00 06/09/2009 11:42

LA FEDE DI MARIA

 

Tra coloro ascoltano Gesù e lo seguono vi è anche e soprattutto Maria. La vediamo all'inizio (Giovanni 2,1-12), durante (Luca 8,20) e alla fine della vita pubblica di Gesù (Giovanni 19,25-27). Maria segue e ascolta Gesù perché è suo figlio, ma anche e soprattutto perché ha creduto a “quanto le è stato detto da parte del Signore” (Luca 1, 45), ha meditato sul comportamento di quel Figlio (Luca 2, 19). Perciò Maria è divenuta la prima e più fervorosa discepola di Gesù.
Possiamo perciò e dobbiamo distinguere in Gesù due modi di guardare e considerare Maria. Egli la ama perché è sua madre. Non l’ha mai rinnegata. Come poteva farlo Egli che ebbe parole dure contro coloro che trattano male i genitori? (Marco 7, 10-13).

Tuttavia all'amore di figlio si aggiunge in Gesù un amore e una venerazione di ben altra natura verso Maria. Egli la ama e la venera perché Maria ha creduto alla Sua Parola e si è impegnata a metterla in pratica più di qualsiasi altro discepolo. Ella credette al messaggio dell’angelo, e si mise completamente a disposizione del Signore, pur non comprendendo appieno in quel momento il significato di quelle parole, questa è fede, una grande fede! Gesù apprezza questa grande fede della madre, e vorrebbe che tutti gli uomini avessero una fede così forte. “Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica” e Maria ascoltò la Parola di Dio e la mise in pratica durante tutta la sua vita.
Mentre Gesù predicava non doveva essere esaltata la maternità di Maria o i legami di sangue, ma piuttosto l’ascolto della Parola di Dio. Gesù sta parlando ad un popolo che lo rifiutava come Messia, ad un popolo che lo accusava di essere un inviato di satana, quindi doveva in ogni suo discorso esaltare il suo ruolo salvifico, sottolineando che la cosa più importante non sono i legami carnali, ma quelli spirituali. Noi ci leghiamo a Cristo ascoltando la Sua Parola e mettendola in pratica.

Gesù, dunque, vuol mettere in risalto la grande fede di Maria. Vuol far capire che la vera grandezza di Maria, non è fondata sui vincoli del sangue, ma poggia soprattutto sui vincoli soprannaturali d'una nuova parentela. Questa verità è contenuta negli stessi versetti, c’è chi si sofferma e attinge in superficie, beve la medesima acqua ma non coglie la stessa purezza di chi si cala più in profondità. (Giovanni 1, 12-13).

E’ chiaro che con ciò Gesù non ha affatto discreditato sua madre, non ha affatto mostrato che la venerazione di Maria è sbagliata. Anzi mette in evidenza i meriti di Maria e la vera ragione per cui deve essere chiamata beata, cioè venerata. Non è errato pensare che un'eco di queste parole di Gesù ci sia stata conservata nel cantico di Maria: Tutti mi diranno beata! (Luca 1, 48).

 

APPROFONDIMENTI SUL SIGNIFICATO DI “ADELPHOS”

 

L’affermare che adelphos usato come sostantivo, adelphos (ho) in greco vuol dire esclusivamente <<fratello>> nel pieno significato della parola, e che i <<Settanta>> lo hanno dunque adoperato in maniera sostantiva derivata, cioè in maniera impropria, significa forzare il significato di tale parola, ma soprattutto suggerire al lettore conclusioni errate.

Ripeto, abbiamo visto numerori versetti dove gli ebrei aggiungevano “figli di mia madre”, e simili per specificare i fratelli carnali. Quindi tutte le elaborazioni grammaticali greche, che fa Gilles, parlando di sostantivi, aggettivi, copulativi, nell’intento di disorientare il semplice lettore che non conosce il greco, né tantomeno i modi espressivi semiti, finiscono per farlo apparire scorretto e poco credibile.

