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IL CONCILIO LATERANENSE IV (1215) E IL SUO ENUNCIATO DEMONOLOGICO

È vero che in venti secoli di storia il Magistero consacrò alla demonologia soltanto poche dichiarazioni propriamente dommatiche. La ragione è che l'occasione si presentò raramente, a due riprese soltanto, la più importante delle quali si situa all'inizio del XIII secolo, quando si manifestò una reviviscenza del dualismo manicheo e priscillianista con l'apparizione dei Catari o Albigesi; ma l'enunciato dommatico di allora, formulato in un quadro dottrinale familiare, corrisponde molto da vicino alla nostra sensibilità, perché è coinvolta la visione dell'universo e la sua creazione da parte di Dio: Noi crediamo fermamente e professiamo con semplicità... un principio unico dell'universo, creatore di tutte le cose visibili e invisibili, spirituali e corporee: con la sua onnipotenza all'inizio del tempo egli creò insieme dal nulla l'una e l'altra creatura, la spirituale e la corporea, cioè gli angeli e il mondo, poi la creatura umana, che appartiene in qualche modo all'una e all'altra, composta di spirito e di corpo. Perché il diavolo e gli altri demòni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma son diventati cattivi da se stessi, per propria iniziativa; quanto all'uomo, egli ha peccato per istigazione del diavolo.

L'essenziale di questa esposizione è sobrio. Sul diavolo e i demòni il concilio si limita ad affermare che, creature dell'unico Dio, essi non sono sostanzialmente cattivi ma lo divennero per il loro libero arbitrio. Non vengono precisati né il loro numero né la loro colpa, né l'estensione del loro potere: queste questioni, estranee allora al problema dommatico, furono lasciate alle discussioni scolastiche. Ma l'affermazione del concilio, per quanto sia succinta, resta di capitale importanza perché è emanazione del più grande concilio del secolo XIII ed è messa in evidenza nella sua professione di fede, che, preceduta storicamente di poco da quelle imposte ai Catari e ai Valdesi, si collegava con le condanne pronunziate contro il Priscillianismo di parecchi secoli prima". Questa professione di fede merita dunque di essere considerata con attenzione. Essa adotta la abituale struttura dei Simboli dommatici e trova facilmente posto nella loro serie, a partire dal concilio di Nicea. Secondo il testo citato, si riassume dal nostro punto di vista in due temi connessi ed egualmente importanti per la fede: l'enunciato relativo al diavolo, sul quale dovremo fermarci in particolare, segue infatti una dichiarazione sul Dio creatore di tutte le cose "visibili e invisibili", cioè degli esseri corporei e angelici.

Il primo tema del Concilio: Dio creatore degli esseri "visibili e invisibili"

Questa affermazione sul Creatore e la formula che la esprime hanno una importanza particolare per il nostro argomento, perché antiche al punto d'affondare le loro radici nella dottrina di san Paolo. L'Apostolo infatti, glorificando il Cristo risorto, aveva affermato che egli esercita il dominio su tutti gli esseri "nei cieli, sulla terra e negli inferi", "nel mondo presente e in quello futuro" poi, affermandone la preesistenza, insegnò che "egli aveva creato tutto nei cieli e sulla terra, gli esseri visibili e quelli invisibili". Questa dottrina della creazione ebbe ben presto la sua importanza per la fede cristiana, perché la Gnosi e il Marcionismo tentarono per molto tempo, prima del Manicheismo e del Priscillianismo, di farla vacillare. I primi simboli di fede specificarono regolarmente che "gli esseri visibili e invisibili" sono tutti creati da Dio. Questa dottrina, affermata dal concilio NicenoCostantinopolitano", poi da quello di Toledo", si leggeva nelle professioni di fede di cui le grandi Chiese si servivano nella celebrazione del Battesimo`; entrò anche nella grande preghiera eucaristica di san Giacomo a Gerusalemme', di san Basilio in Asia Minore e ad Alessandria` e di altre Chiese d'Oriente`. Presso i Padri greci, essa appare fin da sant'Ireneo` e nella Expositio fidei di sant'Atanasios. In Occidente, la ritroviamo in Gregorio di Elvira`, sant'Agostino", san Fulgenzio", ecc.

Al tempo in cui i Catari d'Occidente, come i Bogomili nell'Europa orientale, restaurarono il dualismo manicheo, la professione di fede del IV concilio Lateranense non poteva far di meglio che riprendere questa dichiarazione e la sua formula, fin da allora di importanza definitiva. Ripetute, infatti, ben presto dalle professioni di fede del II concilio di Lione, di Firenze e di Trento, riapparvero infine nella Costituzione Dei Filius del I concilio Vaticano, nei termini stessi del IV concilio Lateranense del 1215. Si tratta dunque di un'affermazione primordiale e costante della fede, che il concilio Lateranense provvidenzialmente sottolineò per collegarvi il suo enunciato relativo a Satana e ai demòni. In questo modo, indicò che il loro caso, già importante in se stesso, s'inseriva nel contesto più generale della dottrina sulla creazione universale e della fede agli esseri angelici.

