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La Vergine Maria e i Vangeli del canonico Leon Cristiani libro del 1934

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2012 22:18
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07/09/2012 22:14

CAPITOLO VII

LA DIVINA CARITÀ DI MARIA


Sommario:
- Il Cuore Immacolato della Vergine.
- L'amore dei piccoli
- Maria ed Elisabetta
- Maria e gli umili
- Maria ed Erode
- Maria e i Dottori
- Maria alle nozze di Cana
- Maria e i «fratelli di Gesù »
- L'umiltà di Maria
- Come Maria parla di se stessa
- L'amore divino in Maria
- Commentari di Bossuet
- Analogia della vita di Gesù
- «Piena di grazia ».

***

Il Cuore Immacolato della Vergine. - Quando Gesù ha voluto definire se stesso l'ha fatto riferendosi al suo cuore piuttosto che alla sua potenza e sapienza. È vero ch'Egli ha detto: «Io sono la Via, la Verità, la Vita », ma ha pure dichiarato: «Ricevete le mie lezioni, poiché io sono mite ed umile di cuore » (66). S. Tommaso d'Aquino ha detto molto bene a proposito di queste parole: «con la dolcezza l'uomo è messo nell'ordine riguardo al prossimo, con l'umiltà è messo nell'ordine rispetto a Dio e a se stesso» (67). In questo pensiero Gesù ci ha mostrato il segreto del suo cuore divino. Bisogna intendere bene che cosa si vuol dire parlando del cuore. Non si tratta naturalmente dell'organo materiale il quale non è che un simbolo, l'emblema della capacità d'amare. Quando si è parlato della sapienza e dell'eroismo della Vergine non s'è detto della sua potenza d'amore. Parlando della sapienza si è visto il magnifico espandersi dell'intelligenza nella luce della ragione e della fede.
Per l'eroismo il glorioso spogliarsi della potenza d'azione sotto l'impulso della sapienza e dell'amore. E' l'amore stesso la base di tutto l'essere. L'ha detto bene S. Paolo parlando della fede che giustifica che ha definito difatti la fede che opera nella carità. La fede sotto a questo aspetto corrisponde a ciò che noi chiamiamo sapienza.
Una fede luminosa, piena, nutrita costantemente dalla parola di Dio è appunto ciò che trasforma l'uomo in un sapiente, non nel senso socratico ma nel senso cristiano. Ma la sapienza deve manifestarsi in azioni e più queste sono grandi più suppongono una sapienza profonda. Soltanto che per passare all'azione, per aggiungere l'eroismo alla sapienza, occorre una sapienza nuova, è necessario l'amore: è questo che noi chiamiamo il cuore.
I nostri catechismi usano una formula che dice la stessa cosa quando ripetono che l'uomo è creato per conoscere, amare e servire Dio.
Conoscere Dio è la sapienza; servirlo è il destino dell'uomo e verso di esso debbono tendere tutte le energie del volere. Ma il grande segreto, il grande motore intimo di tutto è l'amore. Si può dire che avviene della creatura come di Dio stesso. I libri sacri contengono tre definizioni di Dio le quali corrispondono a tre gradi di religione. Nell'Esodo Dio stesso si definisce a Mosè: Io sono Colui che è. Dio è l'Essere, è l'Onnipotenza. Tutto proviene da Lui. Tutto dipende dai suoi decreti. Non si concepisce una religione che non cominci da una definizione di Dio, riferendosi alla potenza. Ma se si sta alla definizione di potenza in Dio non si esce dalle religioni inferiori, quelle che fanno tremare l'uomo dinnanzi all'infinito.
Il Prologo di S. Giovanni ha riportato una seconda definizione mostrando il Verbo nel seno di Dio e dicendo: Ed il Verbo era Dio. Qui alla nozione di Potenza si aggiunge quella di Sapienza ed Ordine Supremo. I grandi pensatori di tutti i tempi, senza andare fino alla nozione precisa del Verbo, hanno concepito la divinità come una sapienza ordinatrice. Dopo Anassagora questo pensiero fu familiare ai filosofi greci. Ma la terza definizione di Dio è propriamente cristiana. Essa non fu sospettata che vagamente da qualche isolato pensatore. E' racchiusa tutta in questa parola di Gesù: Padre nostro. E S. Giovanni gli ha dato la sua formula definitiva dicendo: Dio è amore (1Gv 4, 8).
Per questo bisogna risalire fino al cuore, fino alla divina carità, nel tentativo d'analisi del carattere della Vergine se vogliamo, sia pure imperfettamente comprenderla.
Il cuore spiega tutto e dà la chiave di tutto il resto. Mentre invece non vi è nulla che spieghi il cuore perché il cuore è per così dire, la persona e, per lo meno, dà di essa la misura reale e la sua posizione nella scala dei valori.
Difatti trattandosi di una creatura noi chiamiamo valore il suo grado di bontà e di partecipazione alla bontà in creata. Ora la bontà tende al dono di sé e si misura dalla potenza del dono. E tale potenza è il cuore, è l'amore.

