CAMMINI DI SPERANZA PER LIBERARE LA VITA
PREFAZIONE
Il libro raccoglie gli articoli di Nico Dal Molin pubblicati dal 1990 al 1992 su SE VUOI, la rivista per l'orientamento vocazionale dei giovani.
L'Autore indica un itinerario per «essere giovani, uomini, donne dal cuore "pellegrino"» sui sentieri della Speranza, per scoprire nel profondo di se stessi le sorgenti inesauribili della vita, della libertà, della fiducia e della pace del cuore.
Se tu, ragazzo, ragazza, vuoi inoltrarti per questa «via dei cuori semplici» ...non temere!
Gesù, che è la Via, la Verità e la Vita, come pellegrino di pace e di speranza anche oggi si affianca a te: per indicarti la strada della tua vita e per riaccendere nel tuo cuore, cammin facendo, la Sua gioia.
Lucia Orizio ap
PRESENTAZIONE
Dicono che quando si usa spesso una parola, ciò significa che essa è carente nella vita di chi spesso la nomina: l'ammalato parla spesso della salute, il povero di un po' di benessere, l'esule della sua terra, chi è lontano dalla famiglia rievoca con nostalgia i suoi affetti più cari...
Anche la Speranza può entrare nel novero di queste parole che sono invocate spesso, starei per dire "sussurrate"..., perchè c'é un certo pudore e imbarazzo a chiamarla esplicitamente per nome.
Eppure la nostra vita, così inquieta e talvolta così vuota e banale, ha bisogno di trovare speranza, ha bisogno di vederla, come il marinaio cerca, in una notte di bufera, la luce del faro che lo possa guidare al porto, alla ritrovata sicurezza.
In queste pagine, credo di avere messo parte del mio cuore che cerca... Speranza. È un cammino, anzi sono molteplici cammini che si intrecciano fra di loro e che portano ad invocare speranza dentro a varie realtà di vita, ma anche a partire da queste stesse realtà per trovare quel sottile "fil rouge" che le innesta nella radice vitale della Speranza cercata e trovata.
E così, i grandi temi della vita e del cuore umano si riprongono come i fili argentati di una ragnatela, bagnata dalla rugiada del mattino, riletti in un'ottica diversa: la possibilità che ci viene donata di guardare le cose dall'alto...
Le dinamiche profonde della nostra personalità, la ricerca faticosa e spesso zoppicante della riconciliazione del cuore, i sentieri della libertà, la via coraggiosa, oggi più che in passato, della fedeltà, il momento buio e sordo del dolore, la gioia di una amicizia che si fa compagna di vita per ridarci fiato e voglia di riprendere il cammino, i momenti magici della vita e anche quelli che induriscono il cuore e ce lo fanno sembrare come una pietra; tutto ciò fa parte dell'esperienza esistenziale di ciascuno di noi e può essere riletto alla luce della Speranza.
Il profeta Osea, in un testo bellissimo in cui cerca la via del suo Amore smarrito, usa una espressione simbolica ed incisiva, che gli viene messa in bocca da Dio stesso: "Trasformerò la valle di Acor in porta di speranza" (Osea 2,17). La valle di Acor.. occorre un piccolo esercizio di geografia biblica, e il simbolo si fa chiaro.
La valle di Acor parte dal fiume Giordano, vicino a Gerico, e si snoda nel territorio fertile della Palestina centrale. Il deserto arresta, come d'incanto, la sua invasione di sabbia torrida e arida e inizia lo spazio vitale di una terra nella quale puoi vedere il colore dorato del grano e trovare ristoro nell'abbondanza della frutta che in essa matura.
È un po' come rivivere l'impatto del popolo d'Israele che, dopo tanto tempo di deserto stepposo e sterile, si trova davanti, finalmente, la bellezza e i colori e la vita della terra promessa (cf. Giosué 15,7).
C'è un altro testo biblico che mi ha sempre colpito, e che fa da sfondo alle suggestioni di queste pagine. Pietro, nella sua prima lettera, scrive: "Siate sempre pronti a dare ragione, a quanti vi chiedono spiegazioni, della Speranza che è in voi" (Metro 3,15).
Dare ragione della Speranza per diventare " lampionai di Speranza", per imparare ad accenderla nel nostro cuore, a cercarla e ad attenderla come dono invocato... sospirato.
