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6 - I TRE AMORI BIANCHI

Sia un'anima eucaristica


Aveva un grande amore per l'Eucaristia, la Madonna e il Papa, che egli chiamava con un'espressione significativa: "I tre amori bianchi".

Viveva per l'Eucaristia e dell'Eucaristia. Non si spiega diversamente la sua capacità di trascinare le anime a un ardente amore eucaristico. Dove trovava una persona o una Comunità aperta allo Spirito, ne fa­ceva con Maria delle anime di adorazione eucaristica, delle lampade accese davanti al Tabernacolo.

Così lo ricordano le Suore non vedenti dell'Istituto "Figlie di Gesù Re" di Torino, per le quali Don Carlo nutriva un amore di predilezio­ne e tra le quali ritornava sempre con gioia. Avvertiva infatti un'aper­tura semplice, totale, gioiosa alla Parola di Dio, senza razionalismi, e trovava nella preghiera e nell'apertura di quelle Sorelle privilegiate dalla Grazia, un punto di riferimento e di sostegno spirituale nella sua evangelizzazione. « Abbiamo tanto bisogno - diceva - della preghiera delle Sorelline cieche». Le paragonava alle conchiglie marine di una nota leggenda indiana che nella notte, dopo essere venute a galla apren­do le valve per assorbire la luce argentea della luna, si rinchiudevano nel silenzio abissale del mare per filare la perla preziosa. E hanno dav­vero racchiuso la perla nel loro cuore queste anime dotate di una sen­sibilità spirituale straordinaria, perché riportano particolari e frasi di Don Carlo con una precisione sorprendente.

Don Carlo venne a conoscenza di queste Suore nel 1961 tramite la lettura della biografia del loro Fondatore, il Servo di Dio Canonico Luigi Boccardo. Si rammaricò di non averle conosciute prima e andò subito a visitarle. Ottenne dalla Superiora di poter intervistare la Co­munità per farne un servizio da pubblicare su "Meridiano 12". Si of­frì a celebrare settimanalmente la S. Messa nella loro cappella, al sa­bato, l'unico giorno che gli era rimasto libero. « Aveva un amore eucaristico intensissimo - ricordano le Suore - e ce lo trasmetteva.

Quando entrava in cappella camminava come un Angelo e non lo si sentiva arrivare. Insegnava anche a noi questa delicatezza di tratto per far piacere a Gesù.

Ci faceva comprendere con quale amore Gesù rimaneva giorno e notte nel Tabernacolo e come attendeva anche solo una breve visita, un pensiero. Ci suggeriva di non passare mai vicino alla cappella sen­za entrare almeno un istante o solo aprire la porta per una genufles­sione, un atto di amore. Anche svegliandoci di notte ci suggeriva di pensare a Gesù, solo sull'altare, e da come ci parlava dell'adorazione notturna si capiva che lui passava tempo della notte in preghiera. "Si sta così bene - diceva - davanti a Gesù. Ed è una forza potentissi­ma per la Chiesa e per il mondo. Con la preghiera noi raggiungiamo tutti i miliardi di fratelli che sono sulla terra".

L'ultima volta che venne da noi nell'Epifania del '78 si sentì invi­tare da una telefonata, ma nessuna di noi l'aveva chiamato. Fu per noi un grande dono».



Voglio essere come lui

« Quando ci fu detto che veniva Don Carlo a predicarci gli esercizi - ricorda una claustrale - provai un senso di freddezza e di indiffe­renza. "Staremo a vedere" dicevo tra me. Ma quando lo vidi salire l'altare per la Messa ebbi la chiara percezione interiore che fosse un santo, convinzione che conservo tuttora ».

E un giovane, adesso Sacerdote Gam: «Quando a volte doveva ar­rivare, si pensava di chiarire alcuni problemi, farglieli presenti, ma quando arrivava, la sua presenza li faceva sparire tutti: ci si trovava di fronte a un vulcano di gioia, di entusiasmo e di presenza divina».

E ricorda un momento di grazia particolare: « Al Cenacolo di For­mula 1 di Spin (Bassano del Grappa) l'ho conosciuto per la prima volta. Fu un incontro affascinante, un incontro che travolse tutta la mia vi­ta e mi fece passare da una "riva all'altra": dal piano umano al piano soprannaturale. Ho visto in Don Carlo Gesù e la figura del vero Sa­cerdote, un Sacerdote nuovo... Ciò che più mi affascinava era la sua voce dolce e penetrante, il suo modo espressivo, gioioso e fresco, di trasmettere la Parola di Dio. Appena ascoltate le prime frasi, mi in­cantai, tanto da non staccarmi più da quell'ascolto. E rimasi non solo al pomeriggio, ma anche il giorno dopo. Passai la notte con una gioia infinita. Mi nacque il desiderio di essere come Don Carlo, di imitarlo in tutto; sentivo che sarei stato felice solo facendo quello che faceva lui. Era la chiamata dello Spirito Santo e della Mamma Celeste.