L'amore dei piccoli. - Si comprende bene perciò la logica interna della religione di Cristo. Tale religione ha per fine di farci imitare Iddio. Siate perfetti come è perfetto il padre vostro. Se dunque l'attributo essenziale di Dio è la Bontà e la Paternità infinita, in una parola l'Amore, tutto lo sforzo della vera religione deve mirare a produrre l'amore nel cuore degli uomini. Tutto il progresso dell'amore sulla terra è un progresso di civiltà ed ogni posto nello spirito d'odio, di rivolta, d'egoismo, e di violenza è un regresso verso le barbarie (68).
Ma la religione non ha altro scopo che generare l'amore. Se Gesù ha riassunto la sua missione dicendo: Io sono venuto a portare il fuoco sulla terra, ne consegue direttamente e immediatamente che vi sono due comandamenti essenziali: l'amore a Dio e quello del prossimo. In tal modo si è espressa la sapienza infinita del Verbo incarnato, nella famosa risposta al problema degli scribi: Maestro qual è il primo e il più grande comandamento della legge? Perciò avremo detto tutto intorno al Cuore immacolato di Maria quando avremo studiato il suo grande amore al prossimo e a Dio. Gesù stesso ci dà un segno infallibile per discernere le qualità dell'amore che portiamo al prossimo. Quando fai un pranzo invita i poveri, gli storpiati, gli zoppi, i ciechi, e tu sarai felice del fatto ch'essi non sono in grado di contraccambiarti (69).
Ricordiamo il principio che è di una chiarezza senza ombre: Se tu dai perché l'altro ricambi, questo non è amore, è calcolo. Il vero amore è quello disinteressato; perciò il vero amore sarà essenzialmente l'amore degli umili e dei piccoli (70).
Gesù ha praticato questo amore degli umili in modo luminoso. Si è dato ai semplici. Ha richiesto ad essi soltanto il loro amore di cui non aveva alcun bisogno, ma che è però l'unica condizione della loro salute eterna.
Si è identificato ad essi. È stato il buon Pastore che ricerca le pecorelle smarrite e che dona la vita per il suo gregge.
Anche il poco che conosciamo della vita della Vergine ci prova ch'ella ebbe l'amore ai piccoli, agli umili e che il suo amore era spoglio di ogni ricerca personale e di ogni calcolo egoista.

Maria ed Elisabetta. - Il primo atto di amore del prossimo, in ordine cronologico, che noi riscontriamo in Maria è la sua visita ad Ain-Karim. Anzitutto è interamente spontaneo: Maria non è aspettata. Elisabetta, la cugina veneranda, non l'ha avvertita del suo stato, né Maria ha fatto domande. E' stata informata dall'Arcangelo Gabriele che però non le ha dato alcun ordine da parte di Dio. Ma non importa: con lo slancio che contrassegna l'amore vero, Maria parte immediatamente. Il Vangelo usa al riguardo una parola che stupisce. Maria così saggia, calma, riflessiva, lontana da ogni premura inutile, Maria - ci dice il testo che proviene da Lei stessa: c Si mise in viaggio per recarsi frettolosamente sulla Montagna».
Notiamo bene la situazione: L'Arcangelo sta per lasciare Maria. Il prodigioso mistero dell'Incarnazione si è compiuto in Lei. Maria è quindi la Madre di Dio, titolo per il quale nessuna parola umana vale a rendere la dignità, e lo splendore. La sua anima diventa il primo Tabernacolo della Vittima Santa ed è inondata di lumi e di grazie. Essa si conosce regina d'un regno infinitamente superiore a quello di Davide suo antenato. Ma il motto del suo regno è già quello di Gesù, Ella vuole «servire e non essere servita». Le parole dell' Arcangelo non contengono per Lei che una breve indicazione. Il Suo cuore immacolato è stato sensibile ai minimi inviti divini che nell'accenno dell'Angelo vede l'espressione d'un desiderio di Dio su di Lei. Il suo amore, la sua vita d'unione con Dio, il suo gusto dell'orazione, non sono affatto qualcosa di teorico, di unicamente contemplativo; non sono semplici parole. Ella riunisce in sé tutte le bellezze delle due vite che più tardi saranno simboleggiate in Marta e Maria di Betania.
La frase Evangelica ci mostra Maria che strappandosi alle estasi dell'Incarnazione e della Maternità Divina, si decide con prontezza, esce dalla Sua abitazione e s'incammina in tutta fretta verso le strade della montagna della Giudea, dove abita la cugina. Una singolare impressione di forza di volontà, ma soprattutto di carità scaturisce da questa visione presentata dal testo sacro. Una carità spontanea, rigorosa, pronta, che è soprattutto una carità spirituale: lo si rileva dall'effetto prodotto col suo saluto nell'incontrare Elisabetta. Maria non viene soltanto a portare un aiuto materiale, e per questo alle sue prime parole il nascituro trasalisce nel seno della cugina. Maria dunque pensa soprattutto al bimbo, prega per lui, vede la sua futura missione ed offre a Dio per lui e il suo avvenire gli slanci della sua anima. Se il bimbo di Zaccaria e di Elisabetta è santificato prima di nascere, ciò non avviene per caso né per un'azione incosciente ed involontaria della Vergine; evidentemente essa ha influito sulla Bontà di Dio, ha invocato per Lui l'Emmanuele che era propria carne.
E durante i tre mesi del suo soggiorno ad Ain- Karim la Vergine ha mantenuto senza dubbio l'atmosfera di santa gioia e di entusiasmo soprannaturale che inaugurò all'inizio del Magnificat.

