00 21/09/2009 21:30
10 - MITE E UMILE DI CUORE

Un santino in punta di piedi


Maria fu la Vergine dell'umile e silenzioso nascondimento. Don Carlo sulla sua scia fu definito da un giornale cattolico: « Un santino in punta di piedi ». Nel suo atteggiamento, nel suo modo di parlare, nel suo stesso incèdere era così discreto da sembrare quasi scu­sarsi della sua presenza. E sempre ringraziava della presenza degli al­tri. Incarnava ciò che diceva: « L'umiltà è la facoltà, la virtù forse ac­quistata faticosamente di non porsi mai al centro degli avvenimenti e degli interessi ». E commentava un pensiero del Cardinal Journet: "L'umiltà è già adorazione", cioè è rispetto per l'Infinito che abita in noi.

« L'umiltà fu la caratteristica che più mi colpì in lui fin dal primo incontro - dice il dott. G. - Possedeva delle capacità immense, enor­mi e in più aveva una ricchezza interiore traboccante di Parola di Dio, di Gesù stesso. Era un modello di santità. Eppure non faceva pesare niente di tutto questo; non faceva neppure apparire questa sua supe­riorità. Ricordo quando lo scorgevo di lontano attraversare la piazza Maria Ausiliatrice nel primo pomeriggio d'estate, col sole cocente, si­lenzioso, nessuno lo vedeva; entrava nel portone n. 9, saliva le scale, si immergeva nel suo lavoro... Un'umiltà immensa ».



Lasciava a Dio la difesa dei suoi diritti

Un giorno giunse all'aeroporto che il volo era già al completo e in più vi era una lunga lista di attesa. A Roma lo attendevano per un Cenacolo Gam con i militari. Don Carlo, come al solito, non si lasciò prendere da ansia o agitazione, ma si abbandonò alla Mamma. II dott. G. che lo accompagnava, chiese a un signore se poteva gentilmente cedere il posto al Sacerdote, prendendo l'aereo successivo. Questi era rappresentante di una grande ditta. Considerato il caso urgente e con­quistato dall'umile atteggiamento di quel prete sconosciuto, acconsentì. Il cambio fu subito effettuato allo sportello e Don Carlo passò alla sala d'imbarco. Ma quando fu il momento di salire sull'aereo, un altro signore giunto all'improvviso gli passò davanti e consegnò la car­ta d'imbarco dicendo di essere lui De Ambrogio. Don Carlo senza ri­battere nulla tornò indietro. Il rappresentante visto che il suo gesto di generosità era andato a vuoto dopo aver ritardato i suoi impegni, si adirò con i responsabili dello scalo. Don Carlo non ebbe alcuna pa­rola di rammarico o di condanna per chi aveva osato un simile gesto di sopraffazione.

L'aereo ritardò un po', ma decollò ugualmente; ulteriori indagini sarebbero state effettuate allo scalo di Roma. Don Carlo si mise in disparte silenzioso e attese pazientemente il volo successivo. Come sempre lasciò a Dio la difesa dei suoi diritti.

Cinque anni dopo la sua morte, un addetto al servizio accettazio­ne dell'aeroporto, chiese come mai non si vedeva più quel Sacerdote umile, discreto, dal sorriso luminoso. Milioni di passeggeri erano pas­sati da quell'aeroporto, ma gli era rimasta impressa quell'umile figu­ra di Sacerdote.



Come avesse ricevuto un complimento

«Un giorno lo accompagnai nel suo istituto come parecchie altre volte - ricorda un giovane Gam -. Scesi dalla macchina e fatti alcu­ni passi nella piazza sotto il sole cocente, una persona ben nota lo apo­strofò con molta ironia: « Oh, guarda qua, è arrivato "Ave Mamma" ». Io mi sentii ribollire dentro e avrei voluto ribattere per le rime. Ma Don Carlo rispose con un sorriso: "Ah, grazie!", come se avesse ri­cevuto un complimento sincero.

In molte altre occasioni ho potuto constatare il suo atteggiamento umanamente inconcepibile di fronte a chi lo umiliava e derideva. Sor­rideva, ringraziava e con quel suo "grazie" chiudeva ogni discorso, lasciando a volte confuso chi lo affrontava con aggressività. Spesso mi chiedevo fino a che punto arrivasse la sua sofferenza per queste incomprensioni ».

Da dove gli veniva l'atteggiamento di agnello nonostante la sua natura sensibile e pronta? Dal guardare continuamente a Gesù « mite e umile di cuore ».



Voleva baciarmi le mani

« Era tremendamente umile - attesta il portinaio del n. 9 di Val­docco -. Per le commissioni che gli facevo voleva baciarmi le mani. Ogni volta che passava dalla portineria mi sorrideva e spesso mi trac­ciava un segno di benedizione. Ringraziava sempre, per ogni più pic­cola cosa. Sentivo in lui un amore e una bontà che non ho ricevuto mai da nessun altro.

Il lavoro che facevo per lui non mi pesava, non lo sentivo neppure anche se si prolungava fino ad ora tarda. Era come se qualcosa mi spingesse a collaborare. Non sentivo stanchezza. Con tutti Don Carlo era umile e buono. Spesso le persone che venivano a cercarlo si mette­vano in ginocchio davanti a lui e lui faceva di tutto per farle alzare dicendo: "Si alzi, io non sono niente", ma quelle non si muovevano finché non le aveva benedette».

« La sua umiltà ci incantava - afferma un suo confratello coa­diutore salesiano -. Don Carlo tanto colto, mai faceva ostentazione di sé. Si intratteneva con persone povere, anziane; non dava mai im­pressione di fretta, le trattava con la massima dolcezza: era più che manifesto che in loro vedeva il volto del Signore. Sorprendeva il ve­derlo sempre pronto, sempre disponibile. In sessant'anni di perma­nenza in questa casa non ho mai trovato una persona così».



L'umiltà dei Santi

« Alla fine di un Cenacolo Gam - ricorda una persona - i nume­rosi Sacerdoti presenti lo investirono in sacrestia di domande, obie­zioni, critiche anche. Discutevano animatamente tra loro. Io guarda­vo Don Carlo e dall'intervenire rispondendo per le rime a quei toni aggressivi e poco rispettosi, mi trattenne il suo volto di pace che con­servava ancora il sorriso e rifletteva veramente il volto di Gesù, mite Agnello immolato, che aveva appena ricevuto nella Celebrazione Eu­caristica.

Rispondeva all'uno e all'altro con calma e mitezza, per nulla offe­so, cercando di calmare e rasserenare gli animi. Dopo aver ascoltato pazientemente tutti, disse: "La Mamma Celeste penserà Lei..., l'O­pera è sua". Altre volte lo vidi attaccato e criticato per la stampa, lo stile di animazione dei Cenacoli..., ma lui manteneva sempre un at­teggiamento umile e sereno. Mi sembrava di vedere Gesù caricato del­la croce, che camminava sobbarcandosi anche il peso di quelle incom­prensioni. Ho avvicinato molti Sacerdoti e religiosi, ma in Don Carlo ho visto l'umiltà dei Santi».

«Uno dei ricordi più distinti che conservo nel mio cuore - dice un giovane Gam - è la sua grande umiltà e la capacità di perdonare. Eccone un esempio significativo.

Avevamo preparato un incontro di preghiera in Cenacolo Gam in un paese del Cadore dove stava per arrivare il Papa. Tutte le strade erano tappezzate di locandine. All'ora stabilita in comune accordo con il Parroco, iniziò il Cenacolo con Don Carlo e Don Bruno e la chiesa non poteva contenere più persone di quelle che c'erano già. Tutti era­no affascinati e coinvolti dalle parole di Don Carlo quando, ad un certo momento, intervenne il Parroco avvisando Don Bruno che biso­gnava interrompere. Subito Don Carlo, scusandosi con i presenti, an­nunciava una S. Messa celebrata da un Vescovo di passaggio con un gruppo di Sacerdoti. Egli intanto rientrava in sacrestia in tutta mitez­za e serenità.

