4 - NEI TRE CON LA MAMMA CELESTE
Vedeva l'invisibile
Alle quattro del mattino la finestra della sua stanza, che guarda sulla piazza di rimpetto al monumento di Don Bosco, si illuminava. Don Carlo iniziava la sua giornata. Si tuffava subito nell'ascolto della Parola di Dio, nella preghiera dei Salmi, sotto l'azione dello Spirito Santo, come Gesù quando si rivolgeva al Padre, sulla montagna.
Appena si apriva la Basilica scendeva a confessare: c'erano sempre operai, operaie, Suore ad attenderlo. Egli continuava la sua preghiera: in ogni anima vedeva Gesù e prolungava la sua adorazione trinitaria. Lo si trovava spesso davanti al tabernacolo della Cappella o della Basilica in silenziosa adorazione. E nei tempi di preghiera comunitaria, quando non era fuori casa per impegni, era sempre presente con il suo atteggiamento raccolto, ma semplice e naturale.
« Era davanti a me in chiesa - nota un suo confratello - e non si muoveva mai nel banco; dove si metteva stava ». In lui pareva che l'anima fasciasse il corpo sotto l'impulso dello Spirito Santo.
« Col passare del tempo, la preghiera diventa uno stato abituale» diceva. Era la sua esperienza.
«Aveva un'unione abituale con Dio - afferma una claustrale che lo conobbe da vicino -. Il contatto con Dio era normale per lui, continuo come il respirare, quasi da faticare a staccarsene. Quando gli si parlava ti dava sì tutta l'attenzione, ma si sentiva che era trasportato da altro, non dall'umano; anche dallo sguardo stesso lo si potevà notare: ti guardava ma si capiva che vedeva l'invisibile. Il suo cibo era la vita Trinitaria, l'intimità profonda con i Tre».
Ascoltavo i miei Tre
Richiamava con una gioia tutta particolare quella Parola di Gesù sull'inabitazione trinitaria: « Se uno mi ama farà tesoro della mia parola e il Padre mio l'amerà e noi (Padre, Figlio e Spirito Santo) verremo a lui e faremo in lui la nostra dimora» (Gv 14,23).
Si capiva che era per lui un polo luminoso attorno al quale rotava la sua vita interiore.
Un giorno, una Suora venuta a cercarlo per parlargli, lo vide uscire dalla Basilica di Maria Ausiliatrice per recarsi al n. 9, nella sua stanza. Lo chiamò ripetutamente, ma senza risposta. Don Carlo camminava adagio, con la testa leggermente china verso terra, un tenue sorriso, profondamente assorto. Allora la Suora girò attorno al monumento di Don Bosco dalla parte opposta per incontrarlo di fronte.
Quando gli fu dinanzi lo chiamò nuovamente e solo allora Don Carlo si scosse con un leggero sussulto come se rientrasse in se stesso. Appena la vide, la chiamò per nome con un gesto di sorpresa e il suo solito sorriso. La Suora gli disse: « Ma Don Carlo, l'avevo chiamata più volte anche prima e lei non mi ha sentito... ». Rispose con naturalezza: « Ascoltavo i miei Tre». E si mise subito a sua disposizione.
S. Francesco d'Assisi fu definito « la preghiera stessa ». Qualcosa di simile si può dire anche di Don Carlo per gli effetti che produceva nelle anime anche la sola sua presenza.
«Aveva una carica, un'attrattiva così divina che ci coinvolgeva in maniera unica», afferma un'altra claustrale.
E una Madre Priora: « Quando arrivava lui tutta l'atmosfera diventava così pura, così trasparente come aria ossigenata di Dio. Ci lasciava dentro una pace, un bisogno di essenziale, di Parola di Dio come tale, per lasciarla risuonare dentro nel clima del silenzio dello Spirito. Possedeva talmente lo Spirito Santo che tutto ciò che diceva era una comunicazione all'anima».
Come se pensasse a qualcosa di bello
Di S. Domenico fu detto: « Domenico o parla con Dio o parla di Dio». Anche per Don Carlo si può dire che fosse così; non era mai dispersivo, ma serenamente raccolto e silenzioso anche nei passaggi, negli spostamenti e viaggi. Ricorda l'autista che ultimamente lo accompagnava spesso ai vari Cenacoli Gam: « Lo vedevo a lungo assorto, con lo sguardo lontano e così sereno come se pensasse a qualcosa di bello o fosse in comunicazione con qualcuno ».
