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La Vergine Maria e i Vangeli del canonico Leon Cristiani libro del 1934

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2012 22:18
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07/09/2012 21:52

CAPITOLO I

Sommario:
- Gli addii di Gesù.
- Un tesoro di Bossuet .
- «Ecco l'Ancella del Signore» .
- Il Vangelo orale. Due prove.
- Obiezioni.
- Gli antichi Padri e la Vergine.
- Perché l'umiltà?

***

Gli addii di Gesù. - «Or presso la croce di Gesù stavano sua Madre, la sorella di sua Madre, Maria di Cleofe e Maria Maddalena. Avendo Gesù veduta sua Madre e lì presente il discepolo prediletto, disse a sua Madre: Donna, ecco tuo figlio. Poi disse al discepolo: Ecco tua Madre. E da quel punto la prese con sé» (Giov. XIX, 25-28). Tali sono le brevi parole di addio di Gesù agonizzante alla sua Santa Madre. Non le troviamo che in S. Giovanni e bisogna meditarle a lungo per scoprirne tutta l'intensità e il significato. Non è azzardato il dire che la scena del Calvario divide la vita di Maria nel senso che essa limita decisamente una fine ed un principio. Per ogni altra donna, specie se si tratta di una vedova, la morte di un figlio unico significa il crollo di tutta l'esistenza.
Una madre che conosce una disgrazia simile non può vivere d'altro che del passato. Gesù aveva incontrato una volta una madre colpita da questo dolore e ne aveva sentito pietà. E risuscitò il figlio della vedova di Naim.
Ma morendo intende dare a sua Madre un compito nuovo. Dandole un figlio, un altro Se stesso, Egli non si limita ad offrirle una specie di consolazione. Secondo Bossuet, anzi, le parole di Gesù esprimono precisamente l'opposto. Si può anche dissentire da questo parere, ma si ingannerebbe chi non vedesse altro che l'attenzione di un buon figlio, il quale non vuole abbandonare sua madre senza appoggio, senza risorse e senza affetto sulla terra. Raccogliamo anzitutto l'interpretazione di Bossuet; si trova nel sermone 1660, per la festa dell'Assunzione. Bossuet afferma che autore dell'idea è S. Paolino; ma egli deve aver fatto molte aggiunte al testo dello scrittore patristico.

Il testo di Bossuet. - «Ella perde persino suo Figlio sul Calvario egli dice parlando della Madonna - e non dico solamente ch'ella lo perde in quanto vede morire questo Figlio amatissimo di una morte crudele; ma perché Egli cessa in qualche modo d'essere suo Figlio, sostituendone un altro al suo posto: «Donna - le dice - ecco tuo Figlio».
Meditate questo punto, o cristiani, e se anche tale pensiero può sembrare un poco strano, vi persuaderete però ch'esso ha il suo buon fondamento. Pare che il Salvatore non la riconosca più per sua Madre; «Donna - le dice - ecco tuo Figlio ». Non parla in questo modo senza un motivo misterioso: Egli è in uno stato di umiliazione ed è bene che anche sua Madre gli sia unita in esso. Gesù ha un Dio per Padre e Maria ha un Dio per Figlio. Il Divin Salvatore ha perduto, il Padre suo e non lo chiama più ora che «Dio». Bisogna che anche Maria perda il suo Figlio; difatti Egli la chiama ora col nome di Donna, non le dà il nome di Madre. Ma ciò che deve essere stato più umiliante per la SS. Vergine è il fatto che Egli le affida un altro figlio, come se Lui non fosse più tale per Lei, e come se Egli volesse rompere il nodo di una santa amicizia: «Ecco - dice - vostro Figlio».
Vediamone la ragione.
Durante il periodo della sua vita terrena, Gesù compiva verso sua Madre tutti i doveri e i servizi d'un figlio. Egli era la Sua consolazione e l'unico appoggio della Sua vecchiaia. Ora che Egli sta per entrare nella gloria, prenderà dei sentimenti più degni di un Dio: perciò lascia ad un altro i compiti della pietà umana e naturale. Maria non ha più suo figlio, Gesù; il suo amatissimo figlio ha ceduto i suoi diritti a S. Giovanni ed essa trascorrerà in questo triste stato i lunghi anni» (1).
