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La Vergine Maria e i Vangeli del canonico Leon Cristiani libro del 1934

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2012 22:18
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07/09/2012 21:59

Capitolo III

Sommario:
- Carattere unico del Prologo.
- La parola del Verbo.
- La preesistenza di Gesù.
- I ricorsi alle Scritture.
- Gesù nell' Antico Testamento
- La saggezza - Maria e Gesù
- Gesù e la Bibbia.
- Gesù maestro di Maria.
- La doppia missione di Maria e di Giovanni.
- Maria e il Prologo
- La firma di Maria.

***

Carattere unico del Prologo. - Abbiamo denominato il silenzio di Maria e di Giovanni un silenzio lirico, cantante e, in altre parole, lo abbiamo chiamato un silenzio contemplativo ed entusiasta.
Quando studieremo il Magnificat sotto questo punto di vista avremo un bell'esempio di questo genere di silenzio. Maria non taceva quasi non avesse nulla da dire, ma perché ne aveva troppo; perché si teneva costantemente al cospetto del Signore e parlava sempre a Lui nel suo cuore: La mia anima glorifica il Signore! Lode che riassume perfettamente tutto il suo silenzio e ne traduce il senso profondo.
Per Giovanni il Prologo è la più gloriosa manifestazione del silenzio lirico e cantante dì cui parliamo. E se ci fu qualcuno sensibile al lirismo esso è il grande Bossuet. Non c'è prosa più lirica della sua. Per questo quando s'avvicina al prologo di S. Giovanni egli si sente costretto ad usare questo modo lirico. «Dove mi perdo, dice, in quale profondità, in quale abisso? Gesù Cristo può essere l'oggetto delle nostre conoscenze? Indubbiamente perché proprio a noi è indirizzato il Vangelo. Andiamo dunque! Camminiamo al seguito dell'aquila degli Evangelisti, del prediletto fra i discepoli, d'un altro Giovanni come il Battista, di Giovanni figlio del tuono che non parla affatto un linguaggio umano, che rischiara, tuona, stordisce, che rovescia ogni spirito creato sotto l'obbedienza della fede quando con rapido volo fende l'atmosfera, squarcia le nubi, s'eleva al di sopra degli Angeli, delle Virtù, dei Cherubini, dei Serafini ed intona con queste parole: In principio era il Verbo».
E dopo aver commentata questa frase iniziale di nuovo il grande scrittore si arresta per gridare la sua grande ammirazione: «Dove sono io? Cosa vedo? Cosa sento? Taci, o mia ragione e, senza ragione, senza discorsi, senza immagini sensibili, senza le parole sonore, senza il soccorso di alcun pioniere che batta la strada o d'una immaginazione agitata, senza turbamenti né sforzi umani diciamo nell'intimo con fede ed intelletto piegato e soggetto: Al principio ma senza principio; avanti ad ogni principio e al di sopra di tutti i principii era Colui che è e sussiste sempre: il Verbo, la parola, il pensiero eterno e sostanziale di Dio ». E quando Bossuet ha tentato nuovamente di tradurre nella sua bella e forte lingua il seguito del primo versetto del Prologo non ha potuto trattenersi dal prorompere ancora: «Ah, io mi perdo, non posso, più, non posso più dire che Amen: è così. Il mio cuore dice: E' così. Amen. Quale silenzio; ammirazione, stupore! Quale nuova luce! Ma quanta ignoranza! Io non vedo niente e vedo tutto. Io vedo questo Dio che era al principio, che esisteva nel seno di Dio e non lo vedo affatto. Amen. E' così. Ecco tutto ciò che mi rimane dei discorsi. che sto per fare: un semplice irrevocabile assenso; per amore alla verità che la fede mi manifesta. Amen, amen, ameno Ancora una volta: Amen! Per sempre: Amen».
E' così che l'aquila di Meaux ammira il volo dell'aquila di Patmos (22).
Sappiamo fino a qual punto Bossuet era nutrito della tradizione patristica: Si sente quasi ascoltandolo, la vasta eco di tutti i secoli cristiani (23).
Ed ora oseremo diminuire la gloria di Giovanni?
Gli toglieremo la paternità di questa splendida rivelazione del Verbo? in questi brevi pensieri in cui ogni età ha intravisto i fremiti d'ala dell'aquila noi ci limiteremo a vedere i voli di colomba?
Consideriamo attentamente il problema che ci si pone dinnanzi: questa pagina porta forse le tracce dell'influenza mariana? Giovanni ha scoperto la dottrina del Verbo nel momento di scriverla o la conservava in sé fin dalle lontane conversazioni con Colei che Gesù gli aveva dato per Madre?

