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LA PREGHIERA DEI FIGLI: IL PADRE NOSTRO


Rivelaci, o Padre, il mistero della preghiera filiale di Cristo, nostro fratello e salvatore, e donaci il tuo Spirito, perché invocandoti con fiducia e perseveranza, come ci hai insegnato, cresciamo nell 'esperienza del tuo amore.

(Colletta della 27~ Domenica del Tempo ordinario)



La preghiera dei figli: il Padre nostro



UN NUOVO MODO DI PREGARE



Gesù, figlio del Padre, divenuto uomo per mezzo di Maria ha imparato a pregare con cuore di uomo.

Da chi ha imparato a pregare Gesù-uomo?

Anzitutto da sua madre, che serbava e meditava nel suo cuore le grandi cose che il Signore operava in lei (cf. Le 1, 49; 2, 19; 2, 51). E poi dalle parole e dai ritmi della preghiera del suo popolo. Ma la sorgente principale era il suo cuore, per quell'unione inti­ma che, fin da bambino, sentiva col Padre.

A 12 anni, smarrito e poi ritrovato nel tempio, Gesù afferma di "doversi occupare delle cose del Padre suo", dimostrando di avere con Lui un rapporto profondo e personale (cf. Le 2, 49).

È con Lui che rinasce il modo nuovo di pregare.

Quella preghiera filiale che il Padre attendeva dai suoi figli viene finalmente espressa dallo stesso Figlio unigenito, nella sua umanità, con gli uomini e per gli uomini.



GESÙ PREGA



La preghiera accompagna Gesù sempre e ovunque, lungo tutto il suo cammino terreno.

Si ritira spesso in disparte, specie di notte, interrompendo talu­ne conversazioni pur ritenute urgenti e importanti.

Prega a lungo, nella solitudine, solo col Padre (cf. Mc 1, 35; 6, 46; Le 5, 16).

Prega, pubblicamente, prima di compiere azioni salvifiche, nei momenti più decisivi della sua missione (cf. Le 5, 12; 22, 32; 9, 18-20).

A volte prega a voce alta, sia per chiedere al Padre determinate cose, sia per ringraziarlo anticipatamente per ciò che sta per ri­cevere (cf. Gv 11, 41-42).

Usa spesso brevi parole, ma talvolta prolunga la sua preghie­ra, per far comprendere il senso di ciò che sta facendo. Quando prega, usa spesso espressioni tolte dai Salmi, e che quin­di erano note alle persone che lo ascoltavano.

E prega con un tale trasporto da far pensare non solo di essere profondamente unito al Padre, ma di essere perennemente con Lui, in un dialogo che non si interrompe mai.

La preghiera pubblica più lunga e più densa di significato èquella pronunciata da Gesù nel Cenacolo, nella cena di addio, e che è considerata come il suo testamento (cf. Gv 17).



GESÙ INSEGNA A PREGARE



Quando Gesù prega, già ci insegna a pregare.

Ma come un perfetto pedagogo, guida i suoi discepoli nella sco­perta e nella pratica della preghiera, partendo dai contenuti del­l'Antico Testamento e giungendo a perfezionarla alla luce della Rivelazione nuova.

Fin dal "Discorso della Montagna" insiste sulla conversione del cuore, come premessa per un'autentica preghiera. Essa consiste in determinati atteggiamenti, prima poco considerati:

- riconciliati col fratello, prima di presentare la tua offerta (cf. Mt 5, 23-24);

- ama i nemici e prega per i tuoi persecutori (cf. Mt 5, 44-45);

- prega il Padre "nel segreto", senza sprecare parole (cf. Mt 6, 6-7);

- perdona dal profondo del cuore (cf. Mt 6, 14-15); purifica il tuo cuore, nella ricerca del Regno (cf. Mt 6, 21. 25.33).

«Questa conversione è orientata al Padre: è filiale».