Per quanto grande sia il genio di Bossuet, non oseremo accettare su questo punto tutto il suo pensiero. Lui stesso - e l'abbiamo notato - lo trovava «un po' strano». E ciò che principalmente ci scosta da Bossuet è il motivo stesso su cui egli fonda la sua interpretazione: «Gesù - dice - compiva verso sua Madre i doveri e i servizi d'un figlio». E' precisamente questo che si deve meditare ed è questo che ci deve aprire gli orizzonti. No, Gesù non compiva più, dall'inizio della sua vita pubblica, «i doveri e i servizi d'un figlio». Secondo la cronologia che noi abbiamo adottato erano già due anni e tre mesi ch'Egli non abitava più con Lei. Gesù aveva lasciato Nazaret verso la fine dell'anno 27 o nei primi giorni dei 28 e non era ritornato che due sole volte nel villaggio della sua infanzia. Non si accenna alla presenza di Sua Madre al Suo fianco che alle nozze di Cana, poi al momento del tentativo del rapimento dei suoi «fratelli» che non credevano in Lui e in seguito sul Calvario.
Maria quindi era priva di Suo figlio già da molti mesi, e non era vissuta sola durante tutto questo tempo. Ci sono buone ragioni per credere che Ella si fosse unita a sua cugina Maria, moglie e, senza dubbio, vedova di Cleofa, i cui numerosi figlioli venivano chiamati «fratelli di Gesù». Dunque la Madonna viveva nelle vicinanze di questi parenti. Se Gesù, da buon figliuolo quale era, non avesse avuto che lo scopo di trovarsi un sostituto per circondare delle cure necessarie gli ultimi giorni della Sua piissima Madre, potremo dire ch'Egli aveva impiegato troppo tempo per pensarvi. La situazione creata con la sua partenza da Nazaret due anni prima, non poteva prolungarsi? Se nei confronti di Sua Madre tale situazione non fosse stata buona, come mai Egli l'aveva fino allora permessa e tollerata? Se all'opposto fosse stata buona o almeno sufficiente, perché portarvi delle modifiche?
Si potrebbe pensare che Gesù non volesse più lasciare la Madre Sua in un ambiente in cui non si credeva in Lui. Ma giustamente noi abbiamo la certezza che i suoi «fratelli» erano ormai dei credenti, cioè, avevano ora fede nella missione di Gesù. Gli Atti degli Apostoli sono abbastanza espliciti su questa punto. Dopo avere nominato gli Apostoli riuniti nel Cenacolo dall'Ascensione alla Pentecoste, essi dicono: «Tutti in un medesimo spirito perseverarono nella preghiera con alcune donne e Maria Madre di Gesù e i suoi fratelli». Aggiungiamo subito che il testo ora citato contiene l'ultimo degli accenni fatti nei Libri Santi alla SS. ma Vergine Maria. Vedremo più tardi l'importanza di questa osservazione. Per ora è sufficiente concludere che non è certo a motivo dell'incredulità dei Suoi «Fratelli» - fra i quali, due almeno, Giacomo il minore e Giuda, erano Apostoli - che Gesù ha loro tolto la Madre affidandola a S. Giovanni. Al contrario essa abitava presso di loro proprio nel periodo della incredulità e li lascia quando sono ormai entrati nel gruppo dei fedeli.
Non ci spieghiamo facilmente perché Gesù, a dire di Bossuet, avrebbe voluto umiliare la Sua Madre affidandola a S. Giovanni. L'umiliazione sarebbe stata ben più grande lasciandola nello stato in cui era e, senza affidarle alcuna nuova missione inviarla implicitamente a Nazaret.
No, Gesù non ha voluto umiliarla. Egli lascerà alla Madre stessa la cura d'umiliarsi in modo sovrumano. Ci sembra più felice Bossuet quando scrive nello stesso discorso: «Ecco una creatura che si distingue eccellentemente da tutte le altre; ma la Sua umiltà profondissima la spoglierà in qualche modo dei Suoi vantaggi meravigliosi. Essa, che è stata innalzata al disopra di tutti, per la sua dignità di Madre di Dio, si colloca nel ceto comune per la sua qualità di Ancella » (2).

«Ecco l'Ancella del Signore». - Questa volta possediamo la vera spiegazione.
