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"A TE, Seminarista" parole al cuore del cardinale Giuseppe Siri

Ultimo Aggiornamento: 08/09/2009 09:09
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03/09/2009 15:29

Naturalmente occorrono tutte le virtù che sono richieste dalla legge del Signore e dalla dignità soprannaturale conferita ai suoi sacerdoti. Ma tra tutte le virtù occorre sottolinearne alcune. Questo non significa che tutte le altre possano essere disattese, significa solo che talune debbono essere tratte dalla zona d'ombra, nella quali sono relegate. Se ne parla qualche volta, ma più per fare della retorica, che per ottenere impegni seri. Sono le così dette «virtù di relazione». Il nome è dovuto al fatto che innervano e sostengono i rapporti con gli altri.

Qualche volta si chiamano virtù umane, il che è erroneo, perché qualunque virtù esercitata in un battezzato è sempre attratta nell'ordine soprannaturale. Questo è certo: che la media degli uomini le stima più di altre virtù obiettivamente più importanti.

Resta in ogni caso che sono importanti e dirimenti di situazioni. Eccole: la sincerità, la lealtà, la costanza, la fedeltà, la coerenza, il coraggio, la generosità sono le virtù di relazione.

Costa l'acquisirle, ma la remunerazione che danno nel sacro ministero è talmente grande da essere difficilmente valutabili. Esse non fanno da sole un uomo, ma davanti a tutti dimostrano ad evidenza che è uno veramente «uomo» nel senso morale.

Le porte si aprono, i pregiudizi cadono, la solidarietà si stabilizza, il giusto prestigio si concreta, la faccia è presentabile a chiunque quando ci sono le virtù di relazione. La fiducia diventa facile nei fedeli, la confidenza è spontanea nei penitenti, la correttezza è legge anche tra persone di diverso sentire, quando ci sono le virtù di relazione.

Non averle, o averle deboli o scolorite, porta il giudizio delle parti avverse a qualificarci: baciapile, tartufi, imbroglioni, etc. La vita di seminario. che vi mette gomito a gomito tra condiscepoli per tutto il giorno e vi obbliga pertanto ad una vita di relazione continua, è la incomparabile arena nella quale si fanno gli esercizi giornalieri, senza posa, per anni ed anni, allo scopo di esser «uomini prima di essere preti».

L'argomento convincente lo avete in voi stessi: quale è la stima per quelli che trovate insinceri, quelli che hanno più facce, quelli che non sanno assumersi chiaramente le proprie responsabilità, quegli amici che vi abbandonano al primo vostro insuccesso, che cambiano parere e compagnie ogni momento, che sono tirchi nelle faccende materiali ed in quelle spirituali, che trapelano una viltà? Non vi dico affatto di giudicarli e di disprezzarli, se siete cristiani, ma rilevate che voi dovete essere tutto quello che vi aspettate sempre dagli altri.

Tutte queste cose non vi saranno elargite gratuitamente il giorno della vostra ordinazione, salvo intervento speciale di Dio; dovrete acquistarvele pazientemente attraverso anni di disciplina, di accettazione, di obbedienza, di fatica. Il prezzo certo è alto, la resa altissima.

Capite allora, perché il seminario non è una pensione, capite perché dovete accettare con gratitudine le riprensioni e quelle pacate messe a punto che si fanno da parte di qualunque superiore di seminario. Capite perché dovete permettere , senza resistenza, che altri vi coltivi. Siete fiori destinati all'Altare di Dio: fiori che, per essere presentati tali e degni, debbono accettare la coltivazione en­tro la serra. Se odierete la serra, non avrete capito niente. Se la sopporterete soltanto, esaminatevi bene: il vostro prezzo davanti al futuro che vi attende resterebbe molto basso.



La polivalenza del ministero
I ministeri proprio del sacerdote sono molti. Non basta: i molti identici ministeri debbono esercitarsi in ambienti, condizioni, stati d'animo diversi. Questa è la polivalenza. Voi seminaristi dovete allenarvi a questa polivalenza.