E quando parlava era talmente grande la piena del cuore che ogni discorso, di qualsiasi genere andava immancabilmente a sfociare nel Regno di Dio. Ma con naturalezza, senza forzature. Tutto era segno per lui: la natura, le persone, gli avvenimenti. In tutto vedeva una telefonata di amore del Padre.
È tipico in questo senso ciò che scrisse a una Suora: «Dio è tutto; il resto è una telefonata del suo amore ». E in questo leggere i segni del Padre aveva lo stupore del bimbo che si meraviglia di tutto.
Accostare l'universo con l'amore
Trasformare tutto in amore era il segreto di S. Teresina del Bambino Gesù, che egli sentiva molto vicina per la sua piccolezza interiore e il suo totale abbandono al Padre.
Anche Don Carlo guardava tutto e tutti con uno sguardo di amore, con gli occhi stessi di Dio che è Amore. « L'adorazione incessante, che è l'estasi dell'amore, - disse - è accostarsi a tutto l'intero universo con un unico atteggiamento: l'amore ». Egli vedeva in tutto e in tutti le tracce di Dio e a questo sguardo di fede orientava le anime. « Quando ci incontrava di sfuggita lungo i corridoi o nell'orto - dice una claustrale - aveva sempre una parola di attenzione per santificare ciò che si stava facendo. Era una parola breve, detta sottovoce, una Parola di Gesù adatta alla circostanza che dava subito un colpo d'ala.
Un giorno mi chiese se avevo scoperto il mio nome nuovo; gli dissi di no e lo pregai di dirmelo lui da parte del Signore. Il giorno dopo venne con un foglio "Per me Cristo" e puntando il dito su una frase mi pregò di leggere e aggiunse: "Lei si chiamerà Suor T. del nascondimento. Le piace?". Ancora adesso ricordo questo nome come un piccolo programma di vita».
Un piccolo vademecum per tutti
Non solo alle anime consacrate trasmetteva questo dono, ma anche ai giovani e ai laici. È significativo quanto scrisse nel 1972 al dr. G. che gli chiedeva un programma per vivere più intensamente il Vangelo.
« ... Scrivo da questo sperduto paese, dove sto predicando un Corso di Esercizi Spirituali a 104 Suore: faccio tutto il Vangelo di S. Luca; è un gioiello di luce e di gioia, il Vangelo della gioia, della lode a Dio, della misericordia; della preghiera, della povertà.
Trascrivo una semplice preghiera che è come un programma di vita: "Rallenta la mia corsa, o Signore. Calma il battito del mio cuore acquietando la mia mente. Trattieni il mio passo frettoloso con la visione dell'eternità. Dammi, in mezzo alla confusione della mia giornata, la pace della risurrezione. Aiutami ad affondare le radici nel terreno dei valori durevoli della vita, così che io possa crescere verso il cielo del mio destino".
Suggerisco il seguente piccolo vademecum: a) Ogni mattina: una pagina di Vangelo, "assaporata" in lettura letta lentissimamente, sotto l'azione dello Spirito Santo: ricavarne la "parola di vita", cioè la frase da vivere durante il giorno.
b ) Se è possibile, una breve visita a Gesù nell'Eucaristia: è come un bagno di sole; l'anima ne esce radioattivizzata.
c ) Almeno tre umili azioni di bontà verso gli altri, dimenticandosi: "non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra"; è la gioia nascosta della bontà segreta.
d ) Non ripiegare assolutamente su se stesso; essere dono, purissimo dono a Dio e ai fratelli.
Il cuore si incendierà di gioia. Una gioia che assume le dimensioni dell'eterno e che si chiama "beatitudine". "Beati i poveri di spirito (gli umili) perché di essi è (già adesso) il Regno dei Cieli" ».
Il Salesiano Don A. A., segretario del Rettor Maggiore, che si distingueva per la sua intensa spiritualità, dopo aver esaminato questo scritto, esclamò: «Solo un santo può dire certe cose e tracciare una via così profonda con estrema semplicità». E se lo trascrisse.
A una giovane mamma di Roma, un giorno disse: «Sia un giglio di preghiera». Questa frase, piccolo concentrato di tante esperienze di preghiera fatte nei Cenacoli Gam, le è stata una spinta interiore non solo per coltivare la preghiera personalmente, ma anche per trasmettere questa gioia agli altri raccogliendoli nella sua casa in piccoli Cenacoli Gam in famiglia.
Particolarmente i giovani erano oggetto delle sue attenzioni. Li caricava di Parola di Dio, li lanciava a mète altissime di preghiera, di adorazione eucaristica e trinitaria sull'esempio e sotto la guida della Madonna, « l'adoratrice per eccellenza, un'anima verginalissima tutta raccolta in Dio e tutta preghiera».