La parola: Verbo. - Ma che cosa intendiamo noi per dottrina del Verbo? facciamo questione della parola?
La troviamo già nell'Apocalisse che gli specialisti unanimemente collocano per ordine di tempo prima dell'Evangelo. Giovanni quindi possedeva questa espressione prima di usarla nel Prologo (Ap 19, 13).
Ma da quanto tempo aveva presa l'abitudine di designare con quel nome solenne il Cristo Gesù, il suo Maestro amatissimo? Non lo sappiamo né pretendiamo di far salire l'uso di questo termine al tempo in cui la Vergine abitava a Gerusalemme sotto il suo tetto. Il «chiostro» dove si svolgevano quelle sublimi conversazioni tra lui e la Madre forse non ha mai sentito risuonare questa espressione. Ma del resto ciò non ha molta importanza.
Piuttosto, per dottrina del Verbo noi intendiamo essenzialmente il posto dato a Gesù presso il Padre suo, da tutta l'eternità, l'identificazione del figlio di Dio col pensiero creatore, con quella grande potenza d'ordine e d'armonia in cui lo spio rito amante rivela la magnificenza della natura e della grazia, potenza che si definisce: Sapienza divina.
Porre bene il problema fin da principio con termini chiari vuol dire già facilitarne la soluzione.
Con l'evidenza basata su una certezza psicologica, che non consente alcun dubbio, abbiamo ammesso finora che Maria e Giovanni non hanno potuto vivere insieme dieci, quindici anni senza parlare di Gesù. E come conseguenza di questa prima affermazione si pensa che avranno spesso parlato della sua divinità, della natura profonda della sua persona e della sua preesistenza. Avranno certamente scrutato, e più d'una volta, le Sacre Scritture che erano per essi la parola stessa di Dio, per venerare le qualità profetiche del grande Re dei loro cuori ed unirvi affettuosamente quanto conoscevano della sua vita e del suoi insegnamenti come adempimento dei sacri oracoli. Fra i suoi miracoli alcuni specialmente saranno stati l'oggetto della loro attenzione contemplativa, quelli in cui si traduceva la presenza stessa di Dio Sapienza increata di cui Gesù era per essi la vivente incarnazione.
Ma qui non siamo nel campo delle congetture, o meglio, abbiamo il mezzo e il dovere di uscirne. Nel quarto Vangelo, come opera comune di Maria e di Giovanni, noi dobbiamo trovare le tracci e sicure delle questioni che abbiamo enumerate sopra e cioè, se il quarto Vangelo è più sensibile degli altri alla questione della preesistenza di Gesù; se vi è traccia di ricorsi alle S. Scritture per verificare i titoli profetici che Giovanni gli dà nel suo testo e infine se l'identificazione di Gesù con la Sapienza Creatrice si trova, almeno, come spunto allettatore dei discorsi di Gesù riportati dagli Apostoli.

La preesistenza di Gesù. - Se dubbio vi è su questo primo argomento esso fu sollevato dagli attacchi fatti, al quarto Vangelo, dai negatori della divinità di Cristo. Tutti i secoli avevano riconosciuto al Vangelo di Giovanni una preminenza indiscussa e la preferenza la troviamo anche in Lutero e Calvino. Solo l'epoca delle macchine e del materialismo in nome di una filosofia degna di lei si è riservata il compito di ridurre tutte le cose ad un meccanismo senza cuore, di sopprimere in Dio la Sapienza e la Bontà per non vedere in tutto che un fatalismo inesorabile, di negare il soprannaturale e il miracolo, di nascondere la vita dello spirito nel cigolante congegno della materia cieca e brutale e di mostrarsi per conseguenza d'una severità inesorabile verso il Vangelo mistico e spirituale per eccellenza.
Le generazioni future si meraviglieranno, crediamo, dell'orgoglio dogmatico, della puerilità presuntuosa, delle negazioni ostinate ed infantili di un'epoca ormai giudicata attraverso i suoi risultati miserabili.
Dalle stesse critiche ingiuriose contro il Vangelo di Giovanni risulta la gloria di Gesù più clamorosa che negli altri, la sua divina personalità vi è posta in maggior rilievo e le parole in cui Gesù si è espresso come superiore al tempo e appartenente all'eternità divina vi sono state più accuratamente raccolte. Senza dubbio i Vangeli Sinottici sono espliciti come Giovanni nel dire che Gesù fu condannato quale bestemmiatore per essersi dichiarato pubblicamente - e si potrebbe dire giuridicamente, cioè in pieno tribunale del Sinedrio - Figlio di Dio. Se anche si sopprimesse il quarto Vangelo, gli increduli non avrebbero meno da fare per radiare dalla storia i miracoli di Gesù e le prove della sua divinità. I tre primi Evangelisti hanno narrato tanto bene questi fatti che Giovanni, il quale scriveva appositamente per stabilire la divinità del Cristo (24) non ha trovato la minima necessità di riprodurre dichiarazioni così esplicite come la confessione di Pietro, le parole di Gesù sulla rivelazione del Figlio e del Padre (25), la parabola del cattivo vignaiuolo e soprattutto la risposta solenne di Gesù a Caifa nel momento della sua condanna a morte. Però Giovanni ha fatto parecchie aggiunte a quanto era scritto nei Vangeli precedenti ed è in grazia sua che noi conosciamo l'accusa della bestemmia per cui fu sconfessato dai capi del suo popolo.
Non è necessario riportare tutti i testi di Giovanni relativi alla preesistenza di Gesù per i quali non è il caso di avere dubbi. Ricordiamo solamente la riflessione fatta a Nicodemo: Nessuno è salito al Cielo se non Colai che è disceso dal Cielo, il Figlio dell'Uomo che è in Cielo; la parola detta ai Giudei dopo la guarigione dell'infermo di Betsaida: Mio Padre opera fino al presente ed io opero; la frase di Cristo a proposito di suo Padre nel tempo della festa dei Tabernacoli: Io lo conosco perché sono da Lui ed Egli mi ha mandato; e la frase prodigiosa: In verità in verità vi dico, prima che Abramo fosse nato io sono e infine, alla dedicazione del Tempio: Io e il Padre siamo una cosa sola. Si rileggano i magnifici discorsi di Gesù agli Apostoli dopo la Cena, si ricordi l'identificazione ch'Egli stabilisce fra il Padre e se stesso: Filippo, chi vede me vede mio Padre ... se voi non credete che io sono nel Padre e che il Padre è in me credete almeno a motivo delle opere.
Si capisce bene l'ardente attrattiva d'una Madre come la Vergine benedetta per tanti ricordi che Giovanni le riferiva. Più che la teologia astratta la Vergine Madre cercava la persona stessa del suo divin figlio, si dirigeva direttamente al suo cuore, al suo intimo Essere, alla sua Essenza Eterna. Si sentiva annientata di fronte alla Divinità uscita dall'infinito per incarnarsi nel suo seno.
Prima che Abramo fosse io sono. Se non ci fossero che queste parole nel quarto Vangelo intorno alla preesistenza di Gesù, esse basterebbero a sostenere la nostra tesi. E si intende anche la ragione profonda dell'umiltà di Maria. Il fiat tremante uscito dalle sue labbra nel giorno dell'annunciazione, l'umile espressione: Si faccia di me secondo la sua parola, ritrova la sua sorgente nella visione profonda del tempo in rapporto con l'eternità. Cos'è stato questo fiat? Una parola buttata sulla linea tortuosa dei secoli. Ma il Figlio di Dio domina tutti i secoli e non come potenza che è entrata nel fluttuar delle età, ma con la maestosa immobilità di chi non appartiene al tempo. Maria era ben minima a paragone di tale maestà e si capisce come la dignità di Madre di Dio non poteva essere accordata ad una creatura e portata convenientemente da essa se non si fosse inabissata nel sentimento del suo niente.
Prima che Abramo fosse io sono. Quindi prima che Maria fosse «Egli era». Prima che il mondo fosse «Egli era!» Fin dove arriveremo noi per sapere da quando Egli era? Andremo al di là del tempo fino a quel principio che non ha mai cominciato, fino all'eternità e diremo: Al principio Egli era.
Non c'è dubbio che questi siano stati i frequenti e quotidiani pensieri di Maria. Non sarebbe stata Colei che Ella era, l'unica creatura in cui l'amore d'una creatura per il suo Dio e l'amore d'una Madre per il suo Figlio formavano un solo e medesimo amore, s'ella non si fosse costantemente sentita spingere dal suo amore di creatura ad umiliarsi dinnanzi al suo Dio.