Ma seguiamo ancora Gilles:

“La questione degli adelphoi attribuiti a Gesù nei Vangeli, che è trattata in questa sezione, consiste tutta e solo nel sapere se questo sostantivo debba essere preso nella sua stretta accezione greca, o se, grazie alla mediazione della mentalità semitica, possa essere esteso, compreso e considerato nel senso di <<cugino>> (per mancanza del termine appropriato o per imitazione retroattiva dell’uso che ne fa l’Antico Testamento).[…] Qua e là nella narrazione, parole (greche) diverse e costruzioni della frase variano da un evangelista all’altro; non però adelphos e meter (madre). In altre parole, questi versetti non sono stati ricopiati o ricalcati l’uno sull’altro, o partendo da un primo manoscritto iniziale. Questi ricalchi fedeli si trovano molto spesso nei sinottici. Qui invece la redazione è stata in parte personale; in ciascuno di questi tre scritti, che riferiscono lo stesso fatto c’è una certa libertà di espressione. La permanenza costante di adelphos nei nostri tre evangelisti si manifesta in questa autonomia di redazione o di stile, e questo mette maggiormente in rilievo l’intenzione –individuale e voluta- di servirsene. Usato costantemente nei vari testi evangelici, adelphos (fratello) appare per di più (come meter) l’istanza fissa e immutabile – primo fondamento- del testo. Da queste constatazioni derivano alcune osservazioni. I termini meter (madre) e adelphoi (fratelli), relativi al piano familiare umano, sono dappertutto insieme, abbinati, grammaticalmente uniti, senza soluzione di continuità; meter è sempre messo per primo, come se ci fosse parentela e dipendenza molto stretta fra lei e loro; apparentemente, per la disposizione dei due termini e il loro accostamento su un piano di uguaglianza, come se essa fosse la madre di quegli adelphoi.

Si sorriderà: <<argomento basato sulla sintassi…perciò ritenuto debole!...>> Meno di quanto pare. Infatti, se si accettasse il significato <<cugini>>, la parola <<sua madre>>, seguita immediatamente da <<e>> e da adelphoi, significherebbe: <<la loro zia>>…? E questo quando he meter autou (o sou), cioè: <<sua [o tua] madre>>, apre sempre l’elenco dei parenti e ricopre, “abbraccia” potremmo dire, quelli che seguono stabilendo con loro un rapporto parentale analogo a quello di Gesù nei riguardi di sua madre. E’ difficile ammetterlo. Secondo la logica della grammatica o della sintassi, se questa <<madre>> non è madre di quelli ai quali è strettamente associata in tutte le frasi, lo stile dei nostri autori è molto poco chiaro. Questo si può dire di tutte e tre i sinottici? Anche di Luca? L’ellenizzante Luca, l’abile scrittore, poteva commettere un simile errore di concatenazione senza accorgersene e porvi riparo? […] Sul piano più profondo. Se adelphos avesse il significato di <<cugino>>, ripetendolo e facendolo rimbalzare dalla parte narrativa a quella che prende la forma di parabola, Gesù per descrivere un grado di parentela in Dio più stretta di qualsiasi legame familiare, carnale, umano o di sangue, avrebbe dunque detto loro, letteralmente secondo Matteo e Marco: << Chiunque fa la volontà di Dio è mio cugino e mia cugina [o mio e mia parente più o meno lontani] e mia madre>> Oppure, secondo Luca: <<Mia madre e i miei cugini [cioè parenti meno prossimi e solo in secondo grado sono quelli che ascoltano la parola di Dio…>>, per tutti noi che siamo figli di Dio e che siao chiamati nel nostro divenire al futuro, ad appartenere al suo stesso Padre? Non è affatto sicuro che sia stato questo il pensiero di Gesù!...” (cfr. Jean Gilles)

Certo, di sicuro questo non era il pensiero di Gesù, infatti con la parola adelphoi non si riferiva ai cugini, ma palesemente ai fratelli spirituali. Tradurre in questo modo matematico, come accennavo in apertura, adelphos=cugino addossando questa grossolana traduzione alla Chiesa cattolica, è scorretto. Abbiamo infatti visto, che gli esegeti cattolici ben conoscendo le tipologie di persone che il termine adelphos può indicare, non lo traducono affatto sempre e sistematicamente con “cugino”.