Il giorno dopo, durante la Messa, mentre Don Bruno distribuiva la Comunione e Don Carlo era seduto vicino a me, a un certo punto provai una gioia ineffabile; non potei frenare le lacrime: era un pian­to di gioia e insieme di dolore per aver compreso solo allora quella luce nuova. Mi gettai ai piedi di Don Carlo e gli baciai l'orlo della casula. Sentivo che dovevo tutto alla Mamma, ma anche a lui, perché ne era stato lo strumento».



In libera uscita davanti al Tabernacolo

Ripeteva spesso: «Riempite i giovani di Parola di Dio, tuffateli in Gesù Eucaristia e potrete lanciarli senza timore dappertutto». Un giovane Gam racconta: «Mancavano pochi giorni alla mia partenza per il servizio militare. A un ritiro all'Assisium (Roma) avvicinai Don Carlo per dirgli: "Don Carlo, ho bisogno di qualcosa che mi tenga forte in questo periodo che sarà sicuramente duro". Don Carlo com­prese e mi suggerì di portare con me il Vangelo. Gli risposi che l'ave­vo già messo in valigia. "Allora - soggiunse - ecco qualcosa ancora di più: prova a innamorarti dell'Eucaristia". È stata l'unica cosa che veramente mi ha reso forte in quel periodo di vita militare. Appena ero in libera uscita entravo in una chiesa, mi mettevo a pregare lì da­vanti a Gesù nel Tabernacolo e non avevo più paura di niente».



Agganciare l'aratro a una stella

L'adorazione era uno dei poli luminosi a cui faceva ancorare sem­pre; doveva diventare connaturale all'uomo, come il respiro, perché « il sogno del Padre - diceva - è di formare un popolo liturgico, un popolo di figli che ama e adora. Ed è per questo che ha reso facile l'adorazione in Gesù, l'Emmanuele, il Dio-con-noi, che è in mezzo a noi, di una bontà e di una semplicità infinita».

Tutti capivano questo suo linguaggio che risvegliava dentro una nostalgia di Dio che spesso l'uomo non sa neppure di avere. «Era una vera soddisfazione ascoltarlo - afferma il sig. A., un operaio che prestava servizio in un Monastero dove Don Carlo cele­brava spesso anche per gli esterni -. Parlava di Dio in una maniera mai sentita. E parlava in modo semplice come semplice era il suo at­teggiamento, e umile. Dopo averlo ascoltato avevo una gran voglia di confessarmi, allora lo fermavo in corridoio la sera quando passava e mi salutava sempre con quel suo sorriso. Mi confessavo e gli parla­vo. Andavo a letto così tranquillo e contento... Era proprio un dono avvicinarlo ».

Il dirigente di un'azienda rimase profondamente colpito da una sua espressione tanto significativa da lui riportata per invitare a sublima­re ogni realtà: « È sempre bene agganciare l'aratro a una stella ».

La signora G., una casalinga, ricorda come Don Carlo suggerisse di rivolgere il pensiero al Signore svolgendo le faccende domestiche, anche solo infilando qualche breve preghiera o ripetendo un canto Gam, dicendo di spalancare le finestre perché anche alla vicina giun­gesse il messaggio della Parola di Dio di quel canto.

Alle anime consacrate chiedeva di non lasciar mai Gesù solo in chie­sa, di ruotare attorno al Tabernacolo come le rondini attorno ai cam­panili.

« Ci entusiasmava per l'adorazione notturna - dice una Maestra delle novizie - per consolare Gesù abbandonato in tanti tabernacoli del mondo. Dopo Compieta un gruppo di Sorelle si fermava in ado­razione notturna (e continuano tuttora) e altre, sempre col permesso della Madre, si alzavano nel cuore della notte; era una gara di amore ».

« La nostra Comunità respirava un clima di Cielo per il fervore eu­caristico portato da Don Carlo - afferma un'altra claustrale -. In Paradiso andremo a ringraziarlo per la forte spinta spirituale che ci ha dato».



Il suo volto splendeva

« Ogni volta che si entra in chiesa e si viene a trovare il Signore, si è illuminati da Gesù Eucaristico di una luce meravigliosa: la luce dello Spirito Santo ».

È una sua espressione, ma è soprattutto la sua esperienza. Lo atte­sta un episodio raccontato da alcuni giovani Gam, uno dei quali ades­so è Sacerdote nel Movimento.

Avvenne nel 1979. Don Carlo con alcuni giovani di Torino si era portato a Padova nella Basilica di S. Antonio per un Cenacolo Gam. Lo raggiunse anche un gruppo di giovani di Rovigo. Mentre questi preparavano il materiale e disponevano gli amplificatori all'altare mag­giore, Don Carlo stava in preghiera davanti all'altare del Santissimo, nella navata di destra. Era inginocchiato all'estremità della balaustra destra, vicino al cancelletto centrale, con lo sguardo fisso al Taberna­colo, incurante del via vai di gente che affolla sempre la Basilica.