Il ricorso alle Scritture.
- Un'ipotesi che prospettiamo senza timore di temerità è che per poter nutrire il doppio amore che sentiva in sé, il pensiero di Maria deve essersi portato con predilezione verso le Sacre Scritture invogliandone pure il nuovo figlio, Giovanni.
Gesù si era continuamente appellato alle Scritture; aveva detto ai Giudei: Scrutate le Scritture, sono proprio esse che mi rendono testimonianza (Gv 5, 39). Esse costituivano degli argomenti più familiari e più forti e Gesù se ne serviva come di una cattedra preparata da molti secoli. I profeti erano andati a gara nell'annunziare la missione del Messia. Senza dubbio i loro oracoli erano stati a poco a poco oscurati dalle passioni nazionalistiche aggiuntesi ad una precedente materializzazione ed avvilimento del pensiero religioso giudaico. Ma appunto per questo Gesù era intento a restaurare la vera intelligenza dei testi sacri. Nel giorno stesso della sua resurrezione sulla strada di Emmaus Egli s'era incaricato di illuminare con la sua parola tutta la storia messianica contenuta nei libri santi: Non doveva - dice ai discepoli - Cristo soffrire, per entrare nella sua gloria? E cominciando da Mosè attraverso tutti i profeti spiega a loro in tutte le Scritture ciò che a Lui si riferiva. Ma abbiamo noi bisogno di questa prova per pensare che Maria e Giovanni si chinavano volentieri sulla Bibbia per ritrovarvi il loro caro Gesù?
Quando noi saremo di fronte ai testi che provengono certamente dalla Vergine stessa, non avremo bisogno di altre prove per persuaderci circa l'ardore instancabile con cui Maria e Giovanni si curvavano sulla Sacra Scrittura per scrutarla in un tempo in cui Gesù non aveva ancora raccomandato di farlo. Per la Madonna, come per ogni altra persona religiosa in Israele, le Sacre Scritture confermavano le sante speranze della tradizione, i lumi che Dio aveva donato al mondo e rappresentavano le sorgenti insaziabili della salute e le regole infallibili dell'amore e del servizio di Dio.
Nei passi delle Scritture ricercheremo quello che più interessava alla Vergine e, cioè, non tanto i dettagli circa la vita di Gesù predetti dai profeti. ma soprattutto la maggior attrattiva per Lei, serva e Madre del suo Signore: la stessa divina persona di Gesù.
Si poneva o non si poneva il problema del Figliuolo di Dio nell'Antico Testamento? E in quali termini? Sono i quesiti a cui si deve rispondere.

Gesù nell'Antico Testamento. - Non ricerchiamo ora quello che nell'antico Testamento riguarda Gesù come Uomo. Maria doveva conoscere meglio di chiunque altro i testi che noi chiamiamo messianici. Anche se essi provenivano solo dalla bocca dei discepoli d'Emmaus, possiamo credere che Ella li avrà raccolti con le cure più materne. Vediamo invece in questo paragrafo l'apporto dell'Antico Testamento alla rivelazione del Figlio di Dio. Gesù stesso aveva detto: Io sono la Luce. Io sono la Via, la Verità, la Vita. Ci sono nella Bibbia delle pagine in cui la luce divina è personificata, dove la Verità e la Vita di Dio ci sono rappresentate come delle persone divine?
La risposta è senz'altro affermativa e non tanto perché si possa insinuare che i Giudei conoscevano la generazione del Verbo divino e ancor meno il Mistero della SS. Trinità, ma in quanto si può affermare cogli esegeti cattolici che i testi in questione senza alcun dubbio sotto l'ispirazione dello Spirito Santo sorpassano l'intelligenza stessa del loro autore storico, chiunque sia stato, e superano nettamente ogni parallelo e allegoria tendenti a far conoscere in Dio una filiazione ineffabile. Ed è sorprendente che si incontrino certi passi nei libri che costituivano per Maria una specie di beni di famiglia, vogliamo dire il Libro dei Proverbi e quello della Sapienza. Il primo era formalmente attribuito a Salomone, figlio di Davide e nella genealogia data da S. Matteo, Salomone figura fra gli ascendenti diretti di Gesù.
È naturale, ad ogni modo, che una figlia di Davide, per tradizione familiare si interessi delle opere illustri d'un antenato immortale. Notevole è il fatto che la liturgia cattolica abbia usufruito spesso di passi dei libri sapienziali per introdurli negli uffici delle feste mariane. Sono passi che non si applicano direttamente a Maria ma essa deve averli recitati con delizia, meditati in estasi e commentati con entusiasmo sia con Gesù come con Giovanni. Lo notiamo di passaggio come un pensiero che può offrire un alimento di più alla pietà cristiana.