Tutti, credo, (senz'altro io per primo) ci saremmo un po' risentiti, ma non Don Carlo che pazientemente attese la fine della S. Messa par­ticolarmente lunga nell'occasione, e con la stessa gioia e disponibilità iniziale riprendeva il Cenacolo per le pochissime persone rimaste. Quan­ta umiltà nel sottostare alle esigenze di quella situazione e quanta ca­pacità di perdono ha dimostrato. Interrotto, sballottato da un angolo all'altro della sacrestia, non solo non si è ribellato ma ha saputo capi­re e perdonare».

« Un'altra volta trovandosi di passaggio con Don Bruno presso una parrocchia tenuta da religiosi in un paese della Toscana, vi entrarono per parlare del Gam e proporre eventualmente un Cenacolo. Furono assaliti da una tempesta di critiche e cacciati in malo modo. Don Car­lo ne soffrì molto, ma si limitò a dire: « Ci hanno trattato come due cani randagi, ma anche Gesù fu trattato molte volte così. Lottare e soffrire per il Vangelo è una grazia, dice S. Paolo».



Parlava di Gesù e spariva

« L'umiltà - spiega Don Carlo - è il non sottolineare se stessi.

E questa dimenticanza di sé si può definire anche "castità" essenzia­le. L'umiltà è la verginità dell'anima».

La signorina G., presente a molti Cenacoli, attesta: «Quando le persone calamitate dalla Grazia, che fluiva dal Cielo ininterrottamen­te nei Cenacoli - e lo si constatava anche dalle numerosissime Con­fessioni - affascinate anche dalla sua spiritualità, cercavano alla fine di avvicinarlo per esprimergli gratitudine, egli ringraziava, sorrideva e scompariva dalla porta di servizio».

Questo suo ritirarsi nell'ombra impressionava anche i giovani stessi. « Quand'era il momento più esplosivo della gioia, in un clima di festa al termine del Cenacolo - esprime una giovane Gam - Don Carlo era il primo a scomparire, proprio per farci capire che il protagonista non era lui, ma Gesù e la Mamma Celeste. Lui usciva dalla sacrestia e non lo si trovava più. Eppure tutti rimanevano contenti e continua­vano ad esprimere la gioia cantando e battendo le mani. Chi fosse en­trato in quel momento si sarebbe forse chiesto il motivo di tutto questo, perché in un certo senso mancava il protagonista. Ma noi sapevamo, perché Don Carlo ci aveva insegnato a vedere... l'invisibile ».

Ricorda il suo direttore degli anni di Pordenone: « Don Carlo era un confratello esemplare sotto ogni punto di vista. Non sottolineava mai se stesso o quello che faceva. Anche incontrandolo dopo diversi anni, quando era richiesto in molte parti d'Italia per corsi di esercizi spirituali, ecc. riferiva i suoi impegni senza darsi la minima importan­za. Colpiva la semplicità e il candore con cui raccontava le cose sue come fossero cose di altri ».

« In tante occasioni avrebbe potuto mettersi in vista, atteggiarsi..., ne aveva tutte le qualità - dice una giovane Gam - ma non l'ha mai fatto ».

E un giovane: « Don Carlo aveva una preparazione tale da poter aspirare a ricoprire cariche importanti ed essere considerato sia in cam­po religioso che sociale. Ma ha preferito farsi piccolo e umile per es­sere vicino a noi giovani e a quelli come noi, perché potessimo cono­scere la Via, sapere la Verità, vedere la Luce».

Incarnava veramente la Parola e l'atteggiamento di Gesù: "Io so­no in mezzo a voi come uno che serve" (Lc 22,27).

« Non è facile parlare di Don Carlo - dice un altro giovane Gam - perché veniva tra noi, parlava di Gesù e spariva ».



Gli consegnò anche una busta

« In un Cenacolo in Liguria con grande partecipazione di popolo - ricorda un giovane Gam adesso Sacerdote - iniziavano le Confes­sioni. Di fronte a Don Carlo una lunga fila attendeva. Però essendo l'ora stabilita della Messa, il Parroco non volle affatto protrarre l'o­rario e strappò a forza Don Carlo portandolo in sacrestia. Noi giova­ni lo seguimmo e potemmo vedere il suo silenzio fatto di mitezza e di abbandono. Senza una parola vestì i paramenti e celebrò la S. Mes­sa, facendo l'omelia con la sua solita gioia di sempre. Tornato in sa­crestia salutò cortesemente il Parroco consegnandogli anche una piccola busta di offerta. Non un commento e neppure un accenno a ciò che era successo.

Dopo qualche giorno raccontò di questo bel Cenacolo ai giovani e ai collaboratori, ma questo fatto passò sempre sotto silenzio. Ancor oggi ripensando a quest'esperienza mi chiedo fino a che punto Don Carlo fosse abituato al rinnegamento di sé».



Sotto il livello degli altri

« Ciò che mi colpì molto all'inizio - dice un giovane Gam - è la semplicità con cui anche nei Cenacoli spiegava concetti molto pro­fondi e difficili. Erano argomenti del tutto nuovi per noi che non ave­vamo fatto studi di teologia, eppure riusciva a portarli al nostro livello, rendendoli comprensibili e facendoceli gustare. Alla fine ci si accor­geva di aver assimilato quello o quell'altro concetto di fede e questo era per noi motivo di crescita spirituale e di incitamento a proseguire nell'evangelizzazione per dare agli altri ciò che noi avevamo ricevuto ».

« Era molto umile e semplice nel parlare di Dio - esprime una vec­chietta -. Non avrei mai voluto che finisse la predica e la Messa cele­brata da lui».

Solo l'umiltà sa abbassarsi al livello di chi ci sta dinanzi, anzi - ripeteva spesso - « per annunciare il Vangelo occorre mettersi sotto il livello degli altri, come Gesù ».



Io sono a suo servizio

« Dio vuole che mendichiamo sempre dagli altri - diceva ancora.

Esige da noi che la nostra umiltà prenda la forma di un mendicante in tutte le situazioni della vita, anche quando il nostro amore viene respinto. Vuole che si sia lì con la nostra presenza, che si faccia del bene senza farsi accorgere, che si rimanga lì come mendicanti ».

Don Carlo assumeva sempre questo atteggiamento.

« Quando ancora mi trovavo nella vita apostolica - dice una clau­strale - a volte capitava che giungevo all'istituto dove stava confes­sando quando ormai era già sceso in portineria e stava uscendo. Nonostante i suoi molteplici impegni tornava subito indietro e poiché mi scusavo del ritardo, diceva: "No, no, non deve chiedere scusa: io sono a suo servizio". Colpiva questa gratuità del dono, questo atteg­giamento del servo. Tutto questo dilatava l'anima e si usciva raggianti ».



Non dire "padre"

Don Carlo viveva sempre nelle profondità dell'essere e dell'amare perché faceva continuamente spazio a Dio e agli altri vivendo l'umiltà fin nelle sue più delicate sfumature.

Non voleva, ad esempio, essere chiamato "padre" per un'atten­zione delicata alle parole di Gesù: «Non chiamate nessuno padre sul­la terra, perché uno solo è il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 23,9).

« Un giorno salutandolo - racconta una Suora - gli dissi: "Gra­zie, padre". Una bambina lì presente interruppe: - Non dire "pa­dre", ma "Don Carlo"! I bambini lo comprendevano al volo».



