00 06/09/2009 11:44

Ecco alcuni versetti in cui quello che accade dopo il finché viene chiarito:

 

1 Sam 1,22-24  “Non verrò, finché il bambino non sia divezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre». Le rispose Elkana suo marito: «Fà pure quanto ti sembra meglio; rimani finché tu l’abbia divezzato; soltanto adempia il Signore la tua parola». La donna rimase e allattò il figlio, finché l’ebbe divezzato. Dopo averlo divezzato, andò con lui, portando un giovenco di tre anni,

un’efa di farina e un otre di vino e venne alla casa del Signore a Silo e il fanciullo era con loro.”

 

Qui il finché viene ampiamente chiarito e non lascia alcun dubbio su quello che accade dopo.

 

2 Sam 10,5 “Quando fu informato della cosa, Davide mandò alcuni incontro a loro, perché quegli uomini erano pieni di vergogna. Il re fece dire loro: «Restate a Gerico finché vi sia cresciuta di nuovo la barba, poi tornerete”.

 

Anche qui si capisce chiaramente che cosa accade dopo il “finché”, nella Bibbia ci sono comunque altri versetti dove il significato è meno chiaro, ma leggendo tutto il contesto e i capitoli seguenti si capisce cosa accade dopo il finché. Leggendo i capitoli seguenti la nascita di Gesù si capisce soltanto che il termine “fratello” veniva usato in un senso molto ampio dagli ebrei, e che mai viene detto “Maria e gli altri suoi figli”, come ho detto prima, abbiamo già visto in modo preciso e inequivocabile chi erano i fratelli di Gesù.

Il “Non conosco uomo” di Maria all’angelo dimostra la sua ferma volontà di rimanere sempre vergine, per voto fatto, come consacrata a Dio, come “eunuca” per il regno dei cieli.

Altrimenti la frase di Maria non avrebbe senso, visto che era fidanzata con Giuseppe,

e normalmente due fidanzati si sposano, Maria una volta sposata avrebbe potuto benissimo concepire un figlio con Giuseppe, invece lei questa ipotesi non la considera nemmeno.

Ella dice “io non conosco uomo” se Maria si riferiva al suo stato temporaneo di verginità, avrebbe potuto dire “fino ad ora non conosco uomo”, ma il senso di meraviglia rimarebbe fuori posto. Invece lei che si era consacrata al Signore, si stupisce dell’affermazione dell’angelo, perché non voleva conoscere uomo, e perché avendo fatto voto al Signore dava per scontato che Dio sapeva di questo. In effetti Dio sapeva, ma la Sua volontà era diversa da quella di Maria, e lei in tutta umiltà e fedeltà la accetta, sottomettendosi al volere di Dio. Una ragazza di oggi, non si meraviglierebbe sentendosi dire che concepirà un figlio, perché è normale che prima o poi si sposerà, soprattutto se già è fidanzata, penserà normalmente alla procreazione da donna sposata, che in seguito al rapporto d’amore con suo marito potrà concepire uno o più figli. In questo caso la meraviglia non avrebbe senso, lo stupore scaturisce da un fatto che va fuori dalle regole umane, e queste legavano Maria al suo voto di verginità consacrata al Signore.

Maria invece si meraviglia, perché si era consacrata a Dio nella verginità perpetua.

La Scrittura vuol dimostrare che il Bambino Gesù non è stato concepito mediante il concorso umano, e basta, tutto il resto sono solo fantasie.

 

Ma leggiamo ancora:

In 2 Sam 6,29 “Micol figlia di Saul, non ebbe figli fino al giorno della sua morte” E’ certo che Micol non ebbe figli neppure dopo la sua morte…

Ancora una volta notiamo come il termine “fino a che” che ha lo stesso identico significato di “finché” (fino a quando) veniva abitualmente usato dagli ebrei, era un loro modo di parlare, un loro modo di esprimersi.