La Sapienza. - In compagnia della Madonna leggiamo il più eloquente di questi passi. Essa aveva ripetuto con Giovanni: Il mio Gesù era la Luce, la Verità, la Vita, era comunque la Sapienza per eccellenza, la Sapienza stessa di Dio. Che cosa doveva pensare, in quali trasporti di gioia e di alta contemplazione era elevata quando ripeteva lentamente - con Giovanni accanto, che le faceva eco - dei passi come il seguente: «Il Signore mi ebbe con sé nel principio delle sue opere prima che alcuna cosa fosse creata. Dall'eternità ebbi io principio, ab antico, prima che fosse fatta la terra. Non erano ancora gli abissi ed io ero già concepita. Non iscaturivano ancora i fonti delle acque, non posavano ancora i monti sulla gravitante loro mole, prima delle colline io ero partorita. Egli non aveva ancora fatta la terra, né i fiumi, né i cardini del mondo. Quand'Egli dava ordine ai cieli io era presente; quando con certa legge e nei loro confini chiudeva gli abissi, quando laggiù stabiliva l'aere e sospendeva le sorgenti delle acque; quando i suoi confini fissava al mare, dava legge alle acque perché non oltrepassassero i limiti loro, quando gettava i fondamenti della terra, con Lui io era, disponendo tutte le cose ed era ogni dì mio diletto scherzare nell'universo: è mia delizia stare coi figli degli uomini...» (26).
Magnifico tema di commovente meditazione per Maria e per Giovanni! Il loro spirito assisteva quasi al grazioso spettacolo della creazione, trasportato com'era al di là del tempo e delle cose. E nella gioia dell'eternità essi percepivano Gesù sorridente nella sua preesistenza infinita. Prima che Abramo fosse io sono, aveva detto Gesù. Dov'erano le origini del suo Essere? La chiarezza e il lirismo di questo passo doveva attrarre vivamente Maria e Giovanni cui la continuazione della lettura offriva nuove e meravigliose applicazioni al loro Gesù.
Egli aveva detto: Io sono la Vita. Io sono venuto perché abbiano la Vita, e al medesimo capitolo dei Proverbi si leggeva: «Ora dunque, o figliuoli, ascoltatemi: Beati quelli che battono la mia via. Udite i miei insegnamenti e siate saggi e non li rigettate. Beato l'uomo che mi ascolta e veglia ogni dì all'ingresso della mia casa e sta attento sul limitare della mia porta. Chi mi troverà avrà trovato la vita e dal Signore riceverà la salute. Ma colui che mi offende ferisce la sua anima e tutti quelli che mi odiano amano la morte ».
Come non ricordare a questo punto l'odio dei grandi d'Israele verso Gesù, la sapienza divina? Proprio in questi passi Giovanni deve aver intuito le resistenze colpevoli sulle quali piange in un singhiozzo soffocato il versetto del suo Prologo: Venne in casa sua ed i suoi non io ricevettero.
Questa descrizione della Sapienza increata non è la sola nei Libri santi. Un altro passo che la liturgia inserisce nelle festività della Madonna si legge nell'Ecclesiastico. In esso si sfiora l'espressione stessa che sarà in seguito usata anche da S. Giovanni. La Sapienza dice di se stessa: Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo.
E che cosa esce dalla bocca se non la parola, il discorso, il Verbo?
Leggiamo tutto il passo: la rassomiglianza col Prologo di Giovanni è innegabile.
«Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo e come una nube io copersi la terra. Abitar sulle altezze più elevate e il mio trono era su una colonna di nubi. Sola io percorsi il firmamento e passeggiai nelle profondità dell'abisso. Sulle onde del mare e su tutta la terra, in tutti i popoli e in tutte le nazioni io ho esercitato il mio impero. In tutte le cose cercai dove posarmi e fisserò la mia dimora nell'eredità del Signore. Allora il creatore di tutte le cose parlò e ordinò a me; e quegli che mi creò stabili il mio tabernacolo. E mi disse: Abita con Giacobbe e tuo retaggio sia Israele. Dal principio, prima di tutti i secoli, io sono stata creata e non cesserò di essere fino all'eternità. Ho esercitato il ministero in sua presenza nel tabernacolo. Così ferma stanza io ebbi in Sionne ed anche la santa città fu il luogo del mio riposo ed in Gerusalemme fu la mia reggia. E gettai le mie radici in un popolo glorioso e porzione del mio Dio la quale è suo retaggio ... Io come la vite gettai fiori di odore soave. E i miei fiori sono frutti di gloria e di ricchezza ... poiché dolce è il mio spirito più del miele e la mia, eredità è più dolce del favo del miele ...».
Quali sante emozioni queste righe ispirate dovevano far nascere nel cuore e nello spirito d'una Madre come Maria! Ogni parola ricopriva dei simbolismi dall'infinita prospettiva ed Ella si rammentava del suo Gesù, delle sue parole e bontà, della sua sapienza, soprattutto.
La sua sapienza! Per riassumere i trent'anni della sua vita nascosta la Vergine Maria s'è accontentata di scrivere che il fanciullo cresceva, si fortificava e si riempiva di sapienza. E mentre per il popolo israelita questa parola: sapienza significava la conoscenza perfetta della Legge divina, nessun dubbio che per la Vergine significasse il possesso di Dio e della santa Legge. Ella aveva visto crescere rapidissimamente la scienza sperimentale del suo divin Figlio.
Esaminiamo ora un'altra ipotesi più ardita e giusta (27).

