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IL VOLTO DELLA MORTE ALLA LUCE DELLA FEDE CRISTIANA

La morte è una realtà che ogni vivente porta con sé dalla nascita, e tuttavia la sua presenza si fa viva solo quando comincia a toccare la nostra pelle. Neppure la partecipazione a un funerale o il passare davanti al cimitero riescono a incatenare la nostra riflessione su questa realtà che portiamo sempre con noi, e di cui facciamo continua esperienza in una pianta che muo­re, in una foglia che cade, in un fiore che appassisce.

La parola di Dio ci richiama spesso al pensiero della morte e il suo ricordo è assai opportuno. Pur­troppo molti fuggono il pensiero della morte come qualche cosa di alienante per l'uomo, o, peggio anco­ra, come un ostacolo alla sua maturazione umana. Dio, invece, con le parole: In tutte le tue opere ricor­dati della tua fine e non cadrai mai in peccato (Sir. 7,36) fa comprendere che proprio il pensiero della morte illumina nella scelta tra il bene e il male, e conduce non solo alla maturazione, ma all'autentica promozione umana. Il cristiano non deve banalizzare la morte per il fatto che è una vicenda naturale come lo è il mangia­re e il dormire, ma non deve farne neppure un «tabù», quasi non abbia nulla a vedere con la vita umana e specialmente cristiana. La fede, che ci presenta le verità future, ci richiama a quanto Dio ha rivelato: E stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio (Eb. 9,27).



L'importanza del giorno della morte

La parola di Dio, ora ascoltata, ci assicura che la morte, con il conseguente giudizio, chiude per tutti il tempo della prova, tempo che la provvidenza di Dio ha messo a disposizione dell'uomo per preparare la sua vita eterna, oltre la morte stessa. I veri cristiani s'impegnarono e, ogni giorno, s'im­pegnano a trafficare bene il tempo della vita terrena ricordando le parole di Gesù: Qual vantaggio, infat­ti, avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima? (Mt. 16,26). E le altre parole ancora più provocanti: Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’ani­ma e il corpo nella Geenna (Mt. 10,28). In realtà, solo la fede cristiana presenta la vera di­mensione della vita terrena, la quale non è fine a se stessa, ma preparazione alla vita eterna oltre la morte. La Pasqua di Gesù, nel suo misterioso e antitetico binomio di morte-vita, ha strappato alla morte il suo carattere di «totalità e distruzione» che all'apparenza sembra avere. Nella vita di ogni uomo, Gesù ha inse­rito il «Regno di Dio» che cresce e si sviluppa (anche all'insaputa dell'uomo!), e lo prepara alla pasqua per­sonale in cui la morte diventa «aurora di vita». Il cristiano ha già in mano, nella risurrezione di Gesù, la caparra di questa nuova ed eterna vita per cui può rinfacciare alla morte il suo preteso dominio: Dov 'è, o morte, la tua vittoria? Dov 'è, o morte, il tuo pungiglione? (1 Cor. 15,55).



I vari aspetti della morte

La parola di Dio ci prospetta altri «tipi» di morte, oltre quella fisica: la morte dello spirito, dovuta al peccato. Del figlio, tornato alla casa paterna, il padre disse: Facciamo festa perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita (Lc. 15,25). Si tratta di una morte analoga a quella fisica in quanto il peccato distrugge la grazia divina nell'anima e rende vana la redenzione. Questa morte è chiamata da san Giovan­ni la seconda morte (Ap. 20,14).

Nella pedagogia di Gesù entra una seconda pro­spettiva della morte, cioè il morire a se stessi median­te l'accettazione, in chiave redentiva, della moltepli­ce sofferenza umana che trasforma questa terra in una valle di lacrime. La parola di Gesù è chiara: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua (Lc. 9,23). Il primo Adamo, quello terrestre, con il peccato assoggettò l'uomo alla morte e ai dolori che la prepa­rano; il secondo Adamo, quello celeste, Gesù Cristo, si sottomise volontariamente ai dolori e alla morte redentrice per la salvezza dell'uomo. Con la sua mor­te espiò i peccati e con la sua risurrezione distrusse la morte per divenire il Signore dei morti e dei vivi (Rm. 14,9). In questo dualismo «peccato-morte» e «croce-vita» si svolge il dramma quotidiano della vita cristiana. Spetta al credente decidere di se stesso. Ecco: accet­tare il nuovo Adamo con la sua croce, caparra di vita, significa accettare la vita come frutto della morte di croce, secondo le parole chiare, trasparenti e senza alternative di Gesù: Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna (Gv. 12,25). Al contrario, chi non vuole accettare il nuovo Ada­mo, Gesù Cristo e la sua croce, caparra di vita, si dispo­ne alla seconda morte, quella «totale e definitiva».

