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2. Il Socialismo.

Altro «nemico» di Dio con cui bisogna fare i conti è costituito dall'odierno socialismo, dal socialismo cioé fiorito in questi ultimi secoli, perché il socialismo è fenomeno storico mondiale, sempre presente presso i popoli e nel mondo classico.

Il socialismo, in tutte o nella maggior parte delle sue forme od espressioni, vuole l'abolizione della proprietà privata, della famiglia e della religione; si batte per il comunitarismo e l'uguaglianza di tutti in tutte le cose e quindi aspira a distruggere la gerarchia della società ed ogni forma di autorità. Ma vediamo come lo presenta lo stesso P. Kolbe. Il socialismo, sotto tutte le sue forme:

Sogna di realizzare un paradiso in terra, con abbon­danza cioé di tutti i beni materiali, con libertà, ugua­glianza e fraternità per tutti.

Per questo vuole socializzare tutto, mettendo tutto in comune, e abolendo la proprietà privata. «Il socialismo sopprime la proprietà privata o, almeno la proprietà dei mezzi di produzione. E il governo, quindi, che stabilisce il tipo di lavoro, il governo lo valuta, il governo che lo retribuisce». Bisogna liberarsi da ogni credenza in Dio, nell'anima immortale, ecc. ecc. P. Kolbe cita, per es., tra gli altri «maestri» in merito, Dietzgen: «Se la reli­gione si fonda sulla fede in esseri ultraterreni, al di là del nostro mondo, e in forze superiori, in esseri spirituali e nella divinità, allora la democrazia deve essere senza religione». Mentre Bebel aveva chiaramente affer­mato: «In campo politico noi miriamo alla repubblica, in campo economico al socialismo, mentre in quello che si chiama campo religioso miriamo all'ateismo». P. Kolbe, pur riconoscendo «che la classe operaia è stata in gran parte trascurata, e che il socialismo si è interessato di lei...», afferma tuttavia, con grande chiarezza, che il socialismo va rigettato in pieno, ed è giustamente con­dannato dalla Chiesa. Infatti:

Il socialismo è una concezione di vita che si basa su asserzioni mai veramente provate. «Ogni sistema, sia politico che economico, sia in definitiva sociale, deve basarsi su di un effettivo e reale stato di cose e non rendere omaggio ad asserzioni senza fondamento e ad illusioni di fantasia troppo effervescente. E purtroppo il socialismo è malato proprio di questo. Asserzioni senza fondamento sono le frasi ripetute all'infinito e mai dimo­strate, le quali affermano che non esiste né Dio, né un'a­nima immortale, né una vita oltre la tomba, né il paradiso né l'inferno e così via». Praticamente un materialismo completo: «Lo sguardo del socialismo (...) non va al di là della bara mortuaria, non si libra al di sopra di un mondo puramente materiale».

Il socialismo è incapace di offrire la felicità all'uomo. Un uomo, dice in sostanza P. Kolbe, che spazia nell'infi­nito, che perciò è sempre insoddisfatto, potrà mai conten­tarsi di limiti e di un mondo così ristretto? L'uomo non vuole limiti: «E queste persone che hanno una mente tanto ristretta, invischiata in un materialismo grossolano, osano annunciare all'umanità la felicità?». E supposto anche che l'uomo si contentasse della felicità materiale, i socialisti «saranno poi capaci di rendere felice l'umanità con dei mezzi materiali? Riusciranno a coprire ogni uomo di oro, a circondarlo di gloria e a dargli la possibilità di godere qualsiasi piacere? Illusione di una fantasia malata! (...) Tutto quello che il mondo può dare, non basta ancora per l'uomo. Tutti questi beni hanno i loro limiti, deludono e suscitano i desideri di una felicità più grande e più duratura, e quando essa viene meno, l'anima si sente invadere dal tedio, dalla noia e da una specie di tenebra». Parole sacrosante di cui sono tragica conferma molti aspetti e situazioni della società di oggi!