Maria e Gesù. - Abbiamo supposto finora che Maria, dopo la risurrezione ed ascensione del Signore, nelle sue conversazioni con Giovanni abbia. ricercato dei passi scritturali che rischiarassero la «preesistenza eterna » del suo divin figlio. È un'ipotesi, però, troppo timida: possibile che Maria abbia atteso tanto per vivere nella preghiera e nella contemplazione di quelle prospettive meravigliose aperte dall'Arcangelo Gabriele nell'annunciazione e di cui i Libri Santi le fornivano argomento perenne ed inesauribile?
Maria sapeva chi era il suo Gesù! L'Angelo le aveva detto: Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo. Il Signore Iddio gli darà il trono di Davide suo Padre ed Egli regnerà nella casa di Giacobbe per tutti i secoli. Ed il suo regno non avrà fine.
E aveva aggiunto: Lo Spirito Santo verrà su di te e la virtù dell'Altissimo ti adombrerà e per questo il Fanciullo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio.
E Maria non poteva quindi ignorare il carattere, la missione, la divina personalità del fanciullo annunciato dal Cielo e che Ella doveva possedere per trent'anni. Ella dovette assistere alla sua crescita meravigliosa, vederLo «riempire di sapienza », leggere e meditare la Bibbia con Lui. Non sarebbe verosimile pensare ch'Ella abbia avuto bisogno della compagnia di Giovanni per scoprire nella Bibbia i titoli di suo Figlio.

Gesù e la Bibbia. - Per il fatto che trent'anni della vita di Gesù sono riassunti dalla Madonna in una sola frase possiamo pensare ch'Egli abbia incominciato la sua vera missione Quando si portò sulle rive del Giordano dove già predicava il Battista, ma cadremmo anche noi in Quella strana ingenuità di certi critici secondo i Quali Gesù avrebbe preso coscienza della sua missione al momento del suo battesimo. Il Vangelo porta le tracce del profondo studio di Gesù sulla Bibbia. E la sua scienza sperimentale non si è mai arrestata per la presenza di Lui di due ordini di scienze superiori. Quand'Egli a dodici anni ascoltava i maestri e li interrogava in modo tale che coloro che l'ascoltavano érano stupiti della sua intelligenza e delle sue risposte, possiamo essere certi che era la scienza acquistata dalla Bibbia che suscitava l'ammirazione di tutti. E come l'aveva attinta tale scienza? Ai piedi della sua santa Madre come ogni fanciullo giudeo. Egli aveva ripetuto parola per parola le parole sacre ch'Ella Gl'insegnava. Essi avevano percorso insieme, lentamente, assiduamente tutto il ciclo delle Sacre Scritture. La sua scienza messianica s'era svegliata alle lezioni ed alle confidenze di Maria che aveva raccontato i misteri della sua annunciazione, della sua nascita a Betlemme, della fuga in Egitto. Insieme avevano percorso, o meglio, meditati gli cracoli profetici concernenti il Messia e neppure una minima parola deve essere passata inosservata alla loro attenzione. Per questo le risposte di Gesù dodicenne riempirono di stupore i Dottori del Tempio ammirati per la sua dottrina.
In questa circostanza non è il caso di parlare di scienza miracolosa. Il miracolo è essenzialmente un segno e non era giunta l'ora di provare la sua missione con dei segni né Egli avrebbe fatto dei miracoli per meravigliare chi l'ascoltava. Piuttosto Gesù donava così a sua Madre la soddisfazione di rilevare quanto avesse approfittato delle sue lezioni oltre che indicare uno dei suoi impegni futuri affrontando i superbi dottori che poi nella vita pubblica avrebbe incontrato continuamente. Dai dodici ai trent'anni molti giorni dovevano poi trascorrere. Non si suppone che Gesù e Maria abbiano abbandonato le preghiere bibliche e le meditazioni con cui passavano tutte le ore, ma piuttosto ammetteremo che la «penetrazione » delle Sacre Scritture sia andata via via crescendo come lo dimostrano le stesse parole della Vergine in testa al Vangelo di S. Luca quando ripete dopo l'episodio del Tempio: E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia dinanzi a Dio e agli uomini.
Basta ricordare gli insegnamenti di Gesù durante la sua vita pubblica per constatare la sua profondità nella scienza biblica, quella che Maria probabilmente chiamava la «sua sapienza ». Durante il digiuno nel deserto egli risponde alle tentazioni del demonio con parole dei Libri Santi. Più tardi nella sua predicazione si distingue un primo periodo primitivo nel quale Egli, di sinagoga in sinagoga, interpone l'annuncio della «buona novella» nel commento che fa alle letture bibliche. A Nazareth, a Cafarnao e in molti altri luoghi Egli predica così e rileggendo il suo Vangelo si rivela quanto fosse saturato di scienza biblica. Un accenno basta a dimostrare la divina superiorità di questa scienza di Cristo su quella dei più illustri dottori della sua stirpe. Egli solo ha compreso la messianicità secondo il volere di Dio. Ha lottato contro il suo popolo e contro gli Scribi e i Farisei, contro gli Apostoli stessi e i suoi più ferventi partigiani per far prevalere lo spirito sulla carne nelle concezioni messianiche. Tutto il dramma del Vangelo s'aggira su questo punto e nulla ha potuto far deviare Gesù dalla linea di condotta che si era tracciata.
Dopo la sua resurrezione sulla via di Emmaus, Egli, cominciando da Mosè fino ai più recenti profeti, spiega un seguito di passi nei Quali rivela ai discepoli eletti quella «sapienza » che non aveva cessato di crescere sotto gli occhi della Vergine dai dodici anni fino all'inizio della vita pubblica. E infine ricordiamo quel consiglio dato da Gesù ai farisei: Scrutate le Scritture, sono esse che rendono testimonianza alle mie parole. Gesù lo diceva perché le aveva scrutate prima di essi: era Colui di cui era stato detto: Egli comincerà a fare, poi a insegnare. E' da rilevare anche la forza di quelle parole: Scrutate; non si tratta d'una lettura rapida ma d'una lunga e attenta ricerca. In greco, dopo l'epoca di Omero, il vocabolo significa: fare delle investigazioni, per seguire uno studio approfondito.

