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Lettere sulla Fede e la sua integrità di un sacerdote ad una Mamma

Ultimo Aggiornamento: 03/09/2009 20:28
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03/09/2009 20:22

LETTERE A UNA MADRE SULLA FEDE [SM=g27998]

Padre Emmanuel (Don Emmanuel Marie Andre)
Editrice Ichthys

Introduzione.

Nel nostro secolo s'è parlato molto di istruzione, anzi di istruzione pubblica, anzi di istruzione obbligatoria.

C'è però un punto essenziale sul quale, il piú delle volte, non s'è rivolta che un'attenzione superficiale. Non ci si è domandati prima di tutto chi si dovesse istruire.

La cosa aveva tuttavia la sua importanza. Giacché generalmen­te, se non universalmente, gl'individui che si debbono istruire sono individui battezzati.

Individui battezzati! Che vuol dire? Vuol dire che, dal momento che un bambino battezzato ha ricevuto da Dio col battesimo delle grazie che hanno potentemente modificato le condizioni della sua intelligenza, bisogna, di questo fatto, tener conto al massimo grado quando si vuol parlare a quest'intelligenza così modificata.

Ci spieghiamo, dicendo che, poiché Dio col battesimo ha versato nell'anima del bambino l'abitudine della fede, ne consegue infallibilmente che quest'anima ha un'inclinazione potentissima per le verità della fede, e un bisogno urgentissimo di riceverle per assimilarle, nutrirsene, e passare, nella fede, dall'abitudine all'atto.

Abbiamo detto un bisogno urgentissimo. Lo si può osservare facilmente. Quando una madre cristiana parla cristianamente del buon Dio al suo bambino, gli comunica le verità della fede, gl'inse­gna Gesú, infallibilmente sentirà il suo caro bambino dirle "Ancora, mamma!".

È un fatto, e un fatto incontestabile. Per questo diciamo che, nell'istruzione dei bambini, la prima cosa da fare è insegnar loro la fede, rispondere in tal modo al bisogno piú urgente della loro intelligenza; consegnar loro la verità, solo alimento di cui abbiano fame, solo alimento che sia a loro proporzionato, solo alimento che sia a loro necessario.

Questa dev'essere la regola invariabile dell'istruzione, sia nella famiglia, sia nelle scuole, per quanto grandi e superiori esse siano. Il cristiano è sempre il cristiano, il battezzato è sempre il battezzato; e sempre il figlio di Dio aspira a conoscere il proprio Padre che è nei Cieli.

Se prima di tutto darete al bambino l'alimento che egli reclama, vedrete la sua intelligenza, che pure è all'aurora, rallegrarsi d'una gioia meravigliosa, e poco dopo svilupparsi e sbocciare. Giacché, se l'uomo terrestre vive di pane, l'uomo intelligente e cristiano vive di verità.

Se, al contrario, curandovi poco dei bisogni diversi del bambi­no, non avete da dargli che fredde nomenclature, o definizioni grammaticali ch'egli comprenderà soltanto dieci anni piú innanzi, o forse non comprenderà mai, accadrà infallibilmente questo: inganna­ta nella sua attesa, frustrata nelle sue aspirazioni piú legittime e piú sante, l'intelligenza del bambino s'intorpidirà, s'intristirà; e, colpita da una sorta di tisi sui generis, costringerà i Signori Ispettori delle scuole elementari a constatare che il livello intellettuale diminuisce sempre piú.

È un fatto, purtroppo. Si può saper leggere e scrivere. Ma non si sa né pensare quel che si scrive, né giudicare quel che si legge. Vera carestía intellettuale.

Voi, madre cristiana, volete evitare simili sciagure ai vostri amati bambini. Impegnatevi. Vi aiuteremo.

Per cominciare, vi diremo che ci sono tre maniere o metodi d'insegnare la religione.

La prima sarebbe un metodo che va dalla vostra memoria alla memoria del vostro bambino; la seconda è quella che procederebbe dal vostro spirito al suo spirito; la terza infine quella che va diretta­mente dalla vostra fede alla sua fede.

Il primo metodo regna in parecchie scuole, e cosí il secondo; il terzo è oggi il quasi esclusivo privilegio e il grande onore delle madri cristiane.

Il metodo che chiamiamo della memoria è un metodo facile. Oggi si vuole che tutto sia facile; ma, senza far paragoni, è il metodo necessario per l'istruzione degli animali. Ci sono animali sapienti. Applicato al cristiano, questo metodo fa alla sua intelligenza un torto considerevole. Nel cristiano, l'intelligenza è il punto importante dell'anima, è la cittadella del presidio. Vi deve regnare la verità: al presente attraverso la fede; in cielo, attraverso la contemplazione di Dio. È dunque l'intelligenza del bambino che bisogna aver di mira. Se vi rivolgete soltanto alla sua memoria; se fate imparare al bambino il suo catechismo come gli fate imparare la sua grammatica; se gli fate recitare la sua storia sacra come la sua geografia; potrete aver soltanto constatato se la sua memoria ha conservato fedelmente quanto sta scritto nel suo libro. Avrete fatto il maggior torto alla sua intelligenza che, non ricevendo l'alimento e lo stimolo che le sono indispensabili, s'indebolirà necessariamente e morirà d'inedia.