E’ giusto puntualizzare che molte analisi e puntualizzazioni qui presenti sono riscontrabili negli scritti di fra Tommaso Maria di Gesù, dei frati minori rinnovati di Palermo, il quale mi ha molto aiutato con il suo libro Bibbia e cristiani a confronto.

L’archeologia ha scoperto (1922) una iscrizione greca di un cimitero giudaico dell’Egitto

 (5° sec. a.C.) che dice: “La sorte mi condusse al termine della vita nel dolore del parto del mio primogenito figlio”. Questa donna dopo la morte ebbe forse altri figli?

Oppure anche questo ritrovamento prova che la parola primogenito veniva abitualmente usata per indicare i diritti legali e onorifici del primo figlio, anche se questo rimaneva unico e solo figlio?

Vi prego, aprite gli occhi, dischiudete i vostri cuori, riflettete serenamente su tutte queste prove bibliche che magari mai prima d’ora avevate meditato.

La mia esperienza personale (dice frà Tommaso Maria di Gesù), mi fa capire come il grande dottore d’Ippona, il gigante del pensiero, S. Agostino, avesse proprio ragione quando scriveva: “Può credere chi vuole credere. La fede è un sì libero, ma anche obbediente. Infatti Dio non lascia al nostro arbitrio e piacimento di accogliere o rifiutare la sua rivelazione. Il Vangelo della salvezza non ci è rivolto semplicemente come un’offerta, ma come un comando (1 Gv3,23 “Questo è il suo comandamento: che crediate nel nome del suo Figlio Gesù Cristo”). Perciò in “no” che l’uomo oppone alla rivelazione di Dio, il rifiuto a credere, dalla S. Scrittura è detto una disobbedienza (Rm 11,30; 1 Pt 1,2). La Chiesa di Dio definisce la fede come un pieno ossequio all’intelletto e della volontà a Dio rivelante

Dio non ha lasciato la Chiesa in mano ai lupi rapaci, o in balia della libera interpretazione, ma ha costituito un gruppo di vescovi che vigila e garantisce essendo colonna e sostegno della Verità

(1 Tm 3,15).

Anche Pietro nella sua seconda lettera al capitolo 1,20 dice che “a nessuna profezia della Scrittura  compete un interpretazione soggettiva.

Quindi Pietro ci dice che le Scritture vanno interpretate in seno alla Chiesa, alla vera ed unica Chiesa, essa si fa garante della giusta interpretazione, essa e solo essa ha l’autorità apostolica.

Se ne deduce che i singoli soggetti che ambiscono a diventare dottori e profeti, altro non sono che ribelli, essi non riconoscendo l’autorità ecclesiastica non riconoscono Cristo, perché Gesù disse:

Chi disprezza voi disprezza me”.

 

Permettetemi una precisazione sull’uso e sul significato delle parole usate da Gesù, l’abbiamo già visto, ma repetita juvant.

Gesù solo in due occasioni chiama sua madre col titolo “donna”, una è quella durante l’agonia sulla croce, e l’altra durante le nozze di Cana, è pure doveroso risottolineare che nell’episodio di Cana i presunti fratelli carnali di Gesù non c’erano, come mai? Mancavano pure le presunte sorelle perché? Come mai furono invitati perfino i discepoli di Gesù e i suoi “fratelli e sorelle” invece no? Gv 2,1-2 “Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.” Qui si vede chiaramente che prima viene menzionata la madre, come ad indicare che la parentela (o l’amicizia)  con gli sposi derivava da lei, e poi Gesù e i discepoli, ma non i suoi fratelli, questi vengono menzionati solo dopo l’episodio delle nozze.

Gv 2,12 “Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà solo pochi giorni.”