Gesù Maestro di Maria. - Ritornando alla Madonna non dubiteremo più della vastità della sua scienza biblica attinta alla scuola di Gesù. Quando con l'Apostolo Giovanni ripassava gli avvenimenti casi pieni e ricchi d'insegnamenti e così tragici della vita di Gesù non aveva bisogno di enumerare i titoli della sua divinità: li conosceva da tempo attraverso lo studio fatto col figlio divino. Il quale studio è stato fatto in due modi diversi: una prima volta aprendo l'intelligenza delle sacre pagine a Gesù fanciullo e una seconda bevendo avidamente a questa «Sorgente di sapienza» che s'ingrandiva sempre più nell'anima di Gesù adolescente. Come una mamma intelligente ed istruita guida i primi passi del figliolo nello studio, lo accompagna fino a quando lo vede disimpegnarsi da sé e finisce di mettersi alla scuola dell'uomo che Ella stessa ha formato, casi la Vergine dopo di essere stata la maestra in scienza biblica del suo amato Re, ne è divenuta un giorno la sua prima ed intima discepola. Maria l'ha visto «crescere in sapienza». Che cosa significa tale pensiero se non che Ella è stata testimone dei suoi progressi, ha cercato di seguirlo nel suo volo, ha approfittato delle sue lezioni, ha beneficiato dei suoi lumi divini e si è ricreata, la prima, ai raggi del sole levante?
Nella nostra «Vita di Gesù» descrivendo gli anni della vita nascosta abbiamo detto che Gesti aveva avuto tre Madri: la Vergine, la Bibbia, la Natura. Quanto diciamo qui completa il nostro pensiero.
Maria ha cominciato ad aprire lo spirito del suo Gesù: è il dovere d'una buona madre ed Ella non poteva mancarvi. Di conseguenza sono dolce visione i lunghi anni di Nazareth, anni di lavoro umile e faticoso, ma soffusi e ripieni di meditazioni entusiaste, colloqui sublimi; gioie soprannaturali e carità incomparabile: un paradiso basato sul culto intenso della Legge divina. Anche Giuseppe ne ritrae gloria nella sua esistenza ignorata e splendida per essere stato associato in stretta intimità a tanta bellezza e felicità.

La doppia missione di Maria e di Giovanni. - Forse siamo ora in grado di capire la doppia missione che Gesù morendo affidò a Maria nei riguardi di Giovanni ed a questi Maria stessa.
A noi sembra che non ci sia più bisogno di dimostrare - perché l'abbiamo fatto precedentemente - che le parole di Gesù in Croce non significano la semplice cura d'un buon figliolo che vuol assicurare alla madre una vecchiaia tranquilla e piacevole, e neppure un dono d'un affetto reciproco, tenero e altissimo ma piuttosto daremo alla «terza parola» di Gesù crocifisso un senso degno di Lui, della sua SS. Madre: «Donna, ecco tuo figlio» equivaleva a dire: Signora, Principessa, Regina (28), tutto ciò che tu hai fatto per me nella solitudine di Nazareth lo farai ora per il mio amato discepolo, per Giovanni. Gli aprirai la comprensione delle Sacre Scritture e guiderai il suo spirito nelle più alte regioni della sapienza. Percorrerai con lui per la terza volta il cammino percorso insieme attraverso i Libri divini ed egli imparerà vicino a te lo spirito stesso del Messia che ha tanto amato ma che non ha sempre capito. Lo condurrai nelle alte regioni dell'eternità che noi abbiamo tante volte esplorato insieme. Dove egli non vedeva che l'Amico tu gli additerai il Re. E quando Gesù indirizzandosi a Giovanni disse: Ecco tua Madre era come se gli dicesse: tu metterai tutta la confidenza d'un fanciullo docile. Essa è madre più per lo spirito che per la carne. Io dò il nome di madre a tutti coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica (Lc 8, 21). E nessuna persona ha ascoltato meglio la parola di Dio e l'ha messa in pratica più di Colei che mi ha dato il suo sangue e nutrito del suo latte. Nell'intimità di Nazareth abbiamo scritto insieme il più bel libro ed abbiamo tessuto il più giusto e ricco commentario alla parola di Dio. Abbiamo vissuto anche tutte le tappe della mia vita messianica percorrendo i miracoli divini. Ma c'è un capitolo in cui mia Madre, la Donna secondo il cuore di Dio, la Donna ideale e perfetta, non ha mai avuto un'intera conoscenza. È quel capitolo che io ho vissuto lontano da Lei, in pubblico, nel compimento nel mio dovere, l'aspro dovere di dottore in Israele. Tu, mio apostolo prediletto, ripeterai a Lei fedelmente, a mia Madre, che ora è tua, tutto ciò che hai capito e ritenuto. Ed Ella ti farà afferrare e gustare meglio gli insegnamenti stessi che sei incaricato di riportarle. Essa sarà la madre della tua anima, del tuo cuore, della tua santità.
Lo spirito dell'uomo balbetta nel toccare questi sublimi interessi. In Gesù tutto è semplice, profondo e grandioso. Nei nostri commenti tutto è confuso, imbarazzato, lungo. Una parola della sua bocca racchiude un mondo: un discorso nostro non fa che limitare le possibilità infinite di uno sviluppo ulteriore. Donna ecco tuo Figlio. Non si può dire niente di meglio e di più eloquente insieme. Ecco tua Madre: brevi parole sufficienti ed orientare tutta la vita di Giovanni. Gesù fa nascere dalla circostanza un'ultima parola, la più bella e commovente; Giovanni attraverso ad essa diviene il modello del cristiano che deve circondare Maria della più filiale tenerezza e la Vergine ci riceve tutti come suoi figliuoli. Essa diviene la Madre del genere umano redento, la novella Eva, la Donna per eccellenza, cioè Colei che Dio ha eletta per essere il canale della vita.

