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GUARDATE AL «DOPO» PER ALLENARVI BENE «ORA» [SM=g27998]


Cari seminaristi, scrivo per aiutarvi nella vostra ascesa. Intendo fare con voi un discorso cordiale, ma logico. Forse si tratta di un discorso necessario.

Per fare un discorso logico bisogna partire da un principio certo che enuncio subito ed eccolo: voi siete in seminario unicamente perché volete diventare sacerdoti, ministri di Dio. In seminario non ci si sta per alcun altro motivo.

Certo, può accadere ed accade che taluni di voi non siano ancora perfettamente certi della loro vocazione al sacerdozio, che in altri, ad uno stato di tranquilla certezza, sia subentrato un dubbio penoso e sofferto. Ciò richiederà da voi e dagli altri - che vi aiutano - uno studio e l'impiego di tutti i mezzi per arrivare ad una capacità decisionale maturata, qualunque essa sia. Però, in seminario ci rimanete proprio per la parte, che il dubbio non estingue, di tendenza al sacerdozio. Se questa parte positiva mancasse, sarebbe vostro dovere uscire. Se non manca e rimanete per risolvere il dubbio, dovete essere leali verso l'Istituto che vi ospita e comportarvi, in forza di questa umana lealtà e dignità, nei suoi confronti come se foste certi e sicuri del vostro libero orientamento. Chi - in dubbio - rimane in seminario per trovare una certezza e non si diporta da seminarista, sarebbe semplicemente disonesto. Il dubbio riguarda lui, la certezza riguarda lui e la Chiesa; tutto questo esige il rispetto ai seminari, ai propri compagni, all'ordinamento interno, alla spiritualità propria di un aspirante al sacerdozio, a chi in seminario guida e istruisce.

Il principio enunciato non è completo; esso va integrato da un secondo principio logico: il seminario vi deve preparare a quello che dovrete fare domani nel sacerdozio. Dovrete, insomma, allenarvi. Questa parola «allenarvi» è il vero tema della mia lettera.



1. Allenarsi ad obbedire ai bisogni spirituali e materiali di tutti

I doveri del sacerdote riguardano i fedeli commessi dall'ufficio, tutti gli altri fedeli, il recupero di quelli che si sono resi praticamente infedeli, la conversione di tutti gli uomini. C'è una gradazione, naturalmente, ma il dovere del sacerdozio è verso tutti. Domani dovrete obbedire alle leggi ed ai Superiori legittimi, non a tutti (ci mancherebbe!), ma dovrete obbedire alle necessità spirituali e spesso materiali, di tutti.

Guardate bene questa obbedienza alle necessità degli altri: occorre fare quello che non piace, che non si desidera, che scomoda, che ripugna, farlo quando e come noi non vorremmo. Occorrerà piegarsi, dimenticarsi, non fare questioni di dignità, di personalità, di onore. E questo ad ogni passo. Bisognerà farlo con i nemici, con gli avversari, con i concorrenti e non sarà virtù sovrabbondante, sarà solo il nostro dovere. Più avrete autorità, responsabilità e più si aggraverà questo peso. Sarà necessario diventare flessibili, pazienti, umili, perché per servire ci si inginocchia.

Naturalmente potrete anche scansare tutto questo, ritirandovi in una torre d'avorio, rifiutandovi, evitando fatiche, gettando tutto sulle altrui spalle; ma credo che nessuno di voi coltivi una simile caricatura del sacerdozio.

Per fare quella obbedienza dovrete lasciare molti vostri punti di vista. Il mondo, che nel suo seno quasi non trova più questa dedizione, ha sete di questa dedizione.

Credete di allenarvi ora a questa obbedienza connaturata col servizio del sacerdozio, disobbedendo, ribellandovi, anche solo nell'istinto dell'anima? È chiaro che l'allenamento alla obbedienza imposta dal proprio servizio, lo farete con la obbedienza.

Credete di fare l'allenamento, convincendovi che ora la obbedien­za è una minorazione, prendendo per regola voi stessi, aspirando sempre ad una autentica indipendenza? L'allenamento di questo genere vi porterebbe alla spavalderia, alla tracotanza, al continuo tentativo di dominare e questo vi preparerebbe una vita infernale in un sacerdozio che gioverebbe forse a nessuno e che attirerebbe sulla Chiesa tutte le trite accuse di interesse e di volontà di dominio. Sarebbe meglio cambiare subito. Solo la profonda, convinta abitudine acquisita oggi potrebbe salvarvi domani.

Non parliamo delle reazioni, che si leverebbero contro di voi e della probabile solitudine esasperata, alla quale sareste condannati. Potrei illuminare quanto dico con una infinità di racconti, personalmente raccolti e constatati nel mio episcopato di ormai quasi trent'anni, ma mi riferisco solo ad uno.