Maria e gli umili. - Non sappiamo se Zaccaria ed Elisabetta si possano collocare tra i semplici, cioè fra coloro che nella vita presente non conoscono né onori né fortune, ma tuttavia abbiamo la prova che Maria dimostra una predilezione spiccata per gli umili del mondo. Tale predilezione si rivela nel suo stesso cantico. Vi si parla di punizione per i «superbi » , di atterramento per i «potenti», di spogliazione dei «ricchi». Maria non si scandalizza per quanto avviene nella storia; Essa sa che il tempo è nulla dinnanzi a Dio e non vuol vedere che la fine. Dappertutto vede in opera la giustizia di Dio e contempla la sua misericordia; «Egli ha esaltato gli umili » grida -, «ha saziato di bene gli affamati ». Pare di sentire Gesù che ai suoi discepoli ripete: «felici coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati... » Oppure: «Maledizione a voi, o ricchi... ».
È il caso di rilevare che Maria, unica depositaria dei «Ricordi di Giuseppe» e dei proprii, ha introdotto il racconto della visita dei Magi che non erano certo dei «piccoli » di questo mondo ma certamente anime diritte e degne del Vangelo, in quella parte che in S. Matteo noi abbiamo trovato i «Ricordi di Giuseppe », mentre le proprie «Memorie » pubblicate da S. Luca riferiscono il fatto commovente dell'adorazione dei pastori. Questi almeno erano certamente gli umili. Per di più avevano un cattivo nome in Israele. I farisei li ritenevano per dei maledetti. «Questa razza di uomini - scrive P. Prat riguardo loro - erano assai disprezzati dagli israeliti devoti. Vivendo nomadi e quasi selvaggi, lontani dal tempio e dalle sinagoghe, riusciva loro impossibile di conformarsi alle osservanze legali. Abba Gorio aveva l'abitudine di dire: «Guardatevi dallo scegliere per i vostri figli il mestiere dell'asinaio o del cammelliere, del barbiere, barcaiolo, merciaiolo e pastore: questi sono mestieri da ladri ». Soprattutto, i pastori del deserto erano sospettati di non rispettare abbastanza le proprietà altrui. Un fariseo si sarebbe fatto scrupolo di acquistare la loro lana e latte per timore di cooperare ad un furto. I pastori erano uguagliati ai pubblicani e la loro testimonianza non era valevole nei giudizi » (71).
Si trattava dunque di urtare l'opinione comune raccontando che i primi adoratori del Bambino Gesù non erano stati degli scribi, dei dottori, e dei ricchi personaggi d'Israele; ma i più diseredati e screditati fra i giudei, i più umili fra gli umili, i piccoli pastori di Betlemme. Eppure Maria non ha esitato. Non conosceva il rispetto umano e non temeva di affrontare i suoi giudizi. Mostra altamente l'amore del suo Gesù e di Dio stesso per gli umili e prova, così, dove si orienta la intima scelta del proprio cuore.

Maria e i dottori. - Non bisogna però aspettarsi di trovare nelle sue «Memorie» delle invettive personali contro i potenti del giorno e neppure contro quelli da cui ricevette motivi di sofferenza.
Più tardi Gesù maledirà i Farisei non per spirito di vendetta o di rancore personale, ma perché ora era necessario smascherare questi gretti settari distruttori di anime e ladri di stima da parte degli umili da loro stessi ingannati.
Maria non ha le medesime ragioni di Gesù per battere degli avversari. Abbiamo notato al principio del libro là grande serenità che distingue i nostri racconti evangelici ed abbiamo creduto di scorgervi l'influenza della pace mariana. Il caso di Erode, dicemmo, è particolarmente evidente. Erode aveva perseguitato col suo odio il Bambino Gesù. Solo la fuga in Egitto intrapresa per ordine di Dio aveva salvato il Cristo Re. Erode aveva compiuto il suo orrendo misfatto col massacro degli innocenti. Crediamo che S. Matteo abbia avuto tutti i dettagli sul fatto dalla Madonna eppure non si trova un fremito d'indignazione e di collera nel suo racconto. Le prove della collera divina sono visibili nella fine terrificante del tiranno eppure non son riportate. Non c'è un epiteto ignominioso a carico del vecchio tigre e non si può dire se sia per prudenza o per timore di rappresaglia che il Vangelo di Matteo conserva una tale maestosa, impassibilità. La famiglia di Erode era già da tempo nell'impossibilità di nuocere quando uscì il primo Vangelo.
Appare difficile spiegare l'immensa pace che emana da tutti questi racconti senza ricorrere alla grande carità di Maria che rimette a Dio solo il giudizio e non vuol pensare ai colpevoli se non per benedire la provvidenza, per i doni che ci hanno impedito di cadere nei loro delitti e nei loro peccati. Che cosa hai tu che non abbia ricevuto? direbbe volentieri con S. Paolo la Vergine. E se tu hai ricevuto tutto perché te ne glorii come se non avessi ricevuto nulla?
Quello che diciamo a proposito di Erode può illuminare quanto abbiamo congetturato intorno ai dottori della legge. Maria non comprese che Gesù chiamò il suo primo contatto coi maestri del Tempio: occuparsi delle cose del Padre suo. Essa non provava per i dottori alcuna simpatia e non poteva non tremare pensando ai conflitti inevitabili che essi avrebbero fatto sorgere al grande restauratore della legge, il Messia, quando l'avessero avuto di fronte. Conosceva troppo il loro spirito e quello della legge che essi tradivano commentandola; e intuivano troppo bene quale sarebbe il compito di Cristo quando volesse rimettere in ordine la casa di Dio. Nonostante tutto questo non le sfugge commento alcuno. Soltanto per deduzione noi possiamo formulare, nell'episodio del Tempio una insinuazione contro i falsi sapienti che disonorano la cattedra di Mosè.
Da parte di Maria, sempre il medesimo rispetto per i sovrani diritti di Dio. Egli solo è il giudice. Egli solo ha il diritto di pronunciare delle sentenze.