Maria e il Prologo. - Le considerazioni precedenti sembrano condurci lontano dal Prologo di S. Giovanni, ma erano necessarie per la soluzione del problema che ci eravamo posti dall'inizio. Toglieremo a Giovanni la gloria del suo Prologo? O ridurremo il volo dell'aquila ad un volo di colomba?
Nessuno ha mai avanzato l'idea che Giovanni abbia scoperto il Prologo con la sola forza del suo genio d'uomo. S. Ilario vi riconosceva un miracolo superiore a quello della risurrezione dei morti. Che il miracolo sia stato compiuto per ispirazione diretta dello Spirito Santo e che la Madonna, istruita dal suo divin figliuolo sul significato delle divine Scritture, abbia servito di strumento alla Provvidenza per guidarlo nel suo volo immortale, ciò non cambia nulla alla gloria dell'Apostolo. E se il volo di colomba ha preceduto e diretto quello dell'aquila dipende dal fatto che Giovanni stesso fu trasportato verso le più alte cime dall'aquila delle aquile, Gesù Cristo stesso.
Ci sembra cosa sicura che Maria e Giovanni abbiano percorso insieme le pagine bibliche; che si siano curvati in dolce comunione sulle caratteristiche del loro Santo, incomparabile Gesù; che abbiano cercato di riannodare quanto conoscevano della sua personalità divina a quello che le Scritture dicevano di più alto e chiaro. Ci sembra pure di poter affermare che in questo attento ed affettuoso studio Maria non aveva nulla da imparare da Giovanni perché essa era stata illuminata dal suo divin figlio ed era in grado di insegnare al discepolo. Infine quando si consideri il favore che i testi riguardanti la Sapienza increata, nel libro dei Proverbi, incontrarono fra i primi cristiani e l'uso che ne fece S. Paolo, l'autore dell'Epistola agli Ebrei, non si può ammettere che la Vergine e Giovanni non abbiano saputo farne l'applicazione a Cristo (29). Piuttosto che fermarci in tale convinzione preferiamo credere che proprio dal gruppo intimo di Maria e Giovanni sia partita, per diffondersi nell'ambiente cristiano, l'identificazione di Gesù con la Sapienza increata che Giovanni doveva riprendere nel suo ispirato Prologo.
È molto probabile che se Giovanni avesse redatto il suo Vangelo nell'uscire dalla sua conversazione con la Vergine avrebbe iniziato il Prologo in termini diversi. Forse avrebbe detto: Al principio era la Sapienza, e la Sapienza era presso Dio e la Sapienza era Dio.
Fu una, trovata linguistica di primo ordine quella parola «Verbo», e soltanto per questo, se non ci fosse altro nell'opera di Giovanni egli meriterebbe la nostra riconoscenza perpetua. La parola Sapienza mantiene in sé un certo carattere di astrazione.
La parola greca «sophia» che noi traduciamo per «Sapienza» era già femminile come si è conservata tra noi e si prestava male ad una interpretazione maschile. La parola «Verbo», in greco «Logos» è invece al maschile anche nella lingua antica. Di più, il Verbo è il frutto d'una specie, di eterna generazione del Figlio dal Padre secondo l'ordine dell'infinita sapienza di Dio. A chi si deve la scoperta della parola «Logos» per personificare il Cristo eternamente preesistente nel seno del Padre come Dio? A Maria? A Giovanni? Oppure a tutti e due? Non lo possiamo dire. La parola pare sia stata usata da Filone, il sapiente giudeo alessandrino, nato circa vent'anni prima dell'èra nostra, cioè pressappoco negli anni stessi della Madonna. E Filone l'aveva senza dubbio attinta da Platone.
Ma fra il Logos di Filone e quello di S. Giovanni non vi è somiglianza che di sillabe. Fu un tratto geniale di S. Giovanni illuminato da Maria, ancella dello Spirito Santo, di riconoscervi quanto egli poteva servirsi di questa nuova espressione.