Gesù ha trattato Maria da Figlio divino che onora e ama sommamente Sua Madre. Ella si è abbassata volontariamente e non ha voluto essere che «Ancella ». Era il nome che essa s'era preso fin dal principio. Il messaggio dell'Arcangelo Gabriele pur riempiendola d'una gioia che nessun linguaggio saprebbe esprimere non le aveva minimamente tolta la sicurezza delle sue viste spirituali. «Ecco l'Ancella del Signore » aveva detto. Ed un poco più tardi, nel sublime Suo Magnificat, Ella ripeteva: «Egli ha riguardato la bassezza della sua serva». Quest'ultimo sostantivo per Maria SS. è una definizione; contiene il programma della Sua vita dal quale non ha mai deviato. Su questo punto, durante tutta la sua esistenza, c'è una perfetta unità.
L'umiltà sarà il Suo distintivo attraverso tutte le età. Essa è lontana da quell'orgoglio farisaico di cui Gesù non cesserà di bollare la pretensione e ne è tanto lontana quando lo si può essere.
Fra Gesù e Maria l'umiltà è il primo e principale punto di rassomiglianza. «Imparate da me che sono mite ed umile di cuore»: questa espressione di Gesù mostra tutta la ricchezza delle virtù dominanti nella Vergine: l'umiltà e la dolcezza. Ne riparleremo più avanti.
Stabilito ben chiaro questo punto di partenza, cerchiamo di scoprire perché l'umile Maria fu affidata a S. Giovanni anziché ai suoi più prossimi parenti e ai figli di sua cugina.
Se non è per umiliare la Sua santa Madre che Gesù le ha dato un altro figlio, allora è senza dubbio per affidare a S. Giovanni un compito eletto verso Maria e a Maria verso il discepolo prediletto. Il dono di Giovanni a Maria fu un dono di amore da parte di Gesù in Croce. E il dono di Maria a Giovanni fu pure una testimonianza tutta speciale di tenerezza verso il migliore degli amici di Gesù.
Maria e Giovanni ricevettero ciascuno una missione reciproca. Ecco quanto si può dire di più verosimile e naturale circa la decisione di Gesù sulla croce.
Qual'era questa missione?
Per scoprirla basta far attenzione alla santità dei personaggi di cui si parla. E' Gesù che li affida l’una all'altro. Chi potrebbe pensare che in quest'ora suprema Gesù pensi soltanto alle cure temporali richieste dalla vecchiaia di sua Madre?
Egli sa, l'ha annunciato, ed il fatto sta per provarlo, che la sua morte non consisterà che in un breve passaggio nella tomba. E non possiamo dubitare che la sua prima visita sia stata per Sua Madre. Il motivo principale di questa certezza nasce dal considerare l'estensione completa della Madonna durante le cure della sepoltura all'indomani del sabato che aveva seguito la morte di Gesù. Mentre le pie donne si affaccendavano, Maria sola rimaneva inattiva. Essa aveva un proprio motivo. Essa aveva compreso il mistero della crocifissione, il mistero delle umiliazioni del suo Gesù più d'ogni altro e così, prima d'altri Maria intuiva la caratteristica inattesa della resurrezione che non mirava «al ristabilimento del regno d'Israele» come gli Apostoli desideravano e speravano. Perciò Ella taceva sull'apparizione di cui era stata favorita. Gli Apostoli dovevano credere lentamente e penosamente e non era conveniente che la parola di Maria in questa circostanza fosse messa in dubbio da loro, come non conveniva che si dicesse che gli Apostoli avevano creduto sulla parola della Madre anziché su argomenti tanto personali quanto irresistibili (3).
Tuttavia, fin dalla prima ora, Maria sembra abbia compiuto la missione affidatale da Gesù. Pure, nel suo silenzio, la serenità del viso parlava, e Giovanni sentiva sciogliersi a contatto con la Madre i suoi timori e i suoi dubbi. Per questa ragione, quand'egli trovò la tomba vuota, credette alla risurrezione prima di ogni spiegazione e prima d'ogni altro Apostolo (Gv 20, 8).
Particolare questo che passò probabilmente inosservato. Trascorsi i quaranta giorni, Gesù salì al Cielo e dieci giorni più tardi lo Spirito di Verità si posava sulla fronte degli Apostoli. Non ci si dice espressamente che Maria si sia trovata in mezzo ad essi; ma il testo pare l'accenni, poiché dopo l'enumerazione di tutti coloro che erano riuniti nel Cenacolo, in numero di circa centoventi, l'Autore degli Atti inizia il racconto della discesa dello Spirito Santo con queste parole: «Il giorno della Pentecoste spuntato, essi stavano insieme in un medesimo luogo ».
