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Ora che cosa significa quel vino che mancava alle nozze di Cana? Naturalmente significava anzitutto il vino vero e proprio, ed è inutile che vi dica come è bella questa premura della Madre Santissima del Signore, in vista della gioia di questo banchetto nuziale; questi sposi veramente dovevano vivere un giorno di gioia come si addice ad un giorno di nozze. Però, al di là di questo motivo umano, che pure è bellissimo e commovente, vi è il significato mistico del vino. Quale significato? Dice san Tommaso rifacendosi alla lettura dei Santi Padri: "Il vino è soprattutto stato usato nell'antichità come medicina, però come medicina amara ed aspra sulle piaghe". Ai nostri giorni non si adopera più il vino per disinfettare le piaghe, ma si adopera un disinfettante che solitamente brucia. Così il vino significa anzitutto l'austerità, persino l'asprezza della giustizia. Ma il vino è anche dolce al nostro palato e così significa la sapienza, che è senza amarezza. Ed infine il vino è inebriante, sotto questo aspetto, raffigura allegoricamente la carità, poiché la carità porta l'anima alla sobria ebrietas, la sobria ebbrezza.

La carità è virtù sovrumana, cioè fa sì che la nostra volontà in modo incondizionato, infinito, smisurato, sia tutta di Dio. Ecco come la carità è una ebrietas, è una ebbrezza; una carità che non sia inebriante non è carità. Vedete, la carità tende sempre all'eccesso, tende sempre all'infinito.

Pensate a quello che ci dice Gesù sulla necessità di amare non solo chi ci fa del bene, non solo ad amare le persone che noi ben volentieri accettiamo; no, dobbiamo amare chiunque: chi ci fa del male, chi ci è ostile, i peccatori. Gesù aveva una predilezione per i peccatori, vedete questa infinità dell'amore, quindi una ebrietas, perché l'ebbrezza è qualcosa che sconfina, che va al di là della norma. Però una sobria ebrietas, che a differenza dell'ebbrezza comune, che non è per niente sobria, anzi annulla la ragione, quella sobria ebrietas della carità certo fa eccedere l'uomo (ecco perché si dice ebrietas), ma nel contempo lo fa eccedere in modo sobrio. Perché nella carità è quasi come se la ragionevolezza divina, la sapienza divina, facesse le veci della povera sapienza umana. C'è un eccesso, ma è un eccesso misurato e moderato da quella misura, che è misura in se stessa, cioè dalla misura della bontà e della verità divina. Dice san Tommaso che le nozze di Cana, con le quali Gesù diede inizio ai suoi miracoli, significano l'avvicendarsi delle due alleanze, il cambiamento dall'Alleanza antica a quella nuova. Nell'Alleanza antica il vino era una promessa, il vino mancava ancora. Venne il vino della giustizia, della sapienza, della carità, venne appunto con la nuova legge, la legge della grazia del Signore. Infatti la giustizia antica è imperfetta. Dice Gesù: "Se la vostra giustizia non sarà più abbondante di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei Cieli", giustizia e carità. Una sapienza che è ancora tutta figurale, non è ancora la realtà, è un adombrare la realtà: san Paolo, prima ai Corinzi cap. 10, "Tutte queste cose accaddero a loro come un esempio", come un esempio delle cose future, sapienza figurata.

Infine la carità mancava agli antichi, che hanno ricevuto soltanto lo spirito della schiavitù nel timore, mentre il Cristo mutò l'acqua del timore nel vino della carità. Non dico che tutti gli antichi abbiano ricevuto solo la schiavitù del timore, questo certamente no, ma l'antica Alleanza è un'alleanza di timore; la nuova Alleanza di carità ha un cuore nuovo, rinnovato nell'amore. Vedete, sorelle, certo gli uomini dell'antica Alleanza, singolarmente presi, potevano benissimo avere la carità. Molto spesso si fa questo errore: o si esalta l'antica Alleanza mettendola quasi alla pari dell'Alleanza nuova, altre volte invece la si svaluta del tutto come se gli antichi non potessero accedere alla santità, invece i profeti, i sovrani dell'antichità, i patriarchi erano certamente santi; però, in quanto santi, appartenevano già alla nuova Alleanza, dove già c'era il vino della perfetta giustizia, della sapienza che viene dall'alto della realtà di Cristo: la perfetta carità, non più uno spirito di schiavitù. Ecco allora il significato mistico del vino. E Gesù, alla Madre sua Santissima che gli chiede implicitamente il miracolo, risponde: "Che ho da fare con te, o donna? Non è giunta ancora la mia ora".