Nel Vecchio Testamento quando trattasi di fratelli uterini, si trova sempre la specificazione, più volte indicata prima, nel Nuovo, vengono citati diversi fratelli uterini, Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo, ecc., e non viene specificato “figli di sua madre” o similari, ma per costoro non si nutrono dubbi sulla consanguineità. Riguardo a Gesù invece si assiste ad un chiaro-scuro, troviamo indizi, mai frasi nette precise e inequivocabili. Perché? Forse per non mettere con le spalle al muro chi si ostina a negare i dogmi su Maria, indiscutibilmente legati alla figura di Gesù, al concetto di peccato ereditato, ma anche all’Onnipotenza di Dio, che mai corrompe la natura umana.

 

Is 7,14 “Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele.”

 

Isaia non dice che la vergine partorirà il suo figlio primogenito, ma un figlio, come a dire il suo unico figlio. Non c’era nulla di strano a dire “la vergine concepirà e partorirà il suo figlio primogenito, che chiamerà Emmanuele.”, la profezia sarebbe stata lo stesso valida e importante, ma Isaia non parla di primogenito. Inoltre dice “la vergine concepirà e partorirà…” cioè vergine concepirà e vergine partorirà. O dobbiamo credere che il far partorire e al tempo stesso far restare vergine Maria, era impossibile a Dio?

 

Il continuare a ignorare l’elementare usanza ebraica, di indicare con adelphos diverse tipologie di persone ridicolizzando gli esegeti cattolici,  riportando frasi del tipo << Chiunque fa la volontà di Dio è mio cugino e mia cugina [o mio e mia parente più o meno lontani] e mia madre>> è molto scorretto. Leggendo Gilles infatti, ho avuto l’ennesima conferma di come il metodo esegetico protestante, vada rivisto completamente, assieme alla mentalità che li porta sistematicamente a non citare mai versetti scomodi, come quelli appunto che precisano di che tipo di fratelli adelphoi si tratta, “figli di mia madre”, ad esempio. Ma nel Nuovo Testamento l’universalità del messaggio messianico porta gli agiografi a usare il termine “fratello” per chiunque sia rapportato a Gesù.

Nessuno infatti viene chiamato cugino o parente di Gesù, nemmeno il battista.

 

“Altro episodio. Avviene quando Gesù torna a Nazaret. I suoi <<compaesani>>, gli ex compagni di una volta, al tempo in cui ci viveva, stupefatti, quando passa nel villaggio, di vederlo insegnare e compiere miracoli (con la forza attiva che emana da lui) sono animosi nei suoi confronti; un’animosità chiaramente ostile.

In Matteo 13,55-56:

 

<<Non è questi il figlio del falegname? Sua madre (he meter autou) non si chiama Maria e i suoi fratelli (kai hoi adelphoi autou) Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle (kai hai adelphai autou) non sono tutte tra di noi?>>

 