Maria alle nozze di Cana. - Non è audacia affermare che il primo miracolo di Gesù è stato compiuto in favore di povera gente e in seguito alle preghiere di Maria. C'è in esso, evidentemente, un'attenzione della Provvidenza. Maria si trova fra gli invitati ed è quindi amica della famiglia: si trova a tutto suo agio fra i «semplici» La venuta del suo Gesù accompagnato dai suoi primi discepoli può forse essere stata la causa della penuria di vino. Maria lo intuisce per la prima e la sua sollecitudine si dimostra nello stesso pronto intervento. È vero si trattava di cosa di poca importanza e soprattutto per Lei che sappiamo continuamente immersa nei pensieri di eternità. Che importanza aveva infatti la piccola confusione di questi semplici di fronte ai loro invitati? Del resto è l'appunto che farà Gesù stesso: O Donna, che cosa importa a me? Quando si vivono i misteri dell'anima questi meschini dettagli di cucina o di cantina sono qualcosa di così infimo!
Ma la Vergine ha un «debole» per i «piccoli» non può vedere la pena di questa buona gente senza commuoversi. Conosciamo quanto accadde. Ella non disse che questa parola: Non hanno più vino. Quanta discrezione in questa preghiera! Quale fede nell'onnipotenza di Colui che non ha ancora fatto alcun miracolo! Però l’ora non è ancora venuta, Gesù glielo dice, ma c'è nel suo sguardo e sul suo viso la luce che rassicura Maria: suo Figlio non le oppone il rifiuto: fate ciò che Egli vi dirà - essa mormora verso i suoi servitori. Il miracolo è compiuto. L'ora è stata anticipata dalla preghiera di Maria. È stata una scena commovente per le sue sfumature fini e delicate. Crediamo che Gesù abbia voluto insegnare al mondo quanto vale la preghiera di Maria e come Egli gradisce l'amore verso gli umili.

Maria e i «fratelli di Gesù». - Oltre l'episodio delle nozze di Cana che il Vangelo orale primitivo non accenna, in tutta la predicazione d'inizio non si parla della Madonna che a proposito di un oscuro incidente. Abbiamo raccontato questo incidente al suo posto cronologico nella «Vita di Gesù» (72). Ritorniamoci brevemente.
I parenti di Gesù erano stati avvertiti di quel che accadeva intorno a Lui. Era talmente pressato dalla folla che non aveva neppur più il tempo di mangiare. Qualcuno per spirito di carità o con ironia fece sapere alla sua famiglia: che egli era fuori di sé, che si uccideva, vivendo in quel modo, senza prendere un istante di riposo. Il dito dei farisei ci entrava senz'altro nel gioco. I parenti di Gesù s'allarmarono per Lui e stabilirono di venire a prenderlo per riportarlo con la forza a Nazareth. Prendono dunque con sé la Madonna e si mettono in cammino arrivando fino a Lui. Ma la folla è talmente fitta che non possono avvicinarlo e perciò gli fanno dire che gli debbono parlare. Qualcuno allora dice al Maestro: Ecco là tua Madre e i tuoi fratelli che ti cercano. E Gesù risponde semplicemente: Chi sono mia Madre e i miei fratelli? E gettato uno sguardo su coloro che gli stanno intorno, Egli dice: Ecco mia madre e i miei fratelli. Chiunque fa la volontà del Padre mio, costui è mio fratello, mia sorella e mia madre.
Non commenteremo queste magnifiche parole meravigliose per toccare il cuore a tutti coloro che non sono della stirpe né della parentela temporale di Gesù. Quello che ci interessa in questo momento è la ragione della presenza di Maria e la parte che essa ha rappresentato nell'episodio.

