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PARTE SECONDA: I SACRAMENTI


L'EUCARISTIA




207. Dignità dell'Eucaristia desunta dall'istituzione


Fra tutti i sacri misteri che N.S. Gesù Cristo ci ha elargito quali infallibili strumenti della grazia, non ce n'è uno che possa paragonarsi al santissimo sacramento dell'Eucaristia; ma appunto perciò non v'è colpa per cui i fedeli abbiano più a temere di esser puniti da Dio, che il trattare senza sacro rispetto un mistero cosi pieno di ogni santità, un mistero, anzi, che contiene lo stesso autore e fonte della santità. L'Apostolo lo ha sapientemente capito e ci ha chiaramente ammonito intorno a questo punto, quando dopo aver mostrato l'enorme delitto di quelli che non distinguono il corpo del Signore, soggiunge: Per questo molti tra voi sono infermi e senza forze, e molti dormono (1Co 11,30). Pertanto, affinché i fedeli possano ritrarre maggior frutto e fuggire la giusta ira di Dio, dopo aver ben compreso quali onori divini si debbano tributare a questo sacramento, i Parroci dovranno con somma diligenza esporre tutto quanto può meglio illustrare la maestà dell'Eucaristia.

A questo scopo, seguendo l'esempio di san Paolo che dichiaro di avere trasmesso ai Corinzi quel che aveva appreso dal Signore, i Parroci spiegheranno innanzi tutto l'istituzione di questo sacramento, la quale, secondo la bella testimonianza dell'Evangelista, avvenne come segue. Avendo il Signore amato i suoi, li amo fino alla fine (Jn 13,1); e, per dare un pegno mirabilmente divino di questo amore, sapendo giunta l'ora di passare da questo mondo al Padre, per non allontanarsi mai dai suoi, compi con ineffabile consiglio un mistero che supera ogni ordine e limite di natura. Celebrata coi discepoli la cena dell'agnello pasquale, affinché la figura cedesse il luogo alla verità e l'ombra al corpo, prese il pane, e dopo aver reso grazie a Dio, lo benedisse, lo spezzo e lo distribuì ai discepoli dicendo: " Prendete e mangiate: questo è il mio corpo che sarà immolato per voi. Fate questo in memoria di me ". E cosi prese il calice, dopo cenato, dicendo: " Questo calice è il nuovo patto nel sangue mio: fate questo, ogni volta che lo berrete, in memoria di me " (Mt 26,26 Mc 14,22 Lc 22,19 1Co 11,24).

208. Vari nomi dell'Eucaristia


Nome. Gli scrittori ecclesiastici sapendo di non poter riuscire ad esprimere con una sola parola la dignità e l'eccellenza di questo mirabile sacramento, hanno tentato di esprimerla con vari nomi. L'hanno chiamata talora Eucarestia, che si può tradurre: grazia eccellente, o azione di grazie. E veramente è una grazia eccellente, in quanto prefigura la vita eterna di cui sta scritto: Grazia di Dio è la vita eterna (Rm 6,23), e in quanto contiene in sé Gesù Cristo, vera grazia e fonte di tutti i carismi. Con eguale verità si chiama azione di grazie, perché, immolando questa purissima ostia, rendiamo ogni giorno infinite grazie a Dio per tutti i suoi benefici; e innanzi tutto per l'ottimo beneficio della sua grazia che ci elargisce in questo sacramento. Ma il nome stesso conviene benissimo anche alle azioni che Cristo ha compiuto istituendo questo sacramento, quando prese il pane, lo spezzo e rese grazie (Lc 22,19 1Co 11,24). Anche Davide, contemplando la grandezza di questo mistero, prima di prorompere nel verso: " Ha reso memorabili le sue meraviglie il Signore clemente e misericordioso: egli provvede il cibo a coloro che lo temono ", giudica opportuno premettere l'azione di grazie col dire: " Ogni sua azione è gloriosa e magnifica " (Ps 110,3-5).

