00 03/09/2009 09:37
Ora importante è questo: i sensi esterni in qualche modo raccolgono i dati che sono poi ordinati dal senso interno, il così detto senso comune. La fantasia fa una rudimentale astrazione, che però non giunge all’universale, ma ha questo di proprio, che riesce a mantenere, conservare, fissare il dato sensibile. La fantasia non solo in qualche modo eleva il dato sensibile, ma è in grado di percepirlo anche là dove l’oggetto sensibile non c’è. Il senso può elaborare solo alla presenza della sensazione, la fantasia no, è indipendente. E’ interessante questa elevazione della fantasia. Ora nella fantasia ci sono i dati sensibili come sigillati e mantenuti, conservati ed è sulla fantasia che fa leva l’astrazione. L’astrazione non si fa direttamente sulla percezione sensibile, ma bensì sui fantasmi conservati dalla fantasia stessa e dalla memoria, che poi è in grado di rievocarli. Noi, quando pensiamo, tiriamo fuori dal registro della memoria sensitiva. Facciamo l’esempio del tavolo. Quando io dico "il tavolo", concettualizzo, vi porto il concetto del tavolo, tuttavia nel contempo mi ricordo di qualche tavolo particolare, dal quale io ho astratto il tavolo come tale. C’è sempre ricorso ai fantasmi. Introspettivamente ci rendiamo conto che è proprio così. San Tommaso era d’accordo.

L’astrazione ritorna sul fantasma, questo dato sensibile rielaborato dalla fantasia, tramite l’intelletto agente, il quale è pura attività intellettiva, privo di contenuto, è la pura attività di concettualizzare, non passa dalla potenza sensitiva. E’ un puro atto, non di contenuto, di essenza, ma puro atto di attività intellettiva. Si potrebbe quasi dire, (qui vedete la parentela tra uomo e Dio, il Signore non si offenda, non è la stessa cosa), ma si potrebbe dire che come Dio è l’atto puro di essere, così l’intelletto agente è l’atto puro di svolgere in qualche modo un’attività astraente (non di pensare, perché i contenuti non ci sono). L’intelletto agente illumina il fantasma e lo eleva in maniera tale da astrarne l’atto umano, il concetto. Il concetto in un primo stadio, in una prima tappa si chiama la specie impressa, perché astratto dall’intelletto agente, il concetto è ricevuto dall’intelletto detto possibile. Poi l’intelletto possibile, pensando alla specie impressa, esprime questa specie come specie espressa, che termina con l’intelletto possibile. Quindi la specie impressa è il mezzo tramite il quale si conoscono le cose. Ma questo bisogna che lo facciamo la prossima volta, perché abbiamo già fatto tardi, quindi chiedo scusa. Finiamo il discorso quando ci vediamo la settimana prossima. Vi ringrazio tanto della gentile attenzione, buon fine settimana.




Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, amen. Ti rendiamo grazie o Signore Dio Onnipotente per tutti i tuoi benefici, tu che vivi e regni nei secoli dei secoli, amen.

Di nuovo grazie.



San Tommaso, la dottrina, parte seconda



Carissimi, abbiamo già visto in parte la dottrina della conoscenza di San Tommaso. Raccomando molto alla vostra attenzione quello che abbiamo detto, come l’anima umana sia considerata da San Tommaso quasi la forma di tutte le forme. Partendo da Aristotele, San Tommaso mette in rilievo questa apertura universale dell’anima intellettiva. Già l’anima sensitiva è dotata di conoscenza, però una conoscenza sempre materiale e particolare. Il materiale è sempre concreto, la parte individuale è sempre materiale, le sostanze materiali sono individue, sono concrete. Invece il processo dell’intelligenza è un processo di concettualizzazione e quindi di universalizzazione, Perciò la nostra anima è in grado di cogliere non solo le forme della materia, come il senso, che poi è la forma della materia nella concretezza, ma la nostra mente è in grado di cogliere la forma nel suo essere forma, questo si chiama processo di astrazione.