Il socialismo va rigettato ed è giustamente condan­nato, ancora, perché: [SM=g28002]

Non è capace di offrire neppure una felicità mate­riale: «Ma forse il socialismo sarà in grado di procurare fino alla sazietà almeno questo bene terreno? No, neppure questo. Libertà, uguaglianza, fraternità: sono bei principi, ma il socialismo, dopo aver violato la natura umana, la quale brama orizzonti più vasti e tende all'infinito, non è capace di procurarle queste realtà; sono troppo nobili e troppo sublimi». Il socialismo, dunque, poiché non tiene conto della natura umana, si fonda solo su una grande illusione. Da una parte, infatti, abolendo la pro­prietà privata, priva l'uomo della sua innata libertà che intende operare quando, cosa e come gli piace: «Ecco l'impulso naturale di libertà innata che i socialisti, in nome della libertà (?!) vogliono schiacciare».

La stessa cosa deve dirsi a proposito dell'uguaglianza: è impossibile realizzarla per tutti. «Ciò sarebbe possibile, - annota giudiziosamente P. Kolbe - solamente se potessimo esistere tutti insieme nel medesimo tempo, nel medesimo luogo e nelle medesime condizioni, sia di natura che di ambiente. Ma questo è fisicamente impossi­bile. Noi ci diversifichiamo per età, per luogo di nascita, per capacità, per tendenza, per condizioni di salute, per laboriosità, per avvedutezza, per i diversi avvenimenti che capitano durante la vita e per le varie attività. Tutto ciò dipende dalla natura stessa delle cose; di conseguenza non lo si può cambiare. Devono esserci quindi sia i genitori che i figli, sia i superiori che i sudditi». Non meno impossibile una spartizione assolutamente uguale di beni.

Il socialismo è capace di realizzare, almeno, la frater­nità autentica? I fatti, purtroppo, smentiscono le promesse.

Incapace di risolvere i grandi problemi dell'uomo, il socialismo si presenta, purtroppo, anche come nemico della religione e della Chiesa: una nota di più di deplora­zione e chi difetto: «Bisogna deplorare - scrive P. Kolbe - il fatto che esso abbia colpito la Chiesa, che stia facendo di tutto per strappare all'operaio, perfino al bam­bino, il preziosissimo tesoro della fede e gli ideali più sublimi ed innati. Avviatosi in tal modo lungo una strada sbagliata, esso genera unicamente la schiavitù e la tirannia del governo sui cittadini e misconosce le aspirazioni della nobile e libera natura umana. Parole che, scritte nel 1923, non hanno perduto nulla della loro drammatica verità. Molti gli eventi, anzi, che hanno confermato e confermano tale diagnosi.

C'è da meravigliarsi, si chiede P. Kolbe, che la Chiesa l'abbia condannato? E che lui, P. Kolbe, lo consi­deri uno dei terribili nemici dell'Immacolata?



3. II Socialismo di Marx o Comunismo.

Marx, pur accettando alcuni aspetti dei vari sociali­smi allora in voga, ne criticherà tutte le forme, perché «utopiche» e fuori della realtà e della storia. I socialisti «utopici», infatti, «invece di vedere le condizioni mate­riali come causa dell'organizzazione sociale, immagina­vano il contrario, e pretendevano di cambiare le condizioni materiali per mezzo di `riforme sociali', frutto dell'ingegno umano (utopie)».

Marx pretende, invece, di presentare un socialismo scientifico, in quanto «e previsto come conseguenza necessaria del cammino dialettico della storia, come ter­mine del processo evolutivo dell'umanità che fa se stessa mediante la produzione dei beni materiali. Marx dichiara espressamente come, ad es., in occasione della fondazione della Prima Internazionale nel 1864, ha dovuto usare i termini di libertà e giustizia perché non poteva farne a meno, data la stupidità (dice lui) dei suoi collaboratori» (DEL NOCE, Pensiero politico, 178). Però giustizia, libertà e qualsiasi altro `valore previo', in nome del quale si postuli una determinata organizzazione sociale, per il marxismo non hanno significato». In breve, il sociali­smo marxista si presenta come analisi scientifica della realtà e come concezione filosofica: è, cioé, materialismo storico e materialismo dialettico. Materialismo storico perché insegna che la realtà non è l'essere ma la storia e, cioé, il divenire incessante di tutto. Un divenire deter­minato completamente dalle leggi e dalle situazioni eco­nomiche, divenire che è processo ascendente nel quale il motore dei salti qualitativi da un'epoca all'altra sarab­bero le contraddizioni interne delle forme sociali. Materialismo dialettico perché insegna che i vari momenti storici si susseguono in una dialettica di tesi, antitesi e sintesi, che però non è più quella di Hegel, anche se così sembra all'apparenza.