Il secondo metodo è di molto superiore al precedente; almeno va dallo spirito allo spirito. Una persona che sa si rivolge al bambino per trasmettergli il sapere. Questo secondo metodo costringe al lavoro l'intelligenza del bambino, che si abitua al ragionamento e gli fa sentire la potenza d'una dimostrazione. È un metodo, tuttavía, che può comunque produrre soltanto dei dotti, e che non risponde a tutti i bisogni dell'anima d'un battezzato. Se, a forza di voler dare scienza al vostro allievo, dimenticate le aspirazioni della sua anima cristiana; se non lavorate a vivificare la fede del suo battesimo, i tesori di grazia deposti in quest'anima dal Battesimo, dalla Cresima, dall'Eucarestia, andranno esaurendosi e, un dato giorno, l'uomo che avrete istruíto avrà smesso di credere. Non si dice forse che molti uomini hanno perduto la fede studiando, persino studiando la teología? Se dunque questo secondo metodo può produrre dei dotti, è insufficiente dal momento che non produce dei credenti. Se il primo metodo fa torto all'intelligenza, il secondo fa torto alla fede.

Avete dunque bisogno, o madre cristiana, senza trascurare la memoria, senza trascurare nessuna delle risorse del vostro spirito e dello spirito del vostro bambino, avete bisogno d'un metodo piú potente, piú sicuro, piú adatto allo scopo che vi proponete. Sarà il metodo che va direttamente, abbiamo detto, dalla vostra fede alla fede del vostro bambino. La sua intelligenza di battezzato reclama qualcosa che tutti i libri del mondo non potrebbero dargli. La lettera uccide, dice San Paolo, nel suo linguaggio divinamente energico. A questa cara anima battezzata, bisogna far capire ciò che lo stesso San Paolo chiama verbum fidei, " la parola della fede": certamente un ebraismo, che però in italiano vuol dire la fede parlata. La fede parlata! Sí: ecco, o madri cristiane, il latte spirituale che il vostro bambino vi chiede. Dàteglielo; siate delle madri, e, credeteci, non delle nutrici. Il bambino reclama per prima cosa la parola, non il libro. Il libro verrà a suo tempo. Ma se voi, madri, credete, dite la vostra fede al vostro bambino; è battezzato per ascoltarvi, vi ascolterà, crederà per la grazia del suo battesimo, e la sua anima dirà: Ho il mio pane, io vivo.



I. Natura della fede.

Avete letto con grande attenzione un certo post-scriptum al nostro catechismo, e mi chiedete di scrivervi una lettera in risposta a una domanda che mi ponete: che cos'è dunque la fede?

La domanda è breve, la risposta sarà lunga. Vi scriverò sull'ar­gomento una lettera, due lettere, tre lettere, e forse piú.

Senza nessun indugio, entro in materia.

Voi, Signora, avete dei bambini; Dio ve li ha dati affettuosi e cari; ed è per questo che mi domandate: Che cos'è la fede? Vi risponderò, ed è proprio grazie a loro che troverò un mezzo facile per dirvi che cos'è la fede.

Pensate a questo, Signora: voi conoscete i vostri bambini, e sapete che sono i vostri bambini. La loro posizione nei vostri confronti non è esattamente la stessa. Giacché, se è vero che essi vi conoscono, bisogna ammettere che hanno dovuto credere che voi siete la loro madre. Dico che hanno dovuto crederlo, perché non ne hanno mai avuto la prova de visu. Voi gliel'avete detto, e la parola ch'essi hanno ascoltato da voi, l'hanno creduta: l'hanno ricevuta con una fiducia perfetta, si potrebbe dire cieca; perché, se un'altra invece di voi avesse loro resi i favori ch'essi vi devono, e avesse dato loro qualche testimonianza d'affetto, spinti da un impulso del tutto naturale, l'avrebbero chiamata mamma.

Da ciò vedete quanto sia naturale all'uomo il credere; perché ha bisogno di credere per prima cosa a suo padre e a sua madre; e mai su questo punto l'uomo può arrivare a una dimostrazione; deve credere; è l'ordine naturale, ed egli crede. A questo prezzo chiama suo padre suo padre, e sua madre sua madre.

Le prime conoscenze dell'uomo sono cosí conoscenze non dimostrate, ma accettate con piena e intera sicurezza sulla parola di padre e madre. Il bambino vivrà per molto tempo in questo stato, in perfetta certezza, sotto l'autorità degli autori dei suoi giorni. "È l'ordine naturale - dice Sant'Agostino - che l'autorità preceda la ragione". E altrove: "L'autorità chiama la fede e prepara l'uomo alla ragione"'. Quando, piú tardi, la ragione del bambino sarà formata, egli potrà affidarsi ad essa; ma prima di quel tempo, è indispensabile all'uomo credere; è un bene che gli è necessario, che Dio gli ha preparato nella sua paterna sollecitudine, e che l'uomo riceve senz'alcun disagio. Ascoltiamo ancora Sant'Agostino: "Altro è credere all'autorità - egli dice - altro è credere alla ragione; credere all'autorità è un grande vantaggio, e senza fatica alcuna"'.

Da ciò vedete, Signora, come il bambino sia sotto la tutela dei genitori. Egli crede ciò che i suoi genitori sanno, crede, senza dimostrazione, ciò di cui i suoi genitori hanno la dimostrazione e l'evidenza. È l'ordine naturale, dice Sant'Agostino, e, protetto da quest'ordine, il bambino si trova bene, ed effettivamente sta bene.

Potrei ora, Signora, dirvi che come il bambino è sotto la tutela dei genitori della terra, il cristiano è sotto la tutela del Padre suo che è nei cieli; credendo alla parola di Dio come crede alla parola di suo padre; avendo fede in Dio, come ha fede in suo padre; voi potreste allora capire súbito e senza fatica che cos'è la fede.