Tre cose appaiono evidenti:
1. I «fratelli» di Gesù, cioè i parenti più prossimi conoscevano la grande influenza di Maria su Gesù. La chiamano con sé perché la sola sua presenza dà una forza irresistibile alla commissione che compiono.
2. Maria verso i suoi «nipoti» continua ad osservare il silenzio circa il grande segreto messianico. Gesù solo poteva autorizzarla a romperlo. Per più di trent'anni il segreto era stato conservato. I «fratelli» di Gesù l'avevano visto crescere al villaggio senza avere dubbi sulla sua vera origine e sulla sua identità. Soli Maria e Giuseppe sapevano tutto, ma nulla era trapelato del divino mistero.
3. Maria accetta di unirsi a loro. Qui la storia non ha un seguito immediato. Gesù non corre il minimo rischio di essere portato via dai «suoi» perché ad essi basta di venire a vedere per rinunciare al loro progetto piuttosto ingenuo. Difatti non si sa che essi abbiano fatto un minimo tentativo né la Madonna riferisce la minima parola di quest'occasione.
Tutto è servito solo ad ottenere una sentenza molto bella e commovente da parte di Gesù. Che cosa risulta da tutto questo? quale conclusione ne viene per la Madonna? Ci sembra di non sbagliare pensando che il suo scopo in quest'occasione era di mettere i suoi nipoti in presenza di Gesù, nella certezza che la sola sua presenza avrebbe dato una impressione decisiva. Notiamo che l'episodio accade durante l'intervallo delle due visite di Gesù a Nazareth. La prima volta che Egli vi è venuto non è stato accolto male, nella seconda invece aveva trovato gli spiriti troppo eccitati contro di Lui.
Non sappiamo tutta la causa di tale cambiamento. È probabile che i farisei c'entrassero per qualche cosa. Si può immaginare come Maria, messa al corrente dai proprii nipoti di tutto ciò che si diceva e tramava contro Gesù, seguisse con inquietudine e lacrime i primi segni dell'offensiva contro il suo Dio. Certo dovette sforzarsi di conquistare almeno i propri parenti che non credevano in Lui», ma sempre tenuta al segreto sulla nascita soprannaturale di Gesù, si sarà limitata, con superiore tatto, a fare delle esortazioni.
Li avrà incoraggiati nel tentativo di avvicinarsi a Lui e Lei stessa si sarà offerta per accompagnarli. Cammin facendo, e ormai sottratti all'influenza del proprio ambiente, la Madonna avrà loro parlato in termini tali che gli umili popolani, giunti nel luogo dove Gesù predicava, non avranno più osato manifestare la primitiva intenzione. Si sono accontentati di domandare un'udienza, mettendo innanzi il nome della Madre per ottenerla. Ma Gesù, che vede nel fondo dei cuori, ha senza dubbio giudicato che i loro pensieri non erano abbastanza diritti. Sembra che Egli non abbia gradito la loro preghiera ed essi ricevano una risposta di cui non comprendono l'importanza.
Quando li ritroviamo mescolati alla folla sia a Nazareth nel tempo della seconda visita di Gesù, sia nel momento in cui Gesù si prepara a lasciare la Galilea nel periodo della festa dei Tabernacoli, essi sono ripieni di incredulità. Eppure ne uscirono. A poco poco il prestigio di Maria si è imposto. Il loro messianismo terra terra si è piegato finalmente dinnanzi al messianismo tutto spirituale di Gesù. Si sono convertiti dopo la risurrezione nonostante la smentita che essa dava alle loro inveterate credenze come a quelle degli apostoli.
Gesù non ha cambiato affatto le cose temporali. Ormai si è avverato che il suo regno non è di questo mondo. Non si è vendicato dei suoi nemici. La sua risurrezione è stata una manifestazione fra le più inaspettate, mentre il regno d'Israele non è stato restaurato.
Ma i «fratelli» di Gesù sono stati ugualmente conquistati. Da tutto questo si rivela che la Madre di Dio ha predicato verso di loro la più eccelsa carità, che ha continuamente pregato per la loro salute finché li ha condotti al Salvatore ed è riuscita finalmente vittoriosa in questa lotta prolungata dalla fede contro l'incredulità.
È un fatto di cui conosciamo soltanto le grandi linee. I particolari ci sfuggono in massima parte ma a giudicare dai risultati, siamo invitati a concludere che la Madonna, senza uscire dalla riservatezza imposta a sé e agli apostoli, per quanto riguardava l'infanzia di Gesù per tutta la durata della prima generazione cristiana, aveva saputo con la nobiltà della sua vita, la sua serenità, la sua dolcezza e le sue preghiere agire sui cuori ed esercitare intorno a sé una potente influenza secondo le intenzioni del suo Gesù.
In ogni modo Ella rimaneva ancora e sempre l'Ancella del Signore.

L'umiltà di Maria. - Con la parola ora scritta: «l'Ancella del Signore» noi raggiungiamo alla fine dello studio, il punto di partenza: è difatti a questo titolo di Ancella che ci siamo riferiti costantemente. Ci soffermeremo ora sulla divina carità di Maria verso il suo Figliuolo che era pure il suo Dio. Avviciniamo per l'ultima volta i due titoli: Madre ed Ancella; titoli nei quali è racchiuso quanto si può spiegare dell'amore di Maria per Gesù. Ma come si osa dire: spiegare quando bisognerebbe dire: balbettare? Siamo arrivati al centro.
Tentiamo di entrare nell'intimo del Cuore Sacro, del Cuore immacolato di Maria. Il primo dovere che si impone è di comprendere la logica possente dei sentimenti di Maria; S. Tommaso ha detto bene: Attraverso l'umiltà l'uomo è messo nell'ordine in rapporto a se stesso e in rapporto a Dio. Per questo non esiste amor di Dio né amore in genere senza l'umiltà. L'orgoglio difatti consiste nel ricondurre tutto a sé, nel rimettersi al di sopra di tutti o per lo meno fuori dell'ordine che conviene. L'orgoglio è la base dèll'egoismo e niente si oppone all'amore come la ricerca personale. Il vero amore esige l'oblio di sé. E' quindi legato all'umiltà ed è la prima condizione della carità. Più ci si distacca da se stessi e più si può immergersi in Dio solo.
Meno ci si preoccupa dei proprii interessi, delle proprie inclinazioni, gusti e desideri, più ci si può mettere al servizio di Dio. Il nome di Ancella del Signore implica dunque la più perfetta definizione dell'umiltà, più necessaria condizione. dell'amore divino.
L'aver enunciato questi elementari principi è sufficiente per intuire che l'umiltà sola ci dona il decreto della carità incomparabile della Vergine. Abbiamo constatato il suo amore al silenzio, la ricerca dell'ombra, l'allontanamento da ogni pubblicità, il desiderio di passare inosservata, di perdersi interamente nella scia del Signore. Sembra talvolta al comune Buon senso che tutto ciò non sia esente da qualche esagerazione, che tante precauzioni non fossero necessarie, che non fosse il caso di ricercare l'oscurità con tale costanza e tenacia quando la Vergine poteva con tutta la semplicità coprirsi del suo titolo di Madre, poiché dopo tutto tale titolo era propriamente suo e nessuno poteva contestarglielo.
Ma come si possono proferire i nostri giudizi, le nostre intuizioni alle superiori certezze di Maria? Chi ha ragione? La Vergine o il buon Senso che invochiamo? Porre la questione è già risolverla.
In proposito interroghiamo il Vangelo. Ognuno ricorda la risposta di Gesù a quella donna che gridò dal mezzo della folla: Felice il seno che ti ha portato! Beate le mammelle che hai succhiato! Ecco il linguaggio spontaneo del comune buon senso. L'ingenua esclamazione della donna sconosciuta è completamente conforme all'opinione del volgo. Ma che cosa rispose Gesù? Molto più felici coloro che ascoltano la parola del Signore e la mettono in pratica!
E con le sue parole voleva dire, come nella risposta riportata sopra ai «fratelli»: non sono i legami della carne che importano. Nel regno dello spirito c'è una cosa sola che conta ed è il servizio di Dio. Ascoltare la parola di Dio e metterla in pratica, ecco ciò che solo vale. Sarebbe stato dunque nulla essere la Madre del Cristo se nello stesso tempo non fosse stata l'Ancella del Signore per eccellenza. Il titolo di Madre di Dio dà un solo diritto a Colei che lo porta, quello di sorpassare ogni altra donna nell'amore e nel servizio di Dio. Più essa è Madre e più deve essere Ancella, e che Maria l'abbia compreso lo si rivela da tutta la sua vita.
Tutti i suoi atti ci attestano che il suo titolo di Madre di Dio le è apparso costantemente come un impegno per servire. Maria sorpasserà dunque tutte le creature nell'amore, perché le sorpasserà nell'umiltà. Da ciò il suo silenzio, la sua vita nascosta a tutti gli sguardi, la sua volontà di passare inosservata. Dio solo poteva giudicare se essa portava degnamente la sua dignità di Madre, poiché per portarla degnamente era necessario spogliarsene senza posa. Ma poteva dunque ornarsi di un titolo di cui gli uomini avrebbero visto soltanto la gloria esteriore; ma che bastava considerare un istante solo per sapere fino a qual punto tutte le creature dovessero sentirsene oppresse.
In questa umiltà della Vergine si riuniscono tutte le osservazioni fatte fin qui sulla sapienza, l'eroismo e la divina Carità di Maria.
Essere umile, come lo fu la Madonna, è la sapienza suprema, il perfetto eroismo e l'amore sovrano.