La firma di Maria.
- Risulta, da quanto abbiamo detto, una stretta collaborazione fra la Vergine e il suo secondo Figlio, l'Apostolo Giovanni, nei riguardi della rivelazione al mondo cristiano della sublime dottrina del Verbo. Dottrina avente la sua radice sia nelle più belle pagine dell'Antico Testamento, sia nelle rivelazioni di Gesù sulla propria persona. Bisognava ritoccare discretamente e con fermezza l'opera stessa di Mosè e dei Profeti ispirati, lavoro infinitamente delicato che uno scrittore eletto poteva osare d'intraprendere soltanto con un mandato dall'alto. Maria e Giovanni hanno ripreso la prima parola della Genesi. Là dove si legge: «Al principio Iddio creò il cielo e la terra la Maria e Giovanni hanno segnato: «Al principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Tutte le cose sono state fatte per mezzo di Lui e senza di Lui nessuna delle cose create è stata fatta ...». Ora se noi ammettiamo che Maria ha cooperato alla grande opera, se avanziamo l'idea che per questa missione unica e divina Gesù morente li aveva affidati l'uno all'altro – come per associarli alla più audace e sublime impresa ­ non ci sarà difficile scoprire nella redazione del testo, un indice, sia pur leggero, dell'ispirazione mariana, nella redazione di Giovanni. In altre parole il Prologo, porta o no la firma di Maria?
Forse con un po' d'audacia noi rispondiamo che la firma c'è, ma vi si trova segnata in calce. Se Giovanni avesse lavorato a questa pagina solo, egli doveva a se stesso, doveva alla tradizione profetica e all'uso che stava nascendo nella Chiesa di ricordare la Vergine divenuta sua Madre. Ma che non l'abbia nominata, lui il figlio, quando tutti gli altri testi dove era proclamata l'Incarnazione del Verbo la ricordavano, proprio Questo silenzio equivaleva ad una firma, a quella che chiamiamo un contrassegno a secco.
L'umiltà di Maria: ecco il segno quasi sicuro della sua presenza. Per essa la Vergine ha preso nel Prologo un ricordo che doveva esservi. E ne concludiamo che Maria ha compiuto l'opera in comune con Giovanni. Vediamo di portare appoggio alla nostra asserzione. Noi abbiamo detto che la tradizione profetica dapprima e in seguito l'uso della Chiesa, voleva che la Vergine fosse ricordata ogni volta che si parlasse della venuta del Verbo in mezzo agli uomini. Il grande oracolo del passato concernente l'incarnazione era quello di Isaia, anteriore di circa 700 anni dall'avveramento del grande mistero. Tale oracolo è stato formalmente inculcato da S. Matteo: «Jeova stesso vi darà un segno: Ecco che la Vergine ha concepito e partorirà un Figlio. Ed Ella lo chiamerà l'Emmanuele».
L'uso che S. Matteo fa di questo passo è una prova di quanto vogliamo affermare, che cioè, il fatto dell'incarnazione è legato al ricordo della Vergine predestinata. Ascoltiamo anche S. Paolo nell'Epistola ai Galati: «Quando venne la pienezza dei tempi Dio inviò suo Figlio formato da una Donna...» (Gal 4, 4).
Il più antico dei nostri simboli, il simbolo degli Apostoli, portava già in modo esplicito la formula che è rimasta: «Nostro Signore, nato da Maria Vergine ». Più tardi nel simbolo solennissimo che noi cantiamo nella Messa domenicale, la formola si trasforma così: «Ed Egli si incarnò da Maria Vergine per opera dello Spirito S. ».
Abbiamo accennato ai passi degli antichi Padri come: S. Ignazio d'Antiochia, S. Giustino e S. Ireneo che ebbero cura di nominare Maria ogni volta che parlavano dell'Incarnazione del Figlio di Dio. Sono tutti della scuola di San Giovanni. S. Giustino il filosofo, si era convertito ad Efeso dove era vivissimo il ricordo di Giovanni e S. Ireneo, attraverso il suo maestro S. Policarpo era il discepolo fidato dell'Apostolo. In questa unanimità solo Giovanni fa eccezione, egli solo può scrivere la frase così eloquente nella sua brevità: «E il Verbo si è fatto carne ...». Senza aggiungere le tre parole che dovevano bruciare le labbra di lui, il figlio adottivo della Vergine Maria.
Ed è ancora più sorprendente il suo silenzio se si pensa che una delle sue intenzioni nella redazione del Vangelo suo è quella di combattere i Doceti, gli eretici la cui audacia consisteva nel negare la realtà del corpo di Gesù. Probabilmente è per essi che Giovanni usa la parola «carne» per dire: «ed il Verbo si è fatto carne». Sarebbe stato dunque naturalissimo nominare la persona umana attraverso alla quale s'era compiuta l'Incarnazione. Gesù era figlio di Maria, figlio di una Donna: aveva dunque un corpo reale. Era veramente uomo.
D'altra parte Giovanni è il solo fra gli Evangelisti che segnali la presenza di Maria ai piedi della Croce e quand'egli riporta le commoventi parole con cui Gesù gli aveva affidata sua Madre, vuoi esprimere la felicità del privilegio insigne che gli è stato accordato. Se ripassiamo il testo evangelico si sente un fremito di fierezza contenuta, ma profonda in questa finale: «E da quel punto il discepolo la prese con sé».
Il suo cuore di figlio gli suggeriva di nominare Maria in una pagina dove era tanto naturale che la sua missione fosse ricordata. A rigore si potrebbe ancora spiegare questo silenzio sulla Vergine se nel Prologo Giovanni non avesse introdotto alcun nome umano. Ma fra l'eternità del Verbo, il grande fatto iniziale della creazione e la misericordiosa incarnazione, Giovanni nomina un personaggio, uno solo che sembra drizzarsi al di sopra di tutte le grandezze intermedie: Giovanni Battista.
«Vi fu un uomo, - egli dice, - inviato da Dio. Il suo nome era Giovanni».

Ponendolo al centro dell'immenso quadro che dipingeva l'Apostolo non poteva meglio glorificare il suo Maestro, colui cui doveva la conoscenza di Gesù. Ma per quanto profonda la riconoscenza verso il Precursore e per quanto grande la missione del Battista né l'una né l'altra potevano paragonarsi ai sentimenti nati in Giovanni verso una Madre che Gesù gli aveva dato né alla sublimità della funzione ch'Ella aveva esercitato nell'incarnazione stessa. Il silenzio di Giovanni, comunque si esamini, sarebbe il segno d'una dimenticanza ben strana se non si pensasse ch'esso è stato la conseguenza d'una formale consegna.
Ed è questo stesso silenzio che interpretiamo come il contrassegno sicuro della collaborazione mariana nella nascita di questa pagina unica. Come Iddio aveva generato il suo Verbo da tutta l'eternità ora aspettava a Maria, dopo averlo generato secondo la carne e lo spirito, di generarlo nuovamente, manifestando al mondo con la più meravigliosa delle formule, la sua eterna preesistenza e la sua sostanziale divinità. Con ciò non togliamo niente a Giovanni. Egli non avrebbe conosciuti i prodigiosi misteri senza la rivelazione di Gesù. Non ci sorprenderemo che Maria avesse ricevuto la missione di dare a queste rivelazioni, nello spirito del più amante ed amato dei discepoli, la loro forma definitiva e nel medesimo tempo fornire a noi le più luminose luci sul divino segreto della nostra redenzione. Maria perciò è stata la Madre di S. Giovanni e la nostra col generare nelle nostre intelligenze la fede esplicita del Verbo incarnato. Le dobbiamo un supplemento di chiarezza sulla verità delle verità. Non sarà mai troppa la nostra filiale riconoscenza.
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