E subito incomincia la storia della Chiesa di Gesù Cristo. Maria non ritorna a Nazareth, rimane nella casa del suo secondo figlio, Giovanni, a Gerusalemme. S'indovina che la missione di Giovanni è di parlare alla Madre del suo Gesù, di soddisfare i segreti desideri ch'Ella aveva rintuzzato durante tutta la vita pubblica del Figlio. Maria non aveva mai assistito ai discorsi di Gesù, e non conosceva le frequenti e burrascose discussioni coi farisei, specialmente nel Tempio, che l'avevano condotto al dramma del Calvario.
La missione di Giovanni era precisamente quella di raccontarle tutti questi fatti ed inaugurare il suo magnifico compito di evangelista offrendo alla santa curiosità di Maria, punto per punto, gli episodi più significativi della divina tragedia che si era compiuta sul Golgota.
Riparleremo di questa collaborazione intima fra Maria e Giovanni circa la nascita del quarto Vangelo, così concreto, nello stesso tempo cosi mistico, e ci domanderemo fino a qual punto merita il nome particolare di Vangelo Mariano.
Questo studio ci preparerà a discernere meglio gli elementi d'un problema assai delicato quale la ricerca d'una possibile influenza di Maria sul Vangelo orale che prese allora da Gerusalemme il suo volo verso la conquista del mondo redento da Gesù.

Il Vangelo orale. - Le opinioni generali concordano nel ritenere che il Vangelo orale deve essere quello rimessoci da S. Marco. Questo evangelista era il segretario di Pietro, abitava in Gerusalemme e come testimonio oculare poteva raccontare un certo numero di fatti dell'ultimo periodo del ministero di Gesù. Non diciamo che il suo Vangelo sia stato scritto per primo: la tradizione colloca l'opera di S. Matteo prima della sua. Ma il testo di S. Marco, meno completo di quello di S. Matteo, è composto soprattutto di notizie vive e pittoresche e, all'infuori dei discorsi del Maestro, rappresenta lo stadio più primitivo della predicazione apostolica.
Proprio così Pietro raccontava la storia di Cristo, ed è molto probabile che gli Apostoli abbiano imitato da lui i propri racconti, confermando con la loro testimonianza tutte le sue affermazioni. La questione dell'influenza di Maria sulla nascita del Vangelo orale è relativamente facile da risolvere, ed è certo la più semplice tra quella che esamineremo.
Maria non aveva assistito agli sviluppi della missione del Suo Figlio divino e quindi la sua testimonianza non poteva aggiungere nulla a quelle degli Apostoli. E non poteva nemmeno mettersi alla pari con essi perché non aveva visto né sentito quasi nulla di quello che formava la sostanza della primitiva catechesi.
Non per questo vogliamo dire che Maria non abbia esercitato nessuna influenza nella preparazione di questa prima forma d'apostolato. Meraviglia invece il fatto che le nozioni relative all'infanzia siano completamente assenti dal Vangelo di S. Marco, il quale s'inizia con la predicazione di Giovanni Battista nel deserto. Non vi si accenna all'annunciazione, alla nascita in Betlemme, alla vita nascosta di Gesù a Nazaret. Si può credere che soltanto per puro caso sia passato sotto silenzio tutto ciò che concerne la Madonna, ciò che la può mettere in evidenza e può far risaltare la sua dignità di Madre di Dio parlando delle sue eminenti virtù, tutto ciò che in una parola ne può cantare la gloria? Pietro non ebbe alcuna cura di conoscere chi era Gesù prima che questi iniziasse la divina missione della redenzione del mondo? Non sarebbe stato l'amico di Gesù, il discepolo leale e fedele per eccellenza, non sarebbe stato uomo se non avesse tentato d'informarsi intorno alla nascita ed alla giovinezza del Maestro adorato.
Come prima riga del suo testo S. Marco colloca queste parole: Inizio del Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio.
C'è qui la parola più luminosa fra tutte: quella che proclama la divinità di Gesù. Non c'è alcun dubbio che «il Figlio di Dio » qui deve essere preso in senso letterale. E' l'atto di fede di Pietro e dopo di lui, di S. Marco (4).