Come Maria parla di sé. - Avremmo torto però se volessimo dare all'umiltà di Maria un aspetto che la facesse uscire dalla verità. Tale umiltà sarebbe falsa. La grandezza dell'umiltà scaturisce appunto dal fatto che essa non è che l'espressione del vero. Noi siamo nulla davanti a Dio. Il niente non conta dinanzi all'infinito. E se noi siamo al di fuori del niente, lo dobbiamo a Dio solo. L'umiltà ha la sua sorgente nel fatto iniziale della creazione. Maria stessa, sebbene fosse tutta pura, sebbene nessun peccato alterasse il suo splendore originale, Maria stessa non era che una creatura. L'umiltà per Lei era il corollario dell'adorazione, il primo atto di ogni religione che consiste nel riconoscere il sovrano dominio di Dio. Perciò non doveva fare alcun sforzo per ricercare l'ombra: non vedendo che Dio solo Ella vi si trovava a tutto suo agio.
Di conseguenza, parlando di sé, il suo linguaggio non si rivestiva di affettazione e non si esprimeva in formule di volontaria abiezione. L'umiltà affettata non è che una caricatura, una forma più raffinata dell'orgoglio. Maria, esempio perfetto di umiltà, non conosceva affettazioni: rimase semplice, giusta, sincera e di una ingenuità meravigliosa.
Se consideriamo l'insieme di quei racconti di S. Luca che abbiamo chiamato «Le sue memorie» notiamo che Ella non cerca di fare del meraviglioso mistero dell'Annunciazione il principio di un'era novella. La venuta dell'Arcangelo a Nazareth è posta dopo l'apparizione a Zaccaria che è presa come punto di partenza della sua cronologia. Difatti essa introduce l'Annunciazione con queste parole: Ora, al sesto mese ... ciò che per Lei significa: al sesto mese, dopo la concezione di Giovanni Battista. Eppure Ella sa bene che il concepimento del figlio di Dio è infinitamente più importante di quello del Precursore. E da esso conveniva far cominciare un'epoca nuova.
Ma la Vergine non si cura di tali minuzie della storia; segue il piano divino, tale come si è svolto senza cercare di mettersi al primo piano. E' da queste finezze che si misura l'abisso di verità in cui si radica l'umiltà del suo cuore senza macchia. Lo stesso avviene quando, si tratta di raccontare la scena dell'adorazione dei Magi. Maria non esita a dettare nei «Ricordi» di Giuseppe: «Ed entrati nella capanna essi videro il Fanciullo con Maria sua Madre». Di Giuseppe non si parla. Evidentemente in questa frase in cui Ella si mette in scena - se si omette la nostra ipotesi sulla trasmissione di questi «ricordi» - Maria obbedisce semplicemente al rispetto della verità. Dappertutto e sempre, in lei come in tutti i santi della storia, umiltà e verità si confondono.