Il secondo tema del concilio: il diavolo Il testo

Per ciò che riguarda questo enunciato demonologico, esso è lungi dal presentarsi come una novità aggiunta per la circostanza, alla stregua di una conseguenza dottrinale o di una deduzione teologica; al contrario, appare come un punto fermo acquisito da lungo tempo. Ne è già indice la formulazione del testo. Infatti, dopo aver affermata la creazione universale, il documento non passa al diavolo e ai demòni come a un conclusione logicamente dedotta: non scrive "Per conseguenza, Satana e i demòni sono stati creati e fatti naturalmente buoni......" come sarebbe stato necessario se la dichiarazione fosse stata nuova e dedotta dalla precedente; al contrario, presenta il caso di Satana come una prova dell'affermazione precedente, come un argomento contro il dualismo. Scrive effettivamente: "Perché Satana e i demòni sono stati creati naturalmente buoni...". In breve, l'enunciato che li concerne si presenta come una affermazione indiscussa della coscienza cristiana: è, questo, un punto rilevante del documento, e non poteva essere altrimenti se si vuol tenere conto delle circostanze storiche.

La preparazione: le formulazioni positive e negative (IV-V sec.)

Di fatto, fin dal IV secolo la Chiesa aveva preso posizione contro la tesi manichea dei due principi coeterni e opposti`; sia in Oriente che in Occidente, insegnava fermamente che Satana e i demòni sono stati creati e fatti naturalmente buoni. "Devi credere, dichiarava san Gregorio di Nazianzo al neofita, che non esiste una essenza del male, né un regno (del male), privo di principio o sussistenza per se stesso o creato da Dio".

Il diavolo era considerato creatura di Dio, all'origine buona e luminosa, che disgraziatamente non aveva perseverato nella verità nella quale era stata stabilita (Gv 8,44), ma si era ribellata al Signore'6. Il male dunque non era nella sua natura, ma in un atto libero e contingente della sua volontà`. Affermazioni del genere - che si leggono equivalentemente in san Basilio", san Gregorio di Nazianzo69~ san Giovanni Crisostomo'°, Didimo di Alessandria" in Oriente; in Tertulliano'2, Eusebio di Vercelli`, sant'Ambrogio' e sant'Agostino` in Occidente - potevano assumere eventualmente una forma dommatica ferma. Essi si incontrano anche sotto forma di condanna dottrinale oppure di professione di fede.

Il De Trinitate, attribuito ad Eusebio di Vercelli l'esprimeva in termini di anatemi successivi: Se qualcuno professa che nella natura in cui è stato fatto l'angelo apostata non è opera di Dio, ma che egli esiste da se stesso, giungendo fino ad attribuirgli di trovare in se stesso il proprio principio, sia anatema.

Se qualcuno professa che l'angelo apostata è stato fatto da Dio con una natura cattiva, e non dice che egli ha concepito il male da se stesso, per suo proprio volere, sia anatema.

Se qualcuno professa che l'angelo di Satana ha fatto il mondo - lungi da noi questa credenza! - e non avrà dichiarato che ogni peccato è invenzione sua, sia anatema.

Tale redazione in forma di anatemi non era allora un caso unico: la si trova nel Commonitorium, attribuito a sant'Agostino e scritto in vista dell'abiura dei Manichei. Questa istruzione, infatti, votava all'anatema "colui, il quale crede che ci sono due nature, che hanno origine da due principi diversi, l'una buona, che è Dio, l'altra cattiva, non creata da Lui".

Questo insegnamento veniva tuttavia espresso più volentieri sotto la forma diretta e positiva di un'affermazione da credere. Sant'Agostino, all'inizio del suo De Genesi ad litteram, così diceva: L'insegnamento cattolico ordina di credere che la Trinità è un solo Dio, il quale ha fatto e creato tutti gli esseri che esistono, in quanto esistono; di modo che ogni creatura, sia intellettuale che corporea, o per dirla in breve secondo i termini delle divine Scritture, sia invisibile che visibile, non appartiene alla natura divina, ma è stata fatta dal nulla da Dio.

In Spagna, il primo concilio di Toledo professava ugualmente che Dio è il creatore di "tutti (gli esseri) visibili e invisibili" e che al di fuori di lui "non esiste natura divina, angelo, spirito o potenza alcuna che possa essere ritenuta Dio".

