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Seconda parte della dottrina



S. Anselmo ha chiarito solo una cosa: non che Dio esista realmente, ma che l’essenza di Dio non è pensabile, se non come esistente, ma l’esistenza che io penso di Dio è un’esistenza solo pensata, non un’esistenza reale, da qui l’esigenza di un confronto del giudizio tra l’essere pensato con l’essere reale. Quindi per arrivare ad un giudizio che rappresenti non un essere puramente pensato, ma un essere reale, bisogna partire da qualche cosa di reale e nel contempo conoscibile dall’uomo.

Ora ciò che è realmente per noi, ciò che si conosce da parte nostra, è l’oggetto proprio della nostra mente, l’attività delle cose materiali, il mondo sensibile. Ecco perché San Tommaso esclude tutte le prove, tranne quella cosmologica, che parte dal dato sensibile.

Perciò Dio, che è il primo intelligibile in sé, è l’ultimo inteso, cioè conosciuto intellettivamente da noi. Noi abbiamo bisogno di dimostrare l’esistenza di Dio e lo possiamo solo fare partendo dalle realtà più umili, più basse nella scala dell’essere, però delle quali abbiamo la certezza che esistano realmente. Ora le prove tomistiche sono cinque: sono le celebri vie per dimostrare l’esistenza di Dio. Queste cinque vie dimostrative, suscettibili di esplicitazioni diverse, ma raggruppabili in questi cinque tipi, hanno una struttura paradigmatica comune: partono sempre dal dato sensibile, per elevarsi a Dio tramite la causalità.

Questa salita a Dio tramite la causalità avviene oltrepassando il dato sensibile e questo è possibile solo se il dato sensibile è visto come qualche cosa di dipendente da altro. Quindi, per aprire la strada a Dio, bisogna in qualche modo afferrare quello che io chiamo la insufficienza ontologica del dato sensibile. Cioè il dato sensibile è un ente, che però non è pienamente ente, cioè è un ente finito, limitato, dipendente, causalmente dipendente. Si fa vedere, alla base delle prove, in quanti modi un ente sensibile, da me afferrabile, dipenda da altro, dall’essere, in quanti modi è causato.

I tipi di causalità su cui San Tommaso fa leva sono anzitutto la causalità efficiente, passiva ed attiva: passiva essere causato ed attiva causare, però in dipendenza da un’altra causa che mi muove a causare. Poi la causalità quasi materiale, la contingenza del sensibile, la non necessità del sensibile, la corruttibilità del sensibile. Ancora la causalità formale estrinseca od esemplare, il fatto che le perfezioni limitate dipendono dalla perfezione illimitata, non partecipata, essenziale. Ed infine la causalità finale, delle tendenze teleologiche, finalistiche, che dipendono da un finalizzatore. Finalizzatore, non architetto del mondo di massonica memoria, finalizzatore creatore, cioè il creatore delle finalità, non architetto come un uomo che prende i mattoni e costruisce il mondo. Questo meriterebbe del tempo, mi limito a dire che San Tommaso insiste col dire che l’essere è dato all’essenza secondo la proporzione dell’essenza stessa. Quindi Dio è causa datrice dell’essere, questo è il punto delicato, solo Dio ha questo attento rispetto dell’essenza, solo Lui può averlo, perché raggiunge l’essenza finita tramite l’essere che infonde all’essenza. Una essenza entra in conflitto con un’altra se si agisce sul piano essenziale, cioè una essenza contro un’altra essenza, mentre in Dio non c’è un’essenza che entra in conflitto con un’essenza finita, ma è un datore di essere che dona un essere partecipato alle essenze limitate. Ecco come San Tommaso in chiave metafisica, cioè in chiave della dottrina dell’essere dell’essenza, riesce filosoficamente ad interpretare questo fortiter et suaviter, su cui abbiamo meditato anche all’inizio dell’avvento, quando abbiamo cantato quella bella antifona che parla della sapienza che raggiunge i confini dell’universo, con fortezza e dispone tutto con soavità. Iddio pervade tutto con l’essere, però l’Essere si adatta ad ogni essenza, quindi dispone tutto con soavità. Questa è la chiave di lettura che è appunto l’analogia entis.