Giù, baci terra

« Umiltà - diceva - significa sopportare l'oscurità di questo mon­do e trasformarla pazientemente in luce, soprattutto l'oscurità del no­stro mondo interiore, del nostro io ».

«Un giorno che ero ancorata ai miei diritti e punti di vista - ri­corda una Maestra delle novizie - con i quali giustificavo qualche ri­sentimento verso una Sorella - con tono del tutto insolito mi riprese seriamente e mi ingiunse di inginocchiarmi a baciar terra, dicendomi che potevo andarmene a casa se non sapevo superare queste difficoltà dovute all'amor proprio e all'orgoglio. Mi stupì molto questo suo at­teggiamento perché era invariabilmente di una dolcezza straordinaria, ma l'efficace effetto che operò su di me mi portò a pensare che egli fosse in quel momento ispirato dallo Spirito Santo. E da quella volta prima di andare da lui pregavo il dolce Ospite che gli suggerisse quel­lo che la Mamma Celeste si attendeva da me».

« Mi ha aiutata a controllare il mio carattere esuberante e orgo­glioso, senza mai dirmi parole mortificanti - dice una claustrale -. Quando nel colloquio uscivo con un'impulsività o un giudizio poco umile e caritatevole, mi diceva con dolcezza: "Giù, baci terra", op­pure faceva un sorriso significativo, o uno sguardo, dal quale io capi­vo la necessità di assumere un atteggiamento umile che non era dav­vero naturale in me».



Sarebbero una mollezza

L'umiltà si esprimeva in lui anche con la povertà e il distacco dalle cose. Per lui tutto andava bene, tutto era sempre anche troppo. So­prattutto accoglieva ogni cosa come un dono.

Un giorno, una piccola Comunità di Consacrate lo vide arrivare d'inverno in bicicletta con la sola veste. Andarono subito a compera­re un cappotto che accettò come una delicatezza della Mamma Celeste.

Accettava però solo il necessario, non il superfluo e le ricercatezze. Una volta infatti altre Suore gli regalarono un paio di pantofole calde e morbide, rivestite all'interno con peli di agnello. Don Carlo ringraziò, ma rifiutò con gentilezza motivando: «Sarebbero una mollezza ».

« Lo vedevamo sempre con la stessa veste, ordinata, ma ormai un po' logora - attesta il cognato di Torino -. Solo una volta lo ve­demmo con una bella veste nuova: quando dovette andare a Roma come traduttore di latino al Capitolo Generale».



Mamma, guarda che scarpe ha lo zio!

Un giorno, dovendo passare per Vicenza con alcune persone, die­de appuntamento ai parenti nella Basilica di Monte Berico. Venne la sorella Lucia con i due bambini. Don Carlo celebrò con viva gioia e trasporto davanti a quell'immagine della Madonna dal manto aperto che gli richiamava tanti ricordi della sua fanciullezza. Il nipotino più grande gli serviva Messa e ricorda ancora adesso che dall'emozione rovesciò il vino. Il più piccolo, che non perdeva una mossa dello zio all'altare, a un tratto toccò il braccio della mamma indicandolo men­tre faceva proprio in quel momento la genuflessione:

- Mamma, mamma, guarda che scarpe ha lo zio! - Che scarpe ha?

- Con i buchi. E ci ha messo dentro una cartolina per ripararli. La sorella constatò che le cose stavano veramente così e alla fine della Messa invitò il fratello a passare al paese per comprargliene un paio di nuove.

Don Carlo si schermì: « No, no, sono buone queste! ». Fece una breve visita al paese per far contenta Lucia (andava così raramente a casa e quelle poche volte vi si fermava solo qualche ora di sfuggita). Ma non volle saperne di scarpe nuove. E proseguì con quelle bucate per Milano dov'era atteso per una conferenza importante.

La sorella ricorda chiaramente che qualche tempo prima la mam­ma gliene aveva fatto dono di un bel paio di nuove. Ma egli le aveva subito regalate. Amava essere povero con Gesù povero.



Povertà, Sorella, povertà

« Donava sempre tutto » commenta la sorella Lucia. Anche la so­rella Renata sottolinea la sua generosità senza limiti. Le rare volte che andava a farle visita a Torino gli regalava sempre un vassoietto di dolci. Ed egli li regalava subito, talvolta allo stesso tranviere per i suoi bambini.

Una Suora dell'Istituto "Figlie di S. Giuseppe" di Torino - dove per alcuni anni Don Carlo andava a confessare - ricorda di averlo visto portarsi là, in collina, sempre in bicicletta, con qualsiasi tempo, anche d'inverno.

Un giorno una Suora gli disse: «Don Carlo, prenda almeno il tram! ». E lui: « Povertà, Sorella, povertà ».



11 - CHI RIMANE NELL'AMORE RIMANE IN DIO (1 Gv 4,16)

In ognuno è presente Gesù


« L'umiltà - afferma Don Carlo - sfocia necessariamente nella carità, come il fiume sfocia nel mare».

Una notte, mentre assisteva il papà all'ospedale, sentì il lamento di un altro malato vicino. Don Carlo gli si accostò amorevolmente e comprese che in quelle condizioni non avrebbe potuto riposare. L'in­fermiere notturno, dovendo occuparsi di molti malati, rimandò quel servizio al mattino. Don Carlo allora con delicatezza materna se ne occupò lui: lo lavò, gli indossò indumenti puliti e gli rifece il letto con lenzuola fresche. Lo trattò come fosse suo padre.

Quell'uomo che non aveva nessuno si commosse fino alle lacrime e non finiva di ringraziare per la bontà e la degnazione di quel "prete buono".

« L'amore vero - diceva sempre - non si vergogna di nessun ab­bassamento. Non dice: "La mia dignità, il mio prestigio me lo proibi­scono", no, guarda solo al bene degli altri. Ogni persona è qualcosa di stupendo. In ognuno è presente Gesù: —In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più picco­li, l'avete fatto a me" (Mt 25,40) ».



Una caramella e un sorriso

« Un giorno passando vide degli operai che scaricavano un camion - dice un giovane Gam adesso Sacerdote -. Don Carlo si fermò, li salutò uno ad uno per nome regalando a tutti una caramella. E si con­gedò sorridendo. Lo vidi più volte compiere questo piccolo gesto di attenzione con varie persone ».

Ci fu un anziano signore di un paesino di montagna che conservò per anni come un prezioso ricordo una caramella ricevuta da Don Car­lo. L'aveva incontrato mentre lavorava nel campo. Don Carlo gli ri­volse qualche parola di saluto e di interessamento e poi trasse di tasca quel semplicissimo dono e glielo porse con il suo sorriso. Quell'uomo dopo anni lo mostrava con commozione e diceva: «Me l'ha data un santo!».

Per chi ama, nulla è troppo piccolo o trascurabile. Don Carlo vi­veva costantemente nell'amore e lo irradiava.

«Aveva finezze veramente uniche - attesta una Suora - che invita­vano alla fiducia, all'apertura ».

« Sorrideva sempre - dice un giovane Gam ora Sacerdote - di un sorriso che veniva dall'anima. Alla fine dei Cenacoli cercavo a volte di avvicinarlo e notavo che anche se era intento a parlare seriamente con qualche persona, appena vedeva un giovane, subito si illumina­va. Io penso che i Santi abbiano sempre motivi di sofferenza, però Don Carlo si presentava sempre con un sorriso splendido. È la carat­teristica che più ricordo di lui e che mi aiuta a imitarlo nel dimenticar­mi quando per qualche sofferenza mi è difficile sorridere».