In genere è difficile pensare nei seminari ad una preparazione verso questo o quel ministero, questo o quell'ambiente. Ciò per una ragione molto semplice: il seminario non può sapere che cosa toccherà a questo o a quello tra i sacerdoti novelli, salvo qualche eccezione per settori ristrettissimi di studio. Se il seminario non può, è inutile addurre ragioni in contrario. Creare specializzazioni di un indirizzo nuocerebbe gravemente al clima di un'unità amica, di fraterna comprensione che debbono mantenere invece caldo e favorevole l'ambiente del seminario stesso. Infatti alcuni tentativi in questo sensó,fatti circa trent'anni innanzi, hanno fallito.

Non rimane in via di fatto che una soluzione: coltivare la polivalenza che, mantenendo viva una comprensione multipla, pos­sa avere innestata al tempo giusto la indicazione, l'allenamento necessario, il proficuo noviziato.

È necessario io spieghi bene questo discorso.

La polivalenza la si attua creando una conoscenza verso i diversi settori della pastorale e una simpatia per le diverse esperienze apostoliche, acquistando in tal modo una multipla disponibilità nelle mani del superiore secondo le esigenze della Chiesa.

Anzitutto bisogna trasportare il discorso dal generico e dal teorico allo specifico e al pratico. Se si ipotizzano davanti solo delle «anime» alle quali dare la propria opera faticosa, si centrano solo dei fantasmi aerei. E la cosa finisce così, quando si arriva davanti ad un ministero specifico di ambiente si resta perplessi, si geme, si chiedono consigli a quelli che sanno meno e non mettono pertanto in vergogna, ci si dibatte e si debbono attendere mesi e anni, per ritrovare la quiete del proprio lavoro. Conoscenza adunque dei vari tipi di ambiente e di ministero. Voglio spiegarmi meglio venendo subito a presentare diversi campioni.

Ci sono ambienti operai. I lavoratori, tutto il mondo del lavoro ha caratteristiche sue ed esige diete spirituali non meno specifiche. Si apre per la Chiesa la necessità di pensare al mondo del lavoro in modo specifico. Il mondo specifico lo si troverà solo dopo aver acquisito personalmente una esperienza concreta di quell'ambiente. Ecco l'imperativo di conoscerlo. È ora, dopo aver opportunamente elaborato dottrine sociali per novant'anni, rendersi conto che la elaborazione meravigliosa non è ancora interamente giunta al mondo del lavoro. Di questo mondo è viva la preoccupazione e soprattutto la paura. Memorie sbiadite ormai, ma tuttavia vive e oralmente trasmesse, circa l'anticlericalismo che ha afflitto la fine del secolo precedente e l'inizio del nostro secolo ispirano un movimento di fuga e di quasi terrore. E invece si tratta della parte maggiore dei nostri fedeli. Mondo del lavoro sono tutte le persone, aziende, istituzioni, associazioni che ruotano in esso. È chiaro che fuori ne restano pochi, anche se i lavoratori etichettati tali sono, nel nostro Paese, solamente diciotto milioni.

Non mi sono affatto meravigliato che pochi tra voi abbiano risposto al mio invito di partecipare ad attività dell'ONARMO, perché il modo col quale avrete sentito parlare da molti del «mondo del lavorò» penso che non vi abbia affatto incoraggiati. Nulla quindi di negativo. Ma è assolutamente necessario per la vostra preparazio­ne all'intero ministero che voi prendiate conoscenza del mondo del lavoro. Vi posso garantire, per la mia lunga e personale.esperienza, che, quando quel mondo l'avrete conosciuto, cambierete parere ed avrete trovato l'ambiente dove alligna la onestà, la fedeltà e genero­sità, più che in altri ambienti.

Ci sono degli ambienti di Azione Cattolica. Questa è garantita dal fatto del suo collegamento diretto e collaborativo con la sacra Gerarchia. Là si forgiano veramente gli uomini che oggi e domani aiuteranno e completeranno l'opera del sacerdote, senza dei quali il pastore d'anime può essere destinato ad un penoso e sterile isolamento. L'Azione Cattolica ha dovuto passare negli ultimi lustri una dolorosa crisi, può essere che gli echi di questa vi abbiano raggiunto e vi abbiano messo in uno stato di neutralità prudente. La crisi c'è stata, ma oggi si sta pienamente, anche se gradualmente, risolvendo e voi dovrete, per obbedienza alla Chiesa, lavorare molto in essa. Essa forgia i collaboratori e voi di collaboratori avrete estremo bisogno. E necessario pertanto che fin da ora vi volgiate verso di essa ed evitiate di arrivare alla Ordinazione, ossia al dovere di occuparvene, con l'animo paralizzato da riserve ed antipatie infondate.