Questo sacramento è chiamato spesso anche sacrificio, e di ciò in seguito parleremo più a lungo.


Ed è chiamato pure comunione, il quale vocabolo è preso dal passo dell'Apostolo:Il calice di benedizione, cui noi benediciamo, non è forse comunione del sangue di Cristo? e il pane che noi spezziamo, non è forse partecipazione del corpo del Signore? (1Co 10,16). Infatti, come spiega il Damasceno, questo sacramento ci unisce a Cristo, ci fa partecipi della sua carne e della sua divinità, e in lui ci concilia e congiunge, quasi cementandoci in un unico corpo (Della fede ortod. 4,13).

Ecco perché questo sacramento è detto anche sacramento di pace e di carità, per fare intendere quanto siano indegni del nome cristiano quelli che alimentano inimicizie, e come si debbano sterminare quale orribile peste gli odi, i dissidi e le discordie, tanto più che nel sacrificio quotidiano professiamo di serbare sopra tutto la pace e la carità.

Spesso è chiamato anche viatico dagli scrittori ecclesiastici, sia perché è il cibo spirituale che ci sostenta nel pellegrinaggio della vita, sia perché spiana la via alla gloria e felicità eterna. Per questo è antica e fedele tradizione della Chiesa cattolica che nessuno dei fedeli parta da questa vita senza questo sacramento.

I Padri più antichi, seguendo l'Apostolo (1Co 11,20), hanno talora chiamato l'Eucaristia anche cena, perché fu istituita da Cristo durante il salutare mistero dell'ultima Cena. Non per questo però si deve concluderne che sia permesso consacrare o ricevere l'Eucaristia dopo aver mangiato o bevuto; che anzi, secondo la testimonianza degli antichi scrittori, gli Apostoli stessi hanno introdotto la salutare consuetudine che l'Eucaristia sia ricevuta soltanto da chi è digiuno.

209. L'Eucaristia è un vero sacramento


Spiegato il valore del nome, si deve insegnare che l'Eucaristia è un vero sacramento: uno di quei sette, che la santa Chiesa ha sempre devotamente riconosciuto e venerato: tanto è vero che, alla consacrazione del calice, è detto mistero della fede. Inoltre, per omettere le quasi infinite testimonianze di scrittori sacri, che hanno sempre ritenuto doversi l'Eucaristia porre tra i veri sacramenti, possiamo dimostrare l'assunto, partendo dalle proprietà e dalla natura stessa di questo sacramento. Infatti esso consta di segni esterni e sensibili; significa e produce la grazia, ed è stato istituito da Cristo, come gli evangelisti e l'Apostolo lo hanno affermato in maniera indubbia. Ora, essendo questi appunto i requisiti che concorrono a confermare la verità di un sacramento, è chiaro che non v'è bisogno di altri argomenti.

Ma i Parroci osserveranno con cura che in questo mistero molte sono le cose a cui gli scrittori ecclesiastici hanno dato il nome di sacramento. Talora infatti hanno chiamato sacramento la consacrazione, l'atto della comunione, e, spesso, lo stesso corpo e sangue del Signore che si contiene nell'Eucaristia. Dice infatti sant'Agostino che questo sacramento risulta di due cose: l'apparenza visibile degli elementi e la carne e sangue invisibili di N.S. Gesù Cristo (vedi in Lanfranco e. Bereng.; cfr. Grat. p. 3, dist. 2, e. 48). E appunto in questo medesimo senso noi affermiamo che bisogna adorare questo sacramento, intendendo cioè il corpo e il sangue del Signore. Ma è chiaro che tutte queste cose sono dette sacramenti solo impropriamente. Tale nome, invece, in senso stretto spetta solo alle specie del pane e del vino.