Ero in sacra visita, molti anni innanzi, nei monti. Il convisitatore mi riferì segretamente che il parroco temeva una reprimenda da me. «Perché?» chiesi. Mi rispose: «In una famiglia di contadini i due soli abili al lavoro si erano uno rotto una gamba, l'altro ammalato di tifo

all'inizio della primavera. Ciò significava la perdita del raccolto e la la miseria per un anno, se non di peggio. Il parroco andò lui ogni giorno per tre mesi a lavorare per due e così aggiustò tutto. Ora teme un rimprovero». Risposi: «Ce ne fosse di gente che sa fare questo». Il servizio di poi lo si prepara con la obbedienza di oggi.



2. Il senso del sacro domani è preparato oggi

Tutto nel sacerdote è sacro. Egli non viene consacrato o votato in parte, bensì tutto. La sua elezione è totale. Poiché è «sacro» quello che è riservato a Dio, tutto nel sacerdote è riservato al Signore. Questo carattere viene difeso dalla Tradizione e dalla legge ecclesiastica col celibato, con la preparazione nei seminari, con le abitudini del tutto estranee alle abitudini mondane, con la ascetica propria dello stato, con la pratica della orazione, con i mezzi soprannaturali e sacramentali.

Il carattere sacro è voluto dal popolo, che non lesina mormorazio­ni e condanne ai preti nei quali scopre a torto o a ragione qualche contaminazione mondana, qualche debolezza. Perdere il carattere sacro costa generalmente al sacerdote perdere la stima dei buoni fedeli; forse gli resteranno gli amiconi (supplizio dei successori!), non sempre raccomandabili.

Il carattere sacro mette dei limiti a tutte le manifestazioni ed esuberanze, impone a suo tempo dignità e riserbo, obbliga ad uno stile caratteristico di vita anche nelle azioni comuni e civili. Il vestito e il contegno, ispirato (senza recitazione od affettazione) dall'intimo, «presentano» il sacerdote e ne rendono efficace per tutti anche la sola presenza. Questo non significa esigere musoneria, introversione, durezza, fare scostante, stranezza; significa solo limite e controllo (magari costosi) al temperamento, che natura ci ha dato, e spiritualità capace di elevare qualunque tipo o carattere.

Il sacro lo si salva con abitudini esteriori sostenute da una Fede interiore. Abbandonarlo è depravare il sacerdozio.

Non credete di allenarvi a questa parte delicata e grande, che dovrà qualificarvi per la intera vita, facendo ora tutto l'opposto, disprezzando e negligendo i mezzi e gli atti che inducono in noi lo stile delle cose sacre. Come domani l'Altare sarà il vostro vero sito, così oggi l'Altare e quanto rappresenta è l'orientamento della vostra educazione.

Non lasciatevi trarre in inganno credendo che la mondanità, comunque espressa, vi avvicini agli uomini. Vi avvicinerà ai loro difetti e taluni ne sarebbero anche lieti, ma solo perché diventereste un argomento per coprire i loro peccati. Sarebbe un tradimento. A voi toccherà fare qualcosa di più di quello che è toccato a noi, perché il senso del sacro è distrutto ogni giorno, anche da chi non dovrebbe. Facilmente il vostro avvenire sarà più scomodo, ma anche più meritorio. Il tentativo di distruggere o per lo meno celare quanto è sacro va di pari passo con la disattenzione pigra nella quale, nonostante le declamazioni e le denunce, si va giorno per giorno demolendo l'ambiente naturale e quello morale dell'uomo. Pensateci a tempo!

Passiamo, anzi, innalziamoci dal sacro al soprannaturale. Domani tutto dovrà essere soprannaturale per voi, tutto lo dovrà esprimere, dovrete portare tutti a quello. Perché?

Il vero clima del vero cristiano è soprannaturale. La grazia santificante eleva tutta la natura umana a partecipare alla grazia divina, ogni atto libero nostro sarà preceduto e accompagnato dalla grazia attuale, anche nel caso in cui la nostra cattiva volontà, declinando al male, ne frustrasse l'effetto. Il vero respiro dell'anima, che è l'orazione, porta al colloquio con Dio. La vera azione del cristiano, con la sola intenzione e obiettiva moralità, meglio se con sacrificio e dono, si colloca nella infinita scala delle ascesi verso Dio.

Solo quando ci sarà in atto tutto questo soprannaturale, noi sacerdoti renderemo la piena testimonianza a Dio. Ci sarà chi andrà più su e chi resterà più giù; ma il combattimento spirituale nostro sarà per salire questa scala del Cielo.

Credete di prepararvi a tutto questo, oggi, senza orazione personale, senza sforzo di ascesi, senza sacrificio delle intemperanze di carattere, senza ordine nella mente, nel cuore, nella vita? Credete di realizzare tanto dispregiando o addirittura odiando un ordine esterno, che si chiama «Regola»? La Regola non è un ingrediente per imbalsamarvi, è solo una impalcatura per sostenervi mentre crescete.

La elezione del sacro vi farà moralmente dei sacerdoti, come ontologicamente vi costituirà tali la sacra ordinazione. Non ne potete fare a meno. Non potete rassegnarvi fin d'ora a starnazzare come le galline, sarebbe un cedimento troppo prematuro; Dio solo sa se spiritualmente volerete come le aquile, ma per non ridurvi a starnazzare, voi dovete puntare al volo dell'aquila.