La fede e soprattutto l'ascetica cristiana presentano il battesimo come «un morire con Cristo». È una real­tà meravigliosa! Infatti i battezzati formano un solo «corpo» con Cristo, una nuova stirpe: la stirpe dei redenti! L'uomo è liberato dal peccato e dalle potenze del male mediante la vita battesimale vissuta in Cristo Gesù. L'apostolo Paolo, riferendo a se stesso questa rinascita, scrive: Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me. Questa vita che io vivo nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal. 2,20). Non bisogna però illudersi! La fede e la vita cristia­na non sono formule magiche. Tutto dipende da quella scelta fondamentale che il cristiano deve fare per Cristo. Ecco allora la dimensione teologica della vita del battezzato: Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della car­ne; la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste due cose si oppongono a vicenda (Gal. 5,16-17). E con più forza, scrivendo ai Romani: Noi siamo debi­tori, ma non verso la carne, per vivere secondo la carne; poiché se vivete secondo la carne, voi morire­te; se invece, con l'aiuto dello Spirito, voi fate mori­re le opere del corpo, vivrete (Rm. 8,12-13).



La speranza cristiana guarda oltre la morte

Il cristiano accetta la morte fisica nella fede di Cri­sto risorto e questa fede pasquale è il fondamento necessario della speranza che non delude, perché l'a­more di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm. 5,5). Così la fede, la speranza e l'amore creano un paradosso tutto cristiano: Il desiderio di essere sciol­to dal corpo per essere con Cristo (Fil. 1,23). Infatti per il credente il vivere è Cristo e il morire un gua­dagno (Fil. 1,21).

Come la morte, venuta dal peccato, coinvolse non solo i discendenti di Adamo, ma anche tutto il creato, così la vittoria della risurrezione di Gesù si estese all'universo intero: Secondo la sua promessa noi aspettiamo nuovi cieli e una nuova terra, nei quali avrà stabile dimora la giustizia (2 Pt. 3,12). La pasqua di Gesù è una vittoria radicale, veramen­te «cosmica»! Infatti: La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio... e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavi­tù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la re­denzione del nostro corpo. Poiché nella speranza siamo stati salvati (Rm. 8,19-24). La redenzione di Gesù si estende a tutto il creato e non può essere diversamente! La cornice (il creato) e il quadro (l'uomo) sono stati coinvolti insieme nel mistero della morte e saranno pure coinvolti nel mi­stero della risurrezione.

Quantunque la vita umana sia votata alla morte, noi non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinno­va di giorno in giorno (2 Cor. 4,16). Certo! La fede e la speranza non devono confinare il cristiano in una specie di «nirvana» inattivo e fatalistico, ma solleci­tarlo a preparare il suo radioso avvenire, pur nel do­loroso cammino della vita terrena. A questo proposi­to l'apostolo Paolo dava ai fedeli di Corinto una me­ravigliosa direttiva ascetica che ogni credente do­vrebbe portare impressa nella mente, perché capace di sconvolgere qualsiasi vita e indirizzarla al suo vero fine. Ascoltiamola: Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono di un momen­to, quelle invisibili sono eterne (2 Cor. 4,17-18). In definitiva, come la fede manifesta le realtà so­prannaturali dell'uomo e di tutto il creato, cosi la speranza deve elevare ed indirizzare il pensiero e le opere dell'uomo verso i beni eterni del cielo. L'impegno pastorale della Chiesa



L’IMPEGNO PASTORALE DELLA CHIESA VERSO GLI ANZIANI E GLI AMMALATI

Tutta l'attenzione della Chiesa è rivolta all'uomo. Non può essere diversamente! Il creato, pur nel suo meraviglioso splendore che la scienza mette sempre più in luce, non è che una semplice cornice del qua­dro, costituito dalla persona umana. Con questa per­sona, lo stesso Figlio di Dio si è fatto solidale median­te l'incarnazione; e, con la sua passione, morte e risurrezione, le ha dato la possibilità di essere parteci­pe della stessa felicità di Dio, nel cielo.