Attenzione al “DOPO”, solo “dopo” vengono menzionati anche i suoi fratelli (cioè i suoi parenti) perché ovviamente non erano stati invitati. Se io scrivo: "sabato io e mio fratello siamo stati invitati ad un matrimonio, abbiamo apprezzato molto il pranzo nuziale. Dopo siamo andati assieme ai miei genitori a fare shopping a Palermo", si capisce che i miei genitori non erano presenti alle nozze e che evidentemente li abbiamo presi al ritorno delle nozze, per andare a fare compere a Palermo. Discorso simile dicasi per le nozze di Cana.

Ritornando al titolo “donna” che Gesù diede a sua madre, se leggiamo queste frasi con la mentalità odierna sorge l’impressione che Gesù avesse mancato di rispetto a  sua madre etichettandola con l’aggettivo “donna”, infatti se io oggi chiamo mia madre “donna” indubbiamente chiunque sente si stupisce, essendo più consono (nel linguaggio odierno) chiamare la propria madre col titolo di “madre” o “mamma”. Il titolo donna rivolto alla madre oggi viene inteso in senso quasi dispregiativo, di distacco. Ai tempi di Gesù non era così; in quei tempi la donna era considerata solo una macchina per fare figli, la schiava, la serva dell’uomo. Anche in tempi abbastanza recenti (circa 50 anni fa) la donna quando chiamava suo marito gli dava del “VOI”, perché il marito veniva considerato superiore, tanto è vero che fino a poco tempo fa la donna (ad esempio in Italia) non aveva il diritto di voto nelle elezioni politiche. Notiamo che queste differenze tra donna e uomo se andiamo indietro nel tempo diventano sempre più marcate, ai tempi di Gesù chiamare una femmina col titolo “donna” era una grande onorificenza nei suoi riguardi. Gesù nel momento culminante della sua sofferenza, non pensava certo a offendere sua madre, ma piuttosto la chiama col titolo più bello che in quei tempi potesse esistere “donna”.

Egli con questo titolo dà onore a sua madre, la riconosce perché era venuta la Sua ora!

 

Un ultimo particolare ci viene da Atti 12,1-2 “In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni.”

 

Questo Giacomo come abbiamo visto era figlio di Zebedeo, Giacomo il minore (figlio di Alfeo) resta vivo e diventa vescovo di Gerusalemme.

 

PROVE ARCHEOLOGICHE

 

Risulta interessante conoscere la vicenda della presunta urna di Giacomo ritrovata da alcuni archeologi, e usata inizialmente per avvalorare l’ipotesi di Giacomo presunto fratello carnale di Gesù. Parla il fratello Massimo del sito MSN Difendere la vera fede.

 

“A pochi giorni dall'annuncio del ritrovamento dell' urna riportante l'iscrizione "Giacomo figlio di Giuseppe fratello di Gesù" cominciano ad essere pubblicati articoli su siti e riviste archeologiche che esprimono dubbi sull' iscrizione. Vi propongo alcuni punti riassunti da un articolo pubblicato su <<Archaelogy.miningco.com>>.

 

Voglio però precisare due cose:

la prima è che ritengo che il ritrovamento sia ininfluente per quanto riguarda il dogma della verginità di Maria in quanto l' urna riporta tre nomi molto comuni all'epoca di Gesù e non c'è nulla che possa dirci con assoluta certezza che il Gesù citato è realmente Gesù di Nazaret.

La seconda è che anche quanto riporto deve essere preso con le molle in quanto l'invidia esiste anche a livello di studiosi.... 

Ci sono parecchi dubbi riguardo al ritrovamento.

 

Il primo e più importante è che non si sa con esattezza dove è stata rinvenuta l' urna. Il reperto appartiene ad un anonimo collezionista che afferma che essa è stata rubata da un sito archeologico vicino a Gerusalemme nei pressi del Monte degli Ulivi. L'urna è in possesso di questo collezionista da parecchi anni (si parla di decine) e, anche se gli esami per stabilire una datazione hanno dato esito positivo, questo non può far escludere a priori l'ipotesi di una falsificazione.