Arrivo, Signora, al fine che mi sono proposto. Voi parlate al vostro bambino: egli ascolta, crede; è la fede umana, che risponde all'autorità umana, naturale, che Dio vi ha dato sul vostro bambino.

E come il padre che è sulla terra ha autorità per insegnare a suo figlio e può esigere da lui la docilità, cioè la fede, Dio, il Padre degli spiriti, come dice San Paolo, ha del pari autorità per parlare alle anime, e per esigere da esse la fede.

Il padre sa tante cose che il bambino non sa, e che il bambino deve credere. Anche Dio sa molte cose che l'uomo non sa, e che deve credere sulla parola di Dio, quando Dio fa all'uomo l'onore di parlargli.

Vedete la somiglianza, che è perfetta. C'è tuttavía da notare una differenza considerevole, che coglierete senza fatica. Voi parlate al vostro bambino, egli vi crede, è naturale. Il bambino trova nella sua stessa natura tutto ciò che gli è necessario per credere; la fede che la vostra parola esige da lui non lo eleva piú in alto della sua natura. Ma quando Dio, il Padre degli spiriti, parla alla sua creatura, dal momen­to che il suo disegno è d'elevarla al di sopra di sé stessa, e di renderla compartecipe non piú d'una semplice verità naturale, ma d'una verità di natura divina, e di conseguenza superiore alla natura umana, in altri termini soprannaturale, l'uomo non trova piú nella sua natura una potenza sufficiente per ricevere un insegnamento che l'oltrepas­sa e lo supera di tutta la distanza che c'è fra Dio e l'uomo. Allora, se Dio vuol esser creduto sulla parola, è assolutamente necessario ch'egli elevi fino a sé, cioè soprannaturalmente, la facoltà naturale di credere che l'uomo possiede. E quando Dio fa questo bene all'uomo, noi diciamo che gli ha dato la grazia della fede. E voi capite ora perché proprio al principio del catechismo si dica che la fede è un dono di Dio.

Credo.



II. Come viene la fede.

L'abbiamo detto: la fede è un dono di Dio.

Esamineremo come ci venga questo dono cosí prezioso. Per cominciare osserviamo che questo dono, essendo soprannaturale, è sempre interamente gratúito. Noi non possiamo meritarlo, e nessun uomo lo può meritare per noi. Se viene a noi, è per i soli meriti di Nostro Signore, e solo per pura misericordia di Dio.

Ma come ci viene questo dono?

A noi, che siamo stati battezzati da bambini piccoli, il dono della fede ci viene in mezzo al magnifico corteo di grazie che si chiama battesimo. In quel momento Dio, adottandoci come suoi figli, versa nella nostra anima il dono della fede; dispone cioè interiormente le potenze dell'anima, la sua intelligenza e la sua volontà, com'è necessario affinché quest'anima produca facilmente, gioiosamente, l'atto di fede, quando, destata la ragione, lo spirito del bambino potrà ricevere la verità rivelata, nutrirsene, e rispondervi con l'atto di fede: Io credo in Dio, Padre, ecc.

In tal modo, l'anima del piccolo bimbo battezzato porta in sé il gusto per la verità rivelata, l'inclinazione verso questa verità, il bisogno di questa verità. È questa una disposizione, un'abitudine soprannaturale, di cui vi farete una giusta idea, Signora, paragonan­dola alla disposizione, all'inclinazione naturale che il bambino piccolo ha per la mammella di sua madre. Ne ha bisogno, la reclama: se la trova, sta bene, se gli viene rifiutata, per lui è la morte.

Il bambino battezzato ha egualmente, in virtú del suo battesimo, fame e sete dell'insegnamento cristiano; vuole il suo latte, quello di cui vi si parla nell'Introito della messa Quasi modo. Lí è la sua vita, perché il giusto vive di fede, dice la Scrittura. Con l'istruzione cristiana, il bambino battezzato esercita, ed esercitandola sviluppa, la fede che ha ricevuto nel battesimo; comincia a conoscere Dio suo Padre, la Chiesa sua madre, i santi del Paradiso che sono suoi padri e madri; esattamente come nell'ordine naturale il bambino che voi allattate sorride prima a sua madre, poi a suo padre, poi ai suoi fratelli, poi comincia a conoscere il mondo esterno, e diventa un uomo. Per una via analoga ma superiore, in quanto è soprannaturale, il bambino battezzato cresce come figlio di Dio e della sua Chiesa, e diventa un membro vivente di Gesú Cristo sulla terra, per essere piú tardi il coerede dei suoi beni del cielo.

In tal modo, come vedete, Signora, noi che siamo stati battezzati da bambini piccoli abbiamo ricevuto per prima cosa nel battesimo la disposizione a credere; poi, quando abbiamo avuto qualche principio di ragione, ci sono state fatte conoscere le verità della fede, e abbiamo cominciato a fare l'atto di fede. In questo modo abbiamo ricevuto al principio la fede abituale, e in séguito la fede attuale, cioè la fede che compie i suoi atti.

È seguendo questa divina economía che Dio ci ha dato la fede. E perché voi comprendiate meglio la natura di questo dono, vi dirò ch'esso viene per una via un po' differente negli adulti che vengono battezzati soltanto dopo aver acquisito l'uso di ragione.

Prestatemi attenzione, Signora; ne ricaverete, spero, qualche lume sul dono della fede.