« Il sorriso è un dono di carità - spiega Don Carlo -. È uno dei doni più meravigliosi che Dio abbia fatto all'uomo, perché è manife­stazione di vita profonda. Gli animali non sorridono; solo l'uomo lo può».

«Il suo sorriso aveva qualcosa di magnetico - dice un altro gio­vane Gam - non ci si stancava mai di guardarlo».



Dietro quel sorriso...

« Per gli altri Don Carlo era solo sorriso - dice un altro giovane che lo accompagnò in molti Cenacoli -. Quando si addormentava in viaggio allora notavo sul suo volto i segni di una grande stanchezza, ma non appena si svegliava, si atteggiava subito al sorriso. Da questo e da altre circostanze dolorose compresi come dovesse costargli sfor­zo il sorridere costantemente. Ricordo il giorno in cui lasciò Valdocco e venne al Centro Gam di Via S. Giuseppe Cottolengo, 26. Lo acco­gliemmo in pochi intimi, facendogli un po' di festa. Don Carlo sorri­se, un sorriso di cielo, ma straziante, in cui traspariva la sofferenza di Gesù stesso».

« In quella stessa occasione - ricorda un'altra persona - durante la Celebrazione Eucaristica, disse: "Ecco, adesso sono tutto per voi, tutto per il Gam". Ci commosse profondamente questa eroica dimen­ticanza di sé fatta con tanta serenità. Al termine della Messa gli offrimmo un mazzo di rose rosse e lui subito le donò a una persona lì presente che piangeva».

« Attraverso il sorriso di Don Carlo, un sorriso splendido e trasfi­gurato ho capito veramente la gioia del Paradiso » dice un giovane Gam.



Lo raggiunse e lo abbracciò

« L'uomo ha più bisogno di attenzione e di rispetto che non addi­rittura di pane - diceva - perché porta in sé il sentimento della pro­pria importanza, del proprio valore, della propria dignità suprema. Avverte, anche se confusamente, che è Figlio di Dio; sente di essere qualcuno di infinitamente prezioso ».

Don Carlo lo teneva presente sempre, anche con i più emarginati e disprezzati.

Un giorno, mentre scendeva le scale di un istituto, vide che la por­tinaia s'impazientì con un povero venuto a chiedere l'elemosina e lo cacciò in malo modo. Don Carlo non disse nulla, attese che il povero uscisse, poi affrettò il passo, lo raggiunse e lo abbracciò nel mezzo della piazza. Quel gesto significò per quell'uomo umiliato molto più di una ricca somma.



So che li ricorda ancora

« Non so come potesse chiamarci per nome in mezzo a tutte le per­sone che conosceva » - dice una signora -. Eppure, appena ci vede­va, ci salutava per nome ».

E una giovane Gam: « Alla fine di un Cenacolo, il primo a cui par­tecipai, venne tra noi per salutarci; si trattenne solo pochi minuti, ci diede la mano e chiese tutti i nostri nomi che ricordò sempre. So che li ricorda ancora dal Cielo ».

« Il nome - spiegava Don Carlo - è il vocabolo più gradito. Sen­tirsi chiamare per nome piace subito e dà gioia ».



Un amore che intuiva

«Aveva sempre gli occhi aperti sugli altri, soprattutto sui giovani - dice una giovane Gam -. Coglieva ogni piccola cosa e sapeva sempre come rincuorare. Ricordo che alla fine di una giornata stupenda di preghiera a conclusione dei primi Campi-missione Gam a Taglia­cozzo, tutti eravamo tristi perché le missioni estive erano finite e ognuno doveva tornare nella propria città o regione. Don Carlo si avvicinò a noi e con un sorriso di cielo ci disse: "Coraggio, avanti! Vedrete che presto faremo un incontro di preghiera a Firenze, a metà strada, per tutti!". Bastò questo per partire con tanta gioia e tanta voglia di evangelizzare. Don Carlo conosceva a fondo i giovani e comprendeva le loro debolezze».

« Una sera mi sentivo triste e solo, con una gran voglia di piangere - ricorda un altro giovane Gam -. Ero solo in una stanza à piano terra di una Casa religiosa e Don Carlo si trovava al secondo piano. Dopo un po', non so come, scese e vedendomi in lacrime si interessò amorevolmente di me. Scoppiai in un pianto dirotto ed egli allora mi prese delicatamente per mano e mi portò all'aperto. Era ormai buio e la strada deserta. Mentre camminavo gli dissi che non mi capivo, non sapevo spiegare il motivo di quell'angoscia. Allora mi invitò a in­ginocchiarmi lì sull'asfalto e mi fece un piccolo esorcismo, benedicen­domi. Subito ogni ombra si dileguò e ritornai sereno».



Rimandi ciò che ha intenzione di fare

« Quando riuscivo a trovarlo andavo a confessarmi da lui - atte­sta una signora di Ivrea -. Una volta, al termine della Confessione, rimase qualche istante in silenzio a occhi chiusi e senza che gli manife­stassi nulla, mi disse: "Quello che ha intenzione di fare, lo rimandi". Niente più. La mia intenzione era di partire per Aosta per andare da mio figlio. Ripensando alle parole di Don Carlo rimandai la parten­za. Fui colta infatti da grave malore e se fossi stata in viaggio avreb­bero dovuto fermare il treno e farmi ricoverare all'ospedale più vici­no. Invece mio figlio fu avvertito con urgenza di portarsi subito da me ».

Una Suora che assisteva la mamma molto grave, alla sera aveva il terrore di trascorrere la notte all'ospedale, tanto più che si erano verificate delle scosse sismiche allarmanti. Don Carlo le diede la pos­sibilità di telefonargli ogni sera alle 19. Qualunque cosa stesse facen­do, qualsiasi colloquio, interrompeva e si portava al telefono: la incoraggiava con qualche Parola di Gesù, assicurandole la presenza della Mamma Celeste. La Suora trovava così la forza di rimanere a veglia­re la mamma.

« Si vede bene solo col cuore - ripeteva sempre, riportando un'e­spressione di Antoine di Saint-Exupery nel suo libro: "Il piccolo prin­cipe" -. Si vede bene solo col cuore, cioè con l'amore». E commen­tava: « Quando Gesù dice a Tommaso: `Metti la tua mano nel mio costato -, nel mio Cuore, è perché si vede e si opera bene solo col Cuore di Dio».



Grazie, perché esiste

«Si accorgeva di ogni piccolo servizio che gli veniva offerto, rin­graziava per ogni minima attenzione - attesta una claustrale. Si ve­deva per questa sua gratitudine e delicatezza che era stato formato al­la scuola della Mamma Celeste».

« Ripeteva sempre un grazie di cuore a chiunque lo avvicinava, lo salutava, lo... criticava - dice un giovane Gam -. Ringraziava an­che solo per la semplice presenza».

« Ma io non ho fatto proprio niente, perché mi ringrazia? » gli dis­se una volta una persona. E lui: «Grazie, perché esiste».

Alla fine di un Cenacolo Gam in S. Marco a Venezia, il patriarca Luciani, che aveva seguito il Cenacolo, si congratulò con lui e lo invi­tò in Vescovado a prendere il caffé intrattenendosi a lungo. Don Car­lo non finiva di raccontare quella finezza ricevuta.

« Dite sempre grazie - sottolineava - perché è più quello che ri­ceviamo di quello che doniamo. La riconoscenza è un dono bellissimo di carità».