 

Il secondo dubbio è legato, come ho già detto in precedenza, al fatto che i nomi di Giacomo, Giuseppe e Gesù erano abbastanza comuni nel primo secolo d.C. Inoltre la scritta è estremamente insignificante ( In inglese: The inscription is, well, rather plain when you consider the importance of James) se si considera l'importanza di Giacomo e, naturalmente, quella di Gesù. A questo si aggiunge il fatto che non ci sono prove che le prime comunità cristiane usassero urne per conservare i resti dei loro morti come succedeva invece nelle comunità giudaiche. In altre parole se l'urna è autentica potrebbe anche non appartanere ad un membro della famiglia del fondatore della cristianità.

 

Per ultimo sembra che il prof. Lemaire (che è colui che ha studiato l' urna) non abbia pubblicato nessuno studio su giornali accademici ma solo su riviste divulgative e su giornali popolari. Comunque l'autore dell'articolo afferma di non voler assolutamente mettere in discussione l'autorità del professore francese.

 

Questo era un breve riassunto dell' articolo.

E ne leggiamo un altro:

 

 

GIACOMO, IL FIGLIO DI UN CUGINO DI GESÙ

di Marta Sordi

 

Scoperto un ossario vecchio di duemila anni di un certo Giacomo. Un'iscrizione lo mette in parentela con Gesù. Ma non è il "fratello del Signore".

• Il ritrovamento, tramite il mercato antiquario, di un ossario, proveniente da Gerusalemme o dintorni e databile fra il 20 e il 70 d.C., ha permesso ad A. Lemaire di portare alla conoscenza degli studiosi un'iscrizione aramaica che potrebbe essere di grande importanza per le origini del Cristianesimo: l'ossario, che è un parallelepipedo lievemente rastremato verso il basso, lungo alla base poco più di 50 cm e alla sommità 56 cm e largo 30,5 cm riguarda "Giacomo figlio di Giuseppe fratello di Gesù".

L'autenticità dell'Iscrizione (non dell'ossario, che è autentico per tutti) è certa per il Lemaire, ma sospetta per il Thiede, proprio per l'eccessiva regolarità ed equidistanza delle lettere, che manca nelle epigrafi certamente autentiche degli altri ossari e, in particolare, di quello ben noto del sommo sacerdote Caifa.

Autentica o no, l'iscrizione riguarda, per ambedue gli studiosi, l'apostolo Giacomo, detto anche dai Vangeli "fratello" di Gesù ed ucciso, secondo Flavio Giuseppe, nel 62.

Per quel che riguarda la parentela con Gesù di questo Giacomo, il Lemaire, che pure ammette che i nomi di Giuseppe, Giacomo, Gesù erano molto diffusi nel 1° secolo d.C. in Giudea, "fa presenti tre possibilità: quella accolta dalle confessioni protestanti, secondo cui i fratelli e le sorelle di Gesù ricordati dal Vangeli (Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda, oltre a Salomé e a Maria) sarebbero figli di Maria e di Giuseppe e quindi veri fratelli naturali di Gesù; quella accolta dalla Chiesa ortodossa, e nota all'apocrifo Protovangelo di Giacomo, secondo cui Giacomo e gli altri sarebbero figli di un precedente matrimonio di Giuseppe e quindi fratellastri di Gesù; quella ammessa dalla Chiesa cattolica, secondo cui Giacomo e gli altri sarebbero stati cugini di Gesù (l'uso di fratello per cugino è ben attestato nel greco biblico e nei papiri), in quanto figli di un'altra Maria e di Clopa, fratello di Giuseppe.

Se l'ossario di Giacomo riguardasse il Giacomo di cui parla il Vangelo, e che morì nel 62, le due prime possibilità sarebbero le due uniche esistenti e Giacomo sarebbe stato veramente fratello o fratellastro di Gesù, nato da un precedente matrimonio di Giuseppe.