Non possiamo credere che Pietro sia stato indifferente a qualsiasi minimo particolare che riguardasse il Maestro amatissimo. Né possiamo dubitare che egli non abbia avuto il tempo d'interrogare la Madonna sui trent'anni della vita nascosta che racchiudevano tanti insegnamenti per i discepoli di Cristo. E' il caso di ritenere come certo che Maria sia stata più volte rispettosamente supplicata di manifestare i divini segreti celati nel suo cuore. E da tutti questi fatti e supposizioni possibili possiamo concludere che l'influenza di Maria sul primitivo Vangelo orale si sia esercitata nella profondità, incomprensibile alla natura umana, d'una umiltà senza precedenti.
«Non parlate affatto dell'Ancella! Non distogliete il vostro sguardo dagli insegnamenti del Maestro. Mirate soltanto alla «buona novella». Le vostre narrazioni proclamino soltanto senza ritardo la grandezza divina, riferiscano i suoi miracoli, ripetano le sue parole, facciano conoscere le resistenze colpevoli che gli si opposero, mettano in evidenza le leggi dello spirito nuovo che Egli ha voluto propagare sulla terra, si diffondano sui grandi fatti dell'ultima settimana: l'entrata del Messia nella città santa, gli ultimi discorsi, il tradimento, il processo, la morte, la resurrezione, Lui, sempre Lui e Lui solo»!
Ecco, questa è la consegna data da Maria agli Apostoli mentre si andava formando il Vangelo orale. Non sapremo comprendere diversamente come il periodo dell'infanzia sia stato escluso. Se il silenzio non fu volontario, rimane incomprensibile, Ma volontario da parte di chi? Degli Apostoli? Non si capirebbe perché le notizie dell'infanzia di Gesù siano narrate nei Vangeli di Matteo e di Luca. Da parte di Maria? E' più naturale e ci sarà più facile capire perché esse non risultino neppure nel Vangelo di Giovanni.

Due prove. - È naturale che la precedente conclusione sarebbe assai più forte se nello stesso Vangelo di S. Marco vi fosse qualche segno positivo che la consolida. A noi pare di riconoscere due segni che corroborano il nostro modo di vedere.
Il primo nella relazione, tutta propria di Marco, della seconda visita di Gesù a Nazareth.
Gli abitanti della cittadina sono malcontenti del loro illustre compatriotta. Aspettano da lui dei miracoli, e sono gelosi di Cafarnao dove si è mostrata la sua potenza. Gesù intuisce il risentimento ed indirizza ai Nazareni una velata ammonizione. Ma mentre S. Luca e S. Matteo mettono in bocca al popolo questa frase irritata: Non è il figlio del falegname? non è il figlio di Giuseppe? Sua Madre non ha nome Maria? Invece S. Marco fa dire questa espressione sorprendente: Non è il falegname, il figlio di Maria? Questi ne parla come se Gesù non avesse Padre. Giuseppe, infatti, non è mai nominato nel Vangelo di Marco. Date le abitudini dei Giudei che su questo punto non erano per nulla diverse da quelle di Roma, è poco verosimile che i Nazareni si siano espressi nel secondo modo, e poiché bisogna scegliere tra i tre Vangeli è preferibile il testo di Matteo e di Luca. Ma perché Marco ha riportato le recriminazioni sotto termini insoliti? forse perché Giuseppe era morto. Ma un figlio continuava a portare, nella designazione comune, il nome del padre, anche se la madre era vedova. Si potrebbe spiegare semplicemente così: Matteo e Luca che hanno raccontato la nascita miracolosa di Gesù, nel riportare quali erano le parole dei Nazareni non potevano temere confusioni nello spirito dei loro lettori. Mentre Marco che non ha accennato all'infanzia di Gesù né alla sua origine soprannaturale, se avesse accennato a Giuseppe poteva motivare nei lettori un'idea falsa intorno alla nascita del figliuolo di Dio fattosi uomo. Perciò lo chiama sent'altro: Figlio di Maria e non tradisce per questo la verità storica poiché egli qui riferisce il senso dell'aspra frase dei Nazareni. Molto significativo è il fatto che Marco non abbia nominato Giuseppe e che egli abbia evitato in questa circostanza, in cui logicamente lo doveva fare, di accennarlo come padre legale e apparente di Gesù. Ciò prova secondo noi, che Pietro era perfettamente informato della miracolosa nascita di Gesù e che egli vedeva chiaramente la necessità di istruire in proposito i fedeli, o almeno di non lasciarli in errore, ma che ne era trattenuto dalla cosiddetta «consegna » della Madonna. E' probabile che risvegliata la curiosità dei cristiani dalle stesse espressioni di cui si serviva S. Pietro, il Vangelo ufficiale sia stato completato da spiegazioni di carattere più o meno confidenziale. La verità non soffriva né l'umiltà di Maria poteva essere offesa.