Così, fin dal IV secolo, l'espressione della fede cristiana - insegnata e vissuta - presentava su questo punto le due formulazioni dommatiche, positiva e negativa, che ritroveremo otto secoli dopo al tempo d'Innocenzo III e del IV concilio Lateranense.

San Leone Magno

Nel frattempo, queste espressioni dommatiche non caddero in disuso. Infatti, nel V secolo, la lettera del papa san Leone Magno a Turibio vescovo di Astorga - la cui autenticità non può più essere messa in dubbio - parlava con lo stesso tono e la medesima chiarezza. Fra gli errori priscillianisti da lui condannati si incontrano infatti i seguenti: L'annotazione sesta" segnala che essi pretendono che il diavolo non sia mai stato buono e che la sua natura non è opera di Dio, ma che egli è uscito dal caos e dalle tenebre, perché di fatto non ha un autore del suo essere, ma è egli stesso il principio e la sostanza di ogni male, mentre la vera fede, la fede cattolica, professa che la sostanza di tutte le creature, sia spirituali che corporee, è buona, e che il male non è una natura, dal momento che Dio, creatore dell'universo, ha fatto soltanto ciò ch'è buono. Perciò lo stesso diavolo sarebbe buono se fosse rimasto nello stato in cui era stato fatto. Purtroppo, poiché egli ha fatto cattivo uso della sua naturale eccellenza e non è rimasto nella verità (Gv 8,44), non si è (senza dubbio)

trasformato in una sostanza contraria, ma si è separato dal sommo bene, al quale avrebbe dovuto aderire ...81 Questa affermazione dottrinale (a cominciare dalle parole "la vera fede, la fede cattolica*professa..." fino alla fine) fu ritenuta così importante da venir ripresa negli stessi termini tra le aggiunte fatte nel VI secolo al "Libro dei dommi ecclesiastici", attribuito a Gennadio di Marsiglia`. Infine, la stessa dottrina sarà sostenuta con tono magisteriale nella "Regola di fede a Pietro", opera di san Fulgenzio, dove si troverà affermata la necessità di "ritenere principalmente", di "ritenere fermamente", che tutto ciò che non è Dio è creatura di Dio, e questo è il caso di tutti gli esseri "visibili e invisibili": "che una parte degli angeli si sono sviati e allontanati volontariamente dal loro Creatore", e "che il male non è una natura"". Non sorprende dunque che in tale contesto storico gli "Statuta Ecclesiae antiqua"aa - abbiano introdotto tra le interrogazioni destinate all'esame della fede cattolica dei candidati all'episcopato la seguente domanda: "se il diavolo è cattivo per condizione o se è diventato tale per libero arbitrio", formula che si ritroverà nelle professioni di fede imposte da Innocenzo III ai Valdesi.

Il primo concilio di Braga (VI secolo)

La dottrina era dunque comune e ferma. I numerosi documenti che la esprimono, e di cui abbiamo indicato i principali, costituiscono lo sfondo dottrinale sul quale spicca il primo concilio di Braga nella metà del VI secolo. Su questo sfondo, il c. 7 di questo sinodo non appare come testo isolato, ma come sintesi dell'insegnamento del IV e V secolo in questa materia e specialmente della dottrina del papa san Leone Magno: Se qualcunó pretende che il diavolo non è stato prima un angelo (buono) fatto da Dio e che la sua natura non è stata opera di Dio, ma pretende che egli è uscito dal caos e dalle tenebre e che non c'è alcun autore del suo essere, ma è egli stesso il principio e la sostanza del male, come dicono Mani e Priscilliano, sia anatema".

L'avvento dei Catari (XII e XIII secolo)