Lo portò alla gioia dell'immolazione
Sapeva innalzare e buttare in Dio le anime in qualunque situazione si trovassero e trasformava in Cielo la loro esistenza. Lo testimonia l'esperienza veramente singolare di Igino Piovano, un giovane di Torino, affetto di ipertrofia dei tessuti. Le cellule del capo si moltiplicavano in continuazione e queste crescenze disordinate cancellavano ogni lineamento del volto; le palpebre arrivavano al petto ed era completamente cieco. Le ossa del capo si dilatavano ed erano tutte slegate tra loro, mobili, quindi il parlare, il masticare, ogni movimento gli causava sofferenza. In particolare alla notte lo prendevano dolori atroci di capo; in più aveva dei bubboni in tutto il corpo e doveva passare quasi tutta la notte con la testa all'ingiù fino a toccare il pavimento. Una situazione dolorosissima che lo costringeva a una solitudine atroce, anche se circondato dalla cure affettuosissime dei suoi veramente eroici genitori. Era intelligentissimo e dotato di una non comune sensibilità d'animo.
Don Carlo, che negli anni 1959 - 61 si prestava anche per la predicazione ai volontari della sofferenza, nell'Opera di Monsignor Novarese, lo conobbe dopo gli Esercizi Spirituali tenuti a Re, tramite la signorina Maria Cristina Chicco, che dal 1951 aiutava con molta dedizione questo giovane. Aveva ottenuto dalla Curia il permesso che gli si celebrasse la Messa in casa. Don Carlo, appena informato di questo, si mostrò subito disponibile. Per lui una sola anima valeva come mille e vi si dedicava con la stessa intensità come fosse un'intera assemblea, imitando Gesù che per incontrare la Samaritana scelse di percorrere la strada più disagevole che dalla Giudea conduceva alla Galilea (cf Gv 4,3).
« Portavo sempre a Gino i fiori più belli che trovavo sui prati - afferma la signorina Chicco -: Don Carlo era uno di questi, anzi la sua presenza era talmente preziosa per Gino che mi offrivo a fare l'autista pazientissimo perché, dati tutti i suoi molteplici impegni, a volte dovevo attendere delle ore e infine andarlo a prelevare all'uscita di qualche scuola o istituto, dove aveva predicato o confessato».
In Paradiso andrò a cercarlo
Don Carlo si sedeva accanto a Gino e gli parlava dell'amore del Padre e della Mamma Celeste, delle meraviglie del Cielo che ci attende, dell'intero cosmo a cui siamo tutti strettamente legati, portandolo a scoprire la gioia di trovare il suo posto, la sua missione insostituibile quaggiù nel piano del Padre, perché « un'anima che si eleva, eleva tutto l'universo ». Questa scoperta aveva folgorato quel giovane che da allora ripeteva spesso con slancio: « Allora io posso far tutto! ». Era la gioia dell'immolazione. Aveva fatta sua una preghiera suggeritagli da Don Carlo: « Signore, aiutami ad essere una docile ostia che si lascia trasformare in te, per diventare volontà di Dio».
Nei cenni biografici da lei tracciati, la signorina Maria Cristina Chicco attesta: « Chi ha maggiormente plasmato l'animo di Gino fin dal 1960 circa, portandolo al godimento dell'immolazione quale assimilazione a Gesù, fu Don Carlo De Ambrogio. Con la sua dogmatica angelica lo traeva in alto, facendogli pregustare le gioie del Paradiso con conseguente, sistematico distacco dagli interessi terreni. La direzione spirituale di questo Sacerdote serafico è stata determinante in tutta la battaglia di Gino fino alla fine. Sovente egli stesso diceva: "In Paradiso, fra le anime che andrò a cercare per ringraziare tra i primi sarà quella di Don Carlo" ».
Quello è un prete santo
« Tante persone non praticanti ritornavano alla fede vedendolo e sentendolo parlare - dice una Suora del Suffragio -. Dove passava portava la presenza di Dio e riusciva ad illuminare e portare pace e serenità. Tornando dalla Palestina sostò in una nostra casa a Roma. In quell'occasione gli presentarono una signora che da anni non andava più in chiesa. Rimase colpita e trasformata da quello sguardo dolce e penetrante, dal sorriso, dal suo passare discreto, e disse: "Quello è veramente un prete santo" ».