Un giovane in particolare lo osservava, colpito da quell'intensità di adorazione. « Passando dopo un po' vicino a lui - racconta - no­tai che il suo volto era di una bellezza straordinaria, tutto avvolto di luce, ma di una luce tenue, non abbagliante. Mi nascosi dietro il pila­stro ad osservare e compresi allora le parole del Salmo 33 che Don Carlo spesso ripeteva: "Guardate a lui e sarete raggianti -, e commen­tava: "Guardate Gesù, sorridetegli, fissatelo, amatelo e diventerete lu­minosi, trasparenti". Chiamai D., un giovane di Rovigo, per consta­tare se vedeva anche lui quello che vedevo io. E rimase egli pure colpi­to dalla luce che emanava da quel volto ».



7 - EUCARISTIA NELL'EUCARISTIA

Mi offrirò anche per questo


Da questo intenso amore eucaristico scaturiva la sua capacità di dono fino all'immolazione, perché egli sapeva che il Sacerdote non solo deve salire l'altare per celebrare l'Eucaristia, ma deve con Gesù e in Gesù diventare sull'altare Eucaristia offerta al Padre. « L'immo­lazione - egli diceva - la sofferenza vicaria presa su di noi per sal­vare i fratelli è il vertice dell'amore». Egli lo visse in pieno in un sì continuo, così come il Padre disponeva nella trama di un disegno stu­pendo, che avanzava e si compiva attraverso la sofferenza nascosta, l'umiliazione e il fallimento umano, l'angoscia e il buio del Getsemani. In lui si compiva come in Gesù il quarto canto del Servo sofferente, in un crescendo sempre più intenso fino a offrire la sua vita non solo per i giovani, ma anche per chi l'aveva fatto soffrire di più.

Ne sono testimoni poche persone a lui vicine, una delle quali l'av­vicinò per esporgli delle difficoltà e Don Carlo le disse come fosse la cosa più naturale: « Mi offrirò anche per questo ». Era davvero diven­tato dono totale, piccola ostia nella grande Ostia che è Gesù. «Non c'è più grande amore che dare la vita per i propri amici » (Gv 15,13).

Questo vertice di amore non è stato improvvisato, ma preparato dal sì quotidiano nascosto sotto il suo luminoso sorriso o dietro le sue brevi, tipiche espressioni dinanzi alle contrarietà: «Va benissimo. È la Mamma che ha disposto così ». La Madonna era davvero il suo so­stegno per accogliere ogni croce. Era solito ripetere: « Come Maria era presso la croce di Gesù, così è presso la nostra croce di ogni giorno e ci aiuta a dire sì come lei alla volontà del Padre».



Le anime si pagano

Una mattina la Superiora dell'Istituto delle Suore non vedenti di Torino lo vide arrivare per la Messa pallido, quasi terreo; non riusci­va neppure a parlare, tanto era sfinito. Era talmente spossato che ce­lebrò solo la S. Messa senza fare l'Omelia, come il solito. Interrogato, rispose che aveva confessato tutta la notte nella veglia dell'Ausiliatrice, ma non era quella la causa, perché si era sentito bene fino al ter­mine delle Confessioni. Poi lasciò intendere brevemente che si era offerto al Signore per qualche anima che aveva incontrato e allora ave­va dovuto lottare con il demonio.

« Eh, le anime si pagano » soggiunse sforzandosi di sorridere. Quante volte si offrì in questo modo? Solo "Colui che scruta il cuore e la vita" può saperlo. Ma certamente diversi episodi dimostra­no come il sacrificio e la dimenticanza di sé erano in lui uno stato abi­tuale. Aveva sempre presenti le Parole di Gesù: « Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perde­rà la propria vita per me, la salverà» (Lc 9,2~-24).



Prima le anime...

« Si capiva che faceva molta penitenza e mortificazione - dicono ancora le Suore non vedenti -. D'estate quando arrivava qui in bici­cletta a confessare lo si vedeva con le labbra riarse per la sete, ma non prendeva niente. Un giorno afoso di luglio la Suora portinaia, veden­dolo arrivare così sudato e stanco (aveva già confessato a Maria Ausi­liatrice), gli offerse subito dell'acqua fresca. Ma lui, ringraziando col suo solito sorriso, respinse gentilmente e soggiunse: "Eh, prima biso­gna pagarle le anime... Dopo, quando esco, prendo" ».

« Quello che più mi stupiva era la sua mortificazione quotidiana nel cibo - attesta un suo fratello coadiutore -. Parecchie volte arri­vava a tavola con notevole ritardo (magari c'era qualcuno che lo in­tratteneva) e in refettorio veniva volentieri a sedersi nello stesso tavolo, di fronte a me; di solito avevo sempre un posto libero. Lo vedo chia­ramente, come in questo momento, tutto sorridente, incurante del ci­bo: quello che c'era d'avanzo, anche se freddo, per lui andava bene. Non voleva disturbare chi serviva; mai un goccio di vino, solo mezzo bicchier d'acqua, qualche bocconcino di pietanza e un grissino: il pran­zo era consumato; pranzo appena sufficiente per un canarino. Ci me­ravigliavamo come potesse vivere. Eppure sembrava star bene, era bianco e rosso; mai che mangiasse di più; inoltre mangiava con asso­luto disinteresse del cibo e si occupava poi subito della corri­spondenza».