210. In che cosa l'Eucaristia differisce dagli altri sacramenti


Si rileva facilmente in che cosa l'Eucaristia differisca dagli altri sacramenti. Questi si compiono con l'uso della materia, cioè durante il tempo in cui vengono amministrati. Cosi il Battesimo diviene sacramento proprio nell'istante in cui l'individuo viene lavato; mentre, per fare l'Eucaristia, basta la consacrazione della materia, che non cessa di essere sacramento, rimanendo conservata nella pisside. Di più, nel fare gli altri sacramenti non si verifica mutazione della rispettiva materia in un'altra sostanza; l'acqua del Battesimo infatti o l'olio della Cresima non perdono la loro originaria natura di acqua e di olio; mentre nell'Eucaristia quel che era pane e vino prima della consacrazione, diviene, dopo quella, la sostanza vera del corpo e del sangue del Signore.

Ma pur essendo due gli elementi, il pane e il vino, che servono a costituire il sacramento integrale della Eucaristia, dobbiamo credere, ammaestrati dall'autorità della Chiesa, che essi formino un solo sacramento; altrimenti non si potrebbe mantenere il numero settenario dei sacramenti, com'è stato sempre insegnato e confermato dai concili Lateranense, Fiorentino e Tridentino. Infatti se la grazia di questo sacramento fa dei fedeli un solo corpo mistico, bisogna che esso sia uno in se stesso, appunto, perché armonizzi con l'effetto che produce. Ed è uno, non perché consta di un solo elemento, ma perché significa una sola cosa. Come infatti il mangiare e il bere, che sono due cose diverse, sono adoperati per ottenere un unico effetto, cioè il ristoro delle forze del corpo, cosi era conveniente che ad essi corrispondessero quei due elementi materiali del sacramento, i quali significano il cibo spirituale, che sostenta e ricrea l'anima. Perciò Cristo disse: La mia carne è davvero cibo, e il sangue mio è davvero bevanda (Jn 6,56).

211. Triplice significato dell'Eucaristia


Importa anche spiegare con cura che cosa significhi il sacramento dell'Eucaristia; affinché i fedeli, guardando con gli occhi del corpo i sacri misteri, pascano l'animo con la contemplazione delle cose divine.

Tre sono le cose significate da questo sacramento. La prima è un avvenimento passato: la passione del Signore, come Egli stesso ci ha insegnato: Fate questo in memoria di me (Lc 22,19); e l'Apostolo attesta: Ogni volta che mangerete questo pane e berrete questo calice annunzierete la morte del Signore, fino a quando egli venga (1Co 11,26).

La seconda è una realtà presente, cioè la grazia divina e celeste, che questo sacramento ci dona per nutrire e conservare le anime nostre. Come il Battesimo ci genera a nuova vita, e la Cresima ci fortifica perché possiamo respingere il demonio e confessare apertamente il nome di Cristo, cosi l'Eucaristia ci nutre e ci sostenta.

La terza è un preannunzio del futuro: cioè il frutto dell'eterna gloria e felicità, che riceveremo nella patria celeste, secondo la promessa di Dio. Queste tre cose però riferentisi al passato, al presente e al futuro, sono espresse cosi bene dal mistero dell'Eucaristia, che tutto intero il sacramento, pur constando di due specie diverse, serve a indicare ciascuna di esse quale distinti significati di un'unica realtà.

212. Materia dell'Eucaristia: "il pane di grano"

I parroci dovranno prima di tutto ben conoscere la materia di questo sacramento, sia per effettuarlo debitamente, sia per illustrarne il simbolismo ai fedeli, onde accenderli allo studio e al desiderio della sua sacrosanta realtà. La materia di questo sacramento, dunque, è duplice: la prima di cui parliamo subito è il pane di grano, dell'altra si dirà poi. Gli evangelisti Matteo, Marco e Luca narrano che Cristo prese in mano il pane, lo benedisse e lo spezzo dicendo: Questo è il mio corpo (Mt 26,26 Mc 14,22 Lc 22,19). In san Giovanni il Redentore chiama sé stesso pane dicendo: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo (Jn 6,41).

