanto perché è Dio (anche quello!), ma soprattutto perché Dio è beatificante rispetto all’uomo. La speranza vuole Dio per noi, la carità vuole Dio per sé. Sono virtù tutte e due, anche se vi erano dei rigoristi che negavano la validità della speranza: i protestanti, i giansenisti, tendono a questi slanci dell’amore più puro, senza interesse. Lutero che dice: "Io voglio andare all’inferno, è questo il vero amore". No, il buon Dio non ha piacere che tu voglia andare all’inferno, il Signore vuole che lo amiamo con purezza, ma anche con questo santo interesse di andare non all’inferno, ma in paradiso. Quindi la carità non è inquinata dalla speranza, la carità però è incommensurabilmente superiore alla speranza, questo è giusto affermarlo.

La differenza sta proprio nel modo di rapportarsi della volontà all’oggetto. E’ sempre la volontà che si rapporta a Dio, in questo non c’è differenza, ma è l’aspetto del rapportarsi che è diverso: la speranza vuole Dio per noi, come la beatitudine dell’anima, mentre la carità vuole Dio in sé, vuole che Dio sia Dio, si compiace nel fatto che il Signore sia così grande.

Quindi la speranza e la carità non sono distinte né dal soggetto, né dall’oggetto materiale, ma dall’oggetto formale. L’oggetto formale si distingue ancora in oggetto formale comune e proprio (vedete gli scolastici che belle distinzioni! edificano sempre con questo rigore logico), quindi l’oggetto formale comune e l’oggetto formale proprio. L’oggetto formale comune è quello che compete a una facoltà in quanto è sé stessa, cioè quella determinata facoltà. L’oggetto proprio le compete in quanto è così concretamente realizzata.

L’oggetto proprio le compete in quanto è così in questo determinato modo concretamente realizzata, per esempio l’intellettualità realizzata nell’uomo in maniera imperfetta, cioè a titolo di razionalità discorsiva. Adesso applichiamo questo concetto alla intellettualità e alla razionalità. L’oggetto formale comune spetta all’intelletto in quanto è intelletto, non si differenzia ancora l’intelletto di Dio, degli Angeli e dell’uomo, l’intellettualità in sé. Poi l’oggetto formale proprio è quello che si addice alla facoltà in quanto è realizzata in quel determinato modo, perfetto o imperfetto, in quel soggetto: perfettissimamente in Dio, più perfetto riguardo all’uomo negli Angeli, meno perfettamente nell’uomo. Sicché l’oggetto formale comune dell’intelletto in quanto intelletto, altro non è se non l’ente in quanto è: la realtà, il reale, in tutta la sua estensione, in tutta la sua ricchezza. Siccome l’ente è ciò che ha l’essere, in ultima analisi l’ente in quanto ente comprende in sé, come sommo analogato, l’essere, che è l’ipsum esse, lo stesso essere. L’intelligenza umana intravede con una prospettiva come di rana, anziché con una prospettiva di aquila, vede l’essere da quaggiù in su, invece che da lassù in giù, come fa l’aquila.

In sostanza ogni intelletto mira alla comprensione dell’ente in quanto ente e del suo sommo analogato che è l’ipsum esse. Anche il nostro intelletto ci ha aiutato, molto sporadicamente. Perciò questo è l’oggetto formale comune di ogni intelletto. Però il nostro intelletto umano, come oggetto formale proprio, ha la capacità di acquisire le cose materiali, cioè l’essenza delle cose materiali, l’essenza dei sensibili. Vedete questa dualità è molto importante, questo sdoppiamento dell’oggetto formale comune e proprio è molto importante, soprattutto nell’intelligenza. Così vedete che sia Dio, sia l’Angelo, sia l’uomo sempre conoscono l’ente, solo che Dio conosce l’ente tramite la pienezza dell’essere, l’Angelo tramite la spiritualità della sua essenza, l’uomo tramite un’essenza che non è nemmeno spirituale.