Lo stesso afferma il portinaio: « Io servivo a tavola e vedevo. Non aveva neanche il tempo per mangiare perché tante persone lo veniva­no a cercare e lui non diceva mai di no a qualsiasi ora. Mangiava po­chissimo e di riposo prendeva quasi niente. Mi chiedevo: ma come fa quest'uomo a tenersi sempre in piedi, preso com'è da tanto lavoro? Era una cosa oltre il normale, perché, c'è poco da dire, il cibo e il ri­poso ci vogliono per rifare le energie. E lui era gracile, non era un uo­mo di forza. A volte era pieno di raffreddore, forse con febbre, eppure andava sempre avanti ».



Il sale nel caffé

« Un giorno - racconta una Suora - gli offrii il caffé; era assie­me a un altro Sacerdote. Inavvertitamente portai a tavola il sale inve­ce dello zucchero. Servii prima Don Carlo, mettendone quattro cucchiaini, come lui sempre indicava: tre più uno, in onore dei Tre, più la Mamma Celeste.

Poi servii anche l'altro Sacerdote il quale al primo sorso esclamò: "Ma qui c'è il sale, ci vuole avvelenare!". Mi preoccupai subito di sostituire le tazzine, ma Don Carlo ormai l'aveva già bevuto tutto senza dire niente, per non mortificarmi ».

Che dire poi dei sacrifici, delle privazioni sofferte, delle stanchez­ze dissimulate negli anni del Gam in cui si spostava da una città all'al­tra d'Italia per i Cenacoli viaggiando spesso di notte, sbocconcellando qualche panino o talvolta digiunando?

Una sera di ritorno da un Cenacolo, dopo un lungo viaggio, gli chiedemmo se aveva potuto pranzare; dopo molta insistenza, aggiun­se con semplicità: « Non è stato possibile. Avevo una caramella in ta­sca ». « Tutto il giorno con una caramella? » gli chiedemmo. E lui sorridendo: « Eh, la Mamma sa lei quando farci fare digiuno; occorre per tutte queste anime, per l'evangelizzazione... Poi però ci stracolma di delicatezze e di attenzioni. Ma bisogna essere pronti a tutto, essere un sì continuo a tutto ciò che dispone ».



Riposeremo a Casa

Nell'estate del '79, in seguito a una corrente d'aria durante un Cenacolo all'aperto, fu preso da una temporanea sordità acuta e, dopo qualche giorno, accettò di sottoporsi a una visita specialistica. Il prof. R.D., primario di grande fama ed esperienza, disse a chi lo accompa­gnava: « Quest'uomo è logoro. Ha bisogno di fermarsi e di riposare in maniera assoluta ». Ma Don Carlo lasciò subito cadere ogni propo­sta di riposo col suo solito: "Riposeremo a Casa. Adesso occorre, ur­ge lavorare per il Regno di Dio!". E così rispondeva ogni volta che lo si invitava a una sosta: lui doveva annunciare, il resto non contava.

Non faceva pesare niente, era sempre nella gioia. Anche lui come S. Teresina poteva dire: «Non riesco più ad avere sofferenza senza gioia o almeno pace, né avere gioia senza sofferenza».



Mi son fatto un amico

Ciò che lo faceva soffrire molto era la critica e l'incomprensione per le sue iniziative di evangelizzazione o le pubblicazioni sulla Parola di Dio, non tanto per l'umiliazione personale, quanto perché veniva intaccato o impedito un grande bene alle anime.

«Un giorno - racconta una Suora - una persona aveva pubbli­cato su una rivista cattolica una recensione denigratoria sul Vangelo di S. Luca, un vero gioiello da lui preparato e diffuso. Don Carlo non ne era ancora a conoscenza. Trattandosi della gravità del caso, gli passai il giornale. Mi ringraziò e il giorno dopo mi fece giungere in busta chiusa una copia della lettera di risposta spedita a quella persona. (Era una caratteristica della sua finezza d'animo quella di partecipare ini­ziative, notizie, ecc. a chi collaborava in qualche modo con lui). Non so come, la superiora aprì la busta e, comprendendo subito di che si trattava, rimase così colpita dall'atteggiamento di carità e di rinnega­mento di sé che pervadeva quello scritto, che alla sera lo lesse a tutta la comunità ».

La lettera iniziava sottolineando un aspetto positivo (sullo schema delle lettere dell'Apocalisse che egli non solo teneva presente quando doveva richiamare, ma che insegnava ad attuare anche ai responsabili di Comunità, ai genitori, agli animatori). Eccone uno stralcio:

« Gentilissimo signore,

ho avuto modo di leggere la Sua recensione sul Vangelo di S. Luca, uscita in "...", nel numero di maggio 1966. Mi permetto di rettificare e delucidare alcune cose. Le dico grazie, sincerissimamente, per la Sua affermazione là dove dice: "Si tratta di uno studio che non ha alcu­n'altra pretesa di quella di edificare spiritualmente i lettori" ». (Era sempre e solo questo lo scopo di ogni pubblicazione di Don Carlo: portare le anime a Gesù, illuminarle con la Parola di Dio). Elenca quin­di con chiarezza, rispetto e competenza cinque punti in risposta ai punti più salienti di quella critica infondata.