Dice ancora san Tommaso che tre sette ereticali hanno preso occasione di errare, di deviare dalla retta via. Anzitutto i manichei, in particolare lo gnostico Valentino, che sostiene che Gesù non avrebbe per nulla ricevuto un corpo terreno dalla Vergine; loro, gnostici e manichei, sostenevano la tesi che vi dicevo dell'anthropos epouranios, dell'uomo celeste, non l'uomo terreno e negavano la realtà della corporeità di Gesù, negavano la fisicità del suo corpo e dicevano: "Gesù non ha ricevuto nulla da Maria". Questo gnostico Valentino, diceva che Gesù avrebbe detto a Maria: "Che ho a fare con te, o Donna?". Come dire, da te nulla ho ricevuto. Questa è un'eresia spaventosa, capite, ed è smentita dallo stesso testo evangelico, infatti, dice appunto l'evangelista san Giovanni, che vi era la Madre di Gesù e se Maria è chiamata dall'evangelista madre, indubbiamente è Lei, che ha dato a Gesù la sua vita umana, la sua natura umana. Lo Spirito Santo ha tratto la natura umana di Gesù dal grembo verginale di Maria; Maria ha dato a Gesù la sua umanità.

Invece gli ebioniti fanno leva sulla parola donna: "Che cosa ho a che fare con te, o Donna?". Fanno leva sulla parola donna per negare, ahimè - succede anche ai nostri tristi tempi - per negare la verginità di Maria, per dire appunto: "Se Maria è chiamata da Gesù donna, non poteva essere vergine". Invece, osserva giustamente san Tommaso che anche Adamo ha chiamato Eva vergine, perché come vergine Eva è stata creata da Dio, è stata condotta ad Adamo, Adamo ha chiamato Eva la prima vergine, l'ha chiamata pure donna. Quindi, vedete, pure questo argomento non regge.

Nella denominazione "donna", alcuni pensano ad una espressione poco riverente, che non tiene del tutto conto della grandezza della Vergine Santissima. Invece quella espressione è proprio la più grande e la più bella esaltazione della Madre Santissima del Signore. Quando Gesù dice "Donna", chiamando cosi la sua Madre, ebbene, intende dire: nuova Eva. Cioè non è una tra tante donne, ma è la donna per eccellenza.

Maria è la donna per eccellenza, in lei veramente mutano le sorti di Eva. Tramite Eva venne la maledizione: quella maledizione, quella morte, morale prima e fisica poi, quella morte è cancellata in Maria. È interessante come sant'Agostino giustamente sottolinea che in fondo Eva non meriterebbe essere chiamata "madre dei viventi" ma piuttosto "madre dei morienti": effettivamente è così.

Noi veniamo in questo mondo nascendo peccatori, "nel peccato mi ha concepito mia madre", vedete proprio io sono non solo nato, ma proprio concepito nel peccato. Solo Maria è stata preservata dal peccato delle origini. Vedete il contagio della colpa: noi nasciamo peccatori, anzi siamo concepiti come peccatori; quindi Eva, la vita che ci viene da Eva, è una vita di morte, una vita segnata dalla morte. Ecco allora perché quell'altra Eva, la Donna per eccellenza, la Madre dei viventi, doveva restituire all'uomo ciò che gli è stato tolto dalla prima Eva, cioè doveva ridargli la vita, doveva veramente adempiere a quella promessa che Dio diede alla prima Eva e che nella prima Eva non si è adempiuta, cioè di dare vita. Solo in Maria abbiamo una vita che non è più segnata dalla morte, cioè abbiamo la vita in Cristo; lo dice san Paolo che da Gesù ha la sua vita: "Non sono più io che vivo, ma in Cristo figlio di Dio".