Non sono esperta di epigrafia e non posso entrare nella questione dell'autenticità dell'epigrafe: mi sembra però certo che essa non riguardi il Giacomo "fratello di Gesù" di cui Giuseppe Flavio (A. J. XX,1,9-199) ed Egesippo (apud Eusebio, H.E. II,23) riferiscono la morte nel 62.

Questo Giacomo, infatti, che anche Paolo (Gal 1,19) chiama "fratello del Signore", era uno dei dodici Apostoli (Paolo dice che "degli Apostoli egli aveva visto nella sua visita a Gerusalemme, solo Cefa e Giacomo") e, nell'elenco dei dodici Apostoli (in Mt 10, 2sgg., Mc 3,16sgg, Lc 6,14sgg), ci sono due soli Giacomo, il figlio di Zebedeo, fratello di Giovanni, e il figlio di Alfeo: poiché  Giacomo, fratello di Giovanni, fu ucciso da Erode Agrippa all'inizio del regno di Claudio (At 12,2), Giacomo "fratello" di Gesù ucciso nel 62 deve essere certamente il figlio di Alfeo.

Egli era anche figlio di quella Maria, che i Sinottici ricordano presente sotto la croce, con Maria di Magdala e la madre dei figli di Zebedeo, indicandola appunto come "Maria madre di Giacomo e di Giuseppe" (Mt 27,56; Me 15,40, che presenta Giacomo come Giacomo minore, per distinguerlo dal figlio di Zebedeo, e 16,1; Lc 24,10) e che Giovanni indica invece come Maria di Cleofa (19,25).

La possibilità che Cleofa (o Clopa) e Alfeo siano la stessa persona esiste: Alfeo, in greco con lo spirito aspro, potrebbe essere infatti la forma grecizzata di un nome aramaico con una forte aspirazione iniziale e le stesse consonanti.

Io credo pertanto che, se l'iscrizione dell'ossario è autentica, essa non possa riferirsi a Giacomo figlio di Alfeo (o di Cleofa), ma ad un altro personaggio: la traduzione italiana, che rende perfettamente l'ambiguità presente, come mi è stato assicurato da esperti, anche nell'aramaico (in latino e in greco questa ambiguità non esisterebbe grazie alla diversa declinazione del nominativo e del genitivo), permette di individuare come "fratello" di Gesù sia Giacomo (in questo caso il greco direbbe adelphòs e il latino frater), sia Giuseppe (in questo caso il greco direbbe adelphou, il latino fratris) e noi sappiamo che Giuseppe era, insieme a Giacomo, Simone e Giuda, uno dei "fratelli" di Gesù (Mt 13, 55; Me 6,3).

Il Giacomo dell'iscrizione non è dunque "il fratello" di Gesù, ma il figlio di un'altro dei "fratelli" di Gesù, Giuseppe, figlio a sua volta di quella Maria moglie di Cleofa che i Sinottici indicano appunto come madre di Giacomo e di Giuseppe.

L'importanza dell'iscrizione, se è autentica, è nella cura che i parenti di Gesù ponevano nel ricordare il loro rapporto con Lui anche nella seconda generazione. In effetti noi sappiamo da Egesippo che i discendenti di Cleofa ebbero grande peso, fino agli inizi del II secolo, nella Chiesa di Gerusalemme: non sorprende pertanto che per un nipote di Cleofa si indicasse, nella sua iscrizione funeraria, che suo padre Giuseppe era parente di Gesù.

Si è detto che questa era la prima testimonianza "materiale", cioè non letteraria, sull'esistenza storica di Gesù: essa partecipa, come capita spesso alle testimonianze "materiali", a carattere epigrafico o archeologico, come capita in particolare alle testimonianze "materiali" riguardanti le origini cristiane (penso alla Sindone, al titulus Crucis, al cosiddetto editto di Nazareth) al rischio delle contestazioni sull'autenticità o sull'interpretazione: a questo rischio, come si è visto dalle osservazioni del Thiede, neppure l'epigrafe dell'ossario di Giacomo si sottrae. Le fonti letterarie, non solo gli scritti del Nuovo Testamento, alla cui storicità io credo fermamente, ma anche le testimonianze pagane (di Tacito e di Mara Bar Sarapion) e giudaiche (di Giuseppe Flavio) ci forniscono in definitiva la certezza più sicura