Il Vangelo orale pare abbia preso fin da principio una forma rituale ufficiale e costante. Ma al di fuori del servizio divino i fedeli dovettero interrogare i testimoni della vita di Gesù. Dopo la morte della Madonna, Pietro avrebbe potuto modificare nel senso voluto il testo del suo Vangelo predicato. I racconti dell'infanzia sono innestati senza il minimo inconveniente in Matteo e Luca e diremo a quale condizione; ma Pietro credette suo dovere restar fedele ai desideri di Maria, sia per rispetto alla sua memoria, sia per l'alta intelligenza della profonda umiltà di Lei.
Ed è proprio da questa che si può ricavare il secondo segno o indizio: l'umiltà di Maria, la sua attenzione a non mettersi in scena per rimanere nell'ombra, la cura costante d'avvolgersi nel silenzio per far concentrare gli sguardi unicamente su Gesù, noi la ritroviamo anche in Pietro. Il suo Vangelo evita per partito preso tutto ciò che può riandare a sua gloria. Giunge persino a tralasciare le parole dell'investitura suprema di cui è fatto oggetto da parte del Maestro.
In S. Marco non si trova nemmeno uno dei tre testi principali sui quali i teologi fondano con ragione il motivo del primato di Pietro e del suo successore. I due più espliciti sono in S. Matteo e in S. Giovanni: (Testo della confessione) (5).
Il terzo è in S. Luca (6).
Il Vangelo orale predicato da Pietro mancava di notizie e ciò si spiega con l'umiltà del capo della Chiesa; senza dubbio Gesù aveva tanto insistito su tale virtù che Pietro ne praticava senz'altro le sue lezioni. Sebbene altro è conoscere la dottrina dell'umiltà ed altro saperne fare l'applicazione. Nel silenzio voluto da Pietro sulle sue prerogative è molto più naturale riconoscervi l'imitazione della Madonna nel silenzio sui propri privilegi. Bossuet ha dunque buona ragione di dire che l'umiltà di Maria la spogliò di tutti i suoi vantaggi. Ed ora possiamo aggiungere che gli Apostoli hanno capito il suo esempio. Maria influisce sulla formazione del Vangelo orale con questa profonda lezione di umiltà e la predicazione di Pietro attesta che la lezione non è andata perduta. Quant'è bella la missione di Maria nel seno della Chiesa primitiva!

Obiezione.
- Maria aveva scelto il silenzio e l'ombra, aveva scelto l'umiltà. Il suo esempio era il più persuasivo ed il più vivo degli insegnamenti. Coloro che l'avvicinavano di più, e Pietro era nel numero, ne erano più profondamente influenzati. L'umiltà di questo apostolo ben visibile nella cura da lui posta nell'accentuare le sue mancanze, tacere i suoi privilegi è certamente per buonissima parte frutto dell'umiltà mariana.
Queste le nostre conclusioni e tutto il libro in seguito lo confermerà. Ma prima di proseguire ci domandiamo: I fatti descritti sopra come base del nostro ragionamento e delle nostre deduzioni, non possono spiegarsi in modo diverso?
Su questo punto delicato si potrebbe dire: Il silenzio del primitivo Vangelo, rappresentato dal testo di S. Marco, sulla Madonna e sull'infanzia di Gesù, può anche essere effetto d'una certa tattica del Capo degli Apostoli. Doveva predicare la divinità di Gesù, far adorare Cristo come un Dio: non era il caso di attenersi semplicemente a questo compito già tanto alto e grave? E poi, soprattutto, dato che occorreva indirizzarsi a dei pagani non era più abile e più logico allontanare le figure puramente umane dall'immediata vicinanza del Salvatore? Era opportuno dare a credere ai convertiti dalle mitologie infantili una storia simile a quella ch'essi trovavano nelle loro assurde favole? Un Dio fattosi carne, una Madre di Dio, e - se si osasse - una dea? Non era più prudente omettere tutto? E allora perché giustificare con l'umiltà della Madonna?