Vedete come Maria è realmente nostra madre. È Madre di Gesù, ma è madre nostra e, in questo senso, madre dei viventi, madre di tutta la Chiesa. Infine i priscillianisti, un'altra setta, prendevano l'occasione dell'errore da quell'affermazione di Gesù che dice: "Non è ancora giunta la mia ora". Come se Gesù dipendesse da una specie di fatalità, dagli astri (anche al giorno d'oggi, sorelle, l'astrologia è una piaga vera e propria, vedere quanta gente, che pure frequenta la chiesa, però crede nel contempo agli influssi astrali; è un combattimento duro quello contro ogni sorta di superstizione, d'altra parte non può essere diverso perché ogni epoca di incredulità è anche un'epoca di crescente superstizione). Costoro, quelli che pensano che Gesù fosse sottomesso agli astri, alla fatalità, non sanno chi era Gesù, il Creatore, il Signore dell'universo, quindi a Gesù gli astri sono sottomessi, non Lui agli astri, né Lui alla fatalità, ma ogni corso degli eventi del mondo è prestabilito da Lui, è predeterminato da Lui.

Gesù, dunque, non soggiace a nessuna fatalità, tanto è vero che anche noi stessi non dovremmo, come cristiani, come liberi, cioè dotati della libertà di figli, non dovremmo mai considerarci ancora assoggettati ai tempi, alla fatalità, addirittura agli astri. San Tommaso dice (mi piace tanto): "Può anche darsi che la parte esterna, corporea dell'uomo dipenda dagli astri, ma non certo la parte razionale". Quindi bisogna rinnegare la razionalità e la spiritualità dell'uomo per credere che l'uomo sia sottomesso agli astri.

Che cosa voleva invece dire questa parola di Gesù: "Non è ancora giunta la mia ora"? Non che egli fosse sottomesso a qualche fatalità, ma che non era giunta ancora l'ora predeterminata, prevista dal Padre suo, come l'ora della sua passione. Tutta la vita di Gesù è un'ora perfetta, quella che i greci chiamano kairos (è tanto bella questa espressione che è quasi intraducibile, perché noi diciamo tempo, questo in greco si dice kronos; quando i greci dicono kairos intendono dire che il tempo è un momento di grazia: così tutta la vita di Gesù è un'ora, cioè un kairos, perfetto). È un attimo, una durata perfetta, quel tempo è il tempo della pienezza, il tempo privilegiato, il tempo della riconciliazione. Ecco che cosa significa la venuta dell'ora. La vita di Gesù, il servo perfettamente ubbidiente di Dio: nella vita di Gesù tutto è prestabilito da Dio, l'ora della sua passione, ma anche l'ora del suo primo miracolo. La domanda del Salvatore: "Che ho da fare con te o donna?", viene interpretata da sant'Agostino alla luce delle due nature di Cristo.

È interessante questa interpretazione agostiniana che rivela la dualità divina ed umana di Gesù; dice infatti sant'Agostino: "Fare i miracoli, fare i prodigi conviene a Gesù secondo la natura divina che egli ricevette dal Padre; invece soffrire, patire, morire per noi, gli conviene secondo la natura umana che Egli ha ricevuto dalla madre". Ecco perché sant'Agostino dice che nel momento del suo primo prodigio Gesù sembra non riconoscere sua madre: non perché non la riconosca come madre sua, ma proprio perché Gesù vuol dire: "il potere di fare dei miracoli e l'ora in cui devo compiere dei miracoli, anzi il primo miracolo, è un'ora ed è un potere che non dipendono da nessuno, se non dal Padre mio, che è nei Cieli".