« Come Gesù - afferma un Sacerdote della diocesi di Messina - Don Carlo prima faceva, poi diceva. Da questa pienezza scaturiva anche il consiglio che egli sapeva dare in qualsiasi circostanza». « Non risolveva mai i problemi sul piano umano - dice Sr. S. - non si inoltrava nella casistica, ma illuminava le situazioni con la Parola di Dio e lasciava tanta pace dentro, in modo che si vedevano e si affrontavano le difficoltà in modo diverso ».
E il dott. C., che gli fu strettissimo collaboratore per diversi anni fino alla morte, afferma: « Per ogni quesito, di qualsiasi genere, che gli si poneva, aveva una risposta alla luce della Parola di Dio che egli conosceva a perfezione e sapeva calare con un intuito di Spirito Santo per ogni circostanza. Questa sicurezza assoluta ci dava una grande gioia coinvolgendoci in tutte le sue iniziative e vicissitudini per il Regno di Dio. Se erano cose semplici si raccoglieva un attimo e poi dava la risposta. Ma per i problemi più importanti faceva ricorrere alla preghiera.
Ricordo che per una decisione importante mi propose di andare per una settimana ogni sera a partecipare alla S. Messa in Via delle Orfane, dalle Piccole Suore dei poveri. Potei così ascoltare le sue stupende omelie che teneva alle poche Suore come fossero un'intera assemblea. Al termine della settimana, mentre lo accompagnavo a Valdocco, mi diede una risposta così decisa e illuminata che poteva venire solo dal Cielo, perché ciò che è nato da quella decisione continua tuttora e a distanza di anni si vede come fosse nei disegni di Dio ».
No, dica di no
Una giovane Suora era tormentata da un problema di coscienza. La Superiora le aveva proposto di frequentare un corso filmico ed essa, intuendo i gravi rischi a cui sarebbe andata incontro nella vita spirituale, non sapeva come interpretare la volontà di Dio in quell'obbedienza. « Chiesi alla Madonna di farmi luce - racconta lei stessa - di mandare Don Carlo anche solo di passaggio, perché sentivo che solo lui così immerso nella Parola di Dio avrebbe potuto trasmettermi con chiarezza il disegno del Padre. Inaspettatamente giunse e, in corridoio, gli esposi brevemente il mio caso. Si raccolse un attimo e poi disse deciso: « No, dica di no ». Compresi allora le parole di Gesù da lui tante volte commentate: « Voi non siete del mondo, la mia scelta vi ha tirati fuori dal mondo » (Gv 15,19). Sapevo che un tale rifiuto mi avrebbe precluso la strada a un incarico di responsabilità e di prestigio, creandomi attorno un clima di freddezza e di poca considerazione, tuttavia compresi che allineandomi con la mentalità del mondo non si sarebbero aiutate le anime, ma tradite e ingannate. Ancora adesso ringrazio la Mamma Celeste che attraverso Don Carlo mi ha impedito di inoltrarmi nelle vie intricate e fangose del mondo ».
« Un giorno - racconta Sr. A. che si prestava con tanta generosità a trascrivergli le omelie - al termine del plico consegnato c'era una frase scritta di suo pugno e poi cancellata, ma che in controluce ero riuscita a decifrare. Eccola: "Grazie, Gesù, che mi hai permesso di finire il lavoro prima di partire" (doveva partire per l'Oriente). Parole semplicissime ma che lasciano intravedere come svolgesse il suo lavoro unito a Gesù ».
Non si stancavano di sentirlo parlare di Gesù
Partì per l'Oriente nel 1969 inviato dai Superiori per visitare le Case dei confratelli Salesiani in India, Giappone, Cina e nello stesso tempo raccogliere parecchio materiale per i servizi giornalistici di Meridiano 12 e del Bollettino Salesiano, che per molto tempo furono arricchiti di queste singolari esperienze viste in chiave cristiana, basti ricordare i servizi dalla Cina.
Questi mesi lasciarono delle tracce incancellabili in lui; furono un intenso rodaggio allo spirito di fede e di abbandono al Padre; alla disponibilità e al sacrificio per le fatiche, il clima e le abitudini diverse; alla carità e all'attenzione agli altri. Avvolgeva di tanto amore quei fratelli missionari lontani incoraggiandoli all'annuncio del Vangelo.
I giovani chierici e i ragazzi dei vari collegi e oratori salesiani non si stancavano di sentirlo parlare di Gesù.
Tutto questo aveva ingigantito l'amore già così intenso per la Parola di Dio facendogli sentire ancora più viva l'urgenza di annunciare il Vangelo.