Il socialismo marxista, come e più delle altre forme di socialismo, si fonda tutto sui valori materiali, econo­mici; che costituiscono la struttura portante di ogni società terrena. Se cambia la struttura economica, cam­biano anche i valori morali, religiosi, artistici e filosofici, che sono sovrastrutture da essa determinate.

In definitiva, il socialismo comunista è il marxismo più puro, quello che sarà portato alle estreme conse­guenze, in rigorosa logica, da Lenin e da Stalin.

Il marxismo o comunismo si caratterizza, abbastanza chiaramente, come «nemico di Dio, dell'Immacolata, della Chiesa, soprattutto per alcune sue impostazioni fonda­mentali, e cioé:

nega Dio e ogni religione. Gramsci, uno dei più lucidi e coerenti teorici del marxismo, scriverà: «Il nostro evangelo è la filosofia moderna (...), quella che fa a meno dell'ipotesi di Dio nella visione dell'universo, quella che solo nella storia pone le sue fondamenta, nella storia di cui noi siamo le creature per il passato e i creatori per l'avvenire». E ancora: «Siamo storicisti per la conce­zione filosofica che nutre il nostro movimento; neghiamo la necessità di ogni apriorismo, sia esso trascendente, come vuole la fede religiosa, sia anche storico come il privilegio borghese». Marx, d'altra parte, aveva già affermato che la religione addormenta, e perciò è assolu­tamente incompatibile con il socialismo, oltre tutto per la lotta che questo porla avanti: «La religione è l'oppio del popolo», per questo «la lotta contro la religione è dunque mediatamente la lotta contro quel mondo del quale la religione è l'aroma spirituale».

Il comunismo, poi, tutto fondato, com'è, nell'odio e nella rivoluzione, rigetta ogni valore etico e, spe­cialmente, l'amore del prossimo. Abbiamo già detto che, per il marxismo, i valori etici non sono che sovrastrutture della struttura economica; cambiando questa anche i valori cambiano fino a quando non si arriva alla totale sparizione di tutto, con l'inaugurazione del «paradiso sulla terra». Laforgue, genero di Karl Marx, dichiarerà nel suo giornale «Socialiste»: «I principi eterni libertà, patria, diritti dell'uomo, ecc. sono tossici intellettuali, energici come Dio, paradiso, inferno, come tutte le altre mistifica­zioni della religione».

Non l'amore, perciò, ma l'odio: «Quest'amore, dice Marx, si esprime in frasi sentimentali che non possono sopprimere i rapporti ideali, di fatto; addormenta l'uomo con una tiepida pappa sentimentale che lo nutre. Invece è necessario ridare all'uomo la forza». E Lunatcharski: «Abbasso l'amore del prossimo. Ciò che occorre è l'odio. Dobbiamo imparare a odiare: è così che arriveremo a conquistare il mondo». E già la Pravda aveva scritto il 30 gennaio 1934: «L'amore cristiano che si rivolge a tutti, perfino al nemico, è il peggiore avversario del comunismo».

Il comunismo, dunque, è essenzialmente odio e rivo­luzione, esso anzi segna il massimo della rivoluzione: «Tutte le tendenze livellatrici e rivoluzionarie dei secoli passati sono giunte oggi al vertice della loro esaspe­razione.