La Chiesa, madre amorosa, s'interessa dell'uomo appena concepito nel seno materno: ne proclama la dignità e l'inviolabilità; ne difende l'integrità fisica e morale. Essa invita tutti a cooperare allo sviluppo del bambino concepito trattandosi di una vera persona con i relativi diritti. Per questo ha sempre insegnato che l'aborto e l'infanticidio sono «abominevoli delit­ti» che violano la legge naturale e i diritti dell'uomo.



La Chiesa cammina con l'uomo

La Chiesa è sempre vicina all'uomo! Accoglie il neonato e, mediante la grazia santificante del battesi­mo, lo costituisce figlio di Dio e lo inserisce come membro nel suo corpo mistico. Lo istruisce con la catechesi per prepararlo alla prima comunione, alla cresima e al sacramento della penitenza. Lo aiuta a formarsi una famiglia fondata sull'amore, sull'onestà e sulla fecondità per la conti­nuazione della vita. La Chiesa, madre premurosa, desidera ardente­mente di vedere i suoi figli raccolti, ogni domenica, attorno all'altare perché si sentano figli di Dio ascol­tando la sua parola. Così si forma la famiglia cristiana, unita e compatta nella preghiera e alimentata dalla fede, dalla speranza e dalla carità.



La Chiesa è vicina al malato

Il logorìo degli anni che passano o la malattia, più o meno grave, debilitano fisiologicamente il corpo umano: sopraggiungono l'anzianità e lo stato d'infer­mità. La Chiesa si fa presente a questi suoi figli più bisognosi e desidera stringerli al suo cuore. Ecco: «Si ricordino i sacerdoti e soprattutto i parroci... che è loro dovere visitare personalmente e con premurosa frequenza i malati, e aiutarli con senso profondo di carità». La Chiesa, riconoscendosi una comunità unita nel­l'amore, si rivolge pure a tutti i suoi figli: «Tutti i cristiani devono far propria la sollecitudine e la carità di Cristo e della Chiesa verso gli infermi. Cerchino quindi, ciascuno secondo le possibilità del proprio stato, di prendersi premurosa cura dei malati, visitan­doli e confortandoli nel Signore e aiutandoli fraternamente nelle loro necessità» (o.c., n. 42). Con questi e altri pressanti inviti, la Chiesa ricorda a tutti i cristiani il dovere dell'aiuto amoroso, non solo verso i propri familiari, ma anche verso tutti i fratelli bisognosi a motivo dell'infermità o dell'anzianità.

La Chiesa riconosce di non possedere l'elisir della giovinezza e tanto meno il toccasana per ogni malat­tia. Essa si presenta agli anziani e ai malati con i mezzi che Gesù stesso le ha affidato per il bene spirituale e per la salvezza dell'anima ormai prossima a rendere conto a Dio sia nel bene che nel male. Ecco la meravigliosa pedagogia della Chiesa: «I par­roci specialmente, e tutti coloro che sono addetti alla cura degli infermi, sappiano suggerir loro parole di fede, che li aiutino a rendersi conto del significato dell'infermità umana alla luce della salvezza; li esorti­no inoltre a lasciarsi guidare dalla luce della fede per unirsi a Cristo sofferente, santificando con la pre­ghiera la loro infermità, e attingendo dalla preghiera stessa la forza d'animo necessaria a sopportare i loro mali» (o.c., n. 43). Certamente la fede in Cristo sofferente, rende più sopportabile la malattia e più radiosa la speranza nella vita futura, come dimostra la storia di tanti santi che, inchiodati sul letto da atroci e lunghe malattie, hanno saputo impreziosire le loro vite che potevano sem­brare inutili.



I sacramenti propri del malati

Il tesoro più prezioso che Gesù affidò alla sua Chie­sa è l'Eucaristia. Questo sacramento che la Chiesa offre ai fanciulli che si aprono alla vita, con altrettan­to amore lo porge agli anziani e ai malati che non possono recarsi in chiesa. I sacerdoti, affiancati da suore o da laici debitamente autorizzati, ogni mese, in particolari circostanze o «anche tutti i giorni» pas­sano per le case a portare la santa comunione a quanti la desiderano (o.c., n. 46).