Ecco dunque un missionario all'opera fra i Cinesi, o gl'Indiani d'America. Parla, e non viene ascoltato. Parla ancora, e non viene ascoltato. Ah! quelli che lo sentono parlare non sono battezzati, sono sordi. Non c'è stato un sacerdote che abbia detto loro, toccando loro le orecchie: Ephpheta! Apritevi!, come è stato detto a noi nel nostro battesimo. Tuttavía, l'uomo di Dio non si scoraggia: prega, chiede a Dio la grazia della fede per i suoi poveri infedeli, parla di nuovo. Due o tre povere anime sembrano ascoltare con attenzione; egli le scopre, va a loro, esse vengono a lui. Dio ha dato loro un buon movimento verso la fede. Ah, quant'è prezioso questo movimento! Se esse sono fedeli, è la loro salvezza; se lasciano cadere questa grazia di cui non sospettano il prezzo, è la loro perdita eterna. Ma esse ascoltano, prendono gusto all'istruzione che viene impartita loro a poco a poco, con attenzione incomparabile. Se si desse loro una luce troppo grande, si ritrarrebbero spaventate: il sacerdote misura i termini, adatta il nutrimento alla debolezza del suo malato; prega, e, con l'aiuto di Dio, l'infedele riceve qualche verità di fede; compie atti d'adesione a queste verità già conosciute; e man mano che compie questi atti cresce nella disposizione a credere. Infine, pronto a ricevere tutta la verità, chiede a Dio il dono della fede; il giorno del battesimo arriva, e Dio gli dà la grazia abituale della fede della quale aveva già compiuto qualche atto prima del suo battesimo.

Vedete cosí, Signora, che il dono della fede non entra senza fatica nell'anima d'un adulto. Oltre alla difficoltà creata dal peccato originale, ci sono ancora quelle che provengono dai peccati persona­li, dai pregiudizii della nazione, della famiglia, ecc. ecc. Ma nel piccolo bambino battezzato tutte queste difficoltà non possono esistere. Il bambino ha ricevuto la grazia dall'alto prima d'aver toccato questo basso mondo; e cosí non potremmo mai ringraziare Dio abbastanza per la grazia che ci ha fatto d'essere stati battezzati da piccoli.

Credo.



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03/09/2009 20:23

III. Come la fede sia un dono di Dio.

La fede è un dono di Dio.

Oggi vorrei farvi comprendere ancor meglio la natura intima di questo dono prezioso.

Adamo l'aveva ricevuto da Dio, e ce l'avrebbe trasmesso se non avesse peccato; ma, avendo creduto a Eva, e attraverso Eva a Satana invece che a Dio, perse la fede che Dio gli aveva data; la perse, per sé e per noi. In tal modo, entrando in questo mondo, il figlio d'Adamo non ha piú la fede, e può ricuperarla soltanto a condizione che Dio gliela doni.

La Chiesa prega per chiedere a Dio la fede per gl'infedeli, e l'aumento della fede per i fedeli; di modo che l'inizio, l'aumento e la conservazione della fede nelle anime sono puramente e semplice­mente un dono di Dio che ci vien fatto per i meriti del nostro unico Signore e Salvatore Gesú Cristo.

Ma vi ho promesso, Signora, d'entrare oggi nella natura intima di questo dono; arrivo al punto.

La fede è un atto, in parte dell'intelligenza che crede, e in parte della volontà che vuole credere.

Alla domanda se la fede sia un dono di Dio dalla parte dell'in­telligenza che crede o dalla parte della volontà che vuole credere, bisognerà rispondere che c'è un dono di Dio nell'intelligenza e un dono di Dio nella volontà.

Per quanto riguarda l'intelligenza, infatti, si debbono osservare due cose. In primo luogo, le verità che si devono credere sono talmente elevate al di sopra dello spirito umano, che mai vi si potrebbe giungere naturalmente. In tal modo, l'adorabile mistero della Santissima Trinità, le profondità della saggezza di Dio nell'In­carnazione di Nostro Signore, la Redenzione e la salvezza degli uomini sarebbero dei tesori celati per sempre alle intelligenze umane senza il dono della fede.

In secondo luogo, oltre al ministero della Chiesa che insegna queste sublimi verità, c'è ancora bisogno, perché noi crediamo, d'una grazia interiore che illumini la nostra intelligenza e le faccia ricevere con docilità la parola della fede, la fede parlata, come abbiamo già detto. In effetti, a meno che fosse per cosí dire animato da una saggezza superiore, lo spirito umano si figurerebbe d'aver delle ragioni per ritenere la predicazione evangelica una stupidaggi­ne; è l'apostolo San Paolo che ce l'assicura, nei capitoli I e II della prima Lettera ai Corinzi.

Per quanto riguarda la volontà, la fede è anche qui un dono di Dio. La volontà umana, infatti, per sottomettersi umilmente e docil­mente e gioiosamente alla verità divina, e portar l'intelligenza a dare il proprio pieno e intero assenso a questa stessa verità, ha bisogno, questa volontà cosí debole, d'un soccorso divino che la strappi, per cosí dire, alla sua propria debolezza, e la metta d'accordo con la volontà di Dio.

Ritengo importante confermare queste gravi dottrine con le preghiere stesse della Chiesa. Scelgo a tal fine le preghiere del Venerdí Santo, che si cantano dopo la Passione.

Il sacerdote esclama: "Preghiamo, dilettissimi, per la santa Chiesa di Dio".