Vent'anni dopo
Circa vent'anni dopo il suo passaggio nell'estremo Oriente, alcuni Missionari esprimono dei ricordi incancellabili di lui e dei suoi scritti. Uno di essi dice: « Da molto tempo leggevo con avidità i suoi articoli e opuscoli: vi trovavo lì dentro tutto lo spirito evangelico. Quando potei incontrarlo personalmente - e mi accadde un'unica volta - non mi colpì nulla di nuovo in lui: era veramente quell'uomo di Dio - un vero Sacerdote - che io conoscevo già attraverso le sue pubblicazioni. Ero pure a conoscenza del Movimento Gam e di come aveva saputo infondere nei giovani l'amore alla preghiera sulla Parola di Dio.
Questo era il punto centrale di Don Carlo, con l'amore alla Madonna. Un anno mi sono trascritto alcuni punti del Gam per farne un programma di apostolato ». E conclude: «Adesso lo immagino in Cielo, molto alto, perché ha sofferto, ha predicato, ha praticato... Ma soprattutto perché ha sofferto prove molto dure. Capita sempre così agli uomini di Dio. E questo è quanto viene maggiormente premiato in Cielo ».
5 - IL TESORO DEL SUO CUORE
A Torino la sua evangelizzazione aveva riempito ormai tutta la sua giornata, al punto che lavorava anche di notte, lasciando pochissimo spazio al riposo. A chi gli faceva notare che la sua finestra era accesa fino a notte inoltrata e si riaccendeva prima dell'alba, diceva: « È vero, riposo solo quattro o cinque ore, ma vado a letto sereno e le dormo tutte. Mi è sufficiente».
Oltre alle Figlie di Maria Ausiliatrice, alle quali dedicò con particolare amore e dedizione molto tempo della sua predicazione, parecchi altri istituti religiosi lo invitavano per ritiri, corsi di esercizi spirituali, conferenze, omelie, confessioni alle Suore e alle giovani, senza contare i colloqui particolari con le numerose persone che lo venivano a cercare a Valdocco. Era letteralmente "mangiato".
Un giorno disse: « Se cercate le creature come tali, queste vi sfuggono; se cercate Gesù, le creature vi assediano ». Era davvero così per lui ed era sempre pronto, sempre disponibile per donare Gesù alle anime.
La Parola di Dio era un fuoco divorante che lo spingeva incessantemente.
Il Cardinal Ursi intuendo questa sua realtà profonda e soprannaturale lo definì: « Ministro fiamma di fuoco ». E scrisse: «Don Carlo è vissuto nell'ascolto assiduo e amoroso della Parola di Dio. Conosceva le Sacre Scritture, le riviveva e le spiegava nell'ebbrezza dello Spirito ».
« Se uno mi ama, farà tesoro della mia Parola » aveva detto Gesù (Gv 14,23). Don Carlo faceva continuamente tesoro della Parola di Dio, viveva della Parola di Dio, « era tutta Parola di Dio - come disse una Madre Priora -. Era l'uomo che aveva fatto del Vangelo la sua stanza, la sua vita. Ho assunto da lui questa nostalgia di purezza evangelica, il desiderio di vivere questo messagio di Gesù, di lasciarlo penetrare nella mia esistenza. Ogni giorno leggo un po' di Vangelo e una frase detta da lui (ne ho trascritte molte sulla mia agenda). Oggi ho meditato questa: "grazie di esistere". Lo diceva sempre ad ogni incontro, eppure solo oggi l'ho capita in profondità. L'esistenza è in fondo il dono fondamentale di Dio. Man mano che vado avanti nella vita, il suo messaggio si fa sempre più trasparente, sempre più vivo e sempre più vero, nel senso che entra in me con una comprensione più profonda ».
Coinvolgeva e affascinava
« Non mi era mai capitato nella mia vita di essere così colpito, abbagliato dalla Parola di Dio come quando l'ascoltavo da Don Carlo - confessa un giovane Gam di Rovigo - anche se la stessa mi era stata spiegata da altri Sacerdoti. Commentata da lui era un qualcosa che macinava nel profondo e mi portava a riflettere sulla vita trascorsa e sul futuro di Dio che ci attende ».
«Mi è rimasto incancellabile - afferma P., un altro giovane - il suo modo di presentare la Parola di Dio con un atteggiamento e un modo così mite ed umile che coinvolgeva e affascinava sempre».