Il Vangelo ci presenta spesso Gesù circondato da malati dell'anima e del corpo. Egli era Dio e con la sua parola onnipotente raddrizzava gli zoppi, illumi­nava i ciechi, mondava i lebbrosi, risuscitava i morti e perdonava i peccati. E ora? L'apostolo Giacomo ricorda il sacramento che Ge­sù istituì specificatamente per gli anziani e malati. Ecco le sue parole: Chi è malato, chiami a sé i pre­sbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera, fatta con fede, salverà il malato: il Signore lo rialze­rà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati (Gc. 5,14-15). Il sacramento dell'Unzione degli infermi non è sempre rettamente inteso dai cristiani; spesso è tra­scurato per la falsa paura che quanti lo ricevano deb­bano necessariamente morire. Gesù, invece, istituì questo sacramento per la sal­vezza dell'anima e a sollievo del corpo. Esso rimette i peccati, aiuta a sopportare le sofferehze della malat­tia e dell'anzianità e, se ciò entra nella provvidenza di Dio, conferisce anche la salute del corpo. Così i malati e gli anziani partecipano alle sofferenze di Cristo cro­cifisso, impreziosiscono la loro vita spirituale arricchen­dola di meriti e purificandola per la gloria del cielo.

Quando il cammino della vita si avvicina al traguar­do, la Chiesa si stringe ancor più vicino al malato per accompagnarlo verso l'eternità. Abbiamo già visto come nei secoli passati i cristiani usavano mettere l'Ostia consacrata in bocca o sul petto del defunto per farlo giungere al giudizio divi­no tra le braccia stesse di Gesù salvatore. Oggi la Chiesa prescrive: «Spetta al parroco e agli altri sacerdoti che si dedicano alla cura pastorale de­gli infermi provvedere che gli ammalati in pericolo di morte ricevano il sostegno e il conforto del sacro viatico del Corpo e Sangue di Cristo» (o.c., n. 128). La santa comunione, in questa circostanza, è chiamata «viatico» quasi «cestino da viaggio» verso l'eternità.

La Chiesa non solo offre ai moribondi i sacramenti istituiti da Gesù Cristo, ma desidera che tutta la co­munità cristiana sia vicina ai fratelli sofferenti in ore così decisive per la loro salvezza eterna: «L'amore verso il prossimo deve spingere i cristiani a stare vicino ai fratelli moribondi e ad esprimere la loro fraternità implorando con essi e per essi la misericor­dia di Dio e il conforto della fiducia in Cristo Gesù (o.c., n. 207). Per quanto riguarda la Chiesa, essa apre per i mori­bondi i tesori spirituali della sovrabbondante reden­zione di Cristo e dei meriti dei suoi figli migliori, la vergine Maria, i martiri e i santi, e offre ai morenti l'indulgenza plenaria «in articulo mortis» che, purifi­cando l'anima da «ogni debito di. pena temporale» dovuto per i peccati, li dispone a passare dal letto del loro dolore alla gloria del cielo (o.c., n. 194).

Appena il morente ha esalato l'ultimo respiro, la Chiesa l'accompagna con la seguente preghiera che esprime la sua materna preoccupazione per il figlio che deve presentarsi al giudizio di Dio: Venite, santi di Dio, accorrete angeli del Signore. Accogliete la sua anima e presentatela al trono dell 'Altissimo. Ti accolga Cristo, che ti ha chiamato, e gli angeli ti conducano con Abramo in paradiso. Accogliete la sua anima e presentatela al trono dell'Altissimo. L'eterno riposo donagli, o Signore, e splenda a lui la luce perpetua. Accogliete la sua anima e presentatela al trono dell'Altissimo. E a nome di tutti i presenti aggiunge: Ti raccomandiamo, Signore, l'anima fedele del nostro fratello, perché, lasciato questo mondo, viva in te, e in tutto ciò che ha peccato per la fragilità della condizione umana, ottenga dalla tua clemenza il perdono e la pace. Per Cristo nostro Signore (o.c., n. 241). La Chiesa che accolse il neonato fra le sue braccia materne, ora affida il figlio defunto tra le braccia del Dio delle misericordie.