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La Vergine Maria e i Vangeli del canonico Leon Cristiani libro del 1934

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2012 22:18
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07/09/2012 22:07

Capitolo V

Sommario:
- Scopo della presente opera.
- Riassunto dei capitoli precedenti.
- Sede della Sapienza.
- Ancella del Signore.
- Genesi psicologica del Magnificat.
- Riminiscenze bibliche del Magnificat.
- L'intelligenza di Maria nel Magnificat.
- Conclusione.

***

Scopo della presente opera. - Attraverso le pagine che precedono non abbiamo perduto di vista il particolare scopo che cerchiamo di raggiungere con l'opera presente. Non ci siamo affatto proposti la soluzione di qualche spinoso problema di critica storica o di esegesi. Se tali problemi si sono affacciati e si è tentato di risolverli, è stato però con un interesse secondario. Noi vorremmo ricostruire la storia degli ultimi anni di Maria. Ma per ora desideriamo soprattutto contemplare nella lontananza dei tempi un viso di Regina, togliere dall'ombra in cui si è volontariamente nascosta la più bella figura di donna, di madre, di vergine e di principessa che la storia conosca.
Avendo scritto una modesta «Vita di Gesù» abbiamo voluto aggiungere un saggio di Maria. Dicevamo cominciando la prima: «Il Vangelo è un oceano. Ciascuno di noi vi getta la sua rete; Noi portiamo qui il risultato della nostra pesca ».
Abbiamo tentato di nuovo di pescare in un'acqua profonda. E non ci sembra che i nostri sforzi siano rimasti senza successo. La prima impressione che si prova nel considerare l'esistenza terrena della Vergine Immacolata è di sorpresa con una specie di delusione. Non si trova di fronte a sé che silenzio e buio. La vita nascosta di Gesù è durata trent'anni su trentatré. Quella di Maria è durata sempre. È grazia se conosciamo attraverso qualche episodio smagliante di bontà un anno o due della sua lunga carriera quaggiù. Dall'annuncio di Giovanni Battista e dalle perplessità di Giuseppe al ritorno dall'Egitto, sono trascorsi forse diciotto o al massimo venti mesi. Ciò avveniva entro il quindicesimo e il diciassettesimo anno di Maria che ha trascorso su questa terra dai sessantacinque ai settant'anni. Tolti i racconti dell'infanzia di Gesù, non sappiamo più nulla di Lei se non attraverso qualche cenno sparso qua e là. Ignoriamo perfino la data della sua morte. I Libri del Nuovo Testamento non ci dicono nulla dei suoi ultimi anni.
E intanto la devozione a Maria non ha cessato di crescere attraverso i secoli. Ciò che essa aveva annunziato si è realizzato: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata ». Cos'è dunque questa attrattiva divina ch'Ella esercita sugli spiriti dal fondo di questa notte dei secoli? Non c'è da parte nostra un tentativo temerario: quello di dirlo?
Che cosa abbiamo visto finora? Riuniamo in un fascio unico le luci ottenute dagli accostamenti di qualche fatto preciso che conosciamo.

Riassunto dei capitoli precedenti . - L'indomani della festa di Pentecoste Maria è stata ospitata nella casa di Giovanni. E vi resta fino alla sua morte. Non pare che Ella abbia mai lasciato Gerusalemme. Ha fatto forse ancora il viaggio della Galilea e di Nazareth? Non lo sappiamo. Non sappiamo più niente di Lei, e S. Giovanni stesso «il figlio del tuono» sembra aver deposto la impetuosità per non cercare che la solitudine.
S. Giovanni rimane più di trent'anni - in apparenza di meno - lontano dall'attività apostolica comune ai messaggeri di Gesù. Come il suo Maestro egli avrà avuto la sua vita nascosta. Davanti alla casa di S. Giovanni, profumata dalla presenza di Maria, la parola «Chiostro» si presenta da sé allo spirito. Negli ultimi anni del secolo XI e nei primi del secolo XII vi fu un uomo che pare fosse ossessionato dal mistero di questa santa agitazione. Era un contemplativo e insieme un oratore d'una eloquenza irresistibile. Si lasciava tutto per seguirlo. Trascinava le folle dietro di sé, nei suoi spostamenti. Il teatro delle sue predicazioni era la terra d'Angiò e la Bretagna. Si chiamava Roberto d'Abrissel; finì per fondare un Ordine doppio che si chiamò l'Ordine di Fontevrault (1099). Ciò che vi era di particolare in Quest'Ordine è che vi si venerava con un culto speciale il ricordo della clausura della Vergine Maria e di S. Giovanni al punto che era sempre la Badessa di Fontevrault, a mantenere la direzione effettiva dei due Ordini di Religiose e Religiosi, appunto come Maria aveva la prima parola nel Chiostro primitivo dove S. Giovanni riceveva le sue materne lezioni.
Fontevrault è un bellissimo esempio dell'attrattiva esercitata da Maria. Nella solitudine in cui Ella si nasconde, d'accordo con S. Giovanni, non si fatica ad indovinare le ascensioni d'una vita intensa. Di fatto abbiamo visto l'azione di Maria tradursi in fatti sensibili in ciascuno dei quattro gloriosi Vangeli. Quello di Marco ha ricevuto da Lei i limiti a cui attenersi. Il suo sguardo si è trovato così giusto, la sua prudenza così alta e la saggezza tanto consumata che non si può per ciò stesso immaginare che le cose avrebbero potuto essere diverse. Gli elementi più importanti per i quali il primo e il terzo Vangelo differiscono dal secondo e differiscono fra loro, sono pure, abbiamo detto, per una gran parte, da attribuirsi all'influenza della Vergine Maria.
Da Lei ci sono pervenuti in S. Matteo i ricordi di Giuseppe, e ancora per suo intervento leggiamo in S. Luca le deliziose narrazioni che hanno incantato tante anime e le incantano ancora.
Infine c'è un Vangelo che i contemplativi, hanno sempre preferito agli altri, dove hanno meglio ricercato l'alimento delle loro attente elevazioni, dove Gesù ci appare più intimo, più vicino, più amante, e questo Vangelo abbiamo creduto di poterlo chiamare senza alcun pregiudizio, per la gloria di Giovanni, il Vangelo di Maria per eccellenza. Così quest'apparente inazione della Vergine valeva ai nostri occhi un'azione in profondità d'una rara potenza, allo stesso modo che il suo silenzio era un «silenzio lirico», un «silenzio cantante».
È venuto di verificare le nostre deduzioni, di controllare la nostra ipotesi.
Sebbene abbiamo riscontrato, i passi sicuri ci provengono da Maria stessa - quei due primi capitoli di S. Luca dove possediamo le «memorie» della Vergine - ci devono dar modo di ritrovare le grandi linee che tracciano per noi un ritratto psicologico. Senza dubbio una persona che si vede a cinquant'anni e il cui spirito è sempre stato sveglio e la cui anima non ha cessato di progredire deve essere assai diversa da quel che era a quindici anni. Se noi avessimo assistito alle conversazioni fra Gesù e i dottori della legge nel Tempio quando Egli aveva dodici anni troveremmo forse una grande distanza fra la sua «sapienza» precoce e quella dell'età matura. Maria stessa ci è garante che Egli era costantemente «cresciuto in sapienza e in grazia, come in altezza.

Maria pure ha dovuto «crescere». Le sue ascese non hanno mai avuto riposo. Ella ci fa giustamente conoscere, a proposito dell'episodio che stiamo ricordando, che Ella non comprese allora ciò che Gesù le aveva risposto. È un modo di farci capire che Ella lo comprese in seguito. Abbiamo tentato di dire, difatti, ciò che erano stati per Lei i diciotto anni che durò ancora la vita nascosta del suo Divin figliuolo a Nazareth. Non possiamo dunque né dobbiamo attenerci a ciò che rivelano le sue «Memorie» dove non si trovano che alcuni brevi documenti della sua giovinezza. Se ci appoggiamo a questi dobbiamo farlo per trame lo spunto e svilupparli per quanto è in noi, in quel senso che essi ci indicano.
Intanto però non rientra nel nostro piano di riprendere il racconto dei misteri dell'infanzia di Gesù. Tale racconto fa parte della vita del Divin Maestro e noi non abbiamo nulla da aggiungere. Ciò che ci interessa è tutto quanto contribuisce a farci conoscere l'animo di Maria, come i tratti del suo carattere, la sua fisonomia morale, in una parola la sua santità.
La grande difficoltà del nostro compito consiste nel trovare una cornice al ritratto che dobbiamo fare. Quando si trovano le cornici ordinarie ci si accorge che sono misere ed anguste. Si crede comunemente di aver detto tutto intorno a una creatura u'mana quando si è parlato della sua intelligenza, della sua volontà e del suo cuore. Ma questa triplice divisione, così comoda negli altri casi, in quello della Vergine appare penosamente artificiale, non c'è un atto né un disegno in cui non siano impegnati contemporaneamente ed intimamente la nostra sensibilità, la nostra capacità di comprendere e la nostra potenza di decisione. E se ciò è vero per tutte le creature umane, a maggior ragione è vero trattandosi di una delle vite più alte che sia passata sulla terra. Il tutto è nel tutto.
Ma poiché i nostri poveri discorsi non possono contenere la mobile realtà senza piegarsi al gioco delle divisioni e distinzioni, tenteremo di svolgere la nostra interpretazione di uno spio rito così grande nelle tre parti che comporta ogni analisi psicologica e parleremo in questo capitolo dell'intelligenza di Maria, nel seguente della sua volontà e nel terzo del suo cuore.

Sedes sapientiae. - L'intelligenza di Maria? Si dovrebbe dire la sapienza. Ci siamo già spiegati sul significato di Questa parola. Evidentemente la sapienza è stato l'ideale terreno di Maria. Acquistare la sapienza è lo scopo di ogni vita umana. Se ci si domandasse: perché siamo stati creati, noi potremmo rispondere: per possedere la sapienza. E non si creda che si tratti solamente dell'idèale della vita presente. Il possesso della sapienza è l'essenza anche della vita eterna. «La vita eterna - ha detto Gesù parlando al Padre - è che essi conoscano Te, il solo vero Dio e Colui che hai mandato, Gesù Cristo».
Come per un lampo che squarci le nubi, noi percepiamo d'un tratto il motivo e la ragione ultima dell'intelligenza.
È la capacità di conoscere. Ma che cosa è che dobbiamo necessariamente conoscere? Solo quello che ci colloca nella linea del nostro immortale destino. Noi veniamo da Dio. Noi ritorniamo a Dio. L'intelligenza saggia è quella che si attacca a Dio, quella che vede Iddio, che abbraccia la catena degli affetti risalendo alla Prima Causa che è Dio. Se la vita eterna consiste nel conoscere Dio e Gesù Cristo, la vita terrena non può avere altro scopo che di iniziarci a tale conoscenza. E si può dire che un'anima è tanto più intelligente quanto più va direttamente, fortemente, intimamente a Dio, attraverso tutti gli avvenimenti e tutte le creature. Certamente siamo ben lontani da certe concezioni della nostra epoca materializzata ed avvilita. L'intelligenza contemporanea si è chiusa negli effetti fino a diventare cieca rispetto alla Causa. Essa non ha voluto avere attenzione che per ciò che passa. Gli alberi le hanno nascosto la foresta. Le onde le sottraggono l'oceano. Ma chiunque pensi al significato della vita dello spirito, comprende la vanità di tutta quella scienza che guarda alle cose caduche ed ignora ciò che è eterno.
Chi non vede al contrario che la sapienza definita come conoscenza di Dio e di Cristo è stata uno dei più eminenti privilegi di Maria? Se rileggiamo le pagine che sappiamo uscite dalla sua mano o almeno dal suo pensiero - ci riferiamo non al Prologo di Giovanni in cui abbiamo creduto di trovare il timbro a secco, ma ai primi due capitoli di S. Luca che portano la sua firma in chiaro - ci stupiremo subito della presenza costante del nome di Dio fin dalle prime linee.
Maria vede Iddio dappertutto. Maria non pensa che a Dio. Egli è il suo Tutto, il Principio e la fine di tutte le cose. Ella parla di Lui con la stessa naturalezza con cui respira. Non si sente nemmeno più la ricerca di Dio in ciò che ella scrive, tanto il pensiero di Dio fa corpo con la sua anima.
Se vuol fare l'elogio della virtù di Zaccaria e di Elisabetta non ne parla come farebbero i narratori del nostro tempo. Ella non dice: «c'erano due buoni vecchi, diritti e giusti, viventi nella pace e nel compimento del loro dovere». Il dovere? E' un'astrazione.
L'intelligenza di Maria vede il concreto, il reale che palpita e vive. Perciò Ella descrive: «essi erano ambedue giusti dinnanzi a Dio vivendo irreprensibilmente secondo tutti i precetti e gli ordini del Signore».
In verità un elogio più bello di creature umane non si può fare. Vuoi presentare Zaccaria , nell'esercizio delle sue funzioni? Ella non dimentica Colui che deve essere il centro di tutti i nostri atti: «Or avvenne che mentre Zaccaria esercitava le sue funzioni sacerdotali secondo il suo turno al servizio di Dio ...».
Un poco più avanti per definire la maestà dell'angelo, noi leggiamo queste parole che per Maria contengono ogni titolo d'amore: «Io sono Gabriele che sto davanti a Dio». A maggior ragione la scena dell'annunciazione è tutta penetrata dalla presenza di Dio. Pare che non fosse necessario dire che Gabriele era mandato da Dio. Veniva da sé. Ma la Vergine precisa nel suo racconto: «Sei mesi dopo, l'Angelo Gabriele fu mano dato da Dio ...».
E quale sarà la prima parola dell'Angelo? «Salute, o piena di grazia, il Signore è con te». Egli sapeva che Ella nella sua vita desiderava una cosa sola: possedere Iddio. Il cielo stesso approva così il suo ideale, canonizza la sua saggezza, incoraggia il procedere ardente del suo spirito.
«Il Signore è con te!» Non si può dire nulla di più consolante e di più forte ad un'anima, ma si suppone da parte di quest'anima un costante sentimento della presenza divina. Dio è con coloro che pensano a Lui. La condizione della sua presenza in noi è l'adesione del nostro spirito a questa presenza stessa.
Egli è in noi quando lo dimentichiamo, ma non è con noi. È in noi a nostra insaputa. Vi è come testimonio e come Giudice. Nulla può distogliere la vigilanza di questo testimonio. Nulla può sfuggire all'autorità di questo Giudice.

Ancella del Signore. - Maria non è che una giovinetta di quindici anni. Vede Iddio in tutte le cose. L'Angelo Gabriele ci è garante, con le parole stesse del suo saluto, che Dio non abbandona mai il suo pensiero. Ma non ci ha detto qual'era la sua disposizione interiore davanti a Dio. È Maria stessa che involontariamente ce lo fa conoscere. Quando l'Angelo le annuncia il suo divino messaggio, quando ha fatto la rivelazione prodigiosa che Ella diverrebbe la Madre di Dio, nella luce abbagliante ed improvvisa di tale annuncio, essa trova la sola parola che può convenire a tale grandezza. E la trova senza sforzo, senza apparenza di riflessione, come una cosa che va da sé, come un'evidenza speciale: «Ecco l'Ancella del Signore, sia fatto di me secondo la sua parola».
Non potremo mai abbastanza estasiarci su tale miscuglio di semplicità e profondità. Chi oserebbe dire che tutto ciò non rientra nella linea più pura di tutto il Vangelo? Chi pretenderebbe dire che la Madre non abbia trovato in quest'occasione tutto ciò che la sapienza del Figlio potrà insegnarci più tardi? Gesù dovette dire ai suoi discepoli: «Quando avete fatto tutto ciò che è comandato dite: siamo servi inutili, non abbiamo fatto che il nostro dovere» (Lc 17, 10).
Ecco la perfezione, rimanere nel novero dei servitori, capire Dio e se stessi. Maria ha avuto questa sapienza. Ciò prova la solidità del suo spirito. Ella ha saputo andar diritta all'essenziale, poiché l'essenziale è di sapere ciò che siamo e ciò che facciamo sulla terra, è di conoscere Dio e se stessi.
«Conoscere Voi! Conoscere me!» Griderà S. Agostino. In verità tutto sta lì. Ed è per questo che non c'è una profonda intelligenza senza una profonda religione. Basta riflettere un momento per vedere la sola parola: «Ecco l'Ancella del Signore» contiene tutto lo spirito della vera religione, cioè di quella che non è semplice speculazione, una velleità superficiale, ma una laboriosa realtà. Che cos'è d'altro la religione se non «servire Dio»? Saper che Dio è il Re, il Maestro, il Sovrano Signore, che noi riceviamo tutto da Lui, che tutto ciò che è in noi è suo, che tutta la nostra vita deve essere orientata verso di Lui, che tutto il resto è illusione e menzogna, fumo e nulla; ecco ciò che costituisce lo spirito religioso e ciò che significa sotto una forma concreta e vivente quella bella parola che fu il motto araldica di Maria «servire»!
Si dirà forse che Ella non aveva inventato il suo motto, ma l'aveva attinto nelle lezioni di sua Madre e nella tradizione della Sacra Scrittura del suo popolo.
Certamente! Ma non è l'invenzione sola che qualifica una intelligenza, è prima di tutto una percezione netta e viva - nell'insieme delle verità che ognuno riceve dal passato, poiché l'uomo è eminentemente un «essere istruito» secondo Lacordaire - dei principi i fondamentali, delle certezze dominanti, degli assiomi da cui deriva la condotta dell'anima. Ora ci sono due cose che sorprendono in quest'incontro dell'Angelo con Maria, che è per noi la prima rivelazione della sapienza che cerchiamo d'analizzare, e queste due cose sono precisamente la chiarezza e la vivacità della percezione intellettuale della Figlia di David.
L'apparizione di Gabriele e l'annuncio del suo messaggio devono essere stati estremamente rapidi. Fu una specie di abbagliamento simile al lampo. Alcuni istanti furono sufficienti per lo svolgimento di tutta la scena. L'Arcangelo si esprimeva con quella «brevità imperiale» in cui gli antichi Romani vedevano il segno dell'autorità. Maria non ha detto che due parole. La prima riguardava il suo voto. Vedremo nel capitolo seguente quali visioni pronte e vaste conteneva la sua domanda quasi angosciata. Le si domandava in un batter d'occhio tutto un cambiamento della sua vita senza neppure che Ella avesse il tempo di prevenire il suo santo fidanzato, Giuseppe, che conosceva il segreto delle sue risoluzioni.
Ma l'Angelo ha ripreso la parola. Istantaneamente Maria intuisce, il suo sguardo si immerge nell'avvenire. La sua vita è cambiata. Ella si affida a Dio per ciò che riguarda la rivelazione che Giuseppe deve ricevere. Con fulminea prontezza Maria distrugge le proprie vedute, annienta le sue concezioni e si inchina davanti alla volontà di Dio. Ma in tutto questo, niente parole, nessuna esitazione, nessun commento: «Ecco l'Ancella del Signore, si faccia di me secondo la sua parola».
E' detto tutto. Il mistero dei misteri è compiuto. Dio s'incarna nel suo seno. E' un attimo questo che non sarà mai sorpassato. Qualunque siano le magnificenze che l'Eterno può far nascere nei cieli e attraverso i mondi, Egli non farà nulla di più grande di quanto è stato fatto in questo momento, in questo luogo e in quest'umile dimora per l'umile accettazione d'una Vergine Immacolata perché non vi è nulla di più grande nei secoli di un Dio fatto uomo. E' quindi vero che Maria aveva attinto la sua sapienza nella sacra tradizione della sua stirpe, ma è ugualmente vero che Ella ha fatto di questa tradizione un uso superiore, ne ha scelto tutto lo splendore, ha ereditato la fede dei Patriarchi, l'entusiasmo civico dei Profeti, ha tolto dai Libri Santi tutta la sostanza che essi contenevano, meglio ancora Ella ha incorporato, per così dire, la Sapienza divina che essi traducevano nella lingua dei Giudei, alla sua vita stessa, alla sua anima, al suo spirito, a tutti i suoi atti, in modo tale che al primo battito, al primo appello questa giovine Vergine di quindici anni si trova miracolosamente al livello della più grandiosa dignità che possa essere affidata ad una donna.
Nei capitoli precedenti abbiamo ammesso che Maria aveva una conoscenza personale molto estesa e profonda della Bibbia; si può dire che Ella pensava Biblicamente e che possedeva tutto quanto è necessario per divenire, al momento opportuno, la maestra del suo divin figliuolo in sapienza biblica, come tutte le madri israelite lo dovevano essere dei propri figliuoli.
E' venuto il momento di provare queste affermazioni per se stesse molto verosimili. Non diciamo che Maria non si sia servita per le sue contemplazioni di quell'altra Bibbia che si chiama natura, noi abbiamo dimostrato, parlando degli sviluppi della scienza sperimentale del Cristo, che Egli aveva preso molti spunti dallo spettacolo della creazione, che Egli aveva penetrato il simbolo così multiplo ed eloquente che Dio ha diffuso nelle cose, al punto che tutte le età della creazione si trovano legate da misteriose corrispondenze significanti in aspetti vari e concordi la sapienza infinita dell'Artista increato (39).
Sarebbe difficile pensare che Maria non abbia avuto, per lo meno in abbozzo, questo dono della lettura dei simboli materiali che ci è valso da parte di Gesù una gran copia di parabole ed allegorie immortali.

Ma per ora sorvoliamo su questo argomento. Se anche la Madonna non avesse chiesto nulla alla contemplazione della natura, le sarebbe bastata la Bibbia. E noi vogliamo semplicemente far vedere fino a qual punto la Bibbia le era familiare e in qual senso Ella l'intuiva.
Ci fa da guida un testo. È breve, ma esprime tutta l'anima di Maria. È tutto vibrante della sua fede biblica. Esso corona le emozioni scatenate in Lei dalla visita dell'Arcangelo. È il solo testo in cui la sentiamo parlare un po' lungamente. E si capisce subito che esso è il Magnificat.

Origine del «Magnificat». - Bisogna anzitutto fare la genesi di questo cantico ammirabile. Non una genesi che tiene conto delle circostanze storiche in cui fu pronunciato, l'abbiamo già detto nel parlare dell'infanzia di Gesù (40); ma una genesi di natura psicologica. Noi vorremmo tentare di indovinare come è nato nello spirito della Vergine, quale fu il cammino del suo alto pensiero dall'istante in cui Gabriele la lasciò fino a quando il Magnificat sgorgò dalle sue labbra. Per una fortuna quasi insperata possiamo ricostruire, con una probabilità che si avvicina alla certezza, le associazioni di pensieri che l'hanno condotta a questa esplosione lirica al momento dell'incontro con Elisabetta.
Tutti sanno che sotto l'effetto d'una viva emozione un flusso di pensieri, di ricordi, di reminiscenze risale spontaneamente al nostro spirito. Avviene ciò che i filosofi chiamano associazione di idee. Si direbbe meglio: suggestione di idee oppure: orientamento d'una corrente di coscienza.
Nulla rivela meglio le qualità d'uno spirito quanto la potenza di suggestione che scaturisce da una grande emozione e la natura delle idee che trasportano in quell'istante il torrente del pensiero interiore.
Partiamo dunque dalle ultime parole dell'Angelo. Egli ha detto a Maria: «Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia ed è già nel sesto mese, lei che era detta sterile».
Maria ha risposto col suo Fiat sublime. L'Angelo è risalito in cielo.
La Vergine comprese subito che la rivelazione di Gabriele, nei riguardi di sua cugina, conteneva una specie di invito di Dio. Ed ella è così sensibile al minimo appello della grazia che si decide senza ritardi a visitare Elisabetta. Senza dubbio è un viaggio lungo, ma che importa? Dio ha parlato e Lei parte.
Con tutta naturalezza, senza che nemmeno Ella se, ne accorga, per semplice gioco di suggestione di idee, il suo spirito si porta ai Libri Sacri che contengono per Lei tutta la sapienza. La sua memoria, ripiena di ricordi biblici, le presenta un esempio, il più vicino a quello di Elisabetta, c'era stata nel passato una madre illustre rimasta per lungo tempo sterile, che aveva pianto per non avere figli e che dopo lunghe insistenze era stata esaudita. Questa Elisabetta della Bibbia era Anna, moglie di Elcana, madre del profeta Samuele.
Maria, affrettandosi nel suo cammino da Nazareth a Ain- Karin, medita sulla rassomiglianza tra sua cugina e la madre d'uno dei grandi profeti del passato. Ella ripete interiormente il cantico di Anna che nella Bibbia letta dai Giudei era nel primo libro di Samuele. Questo canto contiene espressioni di gratitudine religiosa che convengono anche a Maria tanto che essa se le appropria. Le stesse frasi di Anna si accalcano nel suo pensiero, riempiono la sua anima d'una santa esaltazione.
Il mistero dell'Incarnazione compiuto nel suo seno trasporta il suo spirito. Al cantico di Anna si frammischiano dei versetti dei salmi davidici. Una figlia di David li doveva sapere a memoria e recitare costantemente e Maria certo non manca a Questo dovere (41). Così durante i quattro o cinque giorni di cammino, Maria non cessa di benedire interiormente il suo Signore. La sua cosiddetta «tensione interiore» cresce di minuto in minuto, e quando Ella finalmente arriva da sua cugina vi è nel suo sguardo, nel suo viso, nelle parole del suo saluto qualche cosa di talmente soprannaturale, ispirato, rivelatore, che Elisabetta, illuminata dallo Spirito Santo, indovina lo splendore del mistero. Ella si sente alla presenza della Madre del suo Messia. E, secondo l'espressione del Vangelo, le «grida» in quell'incontro, la sua ammirazione! «Tu sei benedetta fra tutte le donne e benedetto il frutto del seno tuo. E donde mi è dato che la Madre del mio Signore venga a me? Ecco infatti appena l'accento del tuo saluto mi è giunto all'orecchio, il bambino mi è balzato per il giubilo nel seno. E te beata che hai creduto, perché si adempiranno le cose a te predette dal Signore!»
Questa esplosione di felicità da parte di Elisabetta serve di scintilla allo spirito di Maria. Nello stesso istante una specie di cristallizzazione psicologica si opera in Lei e il sublime Magnificat esce dal suo cuore e dalle sue labbra.
Se la nostra analisi è esatta; non dobbiamo aspettarci di trovare in questo campo delle ricerche d'arte né delle note personali all'infuori dello slancio dell'ispirazione, della fede e dell'amore che rappresentano l'anima stessa del Magnificat. Difatti esaminandolo da vicino ci si stupisce nel constatare che esso dal punto di vista letterario non è che una catena di reminiscenze bibliche.
Per la necessità stessa della nostra dimostrazione tenteremo di rendere la cosa evidente riproducendo lo stesso testo del caotico e sottolineando i punti che sono stati tolti dalla Bibbia.

Reminiscenze bibliche del Magnificat. - L'anima mia glorifica il Signore (42), ed il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore (43), perché Egli ha rivolto lo sguardo alla bassezza della sua serva, ecco, da questo punto, tutte le generazioni mi chiamano beata; perché grandi cose mi ha fatto Colui che è potente. Il suo nome è santo (44); la sua misericordia si efonde di generazione in generazione su coloro che lo temono (45).
Ha operato prodigi col suo braccio; ha disperso i superbi nei disegni del loro cuore (46).
Ha rovesciato dal trono i potenti ed esaltato gli umili (47).
Ha riempito di beni gli affamati e rimandato a mani vuote i ricchi (48).
Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia (49).
Come parlò ai padri nostri, ad Abramo ed alla sua discendenza per tutti i secoli (50).
Come si vede il cantico di Maria è un tessuto di espressioni tolte dai libri Sacri. «L'Inno di Maria, dice molto bene il Padre Prat, non è una risposta ad Elisabetta e neppure una preghiera a Dio. E' un'elevazione e un'estasi. Le reminiscenze bibliche si succedono l'una all'altra. La maggior parte delle idee porta l'impronta dei Salmi o dei Profeti. Due o tre espressioni ricordano il grido di riconoscenza di Anna, Madre di Samuele e il grido, di gioia di Lia, madre adottiva di Aser. Ma quale espressione diversa acquistano le loro parole nella bocca della Vergine Immacolata!
Da questo esame sintetico risulta subito che il «lirismo» di Maria è un lirismo disciplinato, diretto, che si mette in una direzione voluta, che si nutre della parola divina con esclusione di ogni altra, che non ricerca affatto la originalità dell'espressione, ma proietta tutta la sua forza e il suo slancio attraverso le parole sacre che già cantano nel suo cuore (51).