Può essere incontriate, Dio non voglia, chi vi consigli di entrare in ghetti personali. State attenti. Agite sempre in campo aperto, sapendo che chiese e chiesette servono solo a Dio, non a scopi personali.

Ci sono gli ambienti di carità e di assistenza. Per essi saranno più facili e conoscenza e accostamento e iniziali esperimenti. Infatti tutto il mondo di oggi, anche se in parte notevole fa i propri comodi, esalta la solidarietà (così dicono, per paura di impegolarsi con la «carità» evangelica), ed i suoi veri o presunti eroi. Non si accorge affatto di qualche nuova santa Teresina, nascosta tra l'erba dei conventi (ce ne sono), ma fa correre tre o quattro nomi che sembrano soli passeggiare per le vie della dedizione ai propri simili. Ciò porta, per lo meno, che vi sarà facile, più facile, dichiararvi maggiormente disponibili ai servizi ed opere di carità. Ma vi debbo mettere sulla chiara avvertenza che in più d'un caso tale foga è semplicemente sostitutiva di altri doveri, è evasiva da una disciplina ecclesiastica, è giustificata per rivolte o prese di posizioni o giudizi contro la legittima Autorità eccelsiastica, è subdola ricerca di pubblicazioni e di rinomanza. Di quanti peccati è colpevole la voglia di essere citato!

Voi dovete amare l'ambiente dei poveri perché Cristo lo ha amato e perché - escluso la pubblicità, che vi consiglio di fuggire nella maggior parte dei casi - non vi darà soddisfazioni d'orgoglio e piaceri evasivi, ma la reale possibilità di agire solo e completamente per amore di Dio. Quando le mode solidarizzanti saranno passate, come passano tutte le mode, è necessario che voi continuiate ad amare i poveri. Perché li ama il Signore! Questo è l'argomento che vale e vi sostiene.

E se non ho da spendere molte parole per rivolgere la attenzione verso il mondo sofferente, dato che il vento spira per ora da quella parte, ritengo di dovervi raccomandare lo spirito e il motivo al tutto soprannaturali, dai quali dovrete essere mossi in soccorso dei fratelli. Dato che le mode non insegnano questo. Come sempre!

Ci sono le tante forme con le quali gli uomini si mettono insieme (pare proprio abbiano paura di essere soli e sentire dentro il perenne richiamo di Dio!): iniziative, fondazioni, clubs, ritrovi, indefinite complicazioni burocratiche nella pubblica amministrazione... È una colluvie a non finire, che ha precise sorgenti (da non trattarsi qui), ma che per noi, ministri del Signore, ha un aspetto solo: dobbiamo salvare anche quelli! Non posso esattamente specificare, ma si tratta di una ebollizione che assilla il nostro tempo di evoluzione, quartieri, consultori, comitati scolastici, etc... Che fare? Si deve avere la faccia pulita da qualunque imputazione per poter, senza esitare, guardare tutti negli occhi. Questo apre delle porte. Abituatevici, come se chiunque incontriate sia in grado di leggervi nell'anima pensieri e intenzioni.

Assolvere ogni dovere, per poter tappare la bocca a chiunque. È un argomento che anche gli avversari capiscono. Essere così umili da esporvi anche a rischi calcolati, a doveri dall'esito incerto, pronti al sacrificio, anche se nessuno sul momento lo scopre.

Perdonare sempre, perché sul perdono cammina la grazia di Dio. Ricordo sempre quanto, molti anni innanzi, mi fu raccontato da un buon sacerdote. Era stato perseguitato per anni da un maggiorente della sua parrocchia, lui aveva sempre perdonato e taciuto. Quando il tristo personaggio arrivò vicino alla morte, chiamò quel prete per ricevere i Sacramenti, dai quali prima era ben lontano. Il prete accorse e, tutto concluso, disse al moribondo ancora in sensi: « come mai avete chiamato me?». Risposta: «perché, avendone tutti i motivi per farlo, non avete mai detto una sola parola contro di me».

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