Non era una santità che scostava

Un confratello coadiutore vissuto accanto a lui per vent'anni a To­rino scrive: « La bontà di Don Carlo era illimitata; tanti confratelli e altre persone ricorrevano a lui per una poesia, una lettera, un com­ponimento, la correzione di bozze... Per tutti immancabilmente si pre­stava; ogni richiesta era soddisfatta in breve tempo e accompagnata da un sorriso che conquistava. Colpiva la sua continua disponibilità. Era amico di tutti. Aveva un alone di santità, ma non era una santità che scostava e intimoriva, no, non si aveva mai paura di avvicinarlo, di disturbarlo: era alla portata di tutti e accoglieva sempre con il sorriso ».

E il suo direttore di Pordenone: « Era molto cordiale, buono, gen­tile sempre, con tutti; tollerante e paziente in ogni circostanza. Era amico di tutti, sia dei confratelli che dei giovani; ne guadagnava la stima, l'affetto, la simpatia con quella sua bontà e benevolenza, an­che per il suo carattere sereno, ottimista e per quella sua apertura cor­diale verso tutti, senza riserve ».

« Aveva un tratto tutto particolare di dolcezza, di bontà, di finez­za - attesta un Parroco - che non erano diplomazia, ma carità evan­gelica ».

« L'invidia, la ricerca di sé, l'orgoglio erano totalmente alieni dal­la sua struttura, vorrei dire psichica, prima che spirituale - afferma ancora il suo direttore -. Era tanto semplice e buono, sempre dispo­nibile e molto intelligente nell'afferrare il nocciolo di ogni situazione e necessità di lavoro di qualsiasi tipo: improvvisava, risolveva tutto con la sua calma e serenità e passava ad altri doveri senza cercare l'ap­plauso e l'affermazione di sé».



Un'improvvisata di gioia

Faceva continuamente esperienza di quanto afferma il discepolo prediletto:

«Dio è Amore, chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio in lui» (1 Giovanni 4,16).

«Nella misura in cui siamo cristiani - diceva - dobbiamo pro­curare agli altri la gioia di sentirsi amati».

« La sua gioia era quella di donare, donare sempre - afferma una Suora inferma da lui visitata - lasciare un sorriso di comprensione, di bontà, un parola d'incoraggiamento e di fiducia».

Un giorno, dopo aver animato per un'intera mattinata la prima parte della Giornata-Cenacolo di Formula 1 ad Imperia, nel tempo del pranzo si recò all'ospedale sanatoriale di Cipressa-Aregai di S. Lo­renzo per la visita a questa Suora ammalata.

Fu per lei un'improvvisata di gioia, un dono inatteso. Le parlò di Gesù, si rese disponibile per la Confessione e le lasciò una gioia di cielo. Il suo pranzo? Un bicchier d'acqua chiesto alla Suora. Erano le 14: rimaneva giusto il tempo per tornare e continuare il Cenacolo con i giovani.



In tempo per dare gli ultimi tocchi

Una Suora aggravatasi venne dimessa dall'ospedale: non c'era più niente da fare. Cosciente del suo stato e prevedendo prossima la fine, pregò di avvisare Don Carlo. Lo cercammo con urgenza ma si seppe che era partito per Milano e non si sapeva come rintracciarlo. Una sera, verso le 23, Don Carlo telefonò che era in viaggio di ritorno da Bari e pregò di avvisare l'inferma di stare tranquilla che sarebbe giun­to in tempo: la Mamma Celeste ci avrebbe pensato. Con grande sor­presa e conforto di tutti Don Carlo giunse davvero in tempo per dare gli ultimi tocchi alla preparazione di quell'anima all'incontro con lo Sposo divino. Chi l'aveva avvisato? Nessuno lo seppe spiegare.

Interrogato, si limitò a dire: «Le avevo promesso che sarei stato presente in quell'istante».

Avvenne lo stesso per un'altra Suora ammalata grave, Suor Gia­cinta dell'Istituto Cottolengo di Torino. La consorella infermiera che l'assisteva, invitava sempre Don Carlo a farle visita, ma essendo mol­to impegnato non riusciva mai ad andare. Le mandava a dire di non andarsene in Paradiso prima che egli arrivasse e di stare certa che la Madonna l'avrebbe fatto giungere in tempo. Intanto la Suora era or­mai andata in coma ed egli era fuori città. Finalmente l'infermiera riuscì a trovarlo e lo pregò di far presto, che rimanevano ormai poche ore. Sciolti gli impegni più urgenti, Don Carlo andò. Da più giorni Sr. Gia­cinta non riprendeva più conoscenza. Appena Don Carlo la chiamò per nome, aprì gli occhi e sorrise. Poi si assopì nuovamente. C'erano i parenti nella stanza; egli le si sedette accanto e, curvatosi, le sussur­rava all'orecchio parole di Gesù sul Cielo, le parlava della gioia che l'attendeva e dell'amore della Mamma Celeste che era venuta a pren­derla. Dopo due ore Sr. Giacinta era già a Casa.

La sorella chiese poi a Don Carlo che cosa le avesse suggerito al­l'orecchio e come facesse Sr. Giacinta a intenderlo parlando così som­messamente. Sorrise e rispose: «Penso che la Mamma lì presente le abbia trasmesso ogni parola e sono certo che Sr. Giacinta ha compre­so tutto. Ciò che le ho detto rimane un segreto per quell'anima».



L'emorragia cessò

« La carità - soggiungeva - ci porta fuori dalle strettezze del no­stro io e realizza tutto, perché è efficace come la Parola di Dio». Una persona attesta: « Don Carlo aveva una carità straordinaria. Poiché aveva notato la mia timidezza, era lui a chiamarmi e a salutare per primo. Mi diceva: "La Mamma le vuole tanto bene". Non so dire cosa provavo nell'anima a queste parole; qualcosa di divino mi inva­deva. Un giorno in guardaroba mi fu consegnata una sua maglia per­ché vi aggiustassi il colletto. Raccolsi quel ritaglio in un sacchettino, pensando che apparteneva ad un santo, lo deposi in un cassetto e lo dimenticai. Un anno dopo, nella primavera del '79, alcuni mesi prima che Don Carlo mancasse, fui presa da malessere e da un'emorragia che durava ormai da parecchi giorni. Non volevo sottopormi ad alcu­na visita medica e un giorno lo dissi a Don Carlo che comprese subito e rispose: "Non abbia timore, si affidi alla Mamma. Vedrà che non avrà bisogno di medico".

Intanto la situazione peggiorava e il giorno di Pasqua mi sentii pro­prio male. Rimasi a letto tre giorni e alzandomi riprese l'emorragia. Un giorno mentre cercavo qualcosa nel cassetto scorsi il sacchettino con il famoso colletto.

Sentii chiara un'ispirazione: "Mettilo addosso". Appena l'ebbi ac­costato avvertii un fremito in tutta la persona; subito cominciai a sen­tirmi meglio e l'emorragia cessò.

Sono passati ormai dieci anni e sono sempre stata bene ».

Se gli si faceva notare ciò che avveniva in modo anche straordina­rio, come in questo caso, non si stupiva affatto, ascoltava come se la cosa non riguardasse minimamente la sua persona e immancabil­mente riferiva tutto alla Madonna: « Dica grazie alla Mamma. È Lei che ha fatto tutto ».



Sarà un fiorellino della Madonna

Un altro fatto straordinario depongono i coniugi B. di P. (Vene­zia) per la loro secondogenita M.G.

« La nostra bambina - racconta la mamma - doveva morire pri­ma ancora di nascere. Già dai primi mesi iniziarono serie complica­zioni e i medici negavano ogni speranza di poterla salvare. Le due sorelle di mio marito, claustrali di un monastero dove andava Don Car­lo, gli presentarono il caso chiedendogli preghiere. Don Carlo assicu­rò: "Dite di aver fiducia e di affidarsi alla Madonna, che tutto andrà bene: la bambina nascerà; sarà piccola e gracile ma nascerà".