Poi prega: "Dio onnipotente ed eterno, che in Cristo hai rivelato a tutti i popoli la tua gloria, proteggi le opere della tua misericordia, affinché la tua Chiesa, diffusa in tutto il mondo, perseveri con ferma fede nella confessione del tuo nome. Per Gesú Cristo Nostro Signore".

Vi siete mai, Signora, unita di cuore a questa preghiera per chiedere a Dio che la Chiesa perseveri nella fede?

Andiamo avanti.

Il sacerdote esclama ancora: "Preghiamo anche per i nostri catecumeni, affinché il Signore Dio nostro apra le orecchie dei loro cuori e la porta della sua misericordia!". Li disponga cioè ad ascoltare, a voler credere, e dia loro quindi, attraverso la sua miseri­cordia, il dono della fede.

Poi prega. "Dio onnipotente ed eterno, che fecondi la tua Chiesa di sempre nuova prole, accresci la fede e l'intelletto ai nostri catecumeni, affinché, rigenerati nel fonte battesimale, síano aggre­gati ai tuoi figli d'adozione. Per Gesú Cristo Nostro Signore".

Il sacerdote esclama ancora: "Preghiamo anche per gli eretici e gli scismatici!".

Poi prega. "Dio onnipotente ed eterno, che tutti salvi e non vuoi che alcuno perisca, guarda le anime ingannate dalle astuzie del demonio, affinché, rinunciando a tutte le perversità dell'eresía, i loro cuori traviati si ravvedano e ritornino all'unità della tua verità. Per Gesú Cristo Nostro Signore".

Allo stesso modo prega per i perfidi Judaei

Che non vuol dire "i cattivi ebrei", ma "gli ebrei, che hanno rifiutato la fede". 15
e per gli sventurati pagani, e per tutti loro implora il dono della fede.

Entrate, vi supplico, Signora, nello spirito di queste preghiere, le piú sante, le piú antiche, le piú oranti che vi síano nella Chiesa; e allora, comprendendo meglio che mai come la fede sia un dono di Dio, direte bene il vostro

Credo.



IV. La fede può crescere o perdersi.

La fede può crescere; la fede può diminuire e perdersi.

La fede che consiste essenzialmente nell'adesione del nostro spirito alla verità rivelata cresce o diminuisce a seconda che que­st'adesione sia piú o meno ferma.

Ora, dal momento che l'anima umana è attiva per natura, è indispensabile che la sua fede o cresca o diminuisca.

La fede cresce, se l'anima avanza nella conoscenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, se penetra meglio le verità del simbolo; in una parola se progredisce nella via della verità.

Dal momento però che la fede richiede, con l'assenso dello spirito, il movimento pio della volontà che vuole credere, è evidente che la fede può e deve crescere anche attraverso una volontà che si sottometta sempre piú docilmente, sempre piú amorosamente, alla verità divina.

Due cose, in tal modo, aiuteranno singolarmente la fede nei suoi progressi: l'istruzione e la pietà. L'istruzione, il cristiano la troverà nella predicazione, nei catechismi, nelle sante letture; la pietà consi­sterà soprattutto nella fedeltà alle promesse del suo battesimo. A queste condizioni, il cristiano, aiutato dalla preghiera e dai sacramen­ti, crescerà nella fede.

Ogni fedele che voglia crescere nella fede deve vegliare con attenzione incessante contro tutto ciò che potrebbe indebolire la sua fede. Deve star bene in guardia a non lasciarsi vincere dalle massime del mondo; perché il mondo, in quanto mondo, non si occupa che delle cose sensibili; la fede, al contrario, ci mostra il valore inestima­bile delle cose invisibili. Il mondo non ha per sé che il presente; la fede, che tanto c'illumina sul passato e il presente, ci fa badare soprattutto all'avvenire. Il mondo è completamente teso a godere di ciò che ha; la fede c'insegna che il tempo presente è quello della privazione e della penitenza, e ci mostra Dio come il solo vero bene in cui possiamo riposare le nostre anime, e sperare le gioie vere.

Bisogna cosí vegliare per rimanere fedeli, cioè credenti. Ma chi cosí veglierà, vedrà infallibilmente crescere nella sua anima le luci cosí dolci, cosí serene, della verità eterna; e piú entrerà in questa luce, piú vi gusterà quanto il Signore sia dolce, quanto sia prezioso il dono inestimabile della fede.

Al contrario, ogni anima che non veglierà, che si lascerà cullare nelle parole insignificanti d'un mondo che non ha niente, che non sa niente, che non può niente, ogni anima che non veglierà, vedrà la sua fede diminuire e poi perdersi completamente.

Se avessimo occhi per vedere il lamentevole spettacolo delle anime che perdono la fede, non avremmo abbastanza lacrime per piangere una sventura cosí grande.

Alcuni perdono la fede dopo il battesimo: non hanno ricevuto l'istruzione cristiana indispensabile, e la loro anima non ha mai fatto l'atto di fede. Privata del suo atto, l'abitudine deposta nell'anima il giorno del battesimo è stata facilmente annientata. È estremamente raro che le anime che han perduto la fede in queste condizioni la possano mai ritrovare. Esse rimangono straniere e Dio e a Nostro Signore Gesú Cristo, e non vivono piú che d'una vita terrestre, triste preludio della morte eterna.

Altri perdono la fede poco dopo la prima comunione. Entrano in un mondo incredulo di cui non sospettavano l'esistenza, e s'imma­ginano d'essere stati ingenui a credere un poco. Se arriva, com'è assai facile, il peccato mortale, è anche facile perdere la fede e chiudere gli occhi alla pura luce che aveva reso cosí felice il giorno della prima comunione.