Più tardi il culto mariano avrà dei grandi sviluppi. Le critiche non mancheranno al capo del cattolicesimo e lo si accuserà di far dimenticare la divinità per sviare gli omaggi religiosi su una semplice creatura. Gli si rimprovererà di sopprimere in pratica la distanza infinita che necessariamente esiste fra il creato e l'increato, fra Dio e l'opera sua, fra l'infinito e il finito.
Ottima quindi la previdenza della Chiesa di formare il vuoto intorno a Gesù, di non considerare che Lui e di attirare gli sguardi solo su di Lui e di allontanare dalla sua persona inaccessibile tutta ciò che poteva diminuirlo al livello delle creature ordinarie. A questa obiezione noi rispondiamo che la Chiesa primitiva non ha mai pensato nulla di tutto questo perché nulla è tanto lontano da essa come i timori e i calcoli e coloro che hanno arrossito per l'umile umanità del Redentore sono stati collocati dalla Chiesa fra gli eretici. È vero che per quel poco che possiamo conoscere delle dottrine vaghe ed inconsistenti dei Doceti essi credevano d'ingrandire il Cristo prestandogli un corpo ideale, una semplice apparenza di umanità e quindi una nascita materiale puramente immaginaria. Ma i Doceti (7) sono stati combattuti con la più profonda indignazione dai primi cristiani. S. Giovanni provava un'avversione irresistibile nei loro riguardi e più tardi si raccontava di lui che avendo incontrato il doceta Cerinto ai bagni pubblici avrebbe gridato: «Fuggiamo tosto il primogenito di Satana».
Tutto il mistero della: redenzione afferma soprattutto che un Dio s'è fatto Uomo, veramente e pienamente Uomo morendo per noi, per redimerci. I Vangeli non nascondono nulla dell'umanità di Gesù nelle sue umiliazioni e sofferenze e della sua reale morte in croce.
D'altra parte se si ammette che S. Pietro abbia tolto dal suo Vangelo il racconto dell'Infanzia di Gesù per non creare confusione nello spirito dei convertiti dal paganesimo si può domandarci: Perché Matteo e Luca non ebbero lo stesso timore? Perché la narrazione dell'infanzia ha trovato subito il suo posto nei loro testi evangelici? L'umiltà di Maria poteva essere vinta e tenteremo di dire come e perché. Ora se la tattica detta sopra fosse esistita non c'era motivo perché vi si rinunciasse così presto.

Ma c'è anche di più. E' un errore credere che la Chiesa primitiva trascurasse deliberatamente il nome di Maria. Ciò che non è accennato nel Vangelo di Pietro si ritrova in documenti antichissimi. Il nome di Maria fu posto fin dal principio in quella «Regola di fede» di cui parla Tertulliano e che divenne nel IV secolo il nostro «simbolo degli Apostoli». Ci sono buone ragioni per credere che la formula più antica di questo simbolo fosse così concepito: «Io credo in Dio Padre Onnipotente ed in Gesù Cristo suo unico figliuolo nostro Signore che nacque dallo Spirito Santo e da Maria Vergine, fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, fu seppellito e risuscitò da morte, il terzo giorno salì al cielo, siede alla destra del Padre, donde verrà a giudicare i vivi e i morti - e nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa, la remissione dei peccati, la resurrezione della carne».
Tutto il resto sarebbe stato aggiunto in seguito. Ma l'accenno esplicito della «Vergine Maria» corrispondente a quanto abbiamo detto della frase dei Nazareni in S. Marco si trovava già nella prima redazione.
Qualche citazione degli antichi Padri finirà di convincerci che il silenzio del Vangelo orale rappresentato da Marco non può essere attribuito ad alcun timore come quello sopraccennato.

Gli antichi Padri e la Vergine. - S. Ignazio d'Antiochia è quasi contemporaneo degli apostoli. Fra la sua morte e quella di Giovanni non vi sono più di 5 o 6 anni di differenza e difatti la si pone fra il 107 e il 108. Ci è dato di constatare sorprendenti somiglianze fra la sua maniera di parlare del Cristo e quella di S. Giovanni. Lo si può quindi considerare discepolo dell'Apostolo. E poiché sull'esempio di Giovanni egli combatte i Doceti, insiste in ogni circostanza sulla nascita umana di Gesù. Naturalmente nomina Maria. «Il Nostro Dio Gesù Cristo - scrive - è stato portato da Maria nel suo seno: secondo i decreti della Provvidenza, dalla stirpe di Davide da una parte e dallo Spirito S. dall'altra. Egli è nato ed è stato battezzato al fine di purificare l'acqua con la sua passione» (8).