E conclude: « Le chiedo scusa se mi sono permesso queste rettifi­che e delucidazioni. Avendo da anni pratica di pubblicazioni e di rivi­ste (oltre che di giornalismo e di studi seri e traduzioni dal tedesco, dall'inglese, dal francese...) so quanto sia necessario essere guardin­ghi e sfumare le proprie affermazioni. Si potrebbe senza accorgersi offrire il fianco a una ritorsione umiliante per il recensore, che non farebbe altro che danneggiare la causa del Cristo per cui tutti noi lavo­riamo ». E poi un'affermazione stupenda: «Le assicuro che di tutto ciò non farò minimamente parola su alcuna pubblicazione (benché ne abbia diritto e amplissima possibilità) per non nuocere a Lei, che sti­mo moltissimo e per cui prego il Signore nella S. Messa. Mi creda sempre Suo cordialissimo amico ».

Dopo qualche tempo la Suora gli chiese se avesse ricevuto qualche risposta da quella lettera. Don Carlo rispose sorridendo: « Mi sono fatto un amico! ».



La Mamma lo vuole

«Negli esercizi spirituali - dice una claustrale - commentando l'espressione di Gesù: "Per questo il Padre mi ama, perché io do la mia vita per riprenderla di nuovo" (Gv 10,17), Don Carlo ci parlò del voto di vittima, cioè dell'offerta totale della vita per la salvezza dei fratelli. L'ultimo giorno degli Esercizi, desideravo chiedergli con­siglio su questo. Chiesi alla Madre di poterlo avvicinare, ma mi rispo­se che non era possibile perché tutta la Comunità aspettava per la Messa. Dissi tra me: "Se è Sua volontà che faccia quello che ho in cuore, il Signore mi darà la possibilità di incontrare Don Carlo, altri­menti sarà segno che da me non lo vuole".

Era la festa dell'Assunta e affidai tutto alla Madonna. La Madre era andata a servire un ospite in parlatorio e mentre andavo ad avvisarla di una commissione, vidi Don Carlo seduto al tavolino di una piccola sala nella posizione a lui insolita di nascondere il volto tra le mani. Non poteva certo vedermi. Eppure si alzò di scatto e mi venne incontro. In quel momento dimenticai del tutto ciò che dovevo dirgli e mi affrettai ad informarlo: "La Madre viene subito a portarle i ci­clostilati". E lui, deciso: "No, non cerco la Madre". Allora mi tornò alla mente quanto volevo chiedergli e glielo esposi, sia pure con un po' di timidezza. Mi rispose con sicurezza: "La Mamma lo vuole". Mi è bastata quella risposta per comprendere la volontà di Dio. E non potrò mai dimenticare il modo con cui ciò è avvenuto».



Pronti a dare la vita

Per i tempi di particolare emergenza, di purificazione della Chiesa e del mondo, diceva di essere pronti a tutto, anche alla suprema testi­monianza del martirio che avrebbe preparato la Chiesa nuova di do­mani, « i cieli nuovi e la terra nuova». Questo lo diceva non solo ai Sacerdoti e alle anime consacrate, ai laici impegnati, ma anche ai gio­vani infondendo una forza di Spirito Santo e un abbandono alla Mam­ma Celeste, per cui non solo non avevano paura di sentir parlare di martirio, ma lo vedevano come un vertice di amore a Gesù, una spin­ta fortissima per la rapida diffusione del Regno di Dio, un dono par­ticolare per « andare a Casa con la veste bianca e rossa ».

Del resto il Papa Giovanni Paolo II afferma: « Il martirio è consi­derato nella Chiesa come un dono particolare dello Spirito Santo. La morte dei martiri è simile alla morte di Gesù sulla croce e dà inizio a una nuova vita. La nostra è un'epoca di eroi della fede, di testimoni e di martiri ».

Diceva Don Carlo: « I giovani daranno la vita per la Chiesa e per il Papa. Costruiranno con Maria la civiltà dell'Amore. Dovranno pa­gare... e tanto, ma ci riusciranno ».



Mi offro per le vocazioni...

Ed ecco un episodio che è un piccolo segno di come lo Spirito di Dio operasse attraverso questa generosità di offerta che Egli stesso su­scitava nelle anime attraverso Don Carlo.

Un giorno, uscendo dal Santuario della Consolata a Torino, si sentì inseguire da un uomo. Quando questi gli fu a fianco, in una via se­condaria, lo fermò e gli disse: « Padre, da tanti anni non vado più in chiesa. Ero entrato in seminario e poi per un'incomprensione di un Superiore ho abbandonato tutto. Stamattina passando di qua mi so­no sentito stranamente spinto ad entrare. Celebrava un Vescovo mis­sionario che sottolineò la grande urgenza di aiuto laggiù nel Brasile. Ho avuto come una folgorazione e ho deciso: partirò come missiona­rio laico ». E gli fece vedere la cartolina con l'indirizzo appena ricevu­ta in sacrestia dal Vescovo. Poi soggiunse: «Ho visto entrare lei in chiesa e non so perché mi ha colpito tanto. Adesso, per favore, mi confessi ».