Con tanta fede volli portare a termine questa maternità, anche se per diversi mesi dovetti stare a letto sempre e solo sul fianco destro, e comunicai la mia decisione all'équipe medica.

Al settimo mese i medici la giudicavano già morta e volevano pro­vocarne la nascita. Non successe nulla di nuovo e dicevano: "È un mistero!".

Intanto Don Carlo mi mandava sempre a dire: "Coraggio e fede, che senz'altro la creatura nascerà".

Qualche tempo prima avevo visto in sogno la Madonna che mi sor­rise e mi disse: "Nascerà una bambina; sarà piccola, ma nascerà e vi­vrà". Infatti è nata mercoledì 29 marzo 1978, qualche giorno dopo la festa dell'Annunciazione.

Tre giorni prima, e cioè domenica 26, giorno di Pasqua, sentii un grande desiderio di scendere a Messa e fare la S. Comunione. Con gran­de stupore di tutti, il professore me lo permise. Più tardi, inspiegabil­mente, i medici risentirono il battito del cuoricino e tentarono l'ope­razione.

Intanto Sr. T. riferì la notizia a Don Carlo, che si trovava di pas­saggio al monastero. Dopo un po' Don Carlo stesso la chiamò per ci­tofono e le disse: "In questo momento la cognata ha bisogno di pre­ghiera. Le suggerisco questo: vada nella sua cella, si stenda a terra e preghi il Rosario; lo stesso farò anch'io".

La bambina nacque, così piccola che la portarono d'urgenza al­l'ospedale di P. e la tennero parecchio tempo in incubatrice. Era mol­to gracile e accusava insufficienza respiratoria. Dopo varie difficoltà e peripezie riuscimmo ad averla a casa e la portammo da Don Carlo al monastero. La prese in braccio, la benedisse e aggiunse: "Questo è un fiorellino della Madonna. Da grande sarà consacrata a Dio". Ci disse anche che per i traumi subiti sarebbe cresciuta lentamente e si sarebbe aperta a poco a poco, però avrebbe raggiunto la normalità.

"Dopo quella benedizione - sottolinea il papà - la bambina ha cominciato a migliorare sensibilmente, in maniera prodigiosa, con sor­presa dei medici stessi".

Tutto si è verificato come Don Carlo aveva previsto e adesso, a più di dieci anni di età, la bambina sta bene di salute, è forte e robusta e acquista sempre più scioltezza anche nell'esprimersi.

Continuiamo tuttora a ricordare con viva gratitudine Don Carlo, teniamo in casa il quadro con la sua fotografia e continuiamo a pre­garlo di vegliare sulla nostra M.G. e su tutta la nostra famiglia ».

Con estrema semplicità era sempre presente là dove c'era qualche sofferenza da confortare o qualche occasione per donare.



Doppia tariffa taxi

Un pomeriggio dovendo recarsi per un impegno urgente appena fuori Torino, chiese la gentilezza a una giovane del Centro Gam di chiamare un taxi. Data la lunga attesa al telefono, la giovane pensò che fosse stata interrotta la linea e chiamò un altro centralino di servi­zio. In breve tempo giunsero contemporaneamente i due taxi e gli au­tisti cominciarono a litigare tra loro. Don Carlo con la sua calma se­rena li rappacificò. Chiese ad uno dei due quale fosse la spesa del tra­gitto, l'arrotondò con una buona mancia, com'era solito fare, e salì con il secondo. Così tutti e due rimasero soddisfatti e stupiti di tanta larghezza di cuore.

Un'altra volta capitò un piccolo incidente in viaggio per un Cena­colo. Il giovane che l'accompagnava volle fargli la cortesia di chiu­dergli lo sportello dell'auto e lo fece con tutta l'energia possibile per assicurarsi che fosse ben serrato. Nel frattempo però anche Don Car­lo dall'interno faceva la stessa manovra, per cui un dito rimase impri­gionato nella chiusura della portiera. Fu necessario azionare la mani­glia con la chiave per riaprire.

Il giovane e il benzinaio lì presente pensavano che il dito si fosse tranciato o si fosse spezzato l'osso, ma Don Carlo, con il suo imper­turbabile sorriso, disse: « Grazie, non è niente, niente... ». E volle su­bito riprendere il viaggio. Strada facendo notò la pena e il disagio di quel giovane. Allora con il gesto della mano a lui familiare, lo chiamò per nome, dicendo: « Avanti con gioia! ».



La pedagogia di Dio

« Era commovente la sua bontà con i bambini subnormali del no­stro istituto - afferma la direttrice di un'istituzione per bambini han­dicappati -. Una volta da Novara doveva recarsi a Milano per prele­vare le medaglie Gam da offrire in dono alle universitarie in un Cena­colo nel pomeriggio. Poiché nessuno poteva accompagnarlo, si rivol­se a noi e subito gli fu mandato un autista. Al ritorno si fermò a pran­zo da noi e si intrattenne a lungo con i bambini. Parlò loro di Gesù con tanto slancio come se fossero bambini dotati di intelligenza nor­male. "La Parola di Dio - ci diceva - oltrepassa le categorie menta­li e penetra nelle anime per la potenza dello Spirito Santo". Infatti seguendo il suo consiglio facevamo ogni giorno un piccolo Cenacolo Gam, spiegavamo loro le parabole di Gesù e con nostra sorpresa e stu­pore di tutta l'équipe psico-pedagogica sorprendevamo i bambini che abitualmente non dicevano una parola, a leggere in chiesa da soli sui libriccini Gam brani del Vangelo. Avvicinandoci, notavamo che il li­bretto era capovolto: ripetevano esattamente a memoria.

Così pure si organizzavano spontaneamente a fare i Piccoli Cena­coli con il Rosario e i canti Gam e com'erano felici di far loro! Qualcuno dei più irrequieti calmava la sua aggressività ascoltando le musicassette Gam e accompagnando contemporaneamente i canti alla batteria. Passava ore e ore così, mentre prima si scaricava sui com­pagni ed erano "lai e guai" continui.

Quel giorno Don Carlo volle regalare le medaglie prima ai bambi­ni, anche se poi non ne avrebbe avuto a sufficienza per le universita­rie. Spiegò: "La Mamma predilige questi piccoli che soffrono". E in­trattenendosi con loro si lasciava - cosa del tutto insolita per la sua riservatezza così delicata - abbracciare e baciare, dissumulando l'i­nevitabile ripugnanza per le tracce di saliva miste a bava, che gli la­sciavano sulle guance e sulle mani».

Aveva detto: « La carità ci porta a rispettare i deboli, i piccoli, per­ché la grandezza di Dio splende in loro. È una grandezza avvolta di mistero. Gesù ha delle parole stupende: "Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli perché vi dico che i loro Angeli nel Cielo vedono sempre il volto del Padre mio" (Mt 18,10) ».



Non mandava mai via nessuno

« Venivano tante persone a chiedergli aiuto finanziario - raccon­ta il portinaio del n. 9 di Valdocco -. Don Carlo non mandava mai via nessuno a mani vuote. A volte erano veramente povere, altre vol­te, soprattutto trattandosi di immigrati ancora giovani, di cui cono­scevo bene la posizione, gli dicevo: "Ma, Don Carlo, non hanno mica bisogno di aiuto questi, potrebbero andare a lavorare!". E lui: "No, no, S., continuiamo sempre a fare il bene. A tutti".

E andava anche in casa a portare aiuti. Nelle feste di Natale non dimenticava nessuno: andava personalmente a bussare alle porte di queste famiglie povere e consegnava denaro e altri doni ».