Questa capacità dell’anima di avere presente in sé la forma della realtà altrui, in quanto è altrui, avere in sé la forma nella sua alterità, fa sì che la nostra anima sia in qualche modo tutte le cose, come dice già Aristotele, "quodammodo omnia". Ed è interessantissimo questo, cioè la nostra anima non è solo, per così dire, sé stessa, non è solo la forma del corpo umano, ma anche ha la funzione di essere la forma di tutte le cose, di ricevere in sé in qualche modo tutto l’ente e tutte le differenze dell’ente, tutto il reale e tutte le differenze e le sfumature del reale. Questo fa sì che la teologia tomistica, già a livello naturale, filosofico (perché qui siamo in filosofia) fa vedere come l’uomo sia portatore nella sua anima di una somiglianza con Dio. Infatti è proprio di Dio essere non solo qualche cosa in particolare, ma essere eminentemente tutte le possibilità dell’essere, in Dio non c’è nessuna possibilità di essere che rimanga non attuata. Non è ovviamente che Dio sia per esempio il minerale o la pianta, certamente no, ma Dio è infinitamente più che un minerale o di una pianta, quindi tutte le differenze dell’essere sono in qualche modo racchiuse in Dio. Similmente nell’uomo tutte le differenze dell’essere sono racchiuse nell’uomo, perché l’uomo non è pari a Dio, però ci sono nell’uomo tutte le differenze dell’essere in quanto al pensiero, perché se io non sono il tavolino, tuttavia io posso pensare al tavolino. Si potrebbe dire che la concezione filosofica tomistica faccia vedere la verità dell’uomo, quale essere che, pur nella sua finitezza entitativa, tuttavia è infinitamente aperto sotto l’aspetto della intenzionalità. Qui mi pare che la filosofia moderna abbia molte difficoltà.

E’ interessante questo paradosso dell’uomo, l’uomo si pone al confine tra il finito e l’infinito: questa è la sua grandezza, ma anche la sua grande tentazione. In fondo il peccato delle origini è proprio quello di aver scambiato il pensiero con l’esistenza, una tentazione tremenda. Il nostro idealismo (scusate se butto lì nella filosofia un poco di teologia), il nostro idealismo moderno è rifare il peccato di Adamo, cioè mangiare dall’albero del bene e del male significa avere la pretesa, non già di fare qualche peccatuccio banale (quando penso alla mela penso ai peccatucci piuttosto superficiali)), non è questo il peccato di Adamo e di Eva: l’aver mangiato del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male significa aver la pretesa di determinare la differenza fra il bene e il male, che è la stessa differenza che corre tra l’essere e il non essere con il solo pensiero. Questo solo Dio può farlo, perché solo Dio, in cui il pensiero è l’essere, determina l’essere con il pensiero. L’uomo con il pensiero pensa l’essere, ma non lo determina.

Ora l’uomo è dotato di questa apertura infinita, Aristotele dice: "In fondo gli dei non hanno dato all’uomo nessuno strumento di difesa" non abbiamo i denti, come gli animali, gli artigli, però abbiamola mente e abbiamo la mano, che è lo strumento degli strumenti, così che possiamo con la mano elaborare qualsiasi strumento adatto alla difesa o al lavoro. Similmente con la mente possiamo in qualche modo adattarci a quella che è la realtà che ci circonda, molto meglio di quanto non si adattino gli animali. Una cosa molto curiosa, si riconnette con il problema dell’evoluzionismo. E’ paradossale, Darwin non la spiega bene questa faccenda, già ammesso per assurdo che l’uomo si sia evoluto da qualche scimmione o da qualche altro animaletto, non ha importanza quale, il fatto è questo che se c’è qualcosa di disadattato, se c’è un ludus naturae, un gioco, quasi una presa in giro della natura, ebbene è davvero il cervello, la mente umana, perché è veramente un guasto della natura, qualcosa di disadattato in partenza, che però si adatta nelle conseguenze. Quindi non è così facile spiegare nei termini di puro adattamento all’ambiente il nascere del cervello. Certamente, di per sé, almeno nelle origini, il cervello è molto disadattato, perché il cervello tende a divagare, a distrarsi, a porsi sopra alle nuvole, anziché adattarsi ai rigori dell’ambiente che ci circonda, quindi io credo molto di più a queste meditazioni platoniche, aristoteliche, che fanno vedere come in fondo l’uomo è un animale sprovveduto, al quale poi gli dei danno un dono, che non è un dono particolare, ma un dono universale, che contiene in sé, nonostante la sprovvedutezza, tutti gli altri doni.

Quindi come l’uomo ha la mano che è lo strumento di tutti gli strumenti, così l’uomo ha la mente che è forma del corpo, il pensiero che è in grado di pensare ogni reale, ma di pensarlo, non di crearlo e di determinarlo. La tentazione della filosofia moderna è di pretendere che l’uomo sia il buon Dio e quando si accorge che l’uomo non è il buon Dio, se la prende con il buon Dio. Sartre, Camus, tutta la faccenda dell’esistenzialismo moderno, farebbe ridere, se non facesse piangere, questo uomo che pretende di essere Dio! Poi si riconosce dio fallito, ma non gli viene in mente neanche per sogno che potrebbe avere un riflesso del divino, senza però essere Dio. Però è molto importante vedere questa imago Dei, questa apertura universale dell’anima. L’uomo è portatore di pensiero, è portatore dell’infinito, portatore di una realtà veramente infinita. Questo è San Tommaso nel suo commento al De Anima.

continua....