E’ quello che bisogna dire contro Kant: Kant dice: "dal dato sensibile non si può passare a qualche cosa che non è non è afferrabile con i sensi". Invece San Tommaso è del parere ben contrario, dice: "E’ vero che noi conosciamo solo la quiddità delle cose sensibili, però nella quiddità delle cose sensibili conosciamo le leggi dell’essere, che competono al sensibile, non in quanto è sensibile, ma in quanto è ente". Quindi l’uomo è capace di metafisica, non solo è capace, ma è obbligato ad essere metafisico, giacché lo è per natura. Pensateci bene, perché qui c’è proprio l’opposizione tra San Tommaso e Kant, Kant che determina in gran parte la mentalità moderna che è nettamente antimetafisica, perciò stesso, dico io, antiumana. Non c’è da meravigliarsi che la vita moderna si disumanizzi sempre più, bisogna tornare alla metafisica per darle un’impronta di umanità di nuovo. Bisogna elevarsi sopra all’uomo, per diventare uomini. Questo è l’insegnamento tomistico dell’oggetto formale comune e proprio. Non bisogna accontentarsi di contemplare nel sensibile il sensibile, come fa la scienza. E’ già molto e gli scienziati ci riescono con grande perfezione, però è poco rispetto a quello che è il nostro dovere, dobbiamo contemplare ben di più, cioè lo stesso essere nel sensibile. Sempre nel sensibile, purtroppo, perché non siamo né angeli, né tanto meno Dio, però nel sensibile possiamo e dobbiamo contemplare, anche se con minore precisione, pure l’essere in quanto tale, l’ente in quanto ente.

Mi sono spiegato? Questo mi conforta al massimo, perché questo è un tema non facile, ma siccome lo riprenderemo spesso (voi lo sapete che io sono ripetitivo in certe cose, in certi pallini che ho, li tiro sempre fuori) allora penso di avere ancora occasione di parlarne.

Quindi abbiamo detto che l’intelletto nella conoscenza stessa dell’oggetto suo proprio, che è l’attività delle cose materiali, procede astrattivamente: è l’astrazione dell’intelletto. Conoscere è astrarre. Con voi, miei cari, talora posso anche sfogarmi, quindi vi comunico anche le mie emozioni personali, quando sento certe sciocchezze. Una di queste sciocchezze è quando si dice: "Sa, padre, quel discorso è molto bello, ma è troppo astratto", bisognerebbe anzi dire: "Quel discorso è molto bello, perché è molto astratto". Il fatto è che la concretezza coincide con l’imbecillità, scusate la mia schiettezza. Solo l’astrazione è intelligenza, l’astrazione si identifica con l’intelligenza, l’astratto è bello. Perché? L’astratto è l’intelligibile, l’astrazione è quel processo in cui si rende intelligibile ciò che causa la sua materialità, di per sé non intelligibile. La qualità che c’è nell’uomo lo obbliga ad elevarsi al di sopra della materia, partendo dalla materia. Quindi l’uomo parte dal dato sensibile, ma non si ferma ad esso, perché è il senso che conosce il sensibile, ma l’intelletto, tramite il senso, fondandosi sul senso, conosce il suo oggetto, che va al di là del sensibile, benché parta dal sensibile. Come è possibile trascendere il sensibile, partendo dal sensibile? Ebbene, intellettualizzando il sensibile, questa intellettualizzazione del sensibile è una sua immaterializzazione, ovvero una sua universalizzazione. L’astrazione è un processo di immaterializzazione ed universalizzazione e perciò stesso il processo di rendere intelligibile quello che di per sé non è tale.

Il materiale, il concreto non è intelligibile, già Aristotele diceva: "De singularibus non est scientia". Ovviamente parlava formalmente, non diceva: "Io non conosco un uomo singolo, una cosa singola", no conosco i singoli, ma tramite l’essenza universale, non conosco il singolo in quanto è singolo, conosco il singolo tramite il concetto che è universale.