« Mi è sempre parso di vedere realizzato in Don Carlo - afferma una Suora - ciò che dice il Signore nel profeta Isaia: « Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della Parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata» (Is 55,10-11). Don Carlo aveva una fede assoluta nella Parola di Dio « che è creatrice, realizza ciò che esprime - diceva -. Anche se non mi accorgo degli effetti, so che ci sono, perché la Parola di Dio è efficace».
Avrebbe avuto capacità e preparazione per inoltrarsi con successo nella pastorale della problematica umano-sociale, ma egli era convinto che le parole umane sono solo "cisterne screpolate" (Geremia 2,13) che lasciano il vuoto nelle anime. Solo la Parola di Dio può riempirle e rispondere in pieno a tutte le attese e le ansie dell'uomo di ogni età, di ogni condizione e ceto sociale in ogni epoca della storia.
Riproporre il Vangelo
Chi conosceva Don Carlo, o l'aveva sentito qualche volta, sapeva che questa era la soluzione fondamentale da lui proposta, come sottolinea questo stralcio da: "Il Nostro Tempo", settimanale cattolico di Torino, a cui Don Carlo collaborava con i suoi articoli sempre così sottili e incisivi: «In questi giorni ci è venuto un rimorso di coscienza. Pensavamo a Don Carlo De Ambrogio, un'anima dolcissima e forte, scomparso da non molto tempo. Noi abbiamo taciuto. Non perché volevamo tacere, ma perché il "giornale è girato male". Abbiamo rimandato da una settimana all'altra la biografia di Don Carlo ed eccoci qui ora a batterci il petto e a chiedere a Don De Ambrogio scusa se - non nella preghiera - abbiamo taciuto di lui su "Il Nostro Tempo" di cui fu amico caro, collaboratore prezioso, articolista intelligente e acutissimo.
Don De Ambrogio era un "santino", di quelli che non pesano, che camminano in punta di piedi, ma che vanno diritto allo scopo. Diresse la rivista salesiana "Meridiano 12", tradusse in forma piana Vangeli e libri dell'Antico Testamento. Poi, innamorato della Madonna, passò al di là di ogni confine e spaziò nei cieli limpidi di un amore ardente. E fu trascinatore.
Non entriamo nelle pieghe di una vita che si è distesa lungo i misteriosi disegni di Dio nella ricerca del bene, nello sforzo verso la santità. Ci piace ricordare Don Carlo presente in mezzo a noi per cercare di intuire quello che servirebbe oggi (...).
Ecco: Don Carlo De Ambrogio - se ritornasse, ma è sempre in mezzo a noi - riproporrebbe gli stessi temi che hanno formato i primi cristiani e i martiri e sono la fonte vitale che disseta ogni creatura che lo voglia e sia evangelizzata sino alla fine del mondo » (26 ottobre 1980).
Tutti volevano ascoltarlo
«Aveva davvero un'esperienza divina della Parola di Dio e la comunicava » afferma una claustrale. E un'altra: « La Parola di Dio donatami da Don Carlo mi è stata di grande sostegno, unico direi, nelle numerose e forti prove di ogni genere che si sono susseguite nella mia vita. Tutto il resto è crollato, ma la gioia di vivere la Parola di Dio mi è rimasta».
Elettrizzava di gioia i giovani che stavano ore ed ore ad ascoltarlo senza stancarsi. Un gruppo di giovani universitari di Torino ogni settimana e anche più spesso andava a prelevarlo alle 21 e lo riportava a mezzanotte, l'una... Erano insaziabili del Vangelo. Anche alcuni docenti del Politecnico di Torino con le loro mogli si radunavano in una delle loro famiglie fino a tarda notte per ascoltarlo. E Don Carlo sempre instancabile seminava senza misura o risparmio di se stesso.
Disponibile a tutte le ore
Per la Parola di Dio era disponibile a tutte le ore. Talvolta gli impegni erano così numerosi e incalzanti che gli sfuggiva di avvisare della sua assenza qualche Comunità religiosa che l'attendeva per la Messa o le Confessioni. Successe così anche quella sera al Cottolengo. Le Suore attesero a lungo fino a tardi. La Madre fece un ultimo tentativo telefonico e finalmente riuscì a rintracciarlo. Era appena rientrato da Milano. La neve molto alta rendeva difficile il transito. Rispose: «Vengo subito ». E poco dopo giunse in bicicletta, con un freddo pungente, e senza aver preso niente di caldo. Le Suore rimasero sbalordite di fronte a una tale disponibilità e a un tale amore per la sua missione.
È la Mamma che mi ha fatto questo dono
Il suo segreto di penetrazione della Parola di Dio e di efficace annuncio era l'accostarsi ad essa attraverso il Cuore Immacolato di Maria, colei che egli chiamava « la Tutta-verbizzata, tutta trasparenza alla Parola di Dio, che custodiva e meditava nel suo Cuore » (cf Lc 2,5 1).