Quando quell'uomo si allontanò con la gioia del perdono di Dio e lo slancio della sua nuova vocazione, Don Carlo si ricordò che, la sera prima, una Suora malata di cancro l'aveva mandato a chiamare per dirgli: « Fino a pochi giorni fa lottavo, non volevo accettare que­sta dura realtà ormai chiara per me, ma adesso è scesa in me una grande pace. Ho offerto la mia vita al Signore e gli ho detto: "Fa' di me quello che vuoi". L'ho offerta soprattutto per le vocazioni sacerdotali, in par­ticolare per i Sacerdoti che hanno tradito e abbandonato».

Mentre camminava verso Valdocco Don Carlo aveva ora dinanzi due volti; quello emaciato della Suora dagli occhi di luce e quello sca­vato di quell'uomo. Risentiva le loro voci: « Mi offro per le vocazio­ni... »; « ... partirò missionario». E pensava alle stupende vie nasco­ste e sotterranee dell'economia divina nella Comunione dei Santi. Forse quaggiù non avrebbero mai saputo l'uno dell'altra, ma nel piano di Dio quella morte era stata necessaria alla vita.



La morte per la vita

Gli era familiare la piccola parabola di Gesù al capitolo 16 di S. Giovanni: « La donna, sul punto di diventare madre è triste perché è venuta la sua ora; ma quando ha dato alla luce, dimentica i suoi do­lori per la gioia che sia venuto al mondo un uomo. Anche voi adesso siete tristi - spiega Gesù - ma io vi rivedrò e il vostro cuore ne go­drà e la vostra gioia nessuno ve la potrà rapire» (Gv 16,21-22).

Don Carlo aveva sempre di mira il Cielo ed era certissimo che ogni sofferenza sfociava in una nuova fecondità: «Ogni nascita porta con sé una lacerazione» diceva. Soprattutto dopo la nascita del Gam egli sapeva che, legati al suo sì, c'erano migliaia e migliaia di giovani e che la Mamma Celeste per fondare in profondità l'Opera da Lei stes­sa iniziata, aveva bisogno di un piccolo chicco di grano che, caduto a terra, sapesse «lasciarsi andare a picco nella morte come Gesù».

«Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori - dice il libro di Isaia che Don Carlo preferiva fra tutti i testi dell'Antico Testamento -. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore» (Is 53,10). «Amava tanto questo quarto canto del Servo sofferente - dice una persona - e ci consigliava di leggerlo ogni giorno per viverlo. "Si ricordi - mi disse una volta - che la sua è una strada di solitudine; sarà così per tutta la vita. Ma vada avanti: Gesù e la Mamma saranno con Lei. Ha il suo Gesù, di che cosa ha paura?».

Lui andava avanti così. Amava ripetere: «Chi accetta la sofferen­za è una volta nella luce; chi ama la sofferenza è due volte nella luce; chi desidera la sofferenza (non in se stessa, ma per realizzare il piano di amore del Padre) è tre volte nella luce ».

Don Carlo ha percorso quest'ascesa nella luce, passo passo, un sì dietro l'altro giungendo a un vertice di immolazione quando (per mo­tivi e situazioni che non ci soffermiano ad analizzare, ma affidiamo al Padre che tutto sa) si venne a trovare nel dilemma angoscioso di dover scegliere tra la Congregazione Salesiana che lui amava intensa­mente e il Gam, quest'Opera che la Madonna gli aveva affidato per i giovani e che riscopriva in modo nuovo il cuore del carisma stesso di Don Bosco con i tre amori bianchi: l'amore a Gesù Eucaristia, alla Madonna, al Papa e alla Chiesa, con la novità assoluta di lanciare i giovani stessi all'evangelizzazione.



Mi ha donato alla Chiesa

Di quest'ora di Getsemani che rimane nel segreto del Padre, pote­rono sollevare il velo solo poche persone, tra le quali in particolare una Madre Abbadessa di un Monastero che, con grande carità, lo ac­colse e ospitò proprio in questo periodo di intensa sofferenza. Egli trovò in questa piccola Betania un luminoso riferimento, tornando sempre volentieri negli ultimi due anni della sua vita.

«Don Carlo - attesta la Madre Abbadessa - era venuto per la prima volta a predicarci gli esercizi lasciando un grande fervore nella Comunità. Ci promise di tornare; infatti venne alcune volte dopo qual­che Cenacolo nei dintorni. Poi si fermò più a lungo e ci teneva ogni giorno la meditazione sull'Apocalisse e sui Salmi. Una sera arrivò e mi disse: "Madre, devo dirle una cosa: il mio Rettor Maggiore mi ha donato alla Chiesa".

In quel momento io ho capito Don Carlo: la sua grandezza mora­le e il suo valore soprannaturale. Perché? Perché si vedeva che amava intensamente la sua Congregazione, tanto che lo si poteva paragona­re a Melchisedek: senza padre, senza madre... (Eb 7,3): la sua fami­glia era la Congregazione Salesiana. Mi aveva detto in antecedenza che vi era entrato a 9 anni, che fu sempre tanto amato; era la sua cul­la: vi era cresciuto, aveva studiato, aveva esplicato i suoi ideali apo­stolici... Si sentiva in lui un grande amore alla Congregazione; una persona ancorata, un Salesiano entusiasta, gettato nella linea di Don Bosco. Sentirmi dire quella sera tali parole, senza aggiungere altro in un momento in cui si trovava sradicato dalla Congregazione e messo al largo, mi ha colpito profondamente.