L'amore divino in Maria. - Eccoci quindi al centro. Tutti i veli sono stati scostati e ci appare il Cuore Immacolato di Maria. La sua umiltà ci conduce direttamente alla sua potenza d'amore. Più Ella dimentica se stessa, più è capace di donarsi; l'amore non è altro che il dono di sé. Maria ha vissuto completamente per una missione divina. Quando si pensa alla sublimità di questo compito, non si spera più di poter abbracciare l'immensità del suo amore. Siamo costretti a prendere appoggio in constatazioni più accessibili a noi. Succede delle nostre deduzioni relative alla carità soprannaturale di Maria come dei calcoli usati dai geometri per misurare, con sommità intermedie, l'altezza d'una cima gigante. Anche noi vediamo una cosa lontana e ci serviamo di strumenti appropriati alla nostra debolezza. Cercheremo di eseguire quello che i tecnici chiamano una triangolazione, per mezzo cioè di visioni successive.
Per valutare sia pure approssimativamente l'altezza dell'amore divino in Maria noi abbiamo un primo metodo, usato da Bossuet e preso in prestito da un autore più antico. Amedeo di Losanna, vescovo del XII secolo, aveva scritto: «Per formare l'amore di Maria, due amori si sono riuniti in uno solo, poiché la Vergine Santa rendeva a suo Figlio l'amore che essa doveva a un Dio e rendeva al suo Dio l'amore dovuto ad un Figlio».
Tale veduta, veramente penetrante e superiore, è tutta giusta. Lasciamo a Bossuet la parola di commento: «Se voi intendete bene queste parole, vedrete che non si può pensare nulla di più grande, di più forte, né di più sublime per esprimere l'amore della Vergine Santa. Poiché il santo Vescovo vuol dire che la natura e la grazia concorrono insieme per scavare, nel cuore di Maria, le impressioni più profonde. Nulla più forte, né preme di più dell'amore che la natura sente per un figlio, né di quello che la grazia dà per Iddio.
Questi due amori sono due abissi, di cui non si può penetrare il fondo, né comprendere l'immensità. Possiamo dire col Salmista: «Abyssus abyssum invocat». Un abisso chiama un altro abisso; poiché per formare l'amore della Vergine è stato necessario fondere insieme ciò che la natura ha di più tenero e la grazia di più efficace. La natura c'era perché l'amore abbracciava un figlio: la grazia agiva perché l'amore riguardava un Dio».
Eppure Bossuet stesso trova insufficiente questa prima considerazione. L'amore materno è un abisso insondabile presso le nature migliori. L'amore dei Santi per il loro Dio è un altro abisso, per usare l'immagine del grande oratore, oppure ritornando alla nostra, questi due amori sono sommità che si perdono nelle nubi e che la purezza delle nevi eterne ricopre. Ma quando si tratta di Maria - poiché essa è la Madre, poiché a Lei sola il Cielo ha mormorato parole che la terra non ha mai sentito, poiché si può dire di Lei: «ciò che non è stato detto mai di alcun'altra», né si può sperare di sentire più la ricchezza di quel saluto dell'Angelo: «Salve, piena di grazia, il Signore è con te», allora si sente che è necessario elevarsi da un lato al di sopra della natura e dall'altro, dalla grazia comune. La nostra prima mira è dunque troppo corta. Bisogna salire ancora: Come faremo?

L'analogia della vita di Gesù. - Cercheremo un'analogia nell'insieme della vita di Gesù. Da un po' di tempo i contemplativi ed i teologi hanno fatto un'osservazione che acquista la forza di una legge: nella storia di Cristo ad ogni passo si ritrova la doppia natura che Egli possedeva nell'unica persona del Verbo. Vi è un costante parallelismo nei fatti della sua esistenza terrena. Si vede dappertutto simultaneamente e come una simmetria voluta e provvidenziale: Dio e l'Uomo.
Ad es. nasce in una povera stalla ma gli angeli annunziano la sua nascita ai pastori ed una stella guida i Magi. Fugge in Egitto, ma si sottrae per un miracolo all'odio di Erode. Riceve il battesimo come uomo e i cieli si aprono sul suo capo mentre una voce celeste pronuncia le parole: «Ecco il mio Figlio prediletto». Egli predica, sopporta la fatica, la fame, la persecuzione; ma semina i miracoli, apre davanti agli uomini gli orizzonti dell'eternità, diffonde una dottrina in cui risplende la sapienza di un Dio. Muore sulla croce ma risuscita il terzo giorno. E sarebbe facile seguire questo dualismo di aspetti fino ai minimi particolari.
Dallo studio dei racconti dell'infanzia noi abbiamo creduto di poter trarre la seguente regola: «tutte le condizioni spirituali intorno a Gesù sono superiormente perfette; tutte le condizioni spirituali e terrene sono state volontariamente disdegnate» (73). Si dirà che nell'enorme lotta fra la carne e lo spirito, lotta che domina tutti i secoli e spiega tutta la storia degli uomini, Gesù ha voluto che la sua propria vita offrisse, a chiunque vuol riflettere, la chiave di tutti gli enigmi. La nostra epoca ha scelto la carne. Gesù aveva optato per lo spirito. Nessuna epoca è stata più anticristiana della nostra. Essa prometteva agli uomini, una felicità ben diversa da quella di cui parla il Vangelo. E se essa fosse riuscita a darcela avremo mo avuto nella storia umana lo scandalo degli scandali. Ma ora è chiaro che essa ha fallito e nel modo più miserabile. L'era del progresso minaccia di sommergersi nell'ignominia. Una volta di più si dimostra la verità del Vangelo.
Applichiamo la regola accennata sopra al caso unico di cui cerchiamo l'intelligenza. Gesù è nato da una donna. Ecco il lato umano. Dove troveremo il lato divino dato che la legge del parallelismo ci comanda di cercarlo? Lo troveremo anzitutto nel fatto che è nato da una concezione soprannaturale. È nato da una vergine ed è stato concepito dallo Spirito Santo. La sua nascita è stata un «ricominciare», come già quella di Adamo era stata un «inizio».
Ma proseguiamo il nostro studio. La Vergine Maria è stata spogliata di tutto. La sua dimora era una grotta più che un palazzo. Aveva per sposo un umile carpentiere. Ha vissuto fra i più modesti lavori d'una abitazione giudaica. Ecco il lato umano, le condizioni terrene.
Ed ecco ora le condizioni spirituali: Maria aveva la Sapienza, l'Eroismo, l'Amore. E possedeva queste qualità al punto di essere degna di un Dio.
Degna d'un Dio, ecco la nostra seconda «mira». Questa volta non possiamo andare più alto né più lontano. Vediamo dinanzi a noi la cima contemplata ad una altezza quasi incalcolabile. Degna di un Dio... Come intenderemo queste parole? Gabriele aveva detto: Piena di grazia e noi intenderemo la prima espressione «degna d'un Dio» nel senso d'una pienezza di grazie, sorpassante ogni altra grazia creata. Impiegandosi a fondo in questa via così sicura e logica la tradizione cristiana ha intuito la incompatibilità di qualunque macchia col titolo di Madre di Dio che la Chiesa ha tradotto molto giustamente nel dogma dell'Immacolata Concezione.
Ma non servirebbe a nulla capire il significato della dignità mariana con l'esenzione da tutti i peccati e dallo stesso peccato originale, se non si vedesse subito l'applicazione positiva del medesimo principio: non solo Maria ha avuto un privilegio unico nella esenzione da ogni macchia, ma l'ha avuto anche nelle ascensioni della sua anima nell'amore divino. Se pensando alla discendenza degli uomini in Adamo, noi dobbiamo dire di Lei: questa legge era fatta per tutti, ma non per la Madre di Dio, la stessa cosa e, se possibile, con più forte ragione, dobbiamo ripetere pensando alla grazia. Le leggi poste da Dio per la distribuzione delle grazie più sublimi, la scala delle grandezze della santità, la possibilità aperta nel possesso della grazia e della visione beatifica, tutto ciò serve per il resto delle creature, ma non per Maria.