Un giorno una persona gli chiese come facesse a comprendere così profondamente la Parola di Dio, con quelle intuizioni chiave e a comunicarle con tanta chiarezza e incisività. Rispose: « È la Mamma che mi ha fatto questo dono, perché sono nato il 25 marzo, festa dell'Annunciazione, giorno in cui il Verbo, la Parola, scendeva dal Cielo e si faceva carne in Lei ». E poi, quasi per distogliere l'attenzione da se stesso, aggiunse: «Io sono innamorato della Parola di Dio, ma anche lei lo è molto; dica grazie alla Mamma di questo». Conosceva bene l'affermazione di S. Bernardo: «Dio vuole che ogni dono e ogni grazia venga a noi attraverso Maria ».
Pronto a perdere tutto
La presenza di Don Carlo realizzava un clima di Spirito Santo che avvolgeva e illuminava. « Visse nella Chiesa come messaggero dello Spirito Santo - scrisse ancora il Cardinal Ursi. Il messaggio rovente, però, scaturiva sempre da labbra sorridenti di un volto luminoso di fanciullo in toni dolci, limpidi, penetranti ».
Talora il messaggio si faceva davvero rovente quando vedeva intaccato il Regno di Dio con la rovina delle anime. Allora con un coraggio sorprendente interveniva e parlava chiaro con chi di dovere, prima in maniera personale, ma se il male continuava lo denunciava apertamente anche tramite la stampa, come faceva l'apostolo Paolo attraverso le lettere. Non si spiega in lui così dolce e timido questa presa di posizione se non con l'esperienza del Profeta Geremia: «La Parola del Signore è diventata per me motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno (Don Carlo sapeva che poi gli sarebbe arrivata addosso tanta sofferenza). Mi dicevo: "Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome! "Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente... mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo"» (Ger 20,8-9).
« Se dentro di sé non avesse avuto questo ardore, questa fiamma, non avrebbe potuto parlare così - afferma una claustrale -. Era Geremia ai nostri giorni ».
Un giorno disse: « Il Regno di Dio esige coraggio, violenza, come ha fatto Giovanni Battista: "Non ti è lecito!". Ci vuole tutto il coraggio, ma per averlo occorre essere mitissimi, avere un'umiltà profonda. Solo chi è profondamente umile si porta su un piano di fede: perde tutto, vede solo Dio ». E soggiungeva con l'incisione di chi ne ha fatto l'esperienza: « Bisogna rassegnarsi a perdere tutto ».
Grazie per il coraggio e la chiarezza
In mezzo a quella fascia di solitudine e di ostilità che si creava attorno a lui, come è spiegabile dopo simili interventi, c'era anche chi vedeva nella luce di Dio e ne condivideva le posizioni, come attesta questo stralcio di lettera di un'autorità: « Carissimo Don Carlo, le do il mio abbraccio più affettuoso per il suo coraggio e la sua chiarezza. Ho letto quanto ha scritto su (...). Era ora che si denunziassero certe cose, con inequivocabile chiarezza. Viviamo in un momento in cui (...) si lascia che l'errore si diffonda. Bisogna ormai alzare la voce. Lei ha questo coraggio. (...). Dio l'accompagni e la Madonna la conforti e la consoli. Prego per lei ». Lo confortava in queste ore il pensiero che anche Gesù aveva sofferto per aver detto la verità, e la certezza che da questa piccola morte sarebbe scaturita una nuova forza per l'evangelizzazione e l'avanzamento del Regno di Dio nella Chiesa e nel mondo. « È la legge del chicco di frumento - diceva riportando le Parole di Gesù - se muore porta molto frutto» (cf Gv 12,24).
La gratuità, radice ultima dell'amore
Intanto pubblicava una collana di volumetti dell'Antico e Nuovo Testamento in collaborazione con due signorine dottoresse di Rosta. I volumetti a formato tascabile e a prezzo simbolico ebbero una diffusione rapidissima in tutta Italia. Così pure molto richiesti furono i volumetti "A Messa" per i commenti profondi e incisivi della Liturgia della Parola, la rivista "Conosci tua Madre", ricca di spiritualità mariana in veste attraente e popolare, e molti altri opuscoletti e pagelline per lanciare la devozione e l'amore alla Madonna.