Il cuore, deciso a convertirsi e in questo atteggiamento filiale, incomincia a pregare:

- con fede, cioè con adesione filiale a Dio, al di là di ciò che sentiamo e comprendiamo.

Diventa possibile perché il Figlio ci ha aperto l'accesso al Pa­dre, e ci permette di "cercare" e di "bussare", perché egli stesso è la porta e il cammino (cf. Mt 7, 7-11);

- con audacia, nella certezza di ottenere: «tutto è possibile per chi crede» (Me 9, 23);

- con piena adesione alla volontà divina: «Non chiunque mi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7, 21).

E con la determinazione di collaborare al disegno divino, che si attua con l'apporto di tutti e di ciascuno (cf. Mt 9, 38; Le 10, 2; Gv4,34);

- in comunione con Gesù, e anzi in suo nome: «Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena» (Gv 16, 24).

E per una preghiera fatta così, il Padre dona "l'altro Consolatore, lo Spirito di verità", che "rimane con noi" per illuminarci e so­stenerci nella nostra preghiera e nella nostra vita filiale (cf. Gv 14, 16-17).



LE TRE PARABOLE DELLA PREGHIERA



1. L'amico importuno (cf. Le lì, 5-13), che insegna 1' insisten­za con cui dobbiamo pregare. A chi prega così il Padre assi­cura di dare "tutto ciò di cui ha bisogno", e specialmente "il dono dello Spirito Santo".

2. La vedova importuna, che insegna la pazienza della fede, an­che quando essa sembra inascoltata e inutile (cf. Le 18, 1-8).

3. Il fariseo e il pubblicano, che insegna l'umiltà del cuore, che spesso porta l'orante a dire semplicemente: "O Dio, abbi pietà di me" (cf. Le 18, 9-14).



GESÙ CI ASSICURA CHE LA PREGHIERA È SEMPRE ESAUDITA



La parabola dell'amico importuno non ammette dubbi: «Chie­dete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto...

Quale padre tra voi se il figlio gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe?

O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?

Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono» (Le 11, 9-13).

Gesù ci dice sostanzialmente tre cose:

- ogni preghiera, espressa con fede, con fiducia, con perseveran­za, è certamente esaudita.

- Dio, che è Padre infinitamente buono, accoglie sicuramente la preghiera dei figli: se essi, "che sono cattivi", sono sensi­bili alle richieste degli importuni, come non potrà esserlo Lui con i figli suoi, che Egli ama?

Egli però non sempre accorda ciò che i figli domandano: perché?

Evidentemente le richieste non sono per il loro vero bene. È certo comunque che non dà loro le cose che chiedono ma quelle che sono loro realmente necessarie.

Dice P. Pio: «se Dio ti concede la grazia richiesta, digli grazie; se non te la concede, digli ugualmente grazie: è tutto un gioco d'amore!».



COME CONCILIARE PREGHIERA E PROVVIDENZA?



Ora ci chiediamo:

- che senso ha pregare, quando tutto è stato deciso?

- qual è il compito della preghiera nello svolgimento di un dise­gno, che è già stato previsto dall'eternità?

a che serve pregare quando il Padre "già sa quello di cui ab­biamo bisogno"?

Risposta: la preghiera non è

- un chiedere a Dio di cambiare la sua volontà nei nostri con­fronti;

e neppure il mezzo per informare il Padre delle nostre neces­sità, perché le conosce già (cf. Mt 6, 8);

- o un alibi per dispensare dall 'agire, e per assumere un atteg­giamento di passività e di distacco: «sarebbe uno scambiare la fede per superstizione».

È anzi dalla fede che si attinge la forza per compiere azioni impegnative e costruttive. Come quelle dei Santi!

La preghiera invece è:

- un chiedere al Padre l'aiuto per corrispondere con amore al suo piano provvidenziale su di noi: "sia fatta la tua volontà e non la mia" (cf. Me 14, 36);

- un uniformarci intimamente alla volontà divina; con una collaborazione rispettosa verso la sua decisione di volerci sal­vare e aiutare anche in dipendenza della preghiera.