Vi sono varie specie di pane, sia che differiscano nella materia: pane di grano, pane di orzo, pane di legumi o d'altri prodotti della terra, sia che differiscano nella qualità: pane fermentato, pane senza lievito. Le parole del Salvatore mostrano che il pane deve essere di grano, giacché nel linguaggio ordinario la parola pane indica senz'altro quello di grano. Ciò viene confermato anche da una figura del vecchio Testamento, dove il Signore ordina che i pani di proposizione, che prefiguravano l'Eucaristia, fossero fatti di fior di frumento (Lv 24,5).

Ma come il solo pane di grano deve esser considerato materia dell'Eucaristia, conforme alla tradizione apostolica e all'insegnamento della Chiesa, cosi è facile convincersi, da quanto Gesù stesso fece, che questo pane deve essere senza lievito. Egli infatti istitui questo sacramento nel primo giorno degli azimi, quando non era lecito ai Giudei tenere in casa nulla di fermentato. Né vale opporre l'autorità di san Giovanni evangelista, che afferma essere queste cose avvenute prima della festa di Pasqua (Jn 13,1). La risposta è facile. La festa degli azimi cominciava la sera della quinta feria; e appunto in questa sera il Salvatore celebro la Pasqua. Ma mentre gli altri evangelisti chiamano questo il primo giorno degli azimi, san Giovanni lo chiama antecedente alla Pasqua, perché considera il giorno naturale che comincia con il levare del sole. Perciò anche san Giovanni Crisostomo chiama primo giorno degli azimi quello, alla sera del quale si dovevano mangiare gli azimi (In Mt omil. 81,1).

Inoltre la consacrazione del pane azzimo conviene assai a quell'integrità e purezza di cuore, che i fedeli devono recare a questo sacramento, come insegna l'Apostolo: Purificatevi dal vecchio lievito, onde siate una pasta nuova, senza lievito, come siete di fatto; poiché la nostra Pasqua, che è Cristo, è stata immolata. Celebriamo dunque la festa, non con vecchio lievito né con lievito di malizia e di malvagità, ma con gli azimi della purità e della verità (1Co 5,7-8).

Tuttavia tale qualità del pane non è cosi necessaria che senza di essa il sacramento non possa sussistere: poiché tanto l'azimo quanto il fermentato hanno ugualmente il nome e la natura vera del pane. Ma a nessuno è lecito, con privata autorità, o piuttosto temerità, mutare il lodevole rito della Chiesa; molto meno ai sacerdoti Latini, ai quali i sommi Pontefici hanno ordinato di consacrare il pane azimo.

Basti questo per la prima parte della materia eucaristica. Dobbiamo però notare che non è stata mai determinata una quantità precisa di pane da consacrare, non potendosi fissare il numero di coloro, che vogliono e possono partecipare ai sacri misteri.

213. Il vino di uva


Veniamo cosi all'altra materia, o elemento dell'Eucaristia: si tratta del vino spremuto dal frutto della vite, con l'aggiunta di un po' d'acqua. La Chiesa cattolica ha sempre ritenuto e insegnato che il nostro Signore e Salvatore nell'istituire questo sacramento uso il vino, avendo egli stesso detto: Non berrò d'ora in poi di questo frutto della vite fino a quel giorno (Mt 26,29 Mc 14,25). Si parla di frutto della vite, dice a questo proposito il Crisostomo, che produce certamente vino e non acqua (In Mt omilia LXXXII,2), quasi volendo confutare in antecedenza l'eresia di coloro, che ritennero doversi in questo sacramento usare soltanto l'acqua.