Il suo sogno (che vedrà realizzato poi nel Gam) era di arrivare alla diffusione capillare e del tutto gratuita della Parola di Dio, secondo la Parola di Gesù: « Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). E riportava un'espressione incisiva di S. Tommaso: «La radice ultima dell'amore divino è la gratuità». «Nella Parola di Dio - spiegava Don Carlo - è presente Gesù sotto la terminologia umana, così come nell'Eucaristia è presente sotto le specie del pane e del vino. Come non si fa pagare l'Eucaristia, così non si deve far pagare la Parola di Dio ». Ai suoi più stretti collaboratori del Gam dirà: « Se noi mettiamo in atto alla lettera le Parole di Gesù: "Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù" (Mt 6,33), il Padre ci manderà sempre i mezzi per diffondere gratuitamente la Parola di Dio. Al Padre interessa più che a noi diffondere la Parola del Figlio. E la Mamma interverrà sempre perché si compia il comando ultimo del suo Gesù: "Evangelizzate ogni creatura" (Mc 16,15) ».
Per sette prediche e mezza
Già negli anni '60 - '70 faceva continuamente esperienza anche in maniera straordinaria di questi segni dell'amore del Padre. « Riceveva spesso - attesta la Suora portinaia del n. 27 a Torino - delle grandi offerte, spesso anonime, e sorridendo ce le faceva vedere come un dono per la Parola di Dio».
Anche un suo confratello coadiutore attesta: « Don Carlo al termine del pranzo sempre breve e frugale, con gesto delicato estraeva dalla tasca una manata di corrispondenza; mi leggeva volentieri qualche espressione di benefattori che lo aiutavano con copiose offerte, ma anche se offerte generose e frequenti non lo interessavano eccessivamente; la sua unica aspirazione, la gioia immensa che provava era il constatare che la devozione alla Madonna si divulgava e faceva un bene immenso a quelle anime che a Lei si rivolgevano».
Un giorno raccontò che mentre si trovava in un monastero della costa ligure a predicare un ritiro alle Carmelitane, un signore dopo la Messa lo raggiunse in sacrestia e gli consegnò una busta dicendo: «Tenga, Padre, è perché lei possa continuare a parlare così di Gesù e diffondere il Vangelo. Ho sentito la sua predica: mi ha trasformato dentro. Non avevo mica intenzione, sa, di venire in chiesa, tutt'altro! Stavo passeggiando nel lungomare (la cappella del Monastero dava proprio sulla strada) e mi sono sentito spinto ad entrare. È capitato qualcosa di forte dentro di me. La ringrazio ». Don Carlo senza aprire infilò la busta nella tasca e continuò il suo programma di evangelizzazione che in quel giorno era particolarmente intenso perché il tempo disponibile era breve e le Suore desideravano approfittare al massimo del dono della sua presenza. Avevano già avuto sei conferenze sulla Parola di Dio, più l'Omelia e infine chiedevano un piccolo sermoncino dopo Compieta che servisse da "buona notte". Don Carlo accondiscese; anche se era stremato di forze non rifiutava mai di parlare di Gesù.
Al termine di tutto si ritirò nella sua stanza e mentre si rivolgeva confidenzialmente alla Madonna - come abitualmente faceva prima di addormentarsi - richiamò alla mente che quel giorno era un 24 del mese, giorno in cui, in riferimento al 24 maggio, festa di Maria Ausiliatrice, Don Carlo ricordava con particolare amore Maria, Madre della Chiesa (il numero 24 - egli diceva - comprendeva le dodici tribù d'Israele e i dodici apostoli, quindi Maria era Madre dell'Antico e del Nuovo Israele, la Chiesa nella sua totalità). In ogni festa o giorno della Madonna era abituato a ricevere un'offerta per la Parola di Dio.
Quel giorno non l'aveva ricevuta e se ne lamentò dolcemente: «Mamma, oggi non mi hai mandato niente. Come mai? ». Improvvisamente si ricordò di quel signore e della busta deposta e dimenticata nella tasca. La prese e l'aprì con un tuffo al cuore: c'erano 750.000 lire, una somma esattamente corrispondente alle 7 prediche della giornata e al sermoncino più breve della buona notte. Lo raccontò con lo stupore e la gioia del bimbo che si sente amato e condotto per mano dalla mamma. Così era per lui la Madonna e questi segni del suo amore materno gli davano sempre un nuovo slancio per continuare il cammino anche tra difficoltà e incomprensioni.
Piccolo programma tracciato da Don Carlo (di suo pugno) per un dirigente d'azienda che gli chiedeva sulla linea del Vangelo come dare disposizioni di comando sul lavoro.