Non espresse né un risentimento né un giudizio e neppure aggiun­se delle ragioni pro o contro. Niente. L'ho visto unicamente buttato nella fede, abbandonato totalmente a Dio e alla Mamma Celeste. Al­lora veramente la persona di Don Carlo mi ha impressionato.

E da quel momento l'ho visto evolversi in una maniera sopranna­turale meravigliosa attraverso abbandono, sofferenza, offerta conti­nua in silenzio, senza rimpianti né rammarichi o lamentazioni. Ha sa­puto solo accettare e offrire incominciando la via del Calvario allora in modo del tutto eccezionale. E l'ha percorsa questa via con una ge­nerosità radicale. Ho visto in lui un cambiamento di qualità in manie­ra visibile e unica: prima era una persona entusiasta che attirava i gio­vani, che suscitava fervore, spiritualità..., dopo è diventato - se così si può dire - di qualità divina ».



Capita sempre così agli uomini di Dio

Un Sacerdote gesuita di Torino, P. R., dice: « Ho avuto l'occasio­ne d'incontrarlo la prima volta in un Cenacolo a Maria Ausiliatrice.

Avevo ammirato il tono di spiritualità notevolmente elevato con la spin­ta anche al Sacramento della Confessione, al Rosario e all'amore alla Chiesa. Questo senso di ammirazione per lui venne ribadito notevol­mente in me quando - attraverso incontri con altre persone, soprat­tutto Sacerdoti che conoscevano intimamente la sua vita - venni a conoscenza delle sue vicende che non erano state tutte serene e gioio­se. Il sapere tali cose, suscitò in me una maggior simpatia verso que­sto Sacerdote che ammiravo per l'elevatezza con cui aveva superato tutte queste difficoltà, senza mai recriminare e senza mai sfogarsi ma­lamente con critiche o altro... ». « Capita sempre così agli uomini di Dio - commenta un missionario dell'estremo Oriente che era a cono­scenza delle sue difficoltà e sofferenze -. Noi stiamo quieti, perché non siamo ancora uomini di Dio».



Il Cielo che ci attende è stupendo

La Suora che lavorava nell'orto del monastero dov'era ospitato in quel periodo di prova, lo vedeva - quando non si sentiva osserva­to mentre passeggiava dicendo il Rosario - con un pallore e un'e­spressione che lasciava intuire tanta sofferenza. «Quando però si accorgeva della mia presenza, allora - dice lei stessa - subito sorri­deva, si illuminava tutto nel parlare dei giovani Gam, nel raccontare dei Cenacoli, ma si capiva che in quel momento faceva tacere il cuore che sanguinava.

Più tardi, a questa prova così dura per lui, se ne aggiunse un'altra che gli causò molto dolore (...). Confesso di non aver mai sofferto tanto in vita mia - neppure quando lasciai la famiglia - quanto in quel periodo nel veder soffrire così quel Sacerdote.

Davvero compresi come Dio soltanto poteva sostenere una creatu­ra così e come solo il Paradiso poteva compensare una tale offerta. Mai usciva in qualche parola di critica. Un giorno gli chiesi: "Ma, Don Carlo, mi dica almeno quanto soffre!". Mi rispose: "Eh, il Paradiso è bello. Il Cielo che ci attende è stupendo!"».



Piangeva anche la Madonna

La Suora addetta agli ospiti che andava a portargli un po' di caffè nel pomeriggio, racconta che più volte bussava, ma Don Carlo non rispondeva, tornava a bussare e solo allora usciva. «Aveva il volto gonfio dal gran piangere - dice la Suora - e la veste tutta bagnata davanti. Eppure aveva il sorriso. Gli chiedevo: "Ma, Don Carlo, co­me mai? Cosa è successo?!". Rispondeva: "Eh, Sr. G., piangeva an­che la Madonna, sa!". Lo diceva con un'espressione, con una gioia tale pur nel dolore, che veniva quasi voglia di cercare la sofferenza. Sapeva davvero trasformare il dolore in gioia e lo viveva con un'ele­vatezza tale che mi trasformava dentro. Solo a vederlo così mi dava una testimonianza così viva di Dio e mi faceva capire com'è bello sof­frire in questo mondo per raggiungerlo di là, che non mi occorreva altro per andare avanti nella vita spirituale. Solo a guardarlo io attin­gevo forza nei sacrifici quotidiani con una pienezza di Dio che mi tra­smetteva prima ancora di parlare».



Lo accolse con cuore di padre

Lo consolò moltissimo l'accoglienza paterna di S.E. il Cardinale Corrado Ursi, Arcivescovo di Napoli, che subito lo incardinò nella sua archidiocesi, all'inizio del 1978.