« Noi della portineria - dice una Suora - avevamo la possibilità di andare in cucina a prendere qualcosa da mangiare per i poveri, ma non potevamo dar loro dei soldi. Quando Don Carlo s'imbatteva in qualcuno di essi entrando o uscendo, si fermava a salutarli e li riman­dava sempre con qualche dono in denaro.

Un giorno venne un tipo piuttosto sospetto a chiedere soldi e la Suora anziana si impaurì e non sapeva come fare a cavarsela. Allora si rivolse a Don Carlo che era in parlatorio con una persona. Le diede subito un po' di denaro per quell'uomo che se ne andò contento».



L'avvolse di particolare attenzione

« Aveva un rispetto profondo per ogni singola persona - afferma una claustrale -. Diceva sempre: "Ogni anima è un mistero. Dio non si ripete mai: ogni persona è per Lui come l'unica al mondo" ».

Con quest'ottica accostava tutti, anche i più emarginati.

« Don Carlo aveva sempre la capacità di mettere a proprio agio quanti avvicinava - sottolinea una giovane Gam, ora religiosa nel Mo­vimento - e non solo non svalutava mai nessuno, ma faceva risaltare delle buone qualità anche nelle persone meno dotate, così che tutte avevano il massimo rispetto le une per le altre. Nel nostro gruppo in­fatti c'era una ragazza che fino allora noi avevamo trattato un po' come uno zimbello, deridendola con tanta superficialità e spensiera­tezza. Don Carlo se ne accorse e poco per volta ci portò a trattare quel­l'amica con vero rispetto e delicatezza. E questo non attraverso ac­cenni particolari al caso e tanto meno con rimproveri, ma con la Parola di Gesù e col suo stesso comportamento, cioè trattando G. con grande rispetto e mettendola al centro di particolari attenzioni. Face­va davvero pensare a Gesù nel trattare i suoi ».



Attraverso il suo amore passava Gesù

« Mi colpiva molto il fatto che Don Carlo trovasse in tutte le per­sone qualcosa di buono, un punto su cui far leva per incoraggiarle - dice un giovane Gam -. Ricordo un particolare episodio avvenuto nel '79. Eravamo alla Verna per un tempo intenso di preghiera e di Cenacolo Gam. Tra noi c'era un giovane particolarmente vivace e ir­requieto che ogni tanto ne combinava qualcuna delle sue. In un mo­mento in cui tutti accennavano a impazientirsi per l'ultima sua brava­ta, Don Carlo trovò il modo di fare un piccolo elogio, un'attenzione particolare a quel giovane chiamandolo "riccioli d'oro". Tutti sorri­sero e ogni disagio dileguò.

Era solo una piccola sfumatura, però tanto indicativa per espri­mere comprensione nell'accettare e amare ognuno così com'era. Tan­ti giovani si risollevavano e riprendevano fiducia e coraggio per que­sto suo atteggiamento di amore attraverso il quale passava Gesù.

E fu anche la mia stessa esperienza. Infatti lo incontrai che avevo già i miei diciott'anni con alle spalle ormai una bagaglio di esperien­ze. Lo conobbi per caso, perché alcuni collaboratori Gam mi invita­rono a un Cenacolo animato da lui. Più per cortesia che per altro ac­cettai di parteciparvi. E fu l'inizio di tutto. Al momento della Confes­sione, quando i giovani Gam dall'altare invitavano con la Parola di Dio a fare questa esperienza di perdono e di gioia, mi trovai un po' titubante, imbarazzato: non mi confessavo da tanti anni e mi riusciva difficile riprendere, non sapevo come dire...

Alla fine mi alzai e mi trovai nella fila che attendeva di confessarsi da Don Carlo. Quando fu il mio turno avevo addosso una paura... E invece con lui diventò tutto semplice e nella pace. Mi ha ridato quella gioia che da tanto non sentivo più. Disse parole semplicissime, ma in un modo tale da darmi quello che attendevo in quel momento per ri­prendere quota.

Entrai a far parte del Movimento e in seguito ebbi modo di avvici­narlo ed ascoltarlo con frequenza nei Cenacoli. E’ stato veramente un dono della Mamma Celeste: mi ha trasmesso con la Parola di Dio quella spinta, quell'incoraggiamento, quella forza per continuare nel Gam, nella fede. A volte non c'era bisogno neppure che parlasse, bastava vederlo e si riprendeva slancio ».



Lasciava tanto spazio a tutti

« La sua attenzione rispettosa agli altri giungeva a sfumature co­me questa - ricorda un giovane Gam -. Accompagnavo spesso Don Carlo ai Cenacoli e all'inizio noi giovani facevamo da seconda guida nella preparazione alla Confessione. In un Cenacolo per la prima vol­ta Don Carlo mi invitò a leggere. L'organo con cui dovevo accompa­gnare i canti distava parecchio dall'unico microfono di quella grande chiesa. Eppure al termine di ogni riflessione sui Comandamenti at­tendeva pazientemente che mi spostassi per leggere al microfono quelle poche righe. Anche se la chiesa era affollatissima, tutto si svolgeva nella semplicità e nella calma.

Avrebbe potuto inglobare lui anche quella parte, ma voleva dare ai giovani la gioia di animare. Era sua abitudine non assorbire mai il compito di altri, anzi dava sempre tanto spazio a ognuno, soprat­tutto ai giovani. Era attento e rispettoso anche verso le preferenze e i gusti degli altri. Se capiva che si prediligeva un canto, lo teneva presente.



Una delicatezza della Mamma

Una volta, terminato il Cenacolo (era l'ultimo di quattro animati in quel giorno) imboccammo l'autostrada di ritorno. Intuendo che avrei avuto bisogno di rifocillarmi un po', ad un certo punto disse: "Alla prossima area di servizio ci fermeremo e tu vedrai, potrai mangiare il tuo piatto di lasagne al forno (sapeva che mi piacevano molto). Ap­pena entrai nel self-service il cameriere ci venne incontro come se ci aspettasse e disse: "C'è ancora una porzione di lasagne al forno, se lo desiderate". Rimasi di stucco e Don Carlo sorrise dicendo: "Hai visto le delicatezze della Mamma? Arriva ai particolari" ».



Allora mi devo preparare

Con i malati poi aveva delle attenzioni uniche perché sottolineava come nel Vangelo emergeva la predilezione di Gesù per loro e come fosse urgente portar loro l'annuncio dell'amore del Padre in un'ora in cui è così facile piombare nello sconforto e nell'abbandono.

« Per chi soffre - diceva - la sua sofferenza è sempre ecceziona­le; la carità deve perciò prepararci ad accogliere continuamente lo stesso dolore e non dire all'altro che fa troppo la vittima, che si rende noio­so, che ci secca con le sue eterne lamentele ».

Più volte, quando poteva, faceva visita a persone malate e si offri­va a vegliare di notte dei confratelli gravemente malati.

Un giorno uno di questi gli chiese la verità sul suo stato di salute. Don Carlo gli si sedette accanto e cercò di dilazionare la risposta at­tendendo l'ultimo referto medico. Ma il Sacerdote insisteva. Allora gli suggerì di aprire il Vangelo di S. Giovanni per ricevere da Gesù stesso la risposta. Aperto il Vangelino l'occhio cadde proprio sulla frase di Gesù: «Io vado al Padre» (Gv 16,10). Il Sacerdote comprese, posò il Vangelo. Qualche lacrima rigò il suo volto e dopo qualche istante di silenzio mormorò: «Allora mi devo preparare... ». Don Carlo gli rimase vicino parlandogli della gioia del Cielo che l'attendeva. Qual­che tempo dopo quel Sacerdote si spense sereno, con il vivo desiderio di tornare a Casa.