C'è chi perde la fede nelle scuole. Ci sono, come si sa, quelle piccole e quelle grandi. Le piccole e le grandi possono far perdere la fede ai battezzati, e lo fanno fin troppo spesso. Le piccole e le grandi non insegnando affatto il solo vero Dio, cioè il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; le piccole insegnando soprattutto la formazione del plurale e il sistema metrico; le grandi mettendo al di sopra di tutto il diploma di maturità o la laurea. Per tacere di quelle in cui s'insegna scientemente e volontariamente l'empietà, l'indifferentismo o addi­rittura l'ateismo.

V'è, infine, chi perde la fede negli affari. Troppo preoccupati del loro lavoro, interamente dèditi alle loro speculazioni, costoro dimenticano il battesimo, trascurano la loro anima, non vivono piú la fede, non vegliano piú a nutrire la loro fede; la perdono, forse persino senza pensarci.

O Dio, mio Dio, per grazia vostra ci avete dato la fede: per grazia vostra, conservateci la fede!

Credo.



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03/09/2009 20:26

V. La fede non è sostituita dal sentimento.


Attaccata da tanti lati, la fede è oggi divenuta rara nelle anime. Man mano che i tempi avanzano, noi marciamo verso il compimento della parola di Nostro Signore: "Ma quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?" (Luca, 18, 8).

Ciò che tengo a farvi notare, Signora, è che tutte le anime che vediamo non aver piú la fede l'hanno avuta almeno al momento del battesimo. Quelle anime si trovano in uno stato molto diverso dagl'in­fedeli che non hanno mai avuto la fede. La fede è un bene cosí grande che, quando sia entrato in un'anima, ne resta sempre qualcosa.

San Francesco di Sales dice, a proposito della carità, che "qualora la carità sia separata dall'anima a causa del peccato, vi resta spesso una certa parvenza di carità, che ci può illudere e distrarre vanamente" (Trattato dell'amor di Dio, IV, c. 10).

Possiamo dire lo stesso della fede. Quando la mancanza d'istru­zione cristiana, o quando un'educazione sistematicamente empia ha fatto perdere a un cristiano il dono della fede ch'egli aveva ricevuto nel battesimo, vi resta ordinariamente una certa parvenza di fede, che ci può illudere e distrarre vanamente.

Questa parvenza di fede, per il fatto d'essere una parvenza, non è che un'immagine della fede; è una fede in immagine, o, se preferite, in immaginazione; è ciò che viene chiamato, in una certa lingua, sentimenti religiosi.

I sentimenti religiosi! Una sorta di regalo che certi uomini vogliono gentilmente fare a Dio, che deve per questo esser loro molto riconoscente; un fondo di benevolenza, piú o meno vivamente sentito, dell'uomo per Dio; una sorta di cortesía, di educazione, di buon gusto dell'uomo nei confronti di Dio: sí, tutto ciò che si potrà volere di questo genere che obblighi poco, che non dia nessun fastidio, che s'accomodi a tutto, si presti a tutto, non comprometta nulla: è questo, il piú delle volte, ciò che s'intende dire parlando di sentimenti religiosi, ma non è questa la fede.

Come la parvenza della carità ci può illudere e distrarre vana­mente, la parvenza della fede ci può illudere e c'illude spesso, ci può distrarre e ci distrae spesso.

Come può accadere?, mi direte.

È facile rispondere.

Un cristiano, per piacere a Dio, deve fare spesso atti di fede. Nella preghiera, nella pratica d'una vita cristiana, nel ricevere i Sacramenti, il cristiano deve, per obbligo rigoroso, praticare la fede, farne l'atto interiore con molti degli atti esteriori della vita cristiana.

E il suo dovere.

Ora, il pericolo, l'illusione, consisterebbe nel fare questi atti della vita cristiana non con la fede, ma con la parvenza della fede o i sentimenti religiosi.

La fede viene allora sostituita dal sentimento; la realtà dall'im­maginazione. È possibile, in questo stato, dire tante preghiere senza pregare, confessarsi senza correggersi, e ricevere l'Eucarestía senza unirsi a Gesú Cristo.

A quanto ho sentito dire sia a un Vescovo, sia a un missionario che ha percorso tutta la Francia, e s'è reso conto con grande attenzione dello stato delle anime, sembrerebbe che in molte situa­zioni siamo oggi a questo punto, nel compiere con l'immagine della fede le opere che bisognerebbe compiere con la fede.

Ciò vi aiuterà a comprendere, Signora, una cosa che vi dava molto dolore un certo giorno in cui avevate potuto riconoscere che un buon numero di cristiani, che pur si dicono devoti e praticanti, hanno tutti gli stessi identici vizi dei mondani non praticanti. Sono, ahimè, praticanti, ma la fede non è il principio dei loro atti di religione; sono cristiani nell'immaginazione, e viziosi come tanti altri nella realtà.

Rammentatevi, Signora, una frasetta breve breve del Padre Lacordaire: "La fede, è la fede!".

Diciamo insieme: Credo.



VI. Quale differenza vi sia tra la fede e il sentimento religioso.

Avete letto con attenzione la mia precedente lettera, e mi chiedete di farvi capir bene la differenza che c'è tra la fede e il sentimento religioso.

Il cómpito mi sarà facile; mi auguro che il mio lavoro vi sia utile.