Trent'anni più tardi, verso il 140, S. Aristide scrisse un'apologia del Cristianesimo dedicato ai pagani. Era proprio il caso di non avvicinare ad un Dio-Uomo il nome di una Madre che i pagani non potevano non considerare come una dea. Ma S. Aristide non ha la minima idea di tali scrupoli: crede i suoi avversari abbastanza intelligenti per comprendere la distanza che separa le invenzioni della mitologia dalla dottrina cristiana. E scrive: «I cristiani traggono la loro origine da Nostro Signor Gesù Cristo il quale è proclamato Figlio del Dio Altissimo che nello Spirito Santo discese dal Cielo per la salute degli uomini e generato senza germe né corruzione da una Vergine santa prese carne e si mostrò agli uomini» (9).
Con un altro apologista, S. Giustino, la dottrina mariana riceve il suo primo importante sviluppo. S. Paolo aveva paragonato Gesù ad Adamo, gli aveva dato il nome di ultimo Adamo (10). Niente di più naturale che confrontare il compito di Maria con quello di Eva. Ma non è il caso di temere più qui che in altre circostanze, di accostar troppo una creatura a Dio? Adamo ed Eva sono al medesimo livello, sono della stessa razza umana, c'è perfetta uguaglianza tra di loro dal punto di vista della natura nella scala degli esseri. Ma fare di Maria la «novella Eva» non equivale elevarla allo stesso grado dell'ultimo Adamo? S. Giustino discutendo con il giudeo Trifone non si sente legato da simili probabili obiezioni e scrive senza timore: «Leggendo noi nelle Memorie degli Apostoli (11) che il Cristo è il figlio di Dio, perciò stesso noi lo proclamiamo e comprendiamo come figlio ed è lo stesso che nel libro dei Profeti è nominato: la Sapienza, il Giorno, l'Oriente, la Spada, la Pietra, ecc. E' Lui che s'è fatto uomo per opera della Vergine perché la stessa redenzione arrivasse per lo stesso mezzo con cui era incominciata la ribellione per mezzo del serpente. Eva, ancora vergine pura, accogliendo le parole del serpente, partorì la disobbedienza e la morte. All'apposto Maria, la Vergine, avendo accolto dall'Angelo Gabriele la buona novella che lo Spirito Santo verrebbe su di Lei e la virtù dell'Altissimo la coprirebbe perché il fanciullo nato da Lei sarà il Figlio di Dio, rispose: Sia fatto di me secondo la tua parola» (12).
Ma la teologia mariana prende il suo slancio soprattutto con la grande opera di S. Ireneo: «Contro le eresie» che fu lentamente elaborata fra il 150 e il 200. Ireneo, della scuola di Giovanni attraverso S. Policarpo, non dimentica mai di nominare Maria quando affronta il grande tema dell'Incarnazione. Egli la chiama talvolta semplicemente «la Vergine» perché tale nome le appartiene per titolo esclusivo nella storia; e tal altra la chiama «Maria». Continuando il paragone formulato da Giuseppe tra la Madre di Cristo e la prima Eva ecco come si esprime Sant'Ireneo: «Come Eva, avendo uno sposo, Adamo, ma essendo ancora vergine, commise la disobbedienza per cui fu causa di morte per se stessa e per tutto ìl genere umano, così Maria, avendo uno sposo predestinato e peraltro pure vergine, mediante l'obbedienza è divenuta per se stessa e per tutto il genere umano causa di salute ...
Così il nodo della disobbedienza d'Eva è stato disciolto dall'obbedienza di Maria. Ciò che Eva incatenò con la propria incredulità, la Vergine sciolse con la sua fede » (13).
Dopo S. Ireneo le citazioni si fanno innumerevoli e ci provano con sempre maggior evidenza che il silenzio del primo Vangelo orale primitivo intorno a Maria e alla infanzia di Gesù non poteva essere il risultato d'una qualunque infantile precauzione o di qualche prudenza esitante e subito sorpassata dagli avvenimenti.
Solo l'umiltà superiore di Maria può spiegare la scomparsa del suo nome dopo l'accenno che se ne fa nella Pentecoste e l'ombra assoluta che nasconde ai nostri occhi gli ultimi anni suoi su questa terra.

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