Ci siamo? Allora procediamo con coraggio. Dunque San Tommaso dice che il processo della conoscenza è anzi tutto un processo astrattivo. Questa astrazione per sé (non l’ho previsto nel corso su San Tommaso annuale, lo accenno brevemente), questa astrazione è di un duplice tipo, si parla di astrazione totale e formale. Lo accenno appena, perché lo vedrete poi in epistemologia. L’astrazione totale è quella che astrae il tutto dalle sua parti inferiori. Per esempio: il concetto uomo che astrae dai singoli uomini. Come vedete, questa astrazione totale, che astrae il tutto dalle parti inferiori, cioè tutto l’uomo, da tutti gli inferiori che sono Tizio, Caio e Sempronio, questa astrazione è però depauperante, cioè svuota il contenuto del concetto, la tipica astrazione logica. Giustamente si dice: il concetto è esteso, ma è povero di contenuto, questo è il tipo di astrazione totale. Poi c’è l’astrazione detta formale, questa astrazione prescinde dalla parte materiale, mantenendo la parte formale. Non è la separazione del tutto da tutte le parti, ma è la separazione della parte formale dalla parte materiale, l’astrazione della forma, si potrebbe dire. Così per esempio per conosce l’anima, come il costitutivo dell’uomo, si astrae l’anima dal corpo. Anche l’essenza, considerata come forma, non come universale, ma come forma costitutiva della sostanza, anche l’essenza è afferrata a livello di una astrazione formale, l’essenza che fa parte della sostanza.

Il genere è astratto dalla specie, la specie dagli individui, tramite l’astrazione totale. La forma è astratta dalla materia e l’essenza dalla sostanza concreta, tramite l’astrazione formale. Naturalmente l’astrazione metafisicamente, conoscitivamente decisiva è quella formale, che però sempre suppone anche quella totale. La formazione del concetto è astrazione totale, però poi nell’astrazione totale, grazie ad essa, si afferra la parte formale.

L’astrazione formale a sua volta si colloca a tre livelli di astrazione, ove, per quanto abbiamo visto, l’astrazione è conoscenza. Conoscere significa astrarre, tuttavia fra questi tre gradi astrattivi non significa di per sé che uno sia meglio dell’altro. Sotto un certo aspetto, si può anche dire che indicano una maggiore nobiltà dell’oggetto intelligibile, il terzo grado ha un oggetto più nobile, in quanto la sua intelligibilità, rispetto il secondo e il secondo rispetto al primo. Tuttavia nell’uomo, nell’intelletto imperfetto come quello umano, la nobiltà dell’oggetto è accompagnata dalla imprecisione di conoscenza che se ne ha. Quindi se la metafisica conosce Dio e la matematica conosce dei rapporti di quantità, è chiaro che la metafisica è superiore alla matematica per quanto concerne l’oggetto, però la matematica è ben più precisa della metafisica, perché la metafisica è balbuziente rispetto a Dio, la matematica fa un preciso discorso rispetto alle quantità.

San Tommaso dice sempre che quel poco che sappiamo di metafisica è ben più prezioso di quel molto che con tanta precisione sappiamo nelle altre discipline. Questo un filosofo deve sempre meditarlo in cuor suo: questo detto è più che giusto.

Allora i tre gradi astrattivi sono questi: il primo grado di astrazione astrae dalla materia infima, lasciando da parte la materia individuale, la concretezza, ultimamente determinata, mantenendo però la materia sensibile universale, specifica. Faccio un esempio banale, pensiamo alla zootecnica, uno zoologo studia i cavalli e chissà quanti altri animali domestici. Ciò che interessa di per sé non è l’individualità del cavallo, quello che lo interessa è effettivamente il suo essere cavallo, ovviamente poi con i vari tipi dell’animale, ci possono essere varie razze, etc., quindi lo zootecnico astrae da varie individualità del cavallo, afferra però che cosa? Afferra il cavallo, ciò che spetta al cavallo, ad ogni cavallo, per così dire, l’anatomia, la fisiologia di ogni cavallo in quanto tale, astraendo da quella istanza concreta, non lo interessa quel tale cavallo.

[…]

continua.....