Sacro e soprannaturale non ammettono in voi compromessi con i sensi, con i miti mondani tanto intellettuali che di costume, con le piccinerie, con qualunque comportamento menzognero.



3. L'uomo di Dio di domani non è preparato dal bellimbusto di oggi

L'uomo di Dio è quello che prega, che agisce sempre alla presenza di Dio, che serve il Signore e i fratelli per portali a Dio.

È inganno affermare che per essere uomini di Dio si debba perdere il sorriso, la umanità del tratto, la serenità gaudiosa dello spirito; rivestendosi invece di una compostezza e durezza meramente artificiali o riducendosi addirittura soltanto a recitare una parte.

Basta tale affermazione per fare intendere quanto delicata, fine e complessa deve essere l'opera della vostra formazione. Quando il popolo intuisce l'uomo di Dio, non solo lo ama; lo segue e lo venera. Forse l'uomo di Dio riesce a dare un vero e duraturo ideale agli altri uomini.

Infatti - e ve ne accorgerete con gli anni - tutti i creduti ideali umani, col tempo - non lungo -, si annebbiano e svaniscono! Credete di poter essere passabilmente uomini di Dio (almeno questo!) domani, se oggi non si avrà sufficientemente compenetrato lo spirito di orazione?

Non si fa un pieno, sommando dei vuoti. La orazione è comunitaria. Questa ha un valore che si basa su un noto discorso del Salvatore. Ma la orazione in cui la azione meritoria personale raggiunge il massimo è quella privata. La sovrabbondanza, la devozione, lo slancio sono impostati e sorretti da questa ultima.

Il domani vi sarà ben duro, quando incontrerete le variazioni e le contraddizioni della vita, se non avrete l'abitudine dell'immediato sfogo dell'anima davanti a Dio, davanti al Tabernacolo. Ma a questo salutare e pronto rimedio ci si abitua oggi.

La divina liturgia, se ne vorrete beneficato il popolo, chiederà a voi il gusto profondo, la soddisfazione intima, che l'atteggiamento spontaneamente rivela.

Credete ciò sia facile se non avrete oggi il senso della liturgia, fatto di desiderio, di entusiasmo, di amore a tutti i particolari del culto divino, del canto veramente sacro, della sacra solennità? La liturgia è bisognosa di dignità, di compostezza, di raccoglimento, di attenzione interna. Credete che queste cose vi vengano spontanee dopo averle dimenticate nel periodo di vostra formazione?

Non rimandate le soluzioni ad un tempo in cui le, soluzioni diventano per lo meno difficili.

Domani, dal modo con cui vi vestirete, dalla eventuale voluttà di togliervi di dosso quello che vi mostrerà a tutti palesemente sacerdoti, dalla acconciatura dei capelli, dalle esteriorità tributarie di povere mode, vi giudicheranno, vi condanneranno, vi fuggiranno o vi cercheranno.

Credete di potervi preparare a questo giudizio, che durerà tutta la vita, che potrebbe dare oblio o solitudine nera ai vostri ultimi anni, se oggi lasciate insinuare in voi la vocazione del bellimbusto? Che questo accada, con le arie che tirano, è cosa facilissima e troverete anche chi vi potrebbe aiutare in questa «costruzione di personalità creatrice»; ma è mio dovere dirvi chiaro che questa gramigna non può toccare l'Altare e che è sacrosanto dovere di chi deve «imporre le mani» guardarsi dalla invasione della gramigna.

Domani dovrete celebrare la santa Messa. Sarebbe triste per tutti vedervela celebrare in modo abitudinario senza quella attenzione, raccoglimento e fervore, che testimonierebbero la vostra Fede. I fedeli accetteranno soprattutto la vostra testimonianza.

Ma come potrete domani diportarvi degnamente in questo divino, altissimo ministero, se oggi la santa Messa, non attesa, forse sopportata, non desiderata come accade al sitibondo di desiderare la fonte, entrasse invece come il peso morto di una morta abitudine nel piatto grigiore della routine?

Domani ogni atto sacerdotale che elargisca sacramenti o sacramentali porterà con sé un esercizio divino, una realtà nascosta che confonde e che ci supera; la devozione costante, la preoccupazio­ne serena ed insistente vi permetterà di non essere dei materiali e svogliati distributori di cose divine. Come sarà possibile questo se oggi, nell'allenamento, non coltiverete la costante attenzione alle cose di Dio? In tal caso svaniranno da sé tutte le ipoteche mondane che ancora potrebbero gravare su di voi.

Vedete quanto sia necessario che squarciate ogni giorno il velo con l'esercizio della Fede, per creare l'abitudine dell'anima a sentirsi strumento di una salvezza eterna, canale di un dono divino, braccio del Signore per l'amplesso di carità verso quanti anche incosciamen­te Lo attendono. Squarciato quel velo è per voi la luminosità perenne. Il mondo esterno non regge al paragone di questo realissimo mondo interiore, nel quale la vocazione appare sovrana­mente bella, ma gioiosamente incapace di compromessi, di esitazioni, di restrizioni.