La Chiesa poi ha sempre mescolata l'acqua al vino; primo, perché ciò fu fatto da Cristo stesso come si prova con l'autorità dei Concili e la testimonianza di san Cipriano (Epist. LXIII); secondo, perché con questa mescolanza si rinnova la memoria del sangue e dell'acqua sgorgati dal suo costato aperto; terzo, perché le acque significano i popoli (Ap 17,15); perciò l'acqua mescolata al vino significa la congiunzione del popolo fedele con Cristo suo capo. Quest'uso del resto è di tradizione apostolica e la Chiesa l'ha sempre osservato.

Ma sebbene i motivi della mescolanza siano tanto gravi che questa non si può omettere senza peccato mortale, il sacramento può sempre sussistere, anche senza di essa. Avvertano poi i sacerdoti che devono si infondere l'acqua nel vino, ma poca; poiché a giudizio degli scrittori ecclesiastici, essa deve convertirsi in vino. Scrisse papa Onorio: Nel tuo paese si è introdotto il pernicioso abuso di usare più acqua che vino nel sacrificio, mentre invece, secondo la ragionevole consuetudine della Chiesa universale, si deve adoperare molto più vino che acqua (Decretai. lib. 3, tit. 41, e. 13).

Soltanto due dunque sono gli elementi di questo sacramento; e a buon diritto la Chiesa ha proibito con molti decreti di offrire altra cosa che il pane e il vino, come taluni avevano la temerità di fare.

214. Convenienza della materia eucaristica


Bisogna ora vedere come i due segni del pane e del vino siano atti ad esprimere quelle realtà che la fede ci presenta come sacramenti. Innanzi tutto essi significano Cristo, la vera vita degli uomini, avendo egli stesso detto: La mia carne è davvero cibo e il mio sangue è davvero bevanda (Jn 6,55). Se, dunque il corpo di N. S. Gesù Cristo da in realtà nutrimento di vita eterna a chi con purezza e santità lo riceve, giustamente l'Eucaristia ha per materia quegli elementi, che servono a sostenere la vita terrena; cosi i fedeli potranno agevolmente intendere che, grazie alla Comunione del corpo e del sangue di Cristo, l'anima loro potrà esser satollata. Secondo, questi elementi servono anche a convincere gli uomini che nell'Eucaristia c'è realmente il corpo e il sangue del Signore; giacché vedendo noi ogni giorno, per virtù della natura, il pane e il vino trasformarsi in carne e sangue umano, più facilmente siamo condotti a credere che la sostanza del pane e del vino si converta nella vera carne e nel vero sangue di Cristo, in virtù della celeste consacrazione. Terzo, questa mirabile mutazione di elementi aiuta a raffigurarci quello che avviene nell'anima. Come la sostanza del pane e del vino si cambia realmente nel corpo e nel sangue di Cristo, sebbene non vi sia alcuna visibile trasmutazione esterna, cosi noi, ricevendo nell'Eucaristia la vera vita, interiormente sorgiamo a nuova vita, pur non apparendo in noi mutamento alcuno. Quarto, come l'unione di molti membri costituisce l'unico corpo della Chiesa, cosi nulla, degli elementi del pane e del vino può farla meglio risplendere. Come, infatti, il pane risulta da molti grani di frumento e il vino si sprema da molti grappoli d'uva, cosi noi, pur essendo molti, per virtù di questo divino mistero veniamo strettamente collegati e quasi cementati in un solo corpo.

215. Forma della consacrazione del pane


Veniamo ora a trattare della forma per la consacrazione del pane, non perché si debbano insegnare ai fedeli questi misteri, senza necessità - che anzi non è necessario istruire in proposito chi non è negli Ordini sacri -, ma affinché i sacerdoti non errino gravemente nel consacrare, per ignoranza della forma.

I santi evangelisti Matteo e Luca insieme con l'Apostolo ci insegnano che la forma è questa: "Questo è il mio corpo". Poiché sta scritto: Mentre essi cenavano, Gesù prese il pane, e lo benedisse, lo spezzo, e dandolo ai suoi discepoli, disse: Prendete e mangiate: Questo è il mio corpo (Mt 26,26 Mc 14,22 Lc 22,19 1Co 11,24). Tale forma, perché adoperata dal Signore stesso, è stata sempre conservata dalla Chiesa Cattolica.