[…] I commenti degli abitanti di Nazaret tendono a collocare, o ricollocare, Gesù nel quadro dei suoi ascendenti immediati e dei suoi congiunti, diretti o collaterali (strano come in questa cerchia di conoscenti non ci sia nemmeno un cugino di Gesù, aveva solo fratelli e nemmeno un cugino, strano, ndr). Non essendo ben certi di inquadrarlo correttamente, come si dice, a causa dei suoi miracoli e dei suoi discorsi (era così sorprendente per loro che lo avevano conosciuto bambino, monello, adolescente!...), quelle persone, che non credevano ai loro occhi né ai loro orecchi, si preoccupano di identificarlo con esattezza. Con l’espediente letterario delle domande a ripetizione, che gli abitanti di Nazaret si scambiano, i due evangelisti (Matteo e Marco, che riportano tale episodio dettagliato, ndr) precisano l’identità civile di Gesù. <<Figlio di… e di…>> cioè in altre parole, la sua ascendenza immediata. Le domande si concentrano immediatamente sulla cerchia familiare limitata ai parenti più stretti. Seguono degli adelphoi di cui rimangono vaghi il numero e il nome. Quando si vuole identificare qualcuno in poche parole è raro che lo si faccia attraverso il ramo di secondo grado; di solito lo si identifica attraverso i suoi parenti più prossimi, (si, Gilles ha ragione, ma quando i parenti più prossimi a cui si riferisce lui non esistono, come si procede? Ndr).

In genere, quando è figlio unico, molto spesso lo si dice. Comunque, se i primi a essere citati dopo i genitori non sono fratelli veri, se ne precisa il grado esatto di parentela. Anche nella mentalità ebraica (anche qui Gilles dimentica l’usanza ebraica di precisare aggiungendo “figli di sua madre”,ndr). Abbiamo potuto verificarlo in tutti gli esempi dell’Antico Testamento, nell’esegesi indicata ed esaminata nell’introduzione.

In questo passo che riguarda l’identità di civile di Gesù, i due evangelisti avrebbero forse lasciato cadere un’ottima occasione per mettere in rilievo che egli era figlio unico e soprattutto che <<i suoi fratelli>> non erano veramente tali? Occasioni che si sarebbero lasciati sfuggire – davvero una grossa distrazione per tutti e due!- Marco e Matteo? Oppure i sostantivi hoi adelphoi e hai adelphai, espliciti e chiari in sé, nel loro esatto significato, non avevano bisogno di ulteriori precisazioni?” (cfr. Gilles)

 

Certo che per il lettore comune, leggendo tali affermazioni di getto, senza un’adeguata riflessione, e senza nessun supporto esegetico, è spinto a dare ragione a Gilles.

 

“…Quando si vuole identificare qualcuno in poche parole è raro che lo si faccia attraverso il ramo di secondo grado; di solito lo si identifica attraverso i suoi parenti più prossimi…”

 

E’ strano come Gilles dimentichi che per identificare bene qualcuno, nel caso specifico dei fratelli uterini, gli ebrei aggiungono sempre “figli di mia madre” e similari.

Dimentica pure, che la nostra mentalità occidentale è diversa da quella ebraica, e che siamo proprio noi occidentali a precisare il grado di parentela, usando i sostantivi, cugini, nipoti, fratello di fede, ecc., gli ebrei hanno un modo di esprimersi diverso dal nostro.

Se vogliono indicare fratelli uterini aggiungono sempre “i figli sua madre”, l’abbiamo visto in numerosissimi versetti.

Poi aggiunge: “Abbiamo potuto verificarlo in tutti gli esempi dell’Antico Testamento, nell’esegesi indicata ed esaminata nell’introduzione” e il grassetto su “tutti” è suo, da pag. 23 a 25 si possono leggere tutti questi esempi che riporta Gilles, ma sono solo quattro o cinque episodi, quelli di Abramo e Lot, Labano e Giacobbe, Mosè con Mishael ed Eltsafan, (Lev 10,4) ed Eleazar e Kis in

1 Cronache. Eppure l’autore usa e grassetta la parola “tutti”, lasciando intendere che ha analizzato la totalità dei versetti che parlano di fratelli adelphoi nel Vecchio Testamento.

Abbiamo visto che ve ne sono moltissimi altri, non presi in considerazione dal Gilles e, stranamente, sono proprio quelli che usano la precisazione “figli di sua madre” ecc..