Chi legge il bellissimo e prezioso testo "Diario di un dolore", di C.S. Lewis (ed. Adelphi), in parte rievocato in un recente film di notevole spessore esistenziale, "Viaggio in Inghilterra", vi trova descritta la vicenda di un uomo abituato a riflettere e a dare ragione, ma solo con la sua cultura, ai grandi temi della vita: il senso e il non senso, l'amore e il dolore, l'esistenza di Dio e la fede. Ma la riflessione intellettuale, così preziosamente cesellata nelle conferenze e nei saggi di questo scrittore inglese del nostro secolo (è vissuto tra il 1898 e il 1963), si frantumano e poi si ricostruiscono nella intensa e vibrante esperienza di amore, di sofferenza e di morte che egli vive nell'incontro con la poetessa americana che diverrà sua moglie, Helen Joy Gresham.
Un viaggio tormentoso, che piano piano stempera l'angoscia e il dolore in una purificazione della mente e del cuore; un viaggio sofferto per ritrovare nuovi e più realistici "cammini di speranza".
Parafrasando Lewis, potremmo dire che la Speranza è "vedere, in qualche misura, come Dio... Egli vede perché ama; e quindi ama benché veda".
Una volta ancora chiedo soccorso alle parole di s. Agostino. La speranza è come lo stoppino del lampionaio, come una fiaccola accesa...
"Se la tieni ben diritta, la fiamma sale verso il cielo; se la inclini, la fiamma sale sempre verso il cielo.
Se la rovesci, si volgerà forse la fiamma verso terra? In qualunque posizione tu la metta,
la fiamma non conosce altra via: va verso il cielo".
Nico Dal Molin
Speranza: la ricerca... l'attesa
Le chiamano le "cattedrali della speranza". Nulla 17 a che fare con luoghi di preghiera o di culto, come le parole potrebbero evocare; sono dei centri modernissimi, con strutture quasi fantascientifiche; quando entri dentro senti solo il fruscìo dei tuoi passi, ti pare di essere in un ambiente asettico, dove tutti i rumori vengono ovattati. Di tanto in tanto vedi passare dei volti sfuggenti: chi in camice bianco, chi nella classica tenuta verde intenso del chirurgo da sala operatoria. Ti chiedi: "Sono medici?".
Forse sì, o forse dei ricercatori che lavorano nelle centinaia di metri quadri a loro disposizione, con apparecchi oramai sofisticatissimi. Vai avanti, piano, quasi trattenendo il respiro, perché hai paura di far rumore... I corridoi sono lunghi, con luci soffuse... porte, numeri di stanza; sbirci furtivamente da una porta e vedi due letti candidi e i volti pallidi e sofferenti di due persone... ammalate e corse lì, come te, come tanti altri alla ricerca di una "speranza" di guarigione che in questi posti, all'avanguardia della ricerca scientifica, della tecnologia, della terapia antalgica (parola difficile che significa curare il dolore), ti hanno detto è possibile "trovare".
Non li chiamano più ospedali, né case di cura ... ma "centri di riferimento" e chi si ritrova a dover gestire la diagnosi di un male incurabile tenta... disperatamente la via della speranza che lì viene proposta.
Dalle cattedrali della speranza
L'idea di iniziare un ciclo di riflessioni sul tema della speranza, è nata là dentro, a contatto con volti e con storie di persone che cercavano il bene prezioso della salute minacciata e persa, chi con una speranza quasi rassegnata, al limite del fatalismo, chi con una forza d'animo e di amore per la vita incredibile e incrollabile.
È nata là dentro, in lunghe ore di assistenza ad una delle persone più care della mia vita, mio fratello, a cui tutte queste riflessioni sono dedicate, perché nelle parole e nei silenzi della sua malattia ho potuto capire, ben oltre i discorsi pianificati e razionali dei libri, cosa significhi la ricerca e l'attesa della speranza.
E nata là dentro la convinzione che questa molla di vita, la speranza appunto, può aiutarci a vivere con dignità il momento della sofferenza e del dolore, può lenire la terribile ferita del distacco totale che è la morte di una persona amata, può far gustare i momenti belli di una vita vissuta con pienezza di significato e di amore.
Può purificare il cuore rendendolo capace di cogliere ciò che davvero conta nel nostro vivere, può dare lucidità nel compiere scelte essenziali, per le quali si pensava di non avere il benché minimo coraggio per affrontarle.