Il sentimento religioso, Signora, è certamente un dono di Dio. È un bene, un bene dell'ordine naturale. Il sentimento religioso è la conseguenza naturale della nostra qualità di creature, come il rispetto dei genitori è naturale al bambino.

Il sentimento religioso è cosí il rispetto che noi abbiamo, come creature, per il nostro Padre che è nei Cieli, e che, per il solo fatto della nostra creazione, ci guarda come suoi figli, e dà a noi tutti il pane quotidiano, la luce del suo sole, i frutti della terra, la vita, la salute, e mille altri beni, egualmente dell'ordine naturale.

Essendo naturale all'uomo, il sentimento religioso si trova presso tutti gli uomini, fedeli o infedeli; tutti infatti hanno questo fondo comune di rispetto per Dio, che talvolta si traduce in un atto religioso fondato sul vero, come presso noi cristiani; talvolta in un atto religioso inficiato d'errore come presso gl'infedeli, gl'idolatri, ecc.

Vi sono popoli nei quali il sentimento religioso è molto profon­do; questo vale certamente, per esempio, per i popoli musulmani. Un musulmano difficilmente mancherà alla propria preghiera del matti­no, a quella del mezzogiorno, a quella della sera. Egli sente il muezzin gridare dall'alto del minareto la formula sacra La ilàha ill'Allàh, ecc., e súbito si mette in preghiera, che sia in compagnía, in mezzo a una piazza, o impegnato in qualsíasi lavoro: l'ora è venuta, e prega. Per questo stesso sentimento religioso, il musulmano attribuisce tutto alla volontà di Dio: i casi della vita, la salute, la malattía, persino la morte, tutto egli riconduce a Dio, e in ogni circostanza ripete: Dio è grande!

Ecco il sentimento religioso in tutta la sua potenza.

Ma ricordatevi, Signora, che la nostra natura è decaduta in Adamo; e, da una natura decaduta, non può venire che un sentimento religioso anch'esso intaccato da decadenza. La natura non può rialzarsi da sé; e il sentimento religioso puramente naturale non può assolutamente ricondurre l'uomo a Dio, né trarlo via dal peccato.

Cosí, presso di noi, il sentimento religioso, quando rimane allo stato naturale, è indifferente in materia di religione. S'accontenta di tutto, s'adatta a tutto, si presta a tutto, e non si dedica a nulla. Mi correggo: può dedicarsi alla massonería, almeno ove i massoni si degnino di riconoscere il Grande Architetto, come dicono.

Volevo, Signora, mostrarvi questo primo quadro. Passo al secondo.

La fede non è un sentimento, la fede non è d'ordine naturale.

La fede è l'assenso del nostro spirito alla verità rivelata da Dio. È un bene che non deriva affatto dalla nostra natura, ma che le viene dato dall'alto per guarirla.

La fede è essenzialmente purificatrice. Fide purificans corda (Atti, 15, 9).

Essa illumina lo spirito, lo spoglia dell'errore: rialza l'uomo caduto, lo riporta sulla via di Dio, pone le basi dell'opera della salvezza; avvía l'uomo verso ogni bene.

La fede è essenzialmente fortificatrice. Confortatus fide, dice San Paolo (Rom., 4,20). E ancora: Fide stas, Se stai in piedi, è grazie alla fede (Rom., 11, 20).

La fede è vivificatrice: Il giusto vive di fede, dice sempre San Paolo (Gal., 3, 11).

Se il sentimento religioso ci lascia di ghiaccio per Nostro Signore Gesú Cristo, non è cosí con la fede: essa lo rende presente, vivente nei nostri cuori: Christum habitare per fidem in cordibus vestris (Ef., 3, 17).

La fede è il principio d'un mondo nuovo, rigenerato in Gesú Cristo Nostro Signore; la fede è la luce precorritrice degli splendori dell'eternità in cui vedremo Dio; la fede è la madre della santa speranza e della divina carità.

La fede è sulla terra la fonte pura di tutte le vere consolazioni. È ancora San Paolo che ce lo dice. Simul consolari per eam quae invicem est, fidem vestram atque meam: Consolarci insieme median­te la fede che abbiamo in comune, vostra e mia (Rom., 1, 12).

Quando si parla della fede, Signora, San Paolo è un maestro incomparabile. Prendo da lui un'ultima frase per terminare questa lettera: Saluta eos qui nos amant infide. Salutate quelli che ci amano nella fede (Tito, 3, 15).

Diciamo insieme: Credo.



VII. Quanto la fede accresca la ragione.

Dio ci ha dato i sensi, la ragione, la fede. Coi sensi ci mettiamo in relazione con le cose sensibili, che sono a loro proporzionate; con la ragione raggiungiamo le cose superiori ai sensi, le cose intellettua­li; ma con la fede Dio ci ha concesso di raggiungere, per mezzo d'una conoscenza piú elevata, le cose divine e Dio stesso.

La ragione creata da Dio per Dio stesso non può riposarsi che in lui, verità prima; essa ha dunque un bisogno innato di Dio, e lo cercherebbe naturalmente se il peccato originale, una volta soprav­venuto, non l'avesse singolarmente indebolita, piegata, e troppo spesso incatenata alle cose sensibili.

La fede che Dio ci ha dato guarisce, almeno in parte, la ragione umana dalla sua malattía originale; la rialza, la raddrizza, la rinfran­ca, e le fa raggiungere un ordine di conoscenze ch'essa non avrebbe mai potuto affrontare, l'ordine delle conoscenze soprannaturali, ovvero delle verità rivelate da Dio.

