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San Pietro ha soggiornato a Roma?

Ultimo Aggiornamento: 04/09/2009 10:47
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02/09/2009 07:43

San Pietro ha soggiornato a roma?

tratto dalla Rubrica "Un sacerdote risponde" di Totus Tuus


Fino al 1400 nessuno aveva messo in dubbio la presenza di San Pietro a Roma, e la cosa è talmente certa che anche protestanti e ortodossi oggi la ammettono. Lascio la risposta a un magistrale scritto di Mons. Arialdo Beni, premettendovi solo alcune brevi considerazioni.
Innanzi tutto dobbiamo considerare che alcune difficoltà circa la presenza a Roma di San Pietro depongono a favore di questa. Siamo certi che la Chiesa primitiva non vuole "montare" qualcosa di falso; una certa differenziazione delle testimonianze - una volta assodato la storicità di un certo fatto -, depone a favore della sua veridicità: un giudice guarda sempre con sospetto le testimonianze perfettamente convergenti.
Detto questo, entriamo in media res:

I. Il nuovo Testamento senza dubbio proclama il primato di Pietro: Gesù conferisce il primato a Pietro personalmente; Gesù non parla ancora di primato della Chiesa di Roma: soltanto Luca, alla lista di 12 popoli presenti a Gerusalemme il giorno di pentecoste (elenco classico) aggiunge, quale tredicesimo, Roma.
Testimoni antichissimi attestano il primato della Chiesa Romana, compresi Sant'Ireneo e CostituzioneApostolica.
Qual è il termine medio del passaggio del primato alla Chiesa di Roma se non la presenza di chi il Primato l'aveva ricevuto personalmente?

II. Tra i reperti archeologici Romani, il maggior numero di dipinti raffigura Gesù Buon Pastore; ma subito dopo abbiamo l'immagine di Pietro, indipendentemente da San Paolo e da altri santi. E spesso San Pietro è raffigurato sotto a Mosè, come nuovo Mosè: Pietro, vicario di Cristo, è il nuovo legislatore.

III. E' difficile mettere in dubbio le testimonianze circa il martirio di San Pietro a Roma. Anche qui la presenza di tradizioni diverse e di particolari che alcuni definiscono leggendari è un elemento a favore: Di solito una leggenda si forma sempre attorno a una verità storica ammessa e conosciuta da tutti.

IV. La tomba di San Pietro è a Roma, in Vaticano.

V. S.Ireneo scrive: "avendo fondato e costruito la Chiesa (a Roma), i beati apostoli affidarono la funzione dell'episcopato a Lino, ecc...." Adv. Haer: 3, 3, 2.: quindi San Pietro a Roma non è omesso da Sant'Ireneo, come Lei afferma erroneamente.

VI elemento La "costituzione apostolica" è su tanti punti inattendibile.

Ma ora passo la parola a Mons. Arialdo Beni, che magistralmente espone tutta la questione.

IL SOGGIORNO DI SAN PIETRO A ROMA
(Testo tratto da: Arialdo Beni, La nostra Chiesa Firenze: LEF, 1976, pp. 477-491)

La venuta di S. Pietro a Roma non fu mai contestata sistematicamente fino al secolo scorso.
Secondo il grande inquisitore Pietro Moneta [1] i Valdesi e, nel secolo XIV, Marsilio da Padova, negavano che tale venuta potesse esser dimostrata dalla Bibbia. Anche al tempo della Riforma soltanto voci isolate, fra le quali ricordiamo particolarmente Ulrico Veleno [2] e Federico Spanheim [3], osarono attaccare la tradizione, contro la quale, nell'epoca quasi-moderna, troviamo schierata l'intera Scuola di Tubinga (Baur, Schwegler, Zeller, Straub, Lipsius, ecc...).
Oggi soltanto qualche scrittore inacidito e spaesato si ostina a negare un fatto che ha ormai la saldezza del granito [4]. La maggior parte degli stessi acattolici sono ritornati all'antica tradizione [5].
Anche i Protestanti tedeschi, che pur avevano un tempo contestato accanitamente la venuta di Pietro a Roma, hanno finito per far macchina indietro. Così per esempio, Harnack [6], Lietzmann [7], Caspar [8], M. Dibelius [9], H. von Campenhausen [10], ecc.
Harnack scrive testualmente: "Il martirio di S. Pietro a Roma è stato negato dai tendenziosi pregiudizi protestanti ed in seguito dai preconcetti dei critici partigiani... Non vi è studioso che attualmente esiti a riconoscere che questo fu un errore " [11].
Il russo Basilio Bolotov dichiara che negare la venuta di Pietro a Roma equivale a rigettare ogni verità storica [12].
Cullmann, riassumendo la sua indagine sulla vita e l'attività dell'apostolo Pietro, cosi si esprime: "Se vogliamo riassumere, diremo che, durante la vita di Gesù, Pietro ha occupato tra i discepoli una posizione di preminenza; che dopo la morte di Cristo, egli ha per alcuni anni governato la Chiesa di Gerusalemme, poi è diventato capo della missione giudeo-cristiana; che in questa qualità... egli è venuto a Roma ad una data che non si può determinare, ma che non ha dovuto precedere di molto la sua fine: che egli è morto martire in questa città sotto il regno di Nerone, dopo avervi esercitato la sua attività durante un tempo assai breve " [13].

1. Le testimonianze
1. La prima allusione abbastanza chiara al soggiorno romano di Pietro si ha nella Scrittura. Lo stesso S. Pietro, scrivendo ai cristiani dell'Asia Minore, t&rmina la sua lettera con queste parole: "Vi saluta [la Chiesa] che è coadunata in Babilonia, e Marco il mio figliuolo " [14].
Ma che cos'è questa "Babilonia? " La parola, di per sè, potrebbe essere presa in senso letterale, come anche in senso metaforico. Praticamente, non possiamo prenderla che in quest'ultimo senso. Di città che portassero infatti quel nome, allora, non ce n'erano che due: Babilonia di Mesopotamia e Babilonia d'Egitto.
Se non che, la prima, un tempo celeberrima, era stata, allora, abbandonata dai Giudei e, secondo la descrizione di Plinio e di Strabone, non era più che un " grande deserto ". Comunque, non vi si trovavano ancora i cristiani. Costoro, al dire del Talmud, vi faranno la loro comparsa solo al III sec. Nel saluto della I Petri non si può dunque, trattare di questa Babilonia di Mesopotamia.
La seconda città di tal nome, l'attuale Cairo, era, in quell'epoca, un piccolo forte militare, quasi sconosciuto. A parte che da un "castrum " militare non si usa datare le lettere, è sommamente improbabile che il Principe degli Apostoli si trovasse a dirigere una minuscola comunità cristiana, quale poteva esser quella di una località cosi ristretta.
Del resto, siccome la Chiesa siriaca formerà quasi una cosa sola con la Chiesa mesopotamica; siccome, poi, anche l'Egitto ha avuto più di un santo Padre che ha scritto di Pietro, perché, nelle rispettive tradizioni di queste chiese, non fare mai neanche un accenno al " salutat vos " dell'Apostolo, al suo soggiorno babilonese, se ciò le avesse riguardate?
"Babilonia ", dunque, non può avere che un senso metaforico.
Come già nell'Apocalisse di S. Giovanni (c. 17-18) e nei Libri Sibillini, il nome di "Babilonia " designa la Roma pagana. Così l'interpretarono, oltretutto, gli scrittori antichi, quali Papia, Clemente Alessandrino, Eusebio di Cesarea, S. Girolamo; in tal senso lo prendono tutti gli esegeti cattolici moderni insieme anche a molti protestanti. Lo stesso Renan asserisce: "In questo passo Babilonia designa evidentemente Roma; è in tal modo che si chiama, nelle comunità primitive, la capitale dell'impero " [15].
Se nella Scrittura "Babilonia " è il tipo della città depravata. effettivamente Pietro - che era tanto amante, d'altronde, del linguaggio metaforico (cfr. 2, 2; 2, 4 sgg.; 3, 18 sgg.; 5, 8 sgg.) - non poteva scegliere nome più adatto per indicare quella capitale, nella quale - al dire di Tacito - "confluiva da ogni parte e veniva celebrato tutto ciò che sa d'atroce e di vergognoso " [16].
Non va dimenticato, infine, che l'Apostolo proprio in quel tempo era probabilmente braccato dalla polizia imperiale di Nerone. Per cui, onde evitare il pericolo di essere scoperto, nulla di strano che sia ricorso all'uso di un nome simbolico. "Babilonia " è, dunque, sinonimo di Roma. Pietro ha scritto da Roma: Pietro è stato a Roma.
Un'altra chiara allusione al soggiorno romano di Pietro si trova nella celebre Lettera ai Corinti di Clemente. Dopo aver parlato (c. 5) delle sofferenze e del martirio delle "più grandi e giuste colonne ", "i buoni apostoli " Pietro e Paolo, soggiunge: "A questi uomini che vissero santamente si unì una grande moltitudine di oltraggi e tormenti, divennero esempio bellissimo in mezzo a noi, (gr. en &m&n) " [17]. La "grande moltitudine " del testo è sicuramente quella stessa di cui parla Tacito, Ann. 15, 44, multitudo ingens, e cioè la moltitudine delle vittime sacrificate a Roma durante la persecuzione neroniana. Ora proprio a questa moltitudine, che è stata "di bellissimo esempio fra noi ", e cioè a Roma [18], vengon, da Clemente, associate anche le due colonne Pietro e Paolo.