Non si può essere più radicali sulla via dell'orgoglio e della rivoluzione, proclamando qualcosa di più dell'u­guaglianza degli uomini in campo politico, economico e sociale. Non si può portare più oltre la lussuria, isti­tuendo qualcosa di più del libero amore».

Per il comunismo esiste una sola etica, quella che serve al trionfo della lotta di classe: «Esiste una morale comunista?» - si chiede Lenin -. «Esiste un'etica comu­nista? Naturalmente esiste (...). Noi neghiamo la morale nel senso in cui la predicava la borghesia, che aveva dedotto questa morale dai comandamenti divini. A questo proposito diciamo, naturalmente, che non crediamo in Dio e sappiamo molto bene che era il clero, erano i grandi proprietari fondiari, era la borghesia a parlare in nome di Dio, per far trionfare i propri interessi di sfrut­tatori (...). La nostra etica è interamente subordinata agli interessi della lotta di classe del proletariato. La nostra etica scaturisce dagli interessi della lotta di classe del pro­letariato (...). Per noi non esiste un'etica considerata ad di fuori della società. Questa sarebbe un inganno. L'etica è per noi subordinata agli interessi della lotta di classe del proletariato (...). E diciamo: la morale è ciò che serve a distruggere la vecchia società sfruttatrice e ad unire tutti i lavoratori attorno al proletariato, che sta costruendo la nuova società comunista (...). Per un comu­nista la morale è tutta in questa disciplina compatta e solidale e nella lotta cosciente delle masse contro gli sfruttatori. Non crediamo alla morale eterna e smasche­riamo ogni sorta di favole ingannatrici sulla morale».

Fondata sull'odio e la violenza, espressione la più acuta della rivoluzione, tale ideologia non poteva e non può non grondare sangue, ovunque riesce ad affermarsi, giacché qui non è l'ideologia che si adegua alla realtà o verità, ma è l'uomo che viene costretto, con tutti i mezzi, ad adeguarsi ad una ideologia, ritenuta verità! Di qui le innumerevoli vittime e gli stermini di masse che, ovunque, seguono l'instaurarsi del comunismo. Dai soli resoconti ufficiali, dati da quegli stessi che propagano e diffondono e costruiscono questa ideologia, ci sono stati già oltre 250 milioni di vittime. Ciò che ha fatto dire ai «nuovi filosofi»: «La metafisica marxista pone l'in­nocenza originaria dell'uomo all'inizio, e necessariamente l'innocenza recuperata alla fine. Dopo di che in un regime socialista realizzato, il più piccolo colpevole è un mostro incredibile, e vi sono dieci pareri differenti sulla condotta da tenere - cosa che già in sé sembra inconcepibile - nove sono satanici in attesa che il decimo lo divenga (...). Perché non si è mai detto, perché ci si rifiuta di comprendere che questo inferno terrestre deriva implaca­bilmente dal dogma dell'innocenza? Che non c'è perdono perché non c'è peccato?».

Il comunismo è l'ennesimo e finora più deciso tenta­tivo a favore dell'ateismo e della torre di Babele. Lo aveva intuito già Dostoevskj, parlando del socialismo in genere: «ll socialismo non è soltanto la questione ope­raia o quella del quarto stato, è anzitutto la questione dell'ateismo, della sua incarnazione contemporanea; è la questione della torre di Babele, che si costruisce senza Dio, non per raggiungere i cieli dalla terra, ma per abbas­sare i cieli fino alla terra».

P. Kolbe è perciò decisamente avverso al comunismo né mai si sognerà di tentare impossibili avvicinamenti tra esso e il cristianesimo, perché non è affatto vero che essi sono «molto simili tra loro». Un atteggiamento di coerenza, basato su dati di assoluta obiettività. Esempio e monito, anche in questo, a tanti, caduti oggi miseramente nella trappola del compromesso storico. Kolbe avrebbe, certamene, condiviso in pieno ed accettato la consegna di Papa Pio XI che, qualificando il comuni­smo di «intrinsecamente perverso», aggiungeva logica­mente che «non si può ammettere in nessun campo la collaborazion con lui da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana».