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La Vergine Maria e i Vangeli del canonico Leon Cristiani libro del 1934

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2012 22:18
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07/09/2012 22:10

Capitolo VI

Sommario:
- Gli eroi.
- Il voto di verginità.
- L'oracolo d'Isaia.
- Maria e Giuseppe.
- Il silenzio di Maria e Giuseppe.
- La predizione di Simeone.
- Una parola di Maria
- Maria Regina dei martiri
- La passione secondo la Bibbia
- La morte di Gesù.

***

Gli eroi. - La sapienza è per l'intelligenza o facoltà di conoscere ciò che l'eroismo è per la volontà o facoltà di decidere e di agire. Si riconoscono i sapienti dal vigore del pensiero, dalla concentrazione interiore del giudizio, dalia visione profonda delle anime e delle cose e dalla sinteticità d'espressione nel linguaggio. Sì riconoscono gli eroi dall'energia, dalla costanza e dall'altezza ch'essi spiegano nell'azione. La sapienza è contemplativa. L'eroismo è fattivo. La vera sapienza è inseparabile dall'eroismo. Socrate insegnava che la scienza conduce sempre alla virtù, che basta sapere per fare. Avrebbe avuto ragione se egli avesse potuto parlare d'una sapienza soprannaturale e non d'una scienza superficiale. Aveva torto perché avrebbe dovuto dire con San Paolo: «Io non faccio ciò che voglio, e faccio il male che non voglio perché io mi diletto nella legge di Dio, secondo l'uomo interiore, ma veggo un'altra legge nelle mie membra che combatte contro alla legge deila mia mente e mi trae in cattività sotto la legge del peccato che è nelle mie membra » (Rom 8, 15-23).
Socrate ignorava il peccato originale. La sapienza stessa ch'egli preconizzava e che - ben compresa - poteva condurre a una certa virtù; non era che una sapienza umana e molto imperfetta. S. Paolo invece ha posto una legge universale, dalla quale Maria sola per virtù dei meriti del suo divin figlio fra stata preservata.
Intanto, dato che non facciamo uno studio di teologia sistematica ma un'analisi di psicologia umana, noi consideriamo gli atti di Maria, almeno per quel poco che conosciamo, sotto la forma concreta con cui ci si presentano nei testi.
Non cercheremo di distinguere la parte della natura e quella della grazia, come non abbiamo fatto parlando della sua sapienza nella quale non abbiamo inteso distinguere fra l'impiego delle sue native facoltà e intervento divino di ispirazione celeste.
Con questa premessa accostiamoci ancora una volta a questa grande anima. Non riflettiamo più, sui pensieri della Madonna, ma sulle sue decisioni. In un'età in cui la maggior parte degli esseri non pensa che al piacere di vivere, come mai Ella si era tracciata una sua via nella vita? Era giovane: la tradizione parla di quindici anni circa. Era l'età del matrimonio per le giovani giudaiche. Chi le suggeriva quella sapienza precoce che abbiamo ammirato in lei?

Il voto di verginità. - Maria si è distinta da tutte le sue compagne per una decisione veramente eroica; ha fatto, giovanissima, il voto di verginità e di verginità nel legame del matrimonio. E' un fatto che esige una riflessione attenta, perché esso è completamente fuori dalle norme ordinarie e pone Maria al di sopra delle leggi della psicologia comune. Ci rivela in Lei una qualità dell'anima per cui ci mancano parole appropriate a definire. Questo voto è tanto più eloquente quanto più suppone in Lei una scelta difficilissima a farsi. Intendiamoci bene. Ciò che troviamo di eroico in questa santa risoluzione non è la disciplina che esso imponeva alla natura. Ora lo sappiamo che Maria non aveva da vincere gl'istinti oscuri e violenti che si agitavano nel cuore delle altre creature e di cui il freudismo ha preteso di fare il centro reale di tutta la psicologia. Abbiamo da poco citato un testo di S. Paolo che parla di questa «legge delle membra che combatte contro la legge della mia mente e mi trae nella cattività del peccato». Questa legge non pesa affatto sulla futura Madre del Salvatore. Non è dunque nella materia stessa del voto di verginità che risiede l'eroismo della sua decisione. Si consideri invece ciò che rappresentava, in seno al suo popolo e specie alla sua dinastia, la grande attesa del Messia. Tutta la sua nazione sperava e si protendeva verso il giorno della grande liberazione. Tutte le donne d'Israele, almeno tutte quelle della dinastia di David, avevano l'ideale d'appartenere in un modo più o meno lontano, alla genealogia messianica.
Senza dubbio le tradizioni relative alla nascita del Messia s'erano qua e là oscurate nel popolo (53). Ma è permesso credere che almeno la discendenza di Davide conservasse gelosamente il ricordo del privilegio riservato alla famiglia del gran re.
Quando si pensa alla formazione biblica di Maria, allo slancio religioso che la portava ai Libri Sacri, si può essere sicuri che l'attesa del Messia era l'anima della sua anima, che Ella pensava più di ogni altra persona alla venuta del Redentore d'Israele e che tutte le sue orazioni, riflessioni ed aspirazioni erano in certo modo tese verso il grande giorno. In queste condizioni fare un voto di verginità diveniva un atto di vero eroismo, una testimonianza di abnegazione sublime, l'offerta a Dio d'un sacrificio sovrumano. E lo scopo di tale sacrificio non è difficile ad indovinare. Ella si chiamerà l'Ancella. La parola riassumeva tutta la sua vita anteriore. «Io rinuncio ad essere la Madre, per essere sempre soltanto l'ancella ». Tale sembra sia stato il senso del suo voto. Era un atto di rinuncia e di umiltà, un atto di consacrazione totale al servizio di Dio. Nessuno in Israele aveva avuto fino allora una simile inspirazione. Era inaudita trovata dell'umiltà mariana e proprio per essa Maria senza saperlo, inconsapevolmente, si rese degna di ottenere quella dignità che il suo giudizio, profondamente umiliato dinnanzi alla sovranità di Jehova, si sforzava di allontanare. Per ammettere questa interpretazione, bisogna porre il principio che la profezia di Isaia che doveva realizzarsi in Lei, non era stata compresa da nessuno e che neppure Maria non aveva colto il significato vero. Su questi due punti dobbiamo insistere brevemente.

L'oracolo di Isaia. - Abbiamo già detto ciò che bisogna pensare dell'opinione comune in Israele circa l'argomento della nascita del Messia. Il silenzio degli autori giudaici sarebbe da sé solo un motivo molto forte per dimostrare che nessuno di essi pensava a una concezione verginale per il Messia. Ma si può far valere una prova secondo noi più forte ancora. Se il testo d'Isaia fosse stato approfondito come lo è stato dopo l'avvenimento, è evidente che l'interesse per il messianismo avrebbe condotto a un culto nazionale, per così dire, della verginità.
L'oracolo difatti non portava data. In tutti i periodi di emozione religiosa la spinta delle aspirazioni verso, il restauratore della gloria d'Israele avrebbe provocato una fioritura di vergini «candidate» potremmo dire, alla maternità messianica. Se si fosse ritenuto come cosa sicura o almeno probabile che il Messia doveva nascere da una vergine, le vergini non sarebbero mancate nella nazione come non mancavano a Roma le vestali per mantenere il fuoco sacro. Questo motivo ci pare decisivo sopra ogni altro. Noi riteniamo con certezza che il testo profetico di Isaia era interpretato da tutti nel senso che ogni giovane sposa, ancora vergine, avrebbe dato nel suo primo nato Colui che la nazione aspettava. La sua nascita non doveva avere assolutamente nulla di speciale; ci si fermava soprattutto al seguito della profezia, senza attribuire particolare importanza alla parola Vergine adoperata dal grande profeta (54). Non meravigliamoci troppo di questa incomprensione. Ve ne furono per numerosi altri testi messianici. Tutto il dramma del Vangelo giustamente consiste nel fatto che il messianesimo di Gesù non era quello stesso del suo popolo e che Egli è morto per dimostrare che le concezioni giudaiche erano divenute estranee alle divine profezie del passato.
Vi è chi ci conferma nella certezza di questa universale incomprensione: Maria stessa, Maria, così delicata, così penetrante, così «sapiente » nel senso biblico e profondo della parola. Maria non aveva ancora intuito nelle frasi di Isaia ciò che esse esprimevano in realtà. La Madonna non fu illuminata che dalle parole dell'Angelo. Siamo persuasi che essa fu la prima persona in Israele a conoscere esattamente il senso della pagina inspirata, dove la sua maternità divina era annunciata con settecento anni di anticipo.
E siamo persuasi che solo per merito suo i primi cristiani hanno imparato a capire questa pagina gloriosa e che solo alla scuola di Maria S. Matteo può citare la profezia come compiuta per Lei e in Lei.
Riprendiamo ancora una volta il commovente racconto in cui Maria stessa ci riporta il suo dialogo con l'Angelo. Noi pensiamo che tale dialogo sarebbe incomprensibile se Maria avesse saputo che la Madre del Messia doveva essere una vergine rimasta vergine nella concezione e nel parto stesso.
E l'Angelo le disse: «Non temere, o Maria, poiché tu hai trovato grazia presso Dio. Ecco tu concepirai e darai alla luce un figlio e gli porrai nome Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato figlio dell'Altissimo. E il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo Padre e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe: e il suo regno non avrà mai fine».
Non si poteva parlare più chiaramente. Certo in Israele non si poteva trovare una giovanetta di quindici anni capace di dubitare sul significato di Queste parole. Una figlia di Davide come Maria, nutrita delle speranze della sua dinastia, non poteva non comprenderla anche se Ella non avesse avuto la profonda scienza di Dio che il Magnificat avrebbe presto rivelato. Tutto il discorso dell'Angelo significava: sei tu eletta da Dio: e da te nascerà il Messia. Se Maria, unica nel suo popolo avesse intuito per una particolare ispirazione il significato della profezia di Isaia, se Ella avesse abbracciato la verginità. sempre sotto un impulso celeste, ma con la cosciente intenzione di mettersi in istato di attuare la grande profezia, non solamente avrebbe mancato alla sua ingenua virtù e alla spontanea sua umiltà, - ciò che è dimostrativo per noi - ma la sua risposta all'Arcangelo sarebbe totalmente incomprensibile.
«Come avverrà ciò se io non conosco uomo?» Risposta straordinaria. Se Maria avesse capito la profezia antica, avrebbe potuto rispondere: «Così sia, poiché io non conosco uomo ». Invece ha detto tutto l'opposto. La sua frase in fondo è molto facile a capirsi. Essa ha uno stile biblico accentuato. Non vuol dire in conclusione che Ella rinnega il suo fidanzata Giuseppe o che non lo considera come sposo. Ma piuttosto la sua risposta significa: «Il Signore sa bene che il mio fidanzato ed io siamo decisi di unirci in matrimonio per consacrarci unicamente al suo servizio e che abbiamo fatto il voto di vivere in una unione di anima e di cuore che non sarà unione di sensi e di carne. Quale segno potrò dare a Giuseppe di questa volontà del cielo, perché conosca, che il nostro voto non è gradito a Dio e che debbo divenire madre?»
L'Angelo comprende molto bene ciò che Lei vuol lasciargli capire, perché le parole che egli aggiunge ritornano all'argomento: «Non è da un'unione umana che dovrà nascere il Messia. Il vostro voto di verginità è stato gradito a Dio, ma pur rimanendo vergine tu diventerai madre. Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell'Altissimo ti adombrerà; per questo il Santo che nascerà da te, sarà chiamato figlio di Dio ...».
Allora tutto s'illumina per Maria. Ella aveva voluto essere l'ancella e non la madre. L'Angelo le porta il decreto celeste; Ella si inchina ma si inchina rimanendo nella schiera già scelta: «Ecco l'ancella del Signore». Ora la profezia di Isaia acquista ormai il suo vero significato. L'Angelo stesso vi accenna adoperando le medesime parole dello scrittore sacro: Ecco, tu concepirai e partorirai... E Maria capisce pure che questa nascita verginale ha la sua ragione d'essere nel mistero stesso che sta per compiersi. Suo figlio sarà un Dio fatto uomo. Non avrà dunque altro padre che Dio. La sua missione sarà di redimere la razza umana ed è perciò necessario che l'onda vitale iniziatasi da Adamo sia tagliata e ripresa con la specie «ricominciamento». Per Iddio che aveva creato in seno alla natura il primo Adamo non sarà difficile creare nel seno della Vergine il novello Adamo. Comunque l'Angelo ha la buona attenzione di lasciare un segno a Maria: «Sua cugina Elisabetta ha concepito un figlio nella vecchiaia, come prova che nulla è impossibile a Dio». Quest'ultima frase doveva però essere familiare a Maria. Era pure una frase biblica. Chi era in Israele che ignorasse la storia della nascita di Isacco nato da una madre «fuori d'età»? Chi non ricordava queste parole del Genesi: «Perché Sara ha riso dicendo: Ed io avrò veramente un figlio, vecchia come sono? C'è nulla d'impossibile a Jehova?»

Maria e Giuseppe. - Tutto riesce perfettamente chiaro nel racconto dell'Annunciazione. Il concepimento di Gesù doveva essere miracoloso. Esso possederà una caratteristica che sarà unica attraverso tutti i secoli, rimaneva però un punto nel quale l'Angelo non aveva risposto e che pur non rappresentava una preoccupazione infima in Maria: cosa dovrà dire a Giuseppe per quanto le accade? Il voto di verginità era gradito a Dio. Ma per tutto il tempo in cui Giuseppe non sarà informato del mistero che secondo le scritture stava per compiersi, in quale oceano di inquietudine, di tormenti si troverà? Che cosa doveva fare Maria? Dire tutto al promesso sposo? Ne aveva il diritto? Essa portava il segreto del mondo, il segreto di Dio. Aveva il diritto di violare tale segreto? Non conveniva piuttosto confidare da un lato nella provvidenza infinita di Dio e dall'altro nella rettitudine del «giusto » Giuseppe? Dov'era il più perfetto per Lei? Dov'era la volontà di Dio? Maria scelse la parte eroica: c'era da aspettare che il cielo parlasse. Ella restò fedele alla regola essenziale della sua vita: il silenzio, un silenzio lirico, un silenzio ripieno di canto riconoscente e di parole, di abbandono a Dio solo. Ella era stata eroica nei fare il voto di verginità: lo fu di nuovo nell'accettare, sia pure per breve tempo, le apparenze dell'infedeltà.
Per intendere bene il momento drammatico di questa situazione e tutta la grandezza d'animo di Maria in questa occasione bisogna rappresentarci precisa la sua situazione legale. Essa era promessa a Giuseppe. Aveva avuto sufficiente autorità morale o prestigio di «sapienza» per fargli accettare il principio d'un matrimonio tutto spirituale (55).
Ella dunque era, ormai legata e in modo tale che solo Giuseppe poteva rompere il legame per mezzo d'un libello di ripudio. Giustamente il testo di Matteo nel ragguagliarci sulle angosce di Giuseppe ci indica insieme l'estensione dei diritti conferiti allo sposo con l'atto del fidanzamento. Ci dice difatti che Giuseppe pensò a «ripudiare Maria segretamente». Ripudiare? Era dunque già sposo? Sì, perché secondo l'uso giudaico, il fidanzamento costituiva l'essenza del matrimonio, salvo la coabitazione sotto il tetto del marito. I due fidanzati potevano usare del loro diritto di sposi se lo volevano. La legge giudaica puniva con la massima severità la cattiva condotta della giovane e colpiva ugualmente di morte il delitto di violazione e di seduzione. L'infedeltà d'una fidanzata era punita con lo stesso rigore in uso per Le donne maritate, ma ciò non impediva affatto le relazioni intime fra fidanzati, e la nascita d'un bimbo concepito durante il fidanzamento non era considerata come disonorante. La nostra parola «fidanzamento» non rende con esattezza il termine corrispondente degli Ebrei. Allo stesso modo che il lavacro o battesimo provvisorio contiene l'essenza stessa del battesimo e le cerimonie che si aggiungono non rappresentano che un complemento rituale, così il matrimonio giudaico non faceva che completare l'atto di fidanzamento con delle cerimonie puramente profane. Questo precisamente significa la parola «ripudiare » che S. Matteo adopera nei riguardi di S. Giuseppe (56).
La conoscenza della legislazione ci permette pure di dare tutto il suo significato alla parola della Vergine: Io non conosco uomo. Ella era sposata. Ma era d'accordo col fidanzata sposo di non usare del matrimonio in virtù d'una promessa fatta a Dio.
Ora Maria, legata a Giuseppe, ha ricevuto la visita dell’Angelo. Ha preso l'eroica decisione di non parlare allo sposo del grande segreto che era nel suo cuore. E parte da Nazareth, dove Ella e anche Giuseppe abitavano, per andare ad Ain Karim. Rimane assente tre mesi, tutta dedita alle caritatevoli cure per la cugina Elisabetta. Quando Maria ritornò al proprio paese i segni della maternità non tardarono a manifestarsi in Lei. Giuseppe ne è avvertito subito oppure l'intravede da sé? I suoi amici lo felicitano perché presto sarà padre. Ma mentre le congratulazioni affluiscono - almeno lo si suppone ­ la lotta più tremenda si scatena nel suo cuore.
Maria tace sempre. Ma vi è nel suo sguardo, nel suo contegno, in tutto il suo essere un irraggiamento di candore, di sincerità e di allegrezza celeste. Si sa che fin dal suo arrivo ad Ain Karim le semplici parole di saluto indirizzate a sua cugina, erano state per questa una vera rivelazione. Sotto l'ispirazione dello Spirito Santo aveva tutto intuito e la sua gioia era esplosa in sante esclamazioni. Maria anche là non aveva detto nulla di più. Il suo Magnificat stesso non conteneva alcun accenno esplicito dell'incarnazione messianica. Anche stavolta, pure in circostanze più tragiche, Ella pone in Dio tutta la sua confidenza. L'Altissimo saprà far conoscere tutta la sua volontà. Non sarà essa che intralcerà le sue vie. Frattanto però non ignora i rigori della legge. Ella sa che Giuseppe ha il diritto di denunciarla come colpevole. Sa che un'accusa da parte sua può portare alla pena della lapidazione. E vi sono tre cose che le premono più della morte: l'onore del Figlio che parla nel suo seno, il suo onore stesso e la tranquillità intima di Giuseppe. Date tali condizioni sembra che una spiegazione leale, completa e circostanziata da parte di Maria avrebbe messo fine a tutte le perplessità di Giuseppe, a tutte le angosce che Maria stessa doveva superare a forza di abbandono.
Ogni giovane figliuola avrebbe ragionato in questo modo. L'eroismo consisteva nel tacere, nell'attendere. una decisione divina. Dopo tutto, lo sposalizio con Giuseppe era sempre nei disegni di Dio? Maria aveva intuito in un lampo la profezia di Isaia. Essa accennava chiaro ad una vergine. Si era sempre interpretato l'oracolo nel senso d'una vergine. Ma ora era manifesto che si trattava d'una vergine nel pieno senso della parola. Quali erano le ulteriori intenzioni del Signore? Chiarirebbe a tutti gli occhi d'Israele il vero senso della profezia? Era conveniente che la Vergine Madre vivesse senza lo sposo legale? Le parole della Bibbia non contenevano alcuna luce a questo riguardo. Vi era la questione della vergine e nulla del padre del Messia?
Pare che Maria abbia risolto il formidabile e difficile problema nel modo seguente: Giuseppe è troppo giusto per usare alla leggera una misura scandalosa e Dio è troppo buono e misericordioso per non consolarlo al momento voluto. La luce verrà. Io non sono che l'ancella. Spetta al Signore far conoscere la sua santa ed adorabile volontà. E noi che conosciamo il seguito soffriamo nel cogliere la violenza della lotta intima che dovette svilupparsi in Lei e tutto il peso delle ansietà di Giuseppe. Ma non rimane dubbio che da ambedue le parti vi furono delle ore in cui, davanti a Dio, essi chiedono tutta la misura della loro dirittura d'animo e della loro volontà di obbedienza e di sottomissione. Per tutti gli uomini la vita è una prova. Iddio domanda a ciascuno che passa chi è, che cosa può portare. Occorre una prova rara per delle anime eccezionali. Un fatto del genere occorso a Maria non si è presentato due volte nel corso dei secoli. L'eroismo della Vergine risalta con maggior evidenza. Nessuna luce umana poteva guidarla. Per i nostri atti migliori noi ci inspiriamo spesso agli esempi dei grandi cuori che ci siamo scelti a modello. Maria doveva inventare, rinnovare, creare senz'altro impulso oltre quello della grazia e del proprio cuore.
Essa ha scelto il silenzio. E non si è sbagliata.
Maria aveva prima di tutto contato sul buon Dio ed anche su Giuseppe. La sua fiducia fu ricompensata. Giuseppe fu in realtà tale quale essa aveva presentito. Abbiamo detto in precedenza le ragioni per le quali crediamo che i «Ricordi» di Giuseppe come si trovano in S. Matteo, siano stati trasmessi da Maria stessa. In tutti i modi anche se si supponesse che Giuseppe abbia lasciato uno scritto ignorato da Maria e raccolto da Matteo all'insaputa della Vergine ­ ipotesi del resto inverosimile - non potrebbe essere Giuseppe che ci dice di se stesso: Poiché egli era giusto e non voleva esporla all'infamia, pensò di rimandarla segretamente ...
Se invece si ammette che la Vergine trasmise i suoi «Ricordi » all'Evangelista le parole: Poiché egli era giusto costituiscono da parte di Maria un magnifico elogio al suo sposo venerato ed amato. Ma pronunciando tale elogio qualcosa di esso si rifletteva su di Lei. Tutte le apparenze le erano contro. La sua assenza di tre mesi rendeva ancor più gravi tali apparenze. Occorreva una incomparabile dirittura in Giuseppe per escludere qualunque ombra di dubbio circa la virtù di Maria. Ma era pure necessaria nella Vergine altezza di carattere, nobiltà d'animo a tutta prova, «sapienza» evidente e sicurissima perché nonostante i segni esteriori Giuseppe potesse essere capace di allontanare ogni sospetto infamante. Dobbiamo aggiungere se la profezia di Isaia fosse stata chiara, data la stima straordinaria che Giuseppe nutriva per la promessa sposa figlia di Davide come lui, egli non avrebbe esitato ad indovinare la realizzazione in Maria, ma tale profezia non divenne chiara che attraverso il fatto stesso compiuto. Giuseppe aveva abbracciato la verginità a fianco di Maria in piena comunione d'anima con Lei. Aveva rinunciato come Lei ad una paternità che lo poteva collocare nella linea genealogica del Messia atteso. Non poteva dunque comprendere, senza una speciale rivelazione, il mistero compiutosi in colei alla quale aveva promesso fedeltà. Il modo con cui fu avvertito dal cielo prova che nello spirito di Giuseppe si andava delineando un rispettoso timore.
Egli intuiva in Maria l'irraggiamento d'un segreto divino. E nello stesso tempo in cui Le si chiedeva se lo sposalizio con Giuseppe era nei disegni di Dio, o se la Vergine di Isaia doveva mantenersi estranea ai legami di nozze, crediamo che anche Giuseppe, presentendo un intervento divino nella sua fidanzata «temeva » ormai di prenderla in sposa (57).
In questo senso interpretiamo le parole che gli furono indirizzate dall'Angelo del Signore apparso in sogno: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere teco Maria, la tua consorte (58) perché ciò che è nato in Lei è dallo Spirito Santo. Partorirà un figlio cui porrai nome Gesù, perché sarà Lui che salverà il popolo dai suoi peccati ».
Al colmo della gioia Giuseppe venne ad annunciare a Maria l'ordine ricevuto da Dio. Insieme essi confrontarono le rivelazioni che avevano ricevuto separatamente. Anche alla Vergine era stato anticipato il nome da dare al Bambino. Bastava questa coincidenza come prova che risolveva ogni dubbio. Ma il ritorno alla profezia di Isaia, rivelatasi ormai in tutta la sua chiarezza, dovette apparire loro come la più meravigliosa delle conferme. D'altro lato l'avvenimento dimostrava l'ottima condotta di Maria nel tacere e come il suo silenzio fosse stato approvato da Dio. Giuseppe lo comprese e tutti e due posero la regola di non svelare ad alcuno il mistero ineffabile di cui erano divenuti depositari o meglio gli attori principali, dopo Dio.

Il silenzio di Maria e di Giuseppe. - Le provvidenziali nozze di Maria e di Giuseppe furono dunque celebrate. Si capisce che dopo la prova tanto delicata che essi avevano subito si era accresciuta la stima reciproca tra i due sposi. Giuseppe fu per Maria ancora più che per il passato, il «giusto» per eccellenza, ciò che nel suo proprio significato voleva dire: «l'uomo che cammina in tutti i comandamenti e le osservanze del Signore» (59), l'uomo che ha sempre lo sguardo fisso sulla volontà di Dio, l'uomo probo, integro, diritto ed onesto, l'uomo riflessivo e profondo.
E Maria, Madre del Salvatore, perché tale è il senso del nome preannunciato di Gesù, non poteva essere per Giuseppe che l'oggetto della più religiosa tenerezza e del rispetto più sacro. Maria aveva dato l'esempio del silenzio. L'aveva dato in circostanze che rendevano pienamente eroica la sua decisione. D'accordo che tale silenzio sarebbe stato osservato verso tutti senza eccezione e fino alla fine. E lo fu difatti per trent'anni, ché nessun seppe nulla del mistero della concezione messianica. Durante i trent'anni i parenti più prossimi di Maria e Giuseppe, i nipoti stessi, che saranno chiamati «i fratelli di Gesù», ignoreranno ogni cosa circa la sua grandezza divina, la sua missione futura, le confidenze che i membri della santa famiglia si scambieranno nell'intimità di Nazareth. Nessuno conoscerà gli accenni biblici sul vero messianismo che Gesù acquistava giorno per giorno in Quegli anni in cui Maria ci dice che Egli cresceva in «sapienza, età e grazia», espressione che in precedenza abbiamo inteso cosa voglia significare.
È superfluo rifare qui la storia della nascita di Gesù a Betlemme, della presentazione al tempio, adorazione dei magi, fuga in Egitto e ritorno a Nazareth. Attraverso tutti questi avvenimenti, la fede, la sottomissione, l'abbandono totale dei due sposi alla Provvidenza furono. messi di nuovo e a più riprese alla prova. La forza d'animo di Maria ebbe modo di svilupparsi costantemente ed Ella non conobbe mai la minima debolezza.
In verità nulla è maestoso come questa costanza, questo allontanarsi da ogni ricerca, questa docilità ai minimi cenni della volontà divina, questo disprezzo volontario ed immutabile di tutte le vanità terrestri: della gloria come della fortuna.
Proprio in quest'atmosfera impregnata della presenza divina, il figlio di Dio doveva crescere fino al giorno della sua entrata nella vita pubblica.
E si dovrebbe pensare che la felicità stessa del Paradiso terrestre fosse stata ritrovata nell'intimità di Nazareth se la terribile visione dal formidabile compito che l'attendeva non avesse costantemente gravato su questi anni di raccoglimento e di pace trascorsi nel lavoro e nella preghiera.

La predizione di Simeone. - Maria e Giuseppe sapevano che la missione del loro Gesù sarebbe stata circondata dalle più drammatiche difficoltà. Il bambino non aveva che quaranta giorni quando il vecchio Simeone pronunciò all'indirizzo di sua Madre la profezia che Ella stessa ci ha trasmesso: «Ecco, Egli è posto a rovina e a risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione, anche a te una spada trapasserà l'anima affinché restino svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 11, 34-35).
Senza dubbio Simeone aveva parlato per il futuro. Ma poteva annunciare una spada per l'anima di Maria senza conficcarla nel medesimo temo po nel più profondo del suo cuore? Una madre è sempre chinata sul destino del proprio figliuolo; non pensa che a lui. Egli rappresenta per lei tutto l'avvenire della vita.
Trattandosi della Madonna i sentimenti comuni alle madri erano trasferiti in un ordine infinitamente superiore. L'avvenire del suo Gesù non costituiva solo il futuro di lei, ma l'avvenire stesso della sua gente, del suo paese, dell'universo intero. La profezia di Simeone dava la nota esatta del vero messianismo di Gesù, un messianismo profondamente diverso da quello che allora si aspettava in Israele. Non possiamo credere che Maria abbia avuto bisogno delle parole di Simeone per liberarsi dalle opinioni correnti circa il regno del Messia; ma tali parole non facevano che confermare il carattere tragicamente arduo del compito che attendeva suo Figlio. Abbiamo ammesso precedentemente che Maria, penetrata di spirito biblico, non aveva smesso di meditare sulle pagine dei libri sacri e di farlo conoscere anche a Gesù fanciullo fino al giorno in cui da Maestra di scienze bibliche - se così si può dire - si era trasformata a sua volta in allieva nella scuola di Gesù adolescente.
Ora è il caso di aggiungere che questa lettura assidua delle Scritture fu costantemente per Maria una lettura «trafiggente» nel senso vero della parola. La profezia di Simeone influiva continuamente sul suo pensiero e nelle sue preghiere. Israele non capiva più le pagine consacrate al Messia sofferente, nella Legge e nei Profeti. L'uomo ignorante su questo punto non aveva idee molto diverse da quelle dei più rinomati dottori.
Gli scritti, più o meno, erano tutti ligi alla legge farisaica. Ora i farisei dovevano essere i peggiori avversari di Cristo. Maria poteva ascoltarli senza presentire i conflitti che più tardi sarebbero scoppiati fra essi e il suo divin figliuolo? Parlavano bene del Messia. Dicevano di aspettarlo, come tutto il resto del popolo. Ma essi si erano formati sul suo conto delle idee conformi ai loro interessi e ai loro pregiudizi settari.
Si rappresentava la sua venuta come smagliante di gloria. Credevano che Egli si manifestasse in modo improvviso ed inatteso. Il Cristo, Figlio di David, sarebbe un re dalla maestà irresistibile, un guerriero vittorioso. Egli si metterebbe alla testa dei popoli d'Israele e li condurrebbe alla conquista del mondo. Gerusalemme diventerebbe la capitale dell'universo e il Messia, dopo aver vinto tutti i popoli, vi regnerebbe in pace, esercitandovi il supremo sacerdozio. Senza dubbio una rivolta generale delle nazioni provocherà la fine del Messia, ma la sua caduta sarà il segnale della fine del mondo (60).
In mezzo a queste aspirazioni nazionali non rimaneva che poco spazio per le cose dell'anima. L'eterna lotta fra la materia e lo spirito era finita presso i Giudei in un decadimento generale di tutte le loro speranze religiose. I Farisei mantenevano un rito tutto esteriore: le preghiere uscivano ancora dalle labbra, ma non scaturivano più dal cuore. Non vi era nulla di cambiato nella fedeltà materiale al culto tradizionale. Tutte le osservanze erano più in onore che mai. La carità sola, la carità divina, era sempre più assente, tanto nei rapporti con Dio come fra gli stessi uomini. La ricerca delle ricchezze e degli onori divenivano la cura principale dei maestri di Israele.
Alla Madonna bastava leggere i Libri Sacri per comprendere la distanza spaventevole che separava ormai il pensiero dei suoi concittadini dalla volontà divina.

Una parola di Maria. - Nel raccontare l'episodio del dodicesimo anno della vita di Gesù una parola ci è apparsa particolarmente rivelatrice (61).
Al lamento di sua Madre Gesù aveva risposto: Perché mi cercate? Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio? E Maria aggiunse questa riflessione: Ed essi non intesero le parole dette loro da Lui.
Ora che cos'è che essi non compresero? Forse il principio enunciato da Gesù? Ma era proprio lo stesso principio che Maria gli aveva insegnato ogni giorno, ciò che Lei stessa e Giuseppe compivano costantemente. Compiere la missione che «il Padre» gli ha dato; occuparsi senza soste «delle cose del Padre», in quello consiste il programma e il dovere di tutta la nostra vita, di tutta l'esistenza umana. Maria non poteva ignorarlo. Ciò che essi non compresero allora, ma che capirono più tardi, senza dubbio, è il modo con cui tale principio si applicava in quella circostanza.
Maria non l'aveva intravisto in quest'occasione perché le pareva che la scienza del suo Gesù non avesse nulla da guadagnare a contatto degli orgogliosi dottori della legge. Questa scienza essa l'aveva vista crescere e doveva vederla aumentare ancora. Aveva dato per di più a tale scienza un orientamento tutto opposto allo spirito della sapienza corrente. Maria doveva intendere in segreto che per prepararsi alla propria sacra missione Gesù aveva bisogno di conoscere per esperienza i metodi di discussione, le opinioni e gli insegnamenti dei maestri in Israele. Ascoltandoli Egli si occupava dunque delle cose del Padre suo. Ma la Vergine non ne sapeva nulla. Questo primo incontro fra Gesù e gli scribi non poteva avete i caratteri degli incontri ulteriori, al tempo della vita pubblica. Anche se le riflessioni del fanciullo li aveva scossi nel loro pacifismo di dottori abituati agli omaggi degli ignoranti, non avevano però potuto irritarsene. Piuttosto essi avevano ammirato con aria di accondiscendenza e senza perdere nulla della loro alterigia imperturbabile, le risposte del piccolo Nazareno ancora sconosciuto. Ma tutto ciò non aveva avuto nessuna conseguenza per essi.
Ci piacerebbe conoscere su quale punto della scienza biblica Egli aveva portata la discussione e se fosse sul messianismo e il suo carattere.
Ma il Vangelo non accenna nulla in proposito.
Comunque, noi possiamo stare sicuri che le idee di Gesù come quelle della sua Santa Madre e del suo Padre adottivo circa il compito assegnato al Messia delle Sacre Scritture, erano completamente in contrasto con ciò che pensavano i Farisei e il popolo sul medesimo soggetto (X).
Il pensiero dell'avvenire non poteva che esser pieno d'angustia per Maria. Immaginare la vita a Nazareth come una specie d'idillio piacevole e dolce sarebbe forse conforme al nostro gusto di tranquillità e di riposo. Ma ciò non rientra nello spirito del Vangelo che fu soprattutto il libro della lotta.
«Io non sono venuto a portare la pace ma la guerra», dovette dire Gesù. Ed è impossibile credere che la prefazione del libro sia stata troppo estranea al libro stesso. La vita nascosta non fu che una prefazione; e il Vangelo dovette essere una battaglia continua e finalmente una tragedia di dolori infiniti. La profezia di Simeone assillò dunque il cuore e il pensiero di Maria. Una madre che conosce in anticipo quali avversità minaccino il suo figliuolo non può non pénsarvi in modo costante. Diventa per lei una specie di santa, naturale ossessione e si crederebbe indegna se tentasse allontanarla. Maria è ben superiore alla più amante delle madri.
Suo Figlio era più che il fanciullo più delicato per la più tenera delle madri. Egli era il suo Dio. Era il Messia. Il Salvatore unico e necessario. Essa s'era proclamata non la Madre ma l'Ancella. Se un Francesco d'Assisi non poteva addormentarsi pensando che il mondo ripaga Gesù con la indifferenza e l'oblio e si sentiva gridare con profondi sospiri: «L'Amore non è amato! L'Amore non è amato! », che cosa diremo di Maria? Come dovevano essere grandi le sue angosce pensando alle ingratitudini degli uomini, alla durezza di cuore riscontrata intorno a sé, alla rozzezza di spirito cui gli stessi suoi compatrioti ne davano spettacolo e alla meschinità generale di pensieri e di aspirazioni! Ma la sua vocazione era l'eroismo. E (62) la Vergine portava coraggiosamente il suo fardello ogni giorno. Lo portava in segreto, senza lamentarsi. Sapeva che quelle stesse contraddizioni facevano parte della via della Provvidenza per risollevare la miseria umana.
Noi avanziamo delle ipotesi, senza prove positive, è vero; ma le nostre affermazioni hanno tutta la verosimiglianza, posto che le pagine bibliche nelle quali vengono descritti i dolori e le ingiurie del Messia misconosciuto erano senza tregua presenti allo spirito della Vergine e la profezia del vecchio Simeone le aveva dato di quelle pagine una esauriente spiegazione.
Essa viveva in anticipo la passione del suo Gesù. La vita per Lei, vicina al suo Divin Figliuolo e nell'intimità col «giusto» Giuseppe, era in sostanza una gioia soprannaturale ed insieme martirio ineffabile.

Maria ai piedi della Croce. - Giunta l'ora, non siamo sorpresi d'incontrarla ai piedi della croce su cui spira Gesù. Era stata associata alla preparazione e dovette assistere all'esecuzione. E pensiamo che non presenziò in maniera che in termini impropri i potrebbe dirsi passiva, ma collaborò, in uno slancio supremo, al sacrificio redentore del Figlio di Dio.
Volendo studiare l'eroismo di Maria, la dobbiamo appunto osservare ai piedi della croce. Soltanto il Vangelo di Giovanni ci segnala la sua presenza. A lui è stato riservato di raccontarci la scena commovente in cui divenne il figlio adottivo di Maria. Si dirà che gli altri evangelisti non hanno voluto entrare in argomento per non usurpare il terreno di altri. Ma è probabile che essi obbedissero sempre a quella consegna del silenzio che abbiamo visto imposta da Maria nella predicazione primitiva per tutto ciò che la riguardava. Allo stesso modo che il Vangelo di Marco non dice nulla dell'infanzia di Gesù ed accenna solo a Maria, così gli altri evangelisti riferiscono soltanto ciò che è stato loro comunicato sul fatto dell'infanzia ed hanno omesso tutto il resto. Ma questo ha poca importanza. La testimonianza di Giovanni, oltre che testimone, attore nella scena dell'addio di Gesù a sua Madre, ci basta pienamente. In nessun punto la sua deposizione precisa si è trovata manchevole, anzi dappertutto egli si mostra il più esatto e minuzioso di tutti i nostri testi evangelici. E non è certo un episodio che gli era particolarmente chiaro ch'egli poteva ingannarsi e ingannarci. Or, egli dice, presso la croce di Gesù si trovavano sua Madre e la sorella di sua Madre Maria di Cleofa e Maria Maddalena ...
Tutte le sfumature del passo acquistano un loro valore. Ora è positivo che la parola usata da S. Giovanni per dire «si trovavano » significa essere diritti. Si potrebbe quindi tradurre: «presso la croce di Gesù stavano ritte sua Madre ...» ed è sempre così che la tradizione cristiana l'ha vista ai piedi di Gesù morente. Maria era diritta. In tal modo rimaneva più vicina al sacro viso del suo divin figlio. Gesù in croce era ad una certa altezza levato dal suolo; una persona diritta vicino a Lui non raggiungeva il livello del suo cuore.
Maria doveva quindi essere diritta per essere vicina alla bocca divina, da cui erano uscite tante sublimi parole e dalla quale Ella stessa aveva raccolto tanti memorabili insegnamenti.
Se nonostante la gioia di possederlo, la sua vita a Nazareth era stata un lungo martirio, la sua vera passione era cominciata con quella del figlio e raggiunse il parossismo della tortura morale durante l'agonia di Gesù in croce. Allora fu svelato a Maria tutto il senso della profezia di Simeone nel giorno della presentazione. Erano trentatré anni che Ella portava in cuore la spada annunciata dal santo vegliardo. Iddio aveva voluto così. Le madri comuni non sono private delle loro illusioni prima del tempo. Maria aveva conosciuto tutto in anticipo: privilegio degno della sua forza e del suo eroismo. Ma altro è sapere e altro è vedere. La conoscenza avuta prima non attenuava l'intensità della sua partecipazione alle sofferenze di Gesù. Anzi si può dire che la sua vita era stata una preparazione a quest'ora suprema.
Dal momento in cui Dio si era degnato di affidarle un compito nella redenzione del genere umano: - Quello ch'Ella aveva costantemente scelto; cioè di Ancella del Signore - Ella non aveva ormai più avuto che l'unico scopo di eseguire tale compito con tutta la perfezione possibile, quando l'Ora sarebbe suonata. Fra la sua anima e quella di Gesù era sempre regnata l'unione più stretta. Nel momento supremo tale unione diviene ancora più intima, se ciò è possibile. Essi formano in realtà. un'anima sola per soffrire e per espiare. Tutte le sofferenze di Gesù si riflettono nel cuore di Maria come nello specchio più fedele, ma nel riflettersi vi scavano un solco e vi fanno sentire il loro morso.
Nonostante tale agonia Maria rimane diritta.
Una forza sovrumana la sostiene. Ella non sarà abbattuta, non la vedremo prostrata per terra, non la si sentirà gemere, né maledire. E non perderà la minima parte dei dolori benedetti a Lei riserbati da tutta l'eternità.

Maria, Regina dei Martiri. - Il Vangelo che ci ha tramandato il Magnificat della gioia, non ha fatto altrettanto per il Magnificat del dolore. Parole umane non potevano avere la forza necessaria per comporlo.
«A chi ti eguaglierò per consolarti, vergine, figliuola di Sion?
«Perché il tuo pianto è grande come il mare; chi ti medicherà? »
Aveva detto il profeta Geremia nella seconda elegia sulla rovina della città santa (63).
No, niente poteva consolare Maria in quell'ora in cui agonizzava il suo Gesù. Essa si abbandonava dunque alle sue lacrime unendosi al Figlio amatissimo.
Non possiamo immaginare in Lei un dolore superficiale, solamente sensibile, senza pensieri e come esaurito nei singhiozzi e nelle lacrime. Tutta la sua vita ci ha invece preparati a intravvedere il suo spirito orientato verso una crocifissione morale qual è quella a cui andò incontro. Sappiamo che in tutte le circostanze essa si rivolgeva alla parola di Dio per attingervi luce e forza. Quest'agonia della Regina dei martiri rimane pienamente cosciente e si trasforma costantemente in orazione. Fu la contemplazione più sublime e più dolorosa della sua vita.
Maria conosceva a sufficienza il suo divin figlio per sapere che il suo unico pensiero era il compimento perfetto di tutte le profezie che il popolo aveva dimenticato e nelle quali erano predette le umiliazioni e le sofferenze del Messia. Senza dubbio Maria e Gesù avevano meditato insieme più volte queste pagine immortali e velate agli sguardi comuni. La sofferenza terrena costituisce per tutti gli uomini un fatto assai misterioso. Se essa non viene intesa come la più grande testimonianza d'amore del Maestro, se non troviamo che ce la dà perché sia la preservazione nostra e la nostra corona, è rarissimo che non si ritenga come lo scandalo più sconcertante, cioè come obbiezione alla bontà e per conseguenza all'esistenza di Dio stesso. Se però ci si mette ai piedi della croce, se si cerca di interpretare i sacri dolori del Cristo e di sua Madre, se si vedono da un lato la bassezza umana e dall'altro la maestà di Dio, se si mettono in bilancio le crudeltà dei carnefici che uccidono Gesù e il sacrificio volontario di Lui che muore per salvare coloro che lo odiano, non si può non intuire qualche cosa della bontà morale della sofferenza, al piano dell'economia divina.
Del resto la Vergine non si perde in tali considerazioni meschine. Il suo Gesù ha scelto di soffrire e di morire per la salute del mondo e per la gloria del Padre. La sofferenza per ciò stesso diviene sacra ai suoi occhi. Si deve misurare la grandezza delle cose dalla loro utilità e la loro utilità in quanto attuano la divina volontà. Non si considera un rimedio dalla sua amarezza, ma solo dalla sua efficacia. Solo i fanciulli allevati nelle mollezze rifiutano la salute perché la medicina è poco gradevole al gusto.
Ma quanti uomini purtroppo non sono che bimbi viziati quando si incontrano col dolore e con la morte!

La Passione secondo la Bibbia. - Non facciamo una semplice supposizione quando diciamo che Maria ha vissuto interiormente tutti i passi biblici riguardanti le umiliazioni del Messia. Il Vangelo è là se non per provarlo almeno per insinuarlo. Basti pensare che Maria seguiva sul viso di suo Figlio le minime impressioni che vi poteva cogliere. E' una supposizione tanto naturale che si può ritenerla una certezza morale. Che cosa facciamo vicino ad un morente? Cerchiamo di indovinare le sue parole, di cogliere la direzione del suo spirito. Maria era troppo abituata a leggere nelle espressioni di Gesù, conosceva troppo il suo carattere e l'inclinazione volontaria data a tutti i suoi pensieri per non accompagnarlo nel suo lungo viaggio attraverso i secoli della storia profetica del Messia.
Un sublime pellegrinaggio che dura tre ore, tre ore di preghiera, di silenzio, di agonia, di sacrificio sacerdotale. Possediamo su questo punto le prove più evidenti. Tra la terza parola, quella dell'addio a sua Madre, e la quarta, occorsero circa tre ore. E quando Gesù parlò di nuovo, lo fece per indicare chiaramente quali erano stati i suoi pensieri nell'intervallo. Infatti egli gridò con voce forte il primo versetto del salmo XXII (64).
Il versetto è una rivelazione: ci dice che Gesù ripete interiormente la passione seguendo il suo antenato Davide. La Vergine dovette trasalire nell'intendere la parola del grande salmista da cui traeva la propria origine e il suo sangue. Ed è certo che questo salmo saturo di realtà era stato più volte oggetto delle loro comuni meditazioni a Nazareth. Tutte le sofferenze del Messia vi erano descritte in anticipo in termini d'una forza irresistibile. Non si trova che in Isaia una profezia tanto bruciante. Se le prime parole del salmo esprimono una tortura atroce simile ad una disperazione, il cantico si chiude in uno slancio di confidenza nella certezza della prossima liberazione. E questo è perfettamente conforme al doppio movimento che riscontriamo nell'anima di Gesù in croce, il movimento della natura oppressa ed accasciata e quella dello spirito ardente di sommissione alla volontà del Padre.
Maria ripeteva con Gesù le parole del salmo davidico. Tutta la sua vita era trascorsa in attesa dell'ora della loro attuazione. Tale ora scoccava in quell'istante. Era più che mai il momento di ripetere: «Non si faccia la nostra ma la vostra volontà, o Signore! Ecco l'Ancella del Signore, sia fatto di me secondo la vostra parola!»
La sofferenza della sete è accennata come particolarmente insopportabile nel corso dello stesso salmo. Per questo la quinta parola di Gesù fu la richiesta commovente: Ho sete, in cui era palese l'immenso amore di Gesù per le anime, assai più che il lamento d'un agonizzante sfinito.
E di nuovo la Vergine trasale per una santa compassione. Come intuisce questa sete soprannaturale di suo Figlio! E come si offre a dividerla! Anch'Ella sente ora una sete ardente nel più profondo del suo cuore immacolato: è la stessa sete di Gesù. Sete di anime. In quell'istante la sua maternità si allarga a tutto il mondo. Abbiamo visto come Maria fosse abituata alle vaste visioni di tempi e di popoli. Essa sa che la morte del suo Gesù è fatta per tutti gli uomini senza eccezione. E pure per tutti Ella soffre, ed a tutti Ella estende la sua sete materna.
Ormai il sacrificio si chiude; tutte le prescrizioni rituali sono state compiute, niente è stato omesso né dimenticato. Le profezie hanno avuto il loro compimento. Un rapido sguardo di Gesù e di sua Madre sulle Scritture dimostra loro che tutto ciò che era stato detto ora è fatto. Perciò Gesù pronuncia la sesta parola: Tutto è consumato!
Sì, Madre, tutto è consumato! Il vostro Gesù ha compiuta la sua missione. Voi l'avete assistito fino alla fine, non avete obliato un istante il pensiero di Lui, non vi siete piegata sotto il peso, vi siete tenuta sempre diritta vicino alla croce. A Lui tutto è mancato: il suo popolo l'ha rinnegato, i suoi discepoli l'hanno abbandonato. Ma Egli ha vicino sua Madre e con Lei l'amico fedele e qualche pia donna. Il mondo non è dunque maledetto: questa terra ingrata produce ancora dei fiori, grazie al sangue di Gesù. Il più bello ed il più splendido di questi fiori è il Cuore di Maria!

La morte di Gesù. - Tutto era consumato per il Cristo, ma non per la sua pia Madre. Ella l'intese gridare con voce forte: «Padre, nelle tue mani io rimetto il mio spirito», come se Egli volesse attestare che le forze della vita non erano spente in Lui e che moriva per un atto di volontà, immolandosi per noi, così come l'aveva predetto.
E Maria senza dubbio avrebbe voluto morire con Lui. Quale madre non avrebbe lo stesso pensiero? Bossuet dice che la vita della Vergine dovette essere, a partire da questo momento, un miracolo continuo. «Il miracolo continuo - egli dice - era che Maria potesse vivere separata dal suo unico bene» (65).
Dopo aver analizzato la potenza di volontà della Vergine ed aver trovato numerose prove del suo prodigioso eroismo fino alla morte del Figlio dobbiamo aggiungere che il resto della sua esistenza fu un nuovo martirio d'amore, un atto costante della sua eroica volontà per obbedire alla volontà di Dio. Questo ci fa intravvedere una nuova luce nella missione che il Cristo le aveva affidato presso S. Giovanni. Dicendole: «Ecco tuo figlio» egli rispondeva in certo modo a una domanda segreta della sua amatissima Madre: «Figlio mio, Signore Gesù, non mi chiamerai con te? Mi lascerai su questa terra dove non posso vivere senza di Te? » «Sì, o Donna, ti lascerò ancora quaggiù. Io sono venuto ad accendere il fuoco sulla terra ... In attesa che i focolai in seno alla chiesa si illuminino io ti costituisco come braciere dell'amore celeste col mio amato discepolo Giovanni. Tu hai una nuova missione da compiere vicino a Lui. La tua ora non è ancora venuta».
E Maria una volta di più mormora: Ecco l’Ancella del Signore. Non dimentichiamo che vi fu un momento in cui fra la morte di Gesù, l'apostasia di tutto un popolo, la desolazione invasa d'ombra dagli apostoli, non rimase acceso che un unico lume su questa terra, dinanzi all'Eterno, non c'era più che un'anima, una sola in cui brillavano la fede, la speranza, la carità e quest'anima era quella di Maria!
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