Dunque - qualora non si voglia arbitrariamente supporre una associazione insensata di fatti senza nesso fra di loro - anche i due apostoli apparterranno allo stesso martirologio romano. Pietro e Paolo - questa la testimonianza di Clemente - hanno subito il martirio a Roma, sotto Nerone.
Verso il 107 Ignazio d'Antiochia, scrivendo ai cristiani di Roma, dopo averli scongiurati a non voler impedire che sia "macinato dai denti delle belve ", menziona espressamente Pietro e Paolo: "Io non vi comando come Pietro e Paolo. Essi erano Apostoli, io sono un condannato; essi erano liberi, io, finora, sono uno schiavo " [19]. Parole, queste, che non avrebbero un fondamento, n& un significato, se non supponessero un governo di Pietro nell'Urbe.
Nessuna tradizione, d'altronde, ci parla di un comando esercitato per lettera. Se Pietro e Paolo hanno comandato ai Romani, devono averlo fatto di persona: Pietro e Paolo sono stati a Roma.
Dionigi, Vescovo di Corinto, in una lettera al Papa Sotère, del 166-170 circa, attesta esplicitamente:
"Tutt'e due (Pietro e Paolo), venendo nella nostra città di Corinto, ci ammaestrarono nella dottrina evangelica; indi se ne andarono in Italia ed, avendo istruiti allo stesso modo voi (Romani), contemporaneamente subirono il martirio " [20].
Secondo Eusebio di Cesarea, tanto Clemente Alessandrino come Papia (+ 150), vescovo di Gerapoli, testimoniano espressamente che Pietro predicò a Roma la catechesi apostolica che poi fu messa per iscritto da S. Marco "suo interprete " dietro preghiera dei cristiani stessi di quella comunità (Stor. Eccles. 3, 39, 15; 6, 14, 7. MG. 20, 299; 551).
Ireneo di Lione (+ 202) parla, a più riprese di Pietro e del suo apostolato nell'Urbe. "Matteo - attesta nell'Adversus Haereses - ha scritto per gli Ebrei e nella loro lingua, al tempo in cui Pietro e Paolo evangelizzavano Roma e vi fondavano la Chiesa ".
E un po' più avanti, dopo aver affermato che "...la massima ed antichissima Chiesa, da tutti conosciuta, [è stata] fondata a Roma dai due gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo " [21], riporta un catalogo dei Papi, che scende fino ad Eleuterio, con queste precise parole: "avendo fondato e costruito la Chiesa (a Roma), i beati apostoli affidarono la funzione dell'episcopato a Lino, ecc.... " [22].
Secondo Tertulliano, Pietro venne a Roma fatto simile al Signore nel martirio " (De Praescriptione haeret. 36. ML. 2, c. 9) e battezzò nel Tevere (De Baptism. 4. ML. 1, 1203).
Da Eusebio ci vien tramandato anche un frammento di un opuscolo composto dal presbitero Gaio contro il montanista Proclo sotto Papa Zeffirino (200-217), in cui si accenna ai "sepolcri " gloriosi di Pietro e di Paolo in questi termini: " Io posso mostrarti i trofei ( = sepolcri) degli Apostoli. Se vorrai recarti nel Vaticano o sulla via Ostiense, troverai i trofei di questi due, che fondarono questa Chiesa " [23].
Origene (+ 250), nel suo Commentario alla Genesi, scrive: "Pietro sembra aver predicato nel Ponto, nella Galazia, nella Bitinia, nella Cappadocia, nell'Asia, ai Giudei della Dispersione. Finalmente, venuto a Roma, vi fu crocifisso con la testa all'ingiù " [24].
Nel secolo IV la convinzione che S. Pietro fosse il fondatore della Chiesa di Roma era universale e ormai la documentazione è ricchissima.

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