 

Bibliografia

·         Lemaire, Burial Box of James the brother of Jesus, Biblical Archaeology Review, nov-dic 2002, 26/70

·         C.P. Thiede, L’ ossario di Giacomo, in Avvenire, 12 dicembre 2002, Agorà

·         M. Sordi, Chi è davvero il Giacomo di quell’ urna ? In Avvenire, 13 dicembre 2002, Agorà-

·         I. Ramelli, I parenti terreni di Gesù, in corso di pubblicazione su Vetera Christianorum 2003.

 

© Il Timone, n. 27 del 2003, www.iltimone.org/

 

 

“Un'ultima notizia, apparsa di recente, afferma che, contrariamente a quanto affermato inizialmente, sembra che alcune lettere della scritta siano illeggibili. A questo punto non ci resta che aspettare l'American Academy of Religion Meeting, che si terrà nel mese di Novembre a Toronto, perchè alcune voci dicono che in quell' occasione l'urna verrà esposta al pubblico.

Più passano i giorni più si fanno strada dubbi su questo ritrovamento. Innanzitutto cominciano a venir fuori alcuni restroscena mai rivelati prima.

 

Il ritrovamento dell' urna è vecchio di 15 anni e il valore di acquisto ( avvenuto in un mercato!) si aggirava fra i 200 e i 700 dollari. Briciole, in confronto a quanto potrebbe valere ora! Questa è la tesi degli invidiosi. O forse dei meglio informati, chissà!

 

Viene contestata anche la tesi del prof. Lamairie che sosteneva che il nome del fratello nell'iscrizione: "Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù" era abbastanza rara e quindi indicava un'importanza notevole del Gesù citato. In realtà il prof. Kyle Mc Carter della Johns Hopkins Univerity sostiene che il nome potrebbe essere stato aggiunto in quanto il Gesù citato era il proprietario della tomba o forse era anche colui che aveva gestito la cerimonia di inumazione.

 

A noi non resta che aspettare per le prossime novità....

http://www.jewsweek.com/myturn/320.htm

 

Continuiamo citando un intervento questa volta fatto da un fratello pentecostale nel sito interneet MSN Difendere la vera fede.

Nel messaggio n. 8 del forum "Giacomo, fratello di Gesù" Serafino scriveva: "Cara Caterina, non sono stato io a scrivere in aramaico sulla cassetta ossario: ”YA’AKOV  BAR  YOSEF  AKHUI YESHUA” Cioè:  Giacomo fratello di Gesù"

Prendo spunto proprio da questa affermazione per presentare un successivo articolo che mette seri dubbi sull'iscrizione. Verrebbe da dire: OK, Serafino, crediamo che non hai scritto tu quella frase.

Ma chi l'ha scritta?" Sì, perchè dal testo che vi allego sembra che la scritta sia stata falsificata!

Lo afferma Rochelle I. Altman, esperto di storia della scrittura, che esaminando la scritta ha notato che la scrittura sull'ossario sembra fatta da due mani diverse. Diverse sia come abilità che come grafia. Diversi sembrano anche essere gli attrrezzi usati per scolpire e incidere le lettere. Per farla breve sembra che la prima parte (Giacomo figlio di Giuseppe) sia stata scritta da un intagliatore professionista mentre la seconda (fratello di Gesù) sembra scritta da un'altra persona che, oltretutto, non era neppure padrona dell'aramaico.

Non ho avuto il tempo di tradurre il testo (magari se Serafino vuol farlo sicuramente farà un lavoro migliore di quanto potrei fare io) ma il senso dell'articolo è già compreso nel titolo: L'ossario è autentico, l'iscrizione è stata falsificata.