L'intelligenza di Maria nel Magnificat. - Ciò che soprattutto dobbiamo. domandare al Magnificat della Vergine sono le indicazioni sullo spirito di questa Madre incomparabile, sulle qualità e le caratteristiche della sua intelligenza, su ciò che si potrebbe chiamare con un nome pretensioso di fronte alla sua semplicità, ma espressivo per noi, la sua filosofia religiosa.
Abbiamo parlato della solidità dell'intelligenza di Maria. Essa va diritto all'essenziale, a ciò che solo conta, a ciò che dura, vale a dire, a Dio e al suo servizio. Abbiamo ricordato la sua vivacità, la chiarezza, la prontezza, l'istantaneità delle sue intuizioni che si ritrovano con tratti più forti e più potenti nelle parole di Gesù, suo figlio divino (52).
Il Magnificat ci permette di intuire altri fatti pure importanti. E anzitutto l'ampiezza della visione in Maria. Ella abbraccia tutti i tempi, prima e dopo di Lei. Se si tratta del passato esclama: «Secondo la promessa fatta ai nostri padri ad Abramo ed alla sua discendenza per tutti i secoli».
Oppure: «E la sua misericordia si estende di generazione in generazione su coloro che lo temono».
Si potrebbe dire ch'Ella si libra al di sopra delle età, come l'aquila che ha gli occhi fissi nel sole e sorvola sulle pianure e le vallate.
Se si tratta dell'avvenire: la medesima estensione di veduta profetica. «Tutte le generazioni - Ella dice - mi chiameranno beata».
Nel passato Ella non vede che Dio e le sue promesse, che per nulla affatto potranno venir meno. In breve Ella riassume tutta la storia della sua stirpe. Le parole dette ad Abramo sono così vicine e vive per Lei come se fossero state pronunciate la vigilia e nell'avvenire Ella contempla in anticipo la gioia della redenzione, la riconoscenza delle anime fedeli, la fierezza che esse proveranno nell'appartenere alla famiglia di Adamo tanto onorata da Gesù e da Maria.
Ma in questa visione d’una ampiezza immensa Maria percepisce un ordine, un'armonia, una regola di giustizia sempre all'opera. Ed è tale percezione che noi abbiamo chiamato la sua filosofia religiosa. I Greci avevano riassunto la loro sapienza nella dottrina misteriosa della Nemesi. Ma essi non avevano saputo introdurvi pensieri di una sapienza superiore. La loro Nemesi - il nome stesso: vendetta, indica ciò che è - appare come una specie di gelosia degli dèi verso la felicità degli uomini. Quanto è più puro, più alto, più giusto, più penetrante il pensiero di Maria. Nel suo cantico il mistero dell'incarnazione non è affatto nominato, eppure è presente in ciascuna parola, dalla prima all'ultima.
Maria vi riconosce nettamente il centro della storia umana. E per lei tale mistero è una decisiva e brillante applicazione delle principali leggi morali del governo del mondo da parte di Dio: il castigo riservato, in questa vita e nell'altra, all'orgoglio, alla potenza ingiusta, alla ricchezza colpevole; la perennità dell'equilibrio mistico dell'universo, la supremazia della giustizia divina, l'infinità della misericordia celeste: tutte queste certezze e questi grandi pensieri formano la trama stessa del cantico mariano.
L'anima che ha sentito, pensato, affermato e proclamato tutto ciò, è qualcosa più d'un'anima geniale, è un'anima di profeta e non è senza motivo che la chiesa l'ha nominata Regina dei Profeti. Aggiungiamo a quanto Sopra un non so che di agilità, di dolcezza, di freschezza verginale, una certa ingenuità diffusa su tutto il brano e si capirà bene il perché la devozione secolare della cristianità ha fatto del Magnificat il cantico rituale e popolare insieme delle sue gioie, e della sua riconoscenza.

Conclusione. - Ed ora concludiamo il capitolo. La sapienza di Maria - nel senso in cui Ella stessa intendeva questo vocabolo - l'abbiamo vista come un possesso largo e tranquillo di Dio, come il frutto delle assidue meditazioni sulla parola di Dio, come una conoscenza già assai profonda, in questa giovane vergine di quindici anni, dei misteri divini! Maria è al disopra dei suoi simili e delle vedute comuni. Non siamo sorpresi di constatare il rispetto con cui le parla un Arcangelo. Non possiamo meravigliarci che Ella abbia potuto sostenere il dialogo con Gabriele. Sono due spiriti della stessa famiglia in due piani diversi di creazione. fra l'Angelo e la Vergine vi è in fondo una intima somiglianza. I teologi ci assicurano che l'intelligenza degli Angeli non è discorsiva e ragionatrice come la nostra. Gli Angeli sono degli intuitivi, mentre noi discutiamo e concludiamo essi vedono. Anche Maria, benché appartenga alla discendenza di Adamo, è dotata d'intuizione diretta più che di ragionamento. I grandi contemplativi sono tutti così. E Maria li sorpassa tutti. Se collochiamo l'intensità di visione della Vergine che conta solo quindici anni, in un domani spirituale, che cosa ci dovremo aspettare da Lei quando Ella avrà formato il suo Gesù e ricevuto nel suo spirito il riflesso della sua c sapienza che cresce »?
E quando noi sappiamo che Ella ha vissuto dieci anni e più in compagnia di S. Giovanni, come una madre presso suo figlio, abbiamo pure motivo di credere che i grandi colpi d'ala del Magnificat hanno dovuto naturalmente sboccare nei grandi slanci del Prologo di Giovanni.
Così, attraverso un giro, ritorniamo alle conclusioni dei capitoli precedenti quando sembrava che noi fossimo in piena congettura, senza trovare in nessun posto dove posare il piede sul suolo sicuro della storia.

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