Nel caso di Abramo e Lot, vengono usati entrambi i termini, adelphos e syggenes, 

 

In Gen 12,5 e poi in Gen 14,16 “Ricuperò così tutta la roba e anche Lot suo parente, i suoi beni, con le donne e il popolo.”

 

Lo stesso vale per Labano e Giacobbe.

 

Gen 29,15 “Poi Làbano disse a Giacobbe: «Poiché sei mio parente, mi dovrai forse servire gratuitamente? Indicami quale deve essere il tuo salario”

 

Va pure notato che nei primi tredici capitoli della Genesi il termine “parente” non viene mai utilizzato, si parla sempre di fratelli, ma è sempre ben chiaro il legame di sangue.

Tutto dunque era ben chiaro e identificabile, prima del capitolo che parla della torre di Babele, dopo tale evento spesso furono necessarie delle precisazioni per identificare i fratelli carnali. Al capitolo 14 fa ingresso il termine “parenti” mai usato in precedenza. I fratelli che nei primi undici capitoli venivano indicati solo con adelphos ora vengono indicati o con tale termine inteso in senso largo o, con syggenis.

Ricordiamo però che tali termini sono ellenici, la Bibbia, almeno quasi tutto il Vecchio Testamento, e quindi a maggior ragione la Genesi, furono scritti in ebraico e come abbiamo più volte accennato tale lingua non conteneva un termine per indicare i parenti, ‘ah, indicava “fratelli” in senso stretto o largo a seconda della circostanze. Ma visto il modo “matematico” di criticare dei protestanti, potrebbero suggerire agli ebrei di tradurre “ah” sempre con “cugino” alle stesso modo di come fanno con noi cattolici appioppandoci l’equivalenza adelphos=cugino. Se ci ritroviamo a leggere il termine “parenti” syggenis anche nel V.T. è perché la Bibbia fu tradotta in greco dai Settanta saggi chiamati da re Tolomeo.

Nel Nuovo Testamento il termine “parenti” viene usato un po’ ovunque, per Maria, con Elisabetta, ancora Maria e Giuseppe quando cercano Gesù smarrito presso i conoscenti e i parenti, prima di trovarlo al tempio, ma per la diretta persona di Gesù, syggenis non viene usato mai.

Ad esempio in Gv 18,26 “Uno dei servi del sommo sacerdote, parente (syggenes) di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio…”

Anche qui il termine “parente” non è usato in relazione a Gesù, ma tra un servo del sommo sacerdote e una delle guardie che arrestarono il Cristo.

 

“Esistono nel Nuovo Testamento altri gruppi di fratelli, per indicare i quali non viene fatta nessuna precisazione in stile veterotestamentario, eppure non ci sono dubbi sul fatto che essi siano effettivamente fratelli carnali.

Così i figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni; Simon Pietro e Andrea; come pure il trio di Betania: Lazzaro, Marta e Maria. Gilles puntualizza così:

 

Esaminiamo ognuno di questi gruppi di fratelli e il modo rapporto di parentela.

 

-         I due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni. Dove si legge che erano fratelli?

Nella chiamata dei primi discepoli da parte di Gesù.

 

In Matteo 4,21:

<<Gesù] vide altri due fratelli (allous dyo adelphous), Giacomo [figlio] di Zebedeo e Giovanni, suo fratello (kai Ioannen ton adelphon autou)>>.

 

In Marco 1,19:

<<Egli [sempre Gesù] vide Giacomo [figlio] di Zebedeo, e Giovanni suo fratello (kai Ioannen ton adelphon autou>>.” (cfr. Gilles)

Quando vengono elencati i dodici apostoli e in altre circostanze. In tutte queste viene sempre usato il termine adelphos e suoi derivati.

Poi viene menzionato l’episodio che vede la madre dei figli di Zebedeo chiedere a Gesù di farli sedere nel Regno dei cieli l’uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra.