In tal senso non si pone il problema della libertà e della predeterminazione divina. Dio predetermina la libertà all’uomo libero, determina la libertà a determinare sé stessa. Ovviamente è da distinguere la necessità di infallibilità e la necessità di coazione, cioè se Dio mi predestina a fare del bene, in quel determinato momento, ebbene allora io lo farò, ma ciò non toglie che io lo farò liberamente, perché la libertà si dice rispetto alla causa seconda, la infallibilità rispetto a quella prima. Quindi un’azione può essere benissimo infallibile, nel contempo libera. Infallibilmente accadrà che io liberamente faccia del bene. Questo è un po’ la formula. Similmente San Tommaso risolve una questione un po’ capziosa, c’è chi dice: "Ma se c’è la predestinazione, inutile pregare, perché con la preghiera non posso cambiare nulla". San Tommaso dice: "Attenzione, il Buon Dio conosce tutto, ma conosce anche le tue preghiere, quindi ha tutto predisposto, ma lo ha predisposto tenendo conto anche di quello che tu dirai nella tua orazione". Quindi pregare non guasta, più si prega, meglio è e la predestinazione non toglie nulla né alla preghiera, né alle opere buone. Vedete come San Tommaso è sempre attento sia a questa supremazia di Dio, a questa trascendenza di Dio, ma nel contempo alla consistenza delle cause seconde. Il fascino della dottrina tomistica sta proprio in questo: l’aver sempre dato il primato a Dio, ma senza schiacciare, anzi promuovendo al massimo quella che può essere la consistenza degli enti derivati da Dio, quelli che sono enti per partecipazione e non per essenza. Inutile che ci dilunghiamo.

Accenniamo solo brevemente alla politica secondo San Tommaso. Egli ha anche degli scritti politici, sia il commento ad Aristotele, sia il famoso scritto al re di Cipro. Si dice che il re di Cipro avesse delle inclinazioni tiranniche e che fosse alquanto sorpreso da queste tesi sovversive, a suo modo di vedere le cose, di San Tommaso. Pensate che lo stesso Santo Padre Pio IX ebbe un piccolo sussulto quando i domenicani gli presentarono le tesi di San Tommaso, perché sapete che Pio IX col Sillabo (giustamente, secondo il contesto storico) ha condannato i tirannicidi, perché è troppo facile dire che uno è tiranno per ammazzarlo, altrimenti qualsiasi gruppo sovversivo può trovare questa legittimazione. Questo anche San Tommaso lo dice chiaramente, dice che sono sempre i cittadini meno onesti che gridano contro il tiranno, ad ogni disposizione, ad ogni autorità, subito c’è una sommossa da parte dei cittadini, non sempre i più edificanti.

Quindi non c’è dubbio che Pio IX fece bene, il Sillabo è un’opera stupenda. Però ricevette una scossa leggendo San Tommaso, che asseconda in sostanza la tesi degli antichi, secondo la quale uccidere un tiranno, che però sia oggettivamente tale, non è peccato. Bisogna però che non si faccia per vendetta privata, ma deve essere proprio legittima difesa. San Tommaso dice che la tirannide è una specie di guerra civile, cioè è una guerra che il tiranno muove al popolo che pretende di governare, quindi sopprimere il tiranno diventa una legittima difesa. Però il re di Cipro, che si vedeva nella figura del tiranno, non fu molto convinto dalla lettura di questo libro. Al di là di queste curiosità storiche, è importante vedere il modo in cui San Tommaso considera la legge. C’è questa bellissima triade di leggi: c’è la legge eterna, la legge naturale e la legge positiva.

Al giorno di oggi, quando si parla di legge, sempre se ne parla con un pochino di rifiuto, perché le norme non piacciono. Ebbene, quando si pensa alla legge, al giorno di oggi, si pensa al codice. San Tommaso dice: "C’è anche quel terzo grado di legge è la legge positiva, quella dello stato, la legge canonica, tutto quello è la legge positiva", ciò ha una notevolissima importanza, però bisogna vedere quali sono queste disposizioni umane (doverose, perché non tutto è regolato dalla natura). La natura deve essere aiutata dall’arte, l’arte politica è proprio in qualche modo l’impostare la convivenza umana secondo l’arte, perché lì la natura non l’ha ancora determinata questa convivenza, però ne ha determinato le regole fondamentali. Quindi è necessaria l’opera del legislatore umano, però quello a cui San Tommaso tiene molto (e oggi ce ne dimentichiamo) è che il legislatore umano non può legiferare contro il legislatore divino. Cioè la legge umana, dice San Tommaso, o è applicazione della legge naturale o "est potius corruptio legis quam lex". Ogni volta che sento parlare delle disposizioni in tema di aborto mi viene in mente questa frase. Con ciò non vuol dire che tutto il codice sia sbagliato, perché ci sono delle parti oneste, ma ce ne sono alcune che sono un po’ preoccupanti.