Quindi, Gesù, nel suo fare miracoli, rivela la sua natura divina. Mentre gli altri Santi fanno i miracoli solo intercedendo presso Dio, cioè invocando Dio, Gesù fa i miracoli - certo invocando pure il Padre suo - ma li fa anche per autorità propria, essendo lui il Verbo consustanziale. Allora il potere di fare miracoli deriva dal Padre; invece nell'ora della passione (perché quel corpo che Gesù ha assunto per la nostra salvezza gli viene dalla Vergine: ricordate la Lettera agli Ebrei, nella quale san Paolo fa dire appunto al Salvatore venendo nel mondo: "Tu non mi hai chiesto sacrificio, né olocausto, ma un corpo mi hai preparato") quel corpo preparato al Verbo nel grembo verginale di Maria dallo Spirito Santo, quel corpo è destinato ad essere la Vittima pasquale, ad essere appunto la Vittima dell'espiazione. Ecco allora perché Gesù avrebbe chiamato Maria sua Madre dall'alto della Croce. Dice sant'Agostino, in una interessante interpretazione che qui Gesù sembra quasi non voler riconoscere sua Madre, perché dice: "Non da te, bensì dal Padre mio viene il potere di fare i miracoli". Nel momento però della Croce Gesù dirà al suo discepolo prediletto: "Ecco la tua madre", conoscendo veramente Maria come la Madre sua nell'ora dell'agonia, nell'ora della morte e della passione redentrice.

San Giovanni Crisostomo, invece, dà l'interpretazione più comune, dicendo appunto che la Vergine Santa, piena di zelo per l'onore di suo Figlio, voleva che il Cristo facesse i miracoli prima del tempo prestabilito; il Signore invece ha atteso ancora un po'. Vedete la premura di Maria, Gesù asseconda la richiesta di Maria, però non subito, Gesù attese che fosse avvertito dagli sposi il difetto del vino, affinché il miracolo fosse più opportuno, più evidente, spronasse l'uomo maggiormente alla riconoscenza. Questo rientra nella logica di Dio: è bella la premura di Maria, che ha anticipato gli eventi, ma è molto, molto fondata l'attesa di Gesù, anche per un motivo proprio apologetico. Vedete, care sorelle, come siamo fatti noialtri: non siamo facili a credere, allora Gesù per convincere gli sposi che veramente quel vino viene da Dio, non da accorgimenti umani, attende un attimo perché si rendano conto veramente di aver bisogno dell'aiuto di Dio.

Talvolta la pedagogia divina procede così anche con noi, e noi ci lamentiamo e non siamo contenti, perché diciamo: "Signore, esaudiscimi, dammi quella grazia, aiutami in quella determinata circostanza", e il Signore sembra essere lontano, sembra essere in silenzio, sembra non fare nulla a nostro favore mentre noi lo imploriamo. Perché fa cosi il Signore? Perché ci conosce troppo bene. Se subito ci accontentasse, noi ce lo dimenticheremmo nel momento immediatamente seguente. Quindi, anche l'esperienza il dolore, della sofferenza, della mancanza di qualche cosa di cui abbiamo bisogno, aumenta nell'uomo il ricordo del beneficio divino e della riconoscenza che deve avere verso il suo Creatore e Salvatore.

Un'ultima riflessione ancora: quella che riguarda il mutamento dell'acqua in vino. Gesù non ha creato del vino, perché poteva fare anche così; poteva fare così il miracolo, poteva creare del vino nuovo. Invece Gesù si serve di quelle sei idrie di pietra che erano lì pronte, preparate, ciascuna colma fino all'orlo, con i servi in attesa… "E che riporta a me e a te, Donna? Non è ancora giunta la mia ora" e Maria, con pazienza straordinaria e soprattutto con fede incrollabile dice ai servi: "Fate tutto quello che vi dirà"; allora Gesù compie il miracolo e dice: "Adesso attingete", e i servi attingono del vino. È Maria che ha ottenuto questo miracolo accelerando i tempi, perché Maria gode di una onnipotente intercessione presso Dio e non c'è altra via al Padre se non quella via che il Padre stesso ha tracciato, e quella via è Gesù che per chiamare gli uomini da lui redenti ad uno stato sponsale, soprannaturale, spirituale, divino, tramite l'amore della carità, compie il suo primo miracolo; e così sia.

da: La Beata Sempre Vergine Maria Madre di Dio. Omelie mariane di padre Tomáš Tyn, O. P.,
s.l. [Bologna], Associazione Figli Spirituali di Padre Tomáš Tyn, s.a., p. 111-121



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