00 13/09/2009 07:46
Capitolo 5

21. Ma essi asseriscono di fare ragionamenti del genere, giacché, a loro giudizio, ammettere che Dio perdoni persone contro le quali ha in precedenza manifestato la sua ira significa attribuirgli natura mutevole. Dunque? Ripudieremo gli oracoli del Signore e daremo credito alle opinioni dei Novaziani? Dio deve essere stimato sulla base delle sue parole, non delle affermazioni degli altri. Una prova convincente della sua misericordia? Non forse, per bocca del profeta Osea, quasi come rappacificato, perdona gente che poco prima minacciava? Dice: “Che dovrò fare di te, Efraim, che dovrò fare di te, Giuda?”. Più innanzi: “Come trattarti? Dovrei ridurti allo stato di Adma e di Zeboim?”. E’ adirato, eppure con sentimento, direi, paterno, è dubbioso circa la pena da irrogare al peccatore. Il Giudeo è colpevole, Dio, tuttavia, vaglia con scrupolo i fatti. Aveva detto: “Dovrei ridurti allo stato di Adma e di Zeboim?”, città queste che, vicine a Sodoma, avevano avuto in sorte analoga distruzione. Subito, però, aggiunge: “Il mio cuore si è commosso, la mia pietà è in preda al turbamento; non voglio agire secondo l’impulso della mia ira”.
22. Non è forse chiaro che Gesù si sdegna con noi peccatori allo scopo di convertirci mediante il terrore suscitato dalla sua collera? La sua ira non comporta vendetta, bensì suona preludio di indulgenza. Ha detto: “Se piangerai contrito, ti salverai”. Attende, pertanto, i nostri sospiri, quelli temporali, per condonare gli eterni. Esige il nostro pianto per elargire la misericordia. Nel Vangelo, mosso a pietà dalle lacrime della vedova, ne ha richiamato in vita il figlio. Vuole il nostro pentimento per potere fare ricorso alla grazia, la quale si fermerebbe stabilmente in noi, se non cadessimo nella schiavitù del peccato. Offendiamo Dio con le colpe, ed egli si adira affinché facciamo atto di contrizione. Umiliamoci, dunque, per metterci in condizione di meritare pietà, non castigo.
23. Ti sia maestro Geremia, il quale dice: “Il Signore non ripudierà per sempre, ma se umilierà avrà anche pietà secondo la sua grande misericordia. Chi umilia contro il suo desiderio non ripudia certo i figli degli uomini”. Queste sono le parole che leggiamo nei Lamenti di Geremia. Da esse e dalle seguenti desumiamo che il Signore umilia “sotto i suoi piedi tutti coloro che sono incatenati sulla terra”, affinché possiamo sottrarci al suo castigo. Ma non umilia di tutto cuore il peccatore sino a terra, giacché solleva “l’indigente dalla polvere” e rialza “il povero dall’immondizia”. Chi si ripromette di concedere il perdono, non umilia di tutto cuore.
24. Dio non umilia con tutto il sentimento chi si è macchiato di colpa, tanto meno, chi non ha peccato di tutto cuore. Ha detto a proposito dei Giudei: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. In questa maniera potrebbe esprimersi nei riguardi di alcuni dei lapsi: Mi hanno rinnegato con le labbra, ma sono insieme a me con il cuore. La tortura li ha vinti, ma la slealtà non ha avuto il sopravvento. Non c’è, pertanto, valido motivo perché alcuni neghino loro il perdono. Il persecutore medesimo, infatti, ne ha testimoniato la fede al punto da tentare di distruggerla con i supplizi. Hanno ripudiato una sola volta, ma testimoniano ogni giorno. Hanno rinnegato con la bocca, ma testimoniano di continuo con i gemiti, con gli ululati, con le lacrime, con le parole schiette, sincere. Hanno ceduto alla tentazione del diavolo, ma temporaneamente. Il demonio si è dovuto allontanare da loro non essendo riuscito a guadagnarli alla sua causa. Si è ritirato innanzi al loro pianto, all’afflizione del pentimento. Li aveva aggrediti come cosa altrui, li ha perduti quando erano sua preda.
25. Non è forse il caso medesimo che si verifica allorché gli abitanti di una città vinta sono trascinati prigionieri? Vengono menati in schiavitù, ma non certo di loro volontà. Sono costretti ad emigrare in terra straniera, con il cuore, però, non si allontanano dal paese, portano con sé, nell’animo, la patria e si adoperano in tutti i modi per rientrarvi. Che dunque? Quando uomini, così disposti, finalmente ritornano, ci potrebbe essere chi suggerisca che non si debbano degnamente accogliere, che si debbano, cioè, tributare loro onori minori, per la viva preoccupazione che il nemico abbia un qualche pretesto per sfogare l’ira? Se tu perdoni chi è armato e ha opposto forza a forza, non sei disposto ad essere indulgente verso chi aveva come unica arma la fede?
26. Se chiediamo il parere del diavolo a proposito di codesti lapsi, non pensi che direbbe: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me?” Come può essere con me chi non ripudia Cristo? Coloro che nel cuore ne custodiscono l’insegnamento, soltanto in apparenza mi adorano. Io mi illudevo che professassero la mia dottrina. Più grave suona la condanna nei miei riguardi, allorché rinnegano teorie delle quali hanno acquisito conoscenza. E’ certo che Cristo mena trionfo più grande quando li accoglie al loro ritorno. Tutti gli angeli tripudiano. Infatti, è più grande gloria per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. Si trionfa su di me nel cielo, su di me nel mondo. Cristo non subisce danno quando persone venute da me in lacrime ritornano nel seno della Chiesa, sentendo di essa rimpianto. Senza dire che dietro il loro esempio corro pericolo anche per i miei fidi. Potrebbero imparare che non c’è vantaggio a stare in un luogo in cui gli uomini non sono affatto adescati dai beni immediati e che, invece, c’è profitto grandissimo dove i lamenti, le lacrime, i digiuni sono preferiti alle opulente imbandigioni”.