Ma già il 26 settembre 1977 Sua Eminenza gli aveva inviato una lettera stupenda, di suo pugno, che gli fu di grande conforto. Eccola:

Caro Don Carlo,

la santa Chiesa che è a Napoli è pronta ad acco­gliere la S.V. nel suo Presbiterio.

Appena Ella verrà qui, sarà fatto il decreto di incardinazione. Prego il Signore che La inondi della Sua Luce. La dolce Vergine La guidi maternamente.

L'abbraccio con immenso affetto fraterno e La benedico.

+ Corrado Card. Ursi



Don Carlo sentiva - e lo diceva ai più intimi - che nella diocesi di Napoli si sarebbero aperte tante cose nuove per il Gam. E così fu. Solo dal Cielo egli poté vedere l'estensione del Movimento, l'intensità di evangelizzazione e il dono inestimabile dei primi tre Sacerdoti Gam usciti dalle file del Movimento, ordinati dal Cardinale stesso e incardinati nella sua diocesi.

È una trama che la Madonna sta tessendo a poco a poco, per com­piere il disegno eterno del Padre.



Coraggio, Don Carlo, vada avanti

Un altro Vescovo gli fu di incoraggiamento e di sostegno: Monsi­gnor Fausto Vallainc, Vescovo di Alba. Un giorno, prendendolo amo­revolmente per mano, gli disse: « Coraggio, Don Carlo, vada avanti. Ha una croce molto pesante sulle spalle... Ma vada avanti! ».

Don Carlo si commosse. Ogni minimo cenno di approvazione da parte dell'autorità della Chiesa era per lui un segno di approvazione da parte del Signore stesso. Monsignor Vallainc, poco dopo la morte di Don Carlo, concesse ciò che egli aveva tanto desiderato: 1'impri­matur a tutta la stampa del Gam.

Successe a Mons. Vallainc nel settembre '87 Sua Eccellenza Mons. Giulio Nicolini, proveniente dalla Sacra Congregazione dei Vescovi, vice direttore della sala stampa del Vaticano e intimo collaboratore del Santo Padre Giovanni Paolo II. Egli, oltre a ratificare i passi del suo predecessore, si prodigherà, con ansia di pastore, per ottenere ul­teriori approvazioni della Chiesa alla parte consacrata del Movimen­to. Inoltre, il 4 novembre 1989, proprio nel giorno onomastico di Don Carlo, Sua Ecc. Mons. Nicolini conferirà l'ordinazione presbiterale al altri quattro diaconi, incardinati nella sua diocesi. Provenienti essi pure dalle file del Movimento, hanno compiuto la loro formazione nella Comunità "Consacrati del Gam" presso il Santuario di Mombirone a Canale d'Alba, e la loro formazione teologica nello Studentato Teo­logico Interdiocesano di Fossano, frequentando inoltre il sesto anno nel Seminario vescovile della diocesi.

Sua Eccellenza, prendendo a cuore l'intera associazione composta di Sacerdoti e di laici, che - come egli stesso sottolinea nel settima­nale diocesano del 28 - 6 - '89 - « costituisce come "il motore" del Movimento Gam, ossia il gruppo di animazione spirituale e apostoli­ca», ha iniziato i necessari passi presso la Santa Sede per l'erezione canonica in società di vita apostolica.

« Una preoccupazione del pastore - afferma ancora - deve esse­re quella di valorizzare prudentemente il soffio dello Spirito ed i carismi che esso suscita. Nel tempo presente la fioritura di aggregazioni nuove, consentita e incoraggiata dall'ordinamento ecclesiastico che de­dica ampia trattazione alla libertà dei christifideles di associarsi, è un segno positivo. Il Papa, nella Christifideles laici, auspica che tali as­sociazioni, specialmente quelle che hanno una irradiazione nazionale o internazionale, possano ottenere il riconoscimento ufficiale da par­te dell'autorità ecclesiastica.

Il Movimento Gam, approvato come Movimento ecclesiale nel 1981 dall'Arcivescovo di Napoli - specifica inoltre - si è diffuso in varie diocesi italiane e in Argentina, in alcune delle quali ha costituito an­che dei centri di riferimento propri, riscuotendo numerose adesioni, soprattutto tra i giovani, impegnati, sempre in piena sottomissione alla gerarchia, in attività di evangelizzazione.

Tutto considerato, è sembrato giunto il momento di iniziare il cam­mino orientato a far sì che la comunità dei consacrati sia in grado di ottenere, secondo le norme del nuovo codice di diritto canonico, una fisionomia giuridico-pastorale chiaramente definita come società reli­giosa di diritto diocesano».

L'intero Movimento è profondamente riconoscente a Sua Eccel­lenza e a tutte le altre persone della diocesi che per esso si prodigaro­no, soprattutto nel Seminario Vescovile. In maniera tutta particolare Mons. Natale Bussi, grande teologo, mistico e "maestro di intere ge­nerazioni di Sacerdoti e catechisti", che conobbe personalmente Don Carlo e lo appoggiò nei suoi ideali apostolici.

Don Carlo ricordava sempre tutti con umile gratitudine. Egli ave­va visto tutto questo nella fede. « Vedrete - diceva - il Gam entrerà nella Chiesa». E questo pensiero lo riempiva di gioia.