 

Leggiamo in Matteo 20,20: “Allora la madre dei figli di Zebedeo (he meter ton hyion Zebedaiou) si avvicinò a Gesù con i suoi figli (meta ton hyion autes).

 

Qui prima di riportare ancora le osservazioni del Gilles, è bene notare che il Vangelo dice “…con i suoi figli…) riferendosi alla madre di Giacomo e Giovanni, di Maria non viene mai detto “arrivò Maria… con i suoi figli”. Questo non è un particolare di secondaria importanza.

Inoltre di Maria non viene nemmeno mai detto “…la madre dei figli di Giuseppe”.

L’autore protestante questo non lo dice, prende in esame invece le singole parole, dandone la traduzione in greco, forse per dimostrare che lo conosce bene. Conoscerà sicuramente bene la lingua greca, ma non si può dire altrettanto di quella ebraica, e soprattutto dei modi espressivi di quel popolo. Il linguaggio ebraico dà sempre priorità all’uomo capofamiglia, esso viene sempre menzionato  qualora messo in relazione ad altri suoi familiari. Ecco perché viene detto “…la madre dei figli di Zebedeo” quando invece bastava dire “la madre di Giacomo e Giovanni”.

Una madre viene messa in diretta relazione con i propri figli, senza menzionarne il padre, solo quando ella è vedova.

Ne deduciamo quindi che la madre di Giacomo e Giovanni, fino a quell’epoca non era vedova.

Maria invece, che per gran parte dei Vangeli viene menzionata da sola, si suppone perciò che sia rimasta presto vedova.

Inoltre di Gesù non viene nemmeno detto “Gesù è Ioses suo fratello…” oppure “Gesù e Salome sua sorella…” come accade per le coppie di fratelli presenti fra gli apostoli.

A proposito di deduzioni bibliche di questo tipo, mi capita spesso, dialogando con fratelli evangelici, via e-mail, di ricevere risposte del tipo “io credo solo a quello che vedo scritto nella Bibbia, non vado oltre” questo ad esempio lo dicono per negare l’assunzione di Maria, la sua perpetua verginità ed altri dogmi. Non pensiate che i protestanti neghino solo i dogmi relativi a Maria, ve ne sono che negano il dogma della SS.Trinità, ad esempio, come i pentecostali modalisti, e tutti negano la presenza reale di Gesù nell’Eucaristia.

Sempre a titolo d’esempio facevo notare ad un fratello evangelico che in Mt 27,53 apprendiamo che dopo la resurrezione di Cristo molti corpi di santi, uscirono dalle tombe e apparvero a molti, dopo che fecero? La Bibbia non lo dice, ma è lecito pensare che sono rimasti a vagare nel mondo fino ai nostri giorni, oppure che siano stati assunti in cielo, ad anticipazione di quello che avverrà ai credenti? Il fratello evangelico, insisteva nel dirmi che lui non lo sa, e nemmeno vuole dedurre ciò che la Bibbia non dice. Quindi? Il discorso di Matteo rimane tronco, il seguito non si deve immaginare, anche se biblicamente e teologicamente logico e corretto. Come fanno costoro a immaginare la Trinità, visto che la Bibbia non la menziona? Bisogna pure prendere atto che le Scritture non parlano del battesimo in acqua di Maria e degli apostoli, a parte Paolo, dobbiamo dunque credere che non si sono battezzati? La Bibbia non dice nemmeno se gli angeli sono stati creati prima o dopo l’uomo, non dice come e quando avvenne la ribellione di Lucifero  e dei suoi seguaci con la conseguente cacciata dal Paradiso. Non dice se fu creato prima san Michele arcangelo o Lucifero.

Gli inferi esistevano al tempo di Adamo ed Eva, o nacquero successivamente? Troviamo spiegazioni in merito a questo nelle Scritture?

E ancora la Bibbia non parla della morte di s.Giuseppe, dobbiamo credere che non sia morto?