Tralasciamo qui le testimonianze dei santi Padri, che sarebbe lungo citare, e il decreto del Concilio di Firenze a tutti ben noto, tanto più che le parole del Salvatore: Fate questo in memoria di me (Lc 22,19), ne sono una conferma. Infatti l'ordine dato dal Signore deve riferirsi non solo a quel che egli aveva fatto, ma anche a quel che aveva detto, e specialmente alle parole che aveva pronunciato, sia per produrre, sia per significare l'effetto del sacramento. Del resto anche il ragionamento porta alla stessa conclusione. Infatti la forma è la formula che esprime quel che si opera in questo sacramento. Ora, le parole in questione significano e dichiarano quel che viene operato, cioè la conversione del pane nel corpo del Signore. Dunque esse sono la forma del sacramento. A questa conclusione portano pure le altre parole dell'evangelista: Benedisse il pane, come se avesse detto: Preso il pane lo benedisse dicendo: Questo è il mio corpo (Mt 26,26). E sebbene l'evangelista premetta la frase: Prendete e mangiate, è chiaro che quest'ultima non riguarda la consacrazione, ma l'uso della materia. Perciò, pur dovendosi tassativamente pronunciare dal sacerdote, non è necessaria per operare il sacramento, come non è necessaria la congiunzione: poiché (enim) nella consacrazione del corpo e del sangue. Altrimenti l'Eucaristia non si dovrebbe, né si potrebbe consacrare qualora non ci fosse nessuno cui amministrarla; mentre è certissimo che il sacerdote, una volta pronunziate secondo l'uso e il rito della Chiesa le parole del Signore, consacra veramente la materia del pane, anche se poi non si dovesse amministrare a nessuno.

216. Forma della consacrazione del vino


Per la medesima ragione, sopra ricordata, è necessario che il sacerdote conosca bene anche quanto si riferisce alla consacrazione del vino, che è l'altra materia di questo sacramento. Si deve ritener per fede che essa è costituita dalle parole (Decretai, lib. 3, tit. 41, e. 6): " Questo è il calice del sangue mio, della nuova ed eterna Alleanza (mistero della fede!) il quale per voi e per molti sarà sparso a remissione dei peccati ". Molte di queste parole sono prese dalla Scrittura; le altre la Chiesa le ha ricevute dalla tradizione apostolica. Infatti, Questo è il calice, si trova in san Luca (Lc 22,20) e in san Paolo (1Co 11,25); del sangue mio, o il mio sangue della nuova Alleanza, che per voi e per molti sarà sparso in remissione dei peccati, si trovano in san Luca (ivi) e in san Matteo (Mt 26,28); le parole: eterno e mistero della fede, ci vengono dalla tradizione, interprete e custode della cattolica verità. Qualora si richiami quel che abbiamo detto sopra a proposito della consacrazione del pane, nessuno potrà dubitare di questa forma. Essa consta di quelle parole che significano il cambiamento della sostanza del vino nel sangue del Signore. Ma poiché le parole ricordate esprimono appunto questo, è chiaro che non vi può essere altra forma per la consacrazione del vino.

Esse esprimono, inoltre, taluni mirabili frutti del sangue del Signore, sparso nella passione; frutti che appartengono in modo tutto particolare a questo sacramento. Il primo è l'accesso all'eredità eterna a cui ci da diritto il nuovo ed eterno Testamento. Il secondo è l'accesso alla giustizia mediante il mistero della fede. Infatti Dio ha preordinato Gesù propiziatore mediante la fede nel suo sangue, per mostrare insieme che egli è giusto ed è fonte di giustizia, per chi ha fede in Gesù Cristo (Rm 3,25-26). Il terzo è la remissione dei peccati.