E poi discerne..., separa in materia netta le amicizie vere da quelle false, le persone insostituibili da quelle che fanno da corollario spesso interessato alle nostre esistenze. Nel giro di alcuni mesi ho visto con i miei occhi, ma soprattutto con gli occhi del cuore, che cosa significhi mettere l'oro dell'Amore nel crogiuolo e portarlo alla sua massima purezza, fuori da ogni parola superflua e da ogni incanto o illusione a cui spesso questo sentimento essenziale di vita viene sottomesso.
E là dentro ho capito che la speranza non è solo una "mia", una "nostra" ricerca; no, sarebbe come pretende re di voler scalare una montagna dalla vetta inviolata solo con la forza delle nostre braccia e la spinta delle nostre gambe, quando noi «non siamo allenati a far che salterelli non più alti di un filo d'erba», come diceva il grande filosofo esistenzialista Soren Kierkegaard.
Bisogna cercare, ma bisogna anche imparare ad attendere; soprattutto bisogna imparare ad accettare che non sempre gli eventi della vita concordano con la nostra speranza e che allora deve essercene una di più grande, di infinita, di assoluta, nella quale trovano senso le nostre povere e piccole speranze umane.
Lo diceva già s. Agostino: «Signore, il nostro cuore è inquieto finché non trova pace in te».
Cerco speranza
Uno psicanalista americano, di origine italiana, assai famoso tra gli addetti ai lavori, Silvano Arieti, ha fatto un'interessante e lucida lettura dei decenni dal 1940 al 1970.
Senza voler assolutizzare nulla, ritengo tuttavia che ci siano degli spunti, nella sua analisi, che possono farci riflettere e fare da "plafond" al nostro cammino di speranza.
Gli anni '40 sono definiti "l'era dell'ansia": è facile capire che in quel contesto di guerra, di stragi, di genocidi che hanno lasciato un segno infamante sulla storia, di famiglie distrutte, di povertà, di distruzione, tutto era assolutamente precario: oggi poteva esserci e domani non più... Un'ansia che molti si sono poi portati dietro per tutta una vita, come angoscia esistenziale per quanto hanno visto e vissuto.
Gli anni '50 hanno capovolto la situazione: c'era tanta voglia di riprendersi quello che si era perduto, di ricominciare daccapo, di rituffarsi dentro ad una vita che, avendo già negato tanto, poteva però ripresentare un modo per dimenticare; ecco "gli anni della alienazione". Un benessere rifiorente in molti paesi occidentali, l'inizio del boom economico, la possibilità di avere qualcosa di proprio da gustare: la casa, l'auto, un lavoro.
Buttarsi a capofitto in questa realtà per dimenticare: ecco l'alienazione.
Dove la speranza non rifiorisce
Gli anni '60 sono facilmente catalogabili: è "l'era della rabbia". Dapprima sottile, poi sempre più forte e violenta, come una bufera che si scatena e tenta di strappare tutto, come una valanga che, rotolando a valle, porta ogni cosa con sé.
Adesso nel parlare di '68 sembra di ripescare un cimelio storico, eppure chi ha vissuto quegli anni (e sono i quarantenni di adesso) ricorda una carica di idealità e di voglia di partecipazione certamente scomparse ai nostri giorni, espresse tuttavia con una forza bruta, cieca e violenta.
Non si è mai cambiato il mondo uccidendo le persone; era l'inizio dei terribili anni di piombo, delle stragi ancora impunite o spesso ridotte alla ricerca di qualche capro espiatorio da dare in pasto all'opinione pubblica, accusando prima, smentendo poi! Rabbia e confusione, aggressività cieca, odio teorizzato, violenza indiscriminata.
Gli anni '70: l'analisi è concorde: il livello di benessere raggiunto è notevole e va sempre più aumentando, salvo restando che i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Eppure non c'è felicità... chi aveva puntato sul successo, sul denaro, sulla carriera, sul possedere, si trova frustrato e avvilito. Gli analisti vedono giusto: comincia in maniera sempre più evidente "l'era della depressione". È una depressione latente, strisciante, che si insinua nella vita, che genera scoraggiamento, malessere, disagio interiore. Vorresti scappare e come un'ombra ti segue, come l'aria la respiri.
Si punta tutto sul culto di sé, sul mito dell'autorealizzazione a tutti i costi, sulla propria autosufficienza, ma non serve a frenare la nostra civiltà dal consumare tonnellate di ansiolitici e antidepressivi...