Dio ha voluto far dipendere la realizzazione di determinate cose dal nostro desiderio e quindi dalla nostra preghiera.

Ed è per questo che lo Spirito Santo prega' in noi, suggerendoci ciò che è meglio chiedere per il nostro vero bene.

La preghiera diventa così una risposta alla grazia divina:

preghiamo perché Dio ci dà la grazia di pregare!

Con essa diventiamo corresponsabili del Progetto del Padre che ci vuole protagonisti liberi e attivi.

È un progetto:

- che onora Dio, e non lede i suoi diritti;

- che onora noi, che ci adeguiamo liberamente con la preghiera ai suoi voleri.



LA PREGHIERA DEI FIGLI: IL "PADRE NOSTRO"



«Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: "Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli". Ed egli disse loro: Quando pregate, dite:

Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male» (cf. Le 11, 1-4; Mt 6, 9-13)4

Dice Tertulliano: «l'orazione domenicale è veramente la sin­tesi di tutto il Vangelo.

Dopo che il Signore ebbe trasmesso questa formula di preghie­ra, aggiunse: "chiedete e vi sarà dato". Ognuno può dunque in­nalzare al cielo preghiere secondo i propri bisogni, però inco­minciando sempre con la Preghiera del Signore, la quale resta la preghiera fondamentale».



OSIAMO DIRE: PADRE



Nella Messa, prima della Comunione, la Liturgia ci invita alla recita del "Padre nostro", premettendo una significativa precisa­zione: "osiamo"!

Osiamo, perché?

Perché entrando nel mistero trascendente di Dio, siamo consa­pevoli dell'infinita distanza che ci separa da Lui.

Non avremmo il coraggio di chiamarlo Padre e di avvicinarci confidenzialmente a Lui se non ci avesse promossi alla dignità di figli e non ci avesse invitati a entrare nel suo dolce e conso­lante mistero!

Se osiamo è perché siamo divenuti figli, e, a pregare con noi, c'è il suo Figlio unigenito, col quale siamo divenuti una sola cosa!

Se osiamo, è perché lo Spirito Santo grida in noi: "Abbà, Pa­dre", sostenendo e illuminando il nostro incontro col Padre!

Solo Gesù poteva superare la soglia della Santità divina!

Solo Lui, che, avendo "compiuto la purificazione dei peccati", poteva introdurci davanti al Volto del Padre e dirgli: "eccoci, ci sono Io e ci sono i figli che tu mi hai dato".

Il "Padre nostro" è così "la Preghiera dei figli di Dio"; la pre­ghiera di coloro che, nel Figlio e col Figlio, hanno un audace, confidenziale, gioioso, filiale rapporto, sostenuto dalla certezza di essere amati.



IL PADRE NOSTRO: UNA PREGHIERA DA DIRE E DA FARE



Gesù, dandoci il "Padre nostro", ha tracciato la via della pre­ghiera.

Il "Padre nostro" non e una preghiera "finita", ma uno schema per pregare.

Più che una preghiera già "confezionata", e una preghiera da sviluppare.

Più che una preghiera da "dire", è una preghiera da "fare". Il "Padre nostro" non lo si può solo recitare: bisogna pensarlo, penetrarlo, assimilarlo, perché è tutto un programma di vita.

Gesù, insegnandocelo, non ci ha messo solo delle parole sulle labbra, ma ci ha dato dei concetti da sviluppare con le nostre parole.

Il "Padre nostro" è la preghiera riservata ai discepoli: "inse­gnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli".

È il distintivo di appartenenza a Lui.

Per questo la Chiesa lo consegna solennemente al battezzato. Per questo possiamo dire che è la preghiera del nostro Battesimo!

È la preghiera dell"'uomo nuovo", che è rinato, in Cristo, alla vita divina, alla vita eterna.