Ma occorre esaminare con più diligenza le parole della consacrazione del vino, che sono piene di misteri e convengono perfettamente al loro soggetto. Le parole: Questo è il calice del sangue mio, significano: questo è il mio sangue contenuto in questo calice. Ed è con ragione che mentre si consacra il sangue in quanto è bevanda dei fedeli, viene menzionato il calice; poiché il sangue di per sé non significherebbe una bevanda, se non fosse presentato in una coppa. Seguono le parole: della nuova Alleanza, per farci intendere che il sangue del Signore viene offerto agli uomini nella nuova Alleanza, ma in realtà non in figura, come nella vecchia Alleanza, di cui san Paolo scrivendo agli Ebrei ha detto che non fu stipulata senza sangue (He 9,18). Perciò l'Apostolo ha scritto: Gesù Cristo è mediatore della nuova Alleanza, affinché avvenuta la sua morte per riscattare le trasgressioni commesse sotto la prima Alleanza, i chiamati ricevano l'eterna eredità, loro promessa (He 9,15).

L'aggettivo eterna si riferisce all'eterna eredità, che a buon diritto ci è pervenuta per la morte del Cristo eterno testatore. Mentre le parole, mistero della fede, non tendono a escludere la verità della cosa, ma indicano che bisogna credere con ferma fede quel che rimane occulto e remotissimo agli occhi nostri.

Il senso di questa frase è diverso qui da quello che riveste applicata al Battesimo. Qui infatti diciamo mistero di fede in quanto vediamo solo cogli occhi della fede il sangue di Gesù Cristo, nascosto sotto le specie del vino; mentre il Battesimo è chiamato sacramento di fede, e dai Greci mistero di fede, in quanto comprende l'intera professione della fede cristiana. Chiamiamo il sangue del Signore mistero di fede, anche perché la ragione umana trova molta difficoltà e grande fatica ad ammettere quel che le propone la fede: che cioè N.S. Gesù Cristo, vero figlio di Dio, vero Dio e vero uomo, abbia per noi sofferto la morte, la quale viene appunto significata dal sacramento del sangue. Ecco perché, a preferenza che nella consacrazione del corpo, viene fatta qui menzione della passione del Signore con le parole: che sarà sparso in remissione dei peccati. Il sangue infatti, consacrato separatamente, ha più forza ed efficacia per mettere sotto gli occhi di tutti la passione del Signore, la sua morte e la natura delle sue sofferenze.

Le parole: per voi e per molti, prese separatamente da Matteo (Mt 26,28) e da Luca (Lc 22,20), sono riunite dalla santa Chiesa, ispirata da Dio, per esprimere il frutto e l'utilità della passione. Infatti se consideriamo l'efficace virtù della passione, dobbiamo ammettere che il sangue del Signore è stato sparso per la salute di tutti; ma se esaminiamo il frutto che gli uomini ne hanno ritratto, ammetteremo facilmente che ai vantaggi della passione partecipano non tutti, ma soltanto molti. Perciò dicendo: per v o i, ha voluto significare i presenti, con cui parlava, eccetto Giuda, oppure gli eletti del popolo Ebreo, quali erano i discepoli. Ed aggiungendo: per molti, ha voluto intendere gli altri eletti, Ebrei e i Gentili. Con ragione dunque non è stato detto: per tutti, trattandosi qui soltanto dei frutti della passione, la quale apporta salute soltanto agli eletti. In questo senso bisogna intendere anche le parole dell'Apostolo: Gesù Cristo fu offerto una sola volta per togliere i peccati di molti (He 9,28); e quelle del Signore: Prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che mi hai dati, perché sono tuoi (Jn 17,9).

Molti altri misteri sono ancora nascosti in queste parole della consacrazione: i Pastori li scopriranno da sé, con l'aiuto di Dio, mediante un'assidua e diligente meditazione delle cose divine.


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