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Vedete, miei cari, l’Altare rappresenta il Cristo, l’Altare è il portatore della divina Vittima e il portatore del Dio nostro che discende dal cielo, come il momento in cui il fuoco di Dio offriva i primi olocausti prescritti dal Signore. Non dall’uomo, ma dal cielo scese il fuoco, per consumare la vittima, così dal cielo, tramite le parole pronunciate dal sacerdote, scende Iddio stesso, il Verbo Incarnato di Dio scende per rendersi presente, realmente, fisicamente, sostanzialmente in mezzo a noi. Così misteriosamente, ma realmente, obbiettivamente il Verbo abita in questa Ostia nel Santo Tabernacolo.

Cari fratelli, dobbiamo avere la coscienza del santo, guai all’uomo che profanasse le cose sante del Signore. Vi prego cercate anche con gesti esterni, anche con le genuflessioni, con l’inchino al santo Altare del Signore, alla Croce del Salvatore, con tutto questo, (non sono solo cose esterne, oggi si ha quella incresciosa tendenza di snobbare i gesti esterni). Invece i gesti esterni significano qualche cosa di interiore. E’ povero quell’uomo che ha una vita così arida dentro di sé da non saperla esprimere anche esteriormente. Quindi cerchiamo di avere la consapevolezza di Giacobbe, quando diceva: "ecco, questo luogo è santo! Qui c’è la scala del cielo e la porta del Paradiso, santo è questo luogo e io non lo sapevo!". Quell’anima santa in questo momento non si rendeva conto, non sapeva, si sveglia dal sonno e come vede gli Angeli camminare su e giù da quella scala, che nel suo vertice toccava il cielo, esclama: "vere Sanctus est locus iste!", davvero santo è questo luogo!

Ricordiamoci di questa santità anche quando visitiamo questo luogo santo in cui abita il Signore. Ricordiamoci anche del nostro Santo Patrono, al quale è stata consacrata questa chiesa. Nell’antichità, quando i cristiani erano perseguitatati, si radunavano in quello che si chiamava "locus ecclesiae" e c’era sempre una persona santa che dava un titolo giuridico a quella casa, perché altrimenti sarebbe risultata una casa, diciamo così, non registrata, non pubblicamente iscritta. Allora c’era un buon cristiano che si assumeva questo compito, di dare il suo nome a questo "locus ecclesiae". Ora quando alla Chiesa per opera di quel santo uomo che era l’imperatore Costantino di beata memoria, fu concessa la sua libertà, nell’editto di Milano, (che al giorno di oggi è messo in discussione), i cristiani, che non erano più perseguitati in quella forma orrenda ed immediata, poterono costruire le case del Signore. Ma continuarono ad avere questa usanza buona, di affidare quella casa costruita per il Signore, non già ad una persona ancora in vita, che desse un tipus a quella domus ecclesiae, ma bensì ad una persona che ci attende regno dei cieli, in Paradiso, nelle dimore di Cristo, che intercede per noi. Così è nata questa usanza, diffusasi in tutto l’orbe cattolico, di affidare le chiese al patrocinio di qualche Santo particolare.

Come è grande il nostro Santo! Vedete, miei cari, bisogna che impariamo da S. Giacomo. Questo Santo ha molte virtù, ma il tempo è poco, e bisogna che dica paucis verbis, in poche parole, solo questo. Impariamo da S. Giacomo anzitutto quella carità squisitamente apostolica che si fa fortezza per il regno. Tutti gli apostoli erano così, erano colonne della Chiesa, lo dice S. Paolo: S. Pietro e S. Giacomo sono le colonne della Chiesa. La parola colonna simboleggia la fortezza apostolica. Un Vescovo, un Sacerdote, anche un laico battezzato e cresimato è un milite di Cristo. Cari fratelli non c’è nessuna vergogna, anzi una grande gloria, un grande onore nel considerarci quello che veramente siamo, militi di Cristo.

La proprietà di ogni pastore, di ogni sacerdote sollecito del suo gregge, ma anche di ogni laico che ama la Chiesa di Cristo, che come pietra viva si stringe alla roccia viva che è il Cristo, è anzitutto il coraggio e la fortezza. Il mercenario, dice il Signore, quando arriva il lupo, che cosa fa? Non glie ne importa niente del gregge, quindi subito fugge. Invece il pastore, che cosa fa? Forse non ha paura? Forse ha un po’ di paura anche quello, però il pastore persevera in mezzo al suo gregge, perché ama il suo gregge. Al giorno di oggi si ha l’incresciosa tendenza di opporre la virtù della carità alla virtù della fortezza. S. Giacomo ci insegna questo, che non c’è vera carità senza la fortezza apostolica. Un Vescovo, un Sacerdote un laico coraggioso deve dire pane al pane e vino al vino, deve parlare chiaro. Deve annunciare il Cristo e deve farlo con coraggio, con gioia, con ogni palpito del cuore.

Come dice S. Paolo: "Io in null’altro mi vanto se non in Cristo e questo Crocifisso!". Non possiamo chiamarci cristiani, né discepoli di S. Giacomo se non abbiamo in noi il coraggio della colonna della Chiesa, che fu appunto il nostro Santo patrono e protettore, colui che meritò la gloria di essere il primo milite di Cristo, nella schiera apostolica, a versare il suo sangue in testimonianza della fede. Il mondo non cambia, il mondo anche allora pensava i pensieri del maligno, pensieri contro l’unità, mentre la Chiesa pensa i pensieri di Dio. Così diceva Erode Agrippa: "mettiamo in prigione anche Giacomo, mettiamo in prigione anche Pietro, così facciamo un piacere ai giudei" Ecco la mentalità mondana: fare un piacere agli uomini. La mentalità di Cristo, quale è? La mentalità di Cristo è quella di S. Giacomo, offrire la sua vita per il gregge. "Sanguis martirum, semen Christianorum!" il Sangue dei Martiri è il seme dei cristiani.

Anche nei nostri difficili tempi proviamo ad essere apostoli coraggiosi. Pensate al Santo Padre, quanto coraggio ha! Quanto esempio di fortezza apostolica ci dà! Vedete in questi ultimi tempi la perversione dei valori anche nelle vicende dell’Azione Cattolica, quella stupenda associazione di laici apostoli, di militi cresimati di Cristo, che dovevano essere di aiuto ai sacri pastori, per portare la parola di Dio là dove il Sacerdote non può arrivare, che cosa sono divenuti? Non fanno nulla di male, ma non basta quello che fanno, non basta chiudersi in cameretta a pregare il Signore, parlando di scelta religiosa. Così il Sommo Pontefice con coraggio apostolico, da vero fratello di San Giacomo, ricorda a loro: "voi in Italia, insidiata dai nemici della Chiesa, avete il compito di essere militi cresimati di Cristo, di essere sacerdoti, non certo in senso gerarchico, nel senso comune ma veramente sacerdoti battezzati e cresimati di Cristo Signore".

Cari fratelli, chissà se saranno ascoltate dal popolo di Dio le parole di S. Pietro, di S. Giacomo e quelle degli altri apostoli, che ci parlano per bocca del Sommo Pontefice! Noi cerchiamo di ascoltare il richiamo degli apostoli, così pure di ascoltare le parole del Santo Padre e siamogli fedeli, perché essere fedeli al Vicario di Cristo significa essere fedeli a quella roccia che è l’unico fondamento della Chiesa e così sia.