Fanno anche parte, da lungo tempo, della fede esplicita della Chiesa la condizione di creatura e l'atto libero con il quale il diavolo si è pervertito. Al IV concilio Lateranense era sufficiente introdurre queste affermazioni nel suo Simbolo senza bisogno di documentarla, perché si trattava di credenze chiaramente professate. Questa inserzione, che da un punto di vista dommatico era possibile anche prima, allora era diventata necessaria, perché l'eresia dei Catari aveva adottato alcuni antichi errori manichei. Tra il XII e il XIII secolo molte professioni di fede avevano dovuto affrettarsi a riaffermare che Dio è creatore degli "esseri visibili e invisibili", che è l'autore dei due Testamenti, e specificare che il diavolo non era cattivo per natura ma in seguito a una scelta`. Le antiche posizioni dualistiche, inquadrate in vasti movimenti dottrinali e spirituali, costituivano allora, nella Francia meridionale e nell'Italia settentrionale, un reale danno per la fede. In Francia, Ermengaudo di Béziers aveva dovuto scrivere un trattato contro gli eretici, "i quali dicono e credono che il mondo presente e tutti gli esseri visibili non sono stati creati da Dio, ma dal diavolo" e che esistevano un Dio buono e onnipotente e un Dio cattivo, cioè il diavolo". Nell'Italia settentrionale un ex-cataro convertito, Bonacursus, aveva anche gridato all'allarme e precisato le diverse scuole della setta". Poco dopo il suo intervento, la "Summa contra haereticos" per molto tempo attribuita a Prepositino di Cremona, nota meglio per il nostro problema, l'impatto dell'eresia dualista, sull'insegnamento di quell'epoca, quando comincia così la trattazione sui Catari: Il Dio onnipotente ha creato soltanto gli (esseri) invisibili e incorporei. Quanto al diavolo, che questo eretico chiama il dio delle tenebre, egli ha creato gli (esseri) visibili e corporei. Dopo aver detto ciò, l'eretico aggiunge che ci sono due princìpi delle cose: il principio del bene, cioè Dio onnipotente, e il principio del male, cioè il diavolo: aggiunge anche che esistono due nature: una buona, degli (esseri) incorporei, creata dal Dio onnipotente; l'altra cattiva, (quella) degli (esseri) corporei, creata dal diavolo. L'eretico che così si esprime si chiamava in antico Manicheo, oggi Cataro`.

Malgrado la sua brevità, questo riassunto è significativo per la sua densità. Oggi possiamo completarlo riferendoci al "Libro dei due princìpi", scritto da un teologo cataro poco dopo il IV concilio Lateranense9'. Addentrandosi nei particolari dell'argomentazione e basandosi sulla Sacra Scrittura, questa piccola somma di militanti della setta pretendeva di confutare la dottrina dell'unico Creatore e di fondare su testi biblici l'esistenza dei due opposti princìpi". Accanto al Dio buono, diceva, "dobbiamo necessariamente riconoscere l'esistenza di un altro principio, quello del male, che agisce perniciosamente contro il vero Dio e contro la sua creatura".

Valore della decisione del IV concilio Lateranense All'inizio del XIII secolo queste dichiarazioni, lungi dall'essere soltanto teorie di intellettuali esperti, corrispondevano a un complesso di credenze erronee, vissute e diffuse da una folla di conventicole ramificate, organizzate e attive. La Chiesa aveva il dovere di intervenire, ripetendo energicamente le affermazioni dottrinali dei secoli precedenti, e ciò fece papa Innocenzo III, introducendo i due enunciati dommatici segnalati prima nella confessione di fede del IV concilio ecumenico del Laterano. Questa, letta ufficialmente ai vescovi, fu da essi approvata: interrogati ad alta voce: "Credete queste (verità) punto per punto?", essi risposero con unanime acclamazione: "Le crediamo". Nel suo complesso, dunque, il documento conciliare è un documento di fede e, a motivo della sua natura e forma, che sono quelle di un Simbolo, ciascun punto principale di esso ha egualmente valore dommatico.

Si cadrebbe in manifesto errore se si pretendesse che ogni paragrafo di un Simbolo di fede debba contenere una sola affermazione dommatica: ciò significherebbe applicare alla sua interpretazione una ermeneutica valida, per esempio, nel caso di un decreto del concilio di Trento, nel quale ogni capitolo insegna di solito un solo tema dommatico;

necessità di prepararsi alla giustificazione`, verità della presenza reale di Cristo nella Eucaristia%, ecc. Il primo paragrafo del Lateranense IV invece, condensa in un numero di righe uguali a quelle del capitolo del Tridentino sul "dono della perseveranza" una quantità di affermazioni di fede, in gran parte già definite, sull'unità di Dio, la trinità e l'eguaglianza delle Persone, la semplicità della loro natura, le "processioni" del Figlio e dello Spirito Santo. Lo stesso accade per la creazione, specialmente per i due passaggi concernenti il complesso degli esseri spirituali e corporei creati da Dio come anche per la creazione del diavolo e per il suo peccato. Si trattava, come abbiamo stabilito, di altrettanti punti, che dal IV al V secolo appartenevano all'insegnamento della Chiesa; inserendoli nel proprio Simbolo, il concilio non fece altro che consacrare la loro appartenenza alla regola universale della fede.

Anche l'esistenza della realtà demoniaca e l'affermazione della sua potenza si basano non soltanto su questi documenti più specifici, ma trovano un'altra espressione, più generale e meno rigida, negli enunciati conciliari, ogni volta che essi descrivono la condizione dell'uomo senza Cristo.