Perché dico questo? Perché qui si tratta di legiferare contro la legge naturale. Sant’ Agostino dice che non è necessario che il legislatore umano sopprima tutti i vizi, d’altra parte sarebbe impossibile, questo è evidente. E’ chiaro che il legislatore umano può tollerare certi vizi, addirittura lo deve. Tuttavia un certo tipo di male non và tollerato, ed è il male di ingiustizia, tutti i tipi di ingiustizia. Il cittadino ha diritto di aspettarsi dai suoi governanti che lo proteggano in materia di giustizia, perché proprio questo gli spetta per natura, non per contratto uso umano, ma per natura. Ora quando il legislatore umano depenalizza un assassinio vero e proprio, ha mancato al suo dovere. Ci sono determinati contenuti morali che non possono non trovare una corrispondenza anche nel codice. Se non trovano quella corrispondenza, la legislazione per quella parte è già opposta alla legge naturale di Dio.

Quindi San Tommaso è molto attento a questa duplice partecipazione: che la legge naturale sia una partecipazione della legge eterna e che della legge umana debba essere, se onesta e corretta, una partecipazione alla legge naturale, un’applicazione della legge naturale.

Per legge eterna si intende la stessa disposizione divina nell’intelletto divino, l’essenza stessa divina, l’intelligenza divina che tutto dispone. Però ex parte intellectus Dei, dalla stessa parte dell’intelletto divino. Anche quella è una legge, perché universalmente si definisce legge ( San Tommaso ne da questa definizione) quella disposizione dell’intelletto pratico di chi ha l’autorità su una società perfetta, a condizione che questa disposizione sia promulgata dalla stessa autorità. Questa è la definizione della legge.

Ebbene, Iddio promulga nel suo stesso intelletto delle disposizioni intellettive, che a noi sono sconosciute ovviamente, però al vertice di tutte le leggi c’è questa lex divina, eterna. Poi dalla legge eterna discende la legge naturale, che ne è un’espressione. Cioè Dio dispone di creare, di porre in essere determinate creature. Però Dio onnipotente non dà solo alla creatura la sua essenza o natura, ma le dà anche la sua operatività. Cioè Dio non si è semplicemente accontentato di dare alle cose la dignità di esistenti, ma ha dato anche alle cose la dignità di operanti, di agenti. Iddio ha dato all’uomo, che è un agente libero, che quindi dispone sé stesso al fine ultimo ed anche ai fini intermedi, la libertà, però al di là della libertà gli ha dato anche un certo indirizzo finalistico, al quale l’uomo deve sottostare per agire onestamente. Questo indirizzo finalistico, insito nella stessa natura umana, si chiama legge naturale. Iddio ha promulgato in qualche modo la sua volontà legislativa nei nostri riguardi. Se io vedo, per esempio, che l’intelligenza aspira al vero, non posso dire che l’intelligenza possa servire ad altro, che a conoscere il vero. L’intelligenza non può essere usata con astuzia per ingannare, per esempio. Io posso usarla anche così, però allora agisco immoralmente, perché agisco contro la legge naturale, faccio violenza alla mia intelligenza, perché di per sé l’intelligenza tende a conoscere il vero, a comunicare il vero al prossimo etc.

Così tutte le altre facoltà umane, ne abbiamo già parlato. L’esempio più discusso è quello della facoltà procreativa, che viene adesso contestato che sia procreativa. Pare che sia abbastanza evidente che Dio creatore ha voluto indirizzare questa facoltà in quel determinato modo, avendo ovviamente anche altri aspetti, però sempre facendone un uso onesto, secondo la legge naturale, se si rispetta il fine così detto primario della facoltà procreativa nella sessualità umana. Analogamente per tutte le altre facoltà: ognuna ha il suo indirizzo particolare ed in base a questa finalità si organizza in qualche modo la legge naturale.

Poi c’è la legge positiva, la quale, come abbiamo visto, applica la legge naturale secundum artem, cioè l’arte della natura non determina nulla e il legislatore umano deve organizzare la convivenza umana, ma sempre nel religioso rispetto di quelle che sono le esigenze della legge naturale. E’ interessante questo punto, San Tommaso non era affatto un clericale, si pone al di là della disputa tra clericali e laicisti, San Tommaso dice chiaramente che il governo della cosa pubblica ha un contenuto assolutamente naturale, cioè spetta all’ambito laicale, in sostanza, governare non spetta ai sacerdoti, in quanto sacerdoti. Anzi, è dannoso per la loro professione sacra immischiarsi in negozi politici. Voi sapete che il codice commina le pene ecclesiastiche ai sacerdoti, a persone ecclesiastiche che si impegnano direttamente in politica, che militano nei partiti e cose del genere. In sostanza il governo deve essere affidato alla ragione umana, che certo ha bisogno della illuminazione della fede, ma sempre indirettamente, in quanto c’è la piaga del peccato delle origini, quindi una inclinazione al male. Di per sé è la ragione umana dovrebbe giungere ad orientare bene la cosa pubblica.


continua....