Piena di grazia. - Quando parliamo della pienezza di grazia in Maria o, in altre parole, della pienezza d'amor divino che fu insieme il principio e il frutto di tale grazia (74), noi dobbiamo pensare a qualche cosa di unico nell'insieme della creazione. E c'è difatti nel linguaggio dell'Arcangelo Gabriele, il rispetto d'un suddito per una regina.
Possiamo intanto ritornare a Bossuet. Dopo aver ricordato e spiegato la parola di Amedeo di Losanna sul doppio amore che nel cuore di Maria produce una fiamma immortale, egli aggiunge: «E' necessario salire più in alto. Permettetemi, o cristiani, di portare oggi i miei pensieri al disopra della natura e della grazia e di cercare la sorgente di questo amore nel seno stesso dell'Eterno Padre. Mi sento obbligato per il motivo che il Divin figlio di cui Maria è Madre è in comune con Dio ». Colui che nascerà da te - Le disse l'Angelo - sarà chiamato Figlio di Dio. «Così Ella è unita con Dio Padre diventando la Madre del Suo unico figlio ». «Ch'Ella possiede in comune soltanto col Divin Padre per il modo con cui l'ha generato».
Ma saliamo ancora: vediamo donde Le viene questo onore e come Ella ha generato il figlio di Dio. Si capisce a prima vista che non fu per la sua fecondità naturale, con questa avrebbe potuto generare un uomo; per renderla atta a generare un Dio fu necessario, dice l'Evangelista, che l'Altissimo la coprisse con la sua virtù, che cioè Le comunicasse la sua fecondità. Lo Spirito Santo scenderà sopra di te e la virtù dell'Altissimo ti adombrerà (Lc 1, 35). Ed è così che la Vergine fu associata alla generazione eterna. Ma questo Dio che Le volle donare il suo figlio, comunicarle la sua virtù, dotarla della sua fecondità, dovette anche far discendere in quel casto petto un raggio o qualche scintilla dell'Amore che Egli porta al suo figlio unico che è lo splendore della sua gloria e la viva immagine della sua sostanza (75).
«Di là è scaturito l'amore di Maria; esso s'è effuso dal cuore di Dio nel cuor della Vergine; e l'amore che ella ha per il suo figliuolo viene dalla stessa sorgente da cui le venne il figliuolo stesso» .
Vedere in questa pagina soltanto un'amplificazione, vorrebbe dire conoscere male Bossuet e il soggetto che egli tratta. Cresciuto alla scuola dei Padri antichi, Bossuet sapeva che la verità si serve con l'esattezza e la causa di Gesù Cristo con la probità scientifica. Ma la ragione ch'egli pone qui è di una forza irresistibile. O bisogna rinunciare a capire anche solo elementarmente i disegni di Dio, o bisogna riconoscere una sapienza superiore in tutto ciò che Egli fa. Non sappiamo supporre neppure un istante che Iddio abbia deciso di dare una Madre al suo Figliolo senza che tale Madre ricevesse tutti i doni che caratterizzano le madri: una potenza di generosità e di devozione e una capacità d'amore superiore a tutto quanto la terra conosce. E Iddio ponendo questa meraviglia dell'amore materno alla culla del Verbo incarnato, non poteva metterglielo che in uno stato di perfezione superiore a quanto lo spirito creato può concepire.
In una parola la Vergine senza amore non sarebbe stata madre e non avrebbe potuto essere madre di un Dio senza un amore dato al Dio fatto uomo. Questa considerazione ci trasporta al di sopra di tutte le altezze. Una madre come Maria non poteva essere che una santa senza alcun confronto con le altre santità, e poiché la santità si misura dal grado d'amore, ripensiamo ad un amore che sorpassa ogni altro. Dal cuore di Dio stesso sono scese nel cuore immacolato di Maria delle fiamme che la rendono degna del cuore di Gesù e la uniscono eternamente a Lui.

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