Chi ha riempito la chiesa?

« Per i malati aveva un'attenzione e un amore squisito e delicatis­simo com'era il suo animo stesso - afferma il dottor C. -. Nel pe­riodo in cui la mia mamma, affetta da tumore, soffriva molto, un gior­no, dopo un Cenacolo gremito di giovani e di fanciulli, passò a farle visita. Le disse: "Mamma M., chi ha riempito quella chiesa immensa di giovani, di fanciulli, di adulti? Con tutte quelle Confessioni? Ecco, sono queste sofferenze nascoste che fanno avanzare il Regno di Dio nelle anime, come dice S. Paolo: Completo in me ciò che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo Corpo che è la Chiesa. Ma pre­sto il Signore asciugherà ogni lacrima e darà una gioia infinita". Comunicava così tanta luce e forza ».



All'istante il dolore cessò

« Una volta - racconta il dr. F. - andammo col pulmino a pren­dere Don Carlo all'aeroporto. Seduto dietro, il nostro bambino più piccolo piangeva per un'otite che gli provocava forti dolori all'orec­chio. Don Carlo, strada facendo, parlava dei giovani Gam, dei Cena­coli, dei nuovi progetti di evangelizzazione come se fosse insensibile al lamento del bambino. Noi eravamo molto stupiti di questo suo at­teggiamento, tanto da pensare che si lasciasse talmente prendere dal­l'entusiasmo della Parola di Dio, da dimenticare i problemi del mon­do che lo circondava. Invece ad un certo punto si è girato tracciando un segno di croce sulla fronte del piccolo. All'istante il dolore cessò e il bambino non accusò più alcun disturbo all'orecchio anche nei giorni seguenti ».



Zizzania trasformata in grano

« Don Carlo aveva una capacità immensa di perdono, di accoglienza di ogni persona così come si presentava, anche se aggressiva e soste­nuta nei suoi confronti - dice un giovane Gam -. Con la sua mitez­za smontava e trasformava.

Un giorno partimmo insieme da Torino per animare un Cenacolo a Potenza. Fu un viaggio pieno di disagi e di peripezie. Giungemmo stanchi e sfiniti. Per di più, il Parroco che ci aveva invitati si scusava dicendo che non era più possibile fare il Cenacolo.

Compresi che qualcuno aveva seminato zizzania e la mia indigna­zione raggiunse il colmo; mi trattenne dall'esplodere l'atteggiamento umile e sereno di Don Carlo. Non avanzò le sue giuste ragioni, dopo aver fatto un lungo viaggio inutile, non fece lunghi discorsi in difesa del Gam, no, disse semplicemente col suo solito sorriso: "Vedrà... Lasci fare alla Madonna e vedrà...".

Disarmato da tanta umiltà e fiducia il Sacerdote lasciò fare. La chiesa si riempì di tante persone che neppure a Natale e a Pasqua vi avevano messo piede e tutti si accostarono alla Confessione e all'Eu­caristia. In tutta quell'assemblea vi era una gioia indescrivibile per la Parola di Dio, la preghiera, il canto. Si sentiva la presenza della Ma­donna che aveva chiamato tutte quelle anime per riportarle a Gesù.

Al termine del Cenacolo, appena i Sacerdoti sfilarono in sacrestia, il Parroco abbracciò commosso Don Carlo e non finiva di ringraziar­lo e di chiedergli perdono per la diffidenza con cui l'aveva accolto.

Don Carlo, per tutta risposta, sorrise dicendo: "Ringrazi la Ma­donna, è Lei che ha fatto tutto" ».



Una benedizione per chi l'aveva offeso

« In tanti anni che l'ho conosciuto - attesta il dottor G. - posso dire di non averlo mai visto prendere le difese di se stesso e dei suoi diritti quando erano calpestati. E quando gli si faceva notare l'evidenza dei fatti di qualche persona che faceva del male nei suoi confronti, rispondeva: "Lasciamo... ci penserà la Mamma; l'Opera è sua e ci pen­serà Lei". Interveniva solo quando c'era da difendere il Regno di Dio nelle anime, soprattutto quando si trattava dei giovani».

« Un giorno - racconta una Suora - passando in macchina gli fecero notare una persona che gli aveva seminato intorno calunnie e offese. Don Carlo subito tracciò una benedizione in direzione di quel­la persona. E così faceva ogni volta che incontrava di passaggio qual­cuno che l'aveva fatto soffrire».



La mancia al portinaio che... non aveva aperto

« Ricordo una notte piena di peripezie - racconta un giovane Gam -. Partiti da Torino avevamo fatto un Cenacolo a Reggio Calabria, poi, preso il traghetto, ci eravamo portati a Messina e quindi a Paler­mo. Per un insieme di cose si era fatto molto tardi e l'indomani ci at­tendeva una giornata intera di Cenacolo "Formula 1" con i giovani.

Io ero giovane e mi affidavo a Don Carlo e tutti ci si affidava alla Mamma Celeste. Ci fu telefonicamente suggerito di recarci presso un istituto religioso.

Per citofono una Suora ci indicò che al tal convitto il custode ci attendeva. Ci portammo in quella località, ma, data l'ora tarda, nes­suno ci apriva. Finalmente un Sacerdote si svegliò e scese ad aprirci. Del custode neppure l'ombra. Riposammo quelle poche ore e al mat­tino scendendo incontrammo in portineria proprio il custode. Appe­na lo vide, Don Carlo gli andò incontro dicendo: "Grazie, grazie per ieri sera!". E gli diede una buona mancia.

Lo guardai ammiccando un sorriso. Egli salutò cordialmente e uscimmo per il Cenacolo.

Faceva sempre così: trovava per tutti delle ragioni per scusare le loro manchevolezze o per non badarci addirittura. E diceva: "Date sempre all'altro un avvocato difensore" ».



Dava sempre un colpo d'ala

« Dava sempre quel colpo d'ala che sollevava - sottolinea una Suo­ra -. Un giorno mi disse: "Ma cos'ha fatto perché la Mamma Cele­ste le voglia così bene?!"».

E un'altra, che soffriva per il suo temperamento piuttosto impul­sivo, racconta: « Un giorno, andando a confessarmi, gli dissi: "Ma, Don Carlo, perché il Signore mi ha dato un carattere così scorbuti­co?". E lui sorridendo: "Perché il Signore vuole nascondere agli oc­chi umani le meraviglie che compie nel suo cuore"».



Un salto dalla moto per incontrare Dio

E là dove Don Carlo passava fioriva davvero la gioia, anche nelle situazioni più impensate e drammatiche, come attesta questo episo­dio riportato dal dottor F.

«Guidava la macchina mia moglie mentre si accompagnava Don Carlo a un Cenacolo e si scontrò con un giovane in moto che rotolò, fece una capriola di diversi metri e si alzò perfettamente illeso. Intan­to si attendeva la polizia e nel frattempo il giovane tutto tremante si avvicinò a Don Carlo che gli parlò tanto amorevolmente dell'Amore del Padre e della Mamma Celeste per lui. Il giovane allora confidò che proprio quel giorno aveva sentito un'insistente ispirazione di an­darsi a confessare e aveva quasi deciso di andare. Ma aveva allonta­nato poi quel pensiero fissando un appuntamento con una ragazza; vi si stava appunto recando quando avvenne l'incidente.

Don Carlo lo invitò al Cenacolo e subito quel giovane accolse la proposta e si accostò con grande gioia alla Confessione. Rimanemmo tutti profondamente colpiti dell'accaduto: quel volo dalla moto ave­va segnato per lui, nei piani provvidenziali del Padre, un trampolino di lancio per il suo incontro con Dio, tramite Don Carlo ».