La fede, dice San Paolo, è quella che ci convince delle cose invisibili. Queste cose invisibili sono una parte di quel che Dio sa. Egli le ha rivelate attraverso Nostro Signore Gesú Cristo. Gli Apo­stoli, e dopo di loro la Chiesa, ci trasmettono le stesse parole di Dio; e, per una grazia che si chiama dono delle fede, noi riceviamo questa parola, e siamo convinti che questa parola è verità.

L'uomo che non ha la fede, dunque, non conosce che in proporzione ai suoi sensi e alla sua ragione; l'uomo che ha la fede va piú lontano: coglie l'impercettibile, raggiunge l'invisibile; entra in certa misura in partecipazione con la scienza e la ragione di Dio.

Si fa allora nella sua anima una luce nuova, superiore a ogni luce naturale; e questa, in virtú della sua superiorità, diventa la regolatrice delle luci inferiori, che sono la ragione e i sensi.

Tutto allora si subordina alla fede, tutto entra nell'ordine soprannaturale: gli sguardi dei nostri occhi, i pensieri del nostro spirito, hanno trovato leggi che li difendono, li proteggono dagli scogli, li dirigono verso il bene, e fanno loro raggiungere Dio stesso.

In questa luce superiore, l'uomo di fede è a suo agio, è felice: si rallegra del vero, almeno quel tanto che è possibile alla creatura nella vita presente. Per l'uomo di fede, dice San Girolamo, il mondo intero è un gran tesoro. Come mai? Perché, dominando tutte le cose, e scorgendole sotto una luce nuova, che è quella della fede, riconosce la volontà di Dio. Su tutte le cose la trova buona, bella e perfetta. Egli se ne rallegra, ne gioísce.

Persino le cose sensibili, viste in questa luce, sono per l'uomo di fede un gran tesoro. Ma quant'è piú ricco il fedele quando il suo spirito si riposa nei beni spirituali, negl'invisibili di Dio, come dice San Paolo.

Bisognerebbe essere San Paolo per parlare degnamente di queste ricchezze della nostra fede; per parte mia mi accontenterò di mostrarvi all'opera una fede pratica che gusta questi beni invisibili di Dio.

Voi abitate in una città, in un villaggio? Qual è nel vostro spirito il luogo che vi sembra considerevole nella vostra località? Qual è il personaggio che, ai vostri occhi, è veramente notevole fra tutti quelli che la abitano?

A questa domanda, quanti risponderebbero citandomi il nome d'un monumento d'un signore, d'una signora, o che so io?

L'uomo di fede la saprebbe molto piú lunga, e senza esitare mi direbbe: Nostro Signore Gesú Cristo presente nel Santissimo Sacra­mento. Ecco la vera verità, la vera grandezza: gli occhi non vedono nulla, è vero; la ragione umana non ci arriva, è vero anche questo; ma Dio ci ha dato la fede proprio per renderci attenti a ciò che i nostri occhi non vedono. La fede, dice San Paolo, è ciò che ci convince delle cose invisibili.

Fra queste cose invisibili, certamente dopo Dio, bisogna anno­verare le anime. L'uomo di fede è attento alle anime. Per lui, un uomo è prima di tutto un'anima. Per altri, un uomo è un corpo.

Dopo le anime, o piuttosto con le anime, l'uomo di fede considera il loro stato: la grazia o il peccato, il loro merito davanti a Dio, il loro presente e il loro avvenire. Se ne proccupa; tratta dei loro interessi tutti i giorni con Dio, e con loro ogni volta che può.

È da atti come questi che la fede si rivela, che la fede cresce, che la fede ci conduce a Dio.

Diciamo insieme: Credo.



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03/09/2009 20:27

VIII. L'integrità della fede.

La fede opera nel cristiano un rinnovamento soprannaturale; eleva la sua anima alle cose celesti; e, come dice San Leone, le fa spiccare il volo verso il bene incorruttibile, verso la vera luce, cioè verso Dio stesso.

Ma perché la fede faccia nel cristiano quest'operazione che le è propria, bisogna che sia pura, che sia intera.

Ora, la fede nella sua purezza, nella sua integrità, è una fede rara. Magnum est - diceva Sant'Agostino - Magnum est in ipsa intus catholica, integram habere fidem. Traduco: È una gran cosa avere, all'interno stesso della Chiesa cattolica, la fede nella sua integrità.

Per comprendere ciò dovete ricordarvi, Signora, quanto abbia­mo detto sulla nascita della fede nelle nostre anime. Essa ha bisogno, per nascere e svilupparsi, del dono interiore di Dio e della parola esteriore del catechista, o dell'istruzione.

Il dono di Dio è sempre puro; ma la parola del catechista può portar con sé sia la verità che viene da Dio, sia l'errore che viene dall'uomo.

Pensiamo a un bambino battezzato in una società separata dalla Chiesa cattolica. Il battesimo che ha ricevuto ha fatto di lui il figlio di Dio, gli ha posto nell'anima la fede abituale; egli cresce, e riceve un'istruzione inficiata d' eresía, accetta l' eresía credendo d'accettare la fede, viene ingannato... Il giorno in cui s'accorgerà della verità cattolica, accadrà questo: o rifiuterà l'eresía, o respingerà la verità. Allora diventerà o formalmente eretico, o decisamente cattolico. In quest'ultimo caso avrà perduto l'eresía che gli era stata insegnata, e avrà conservato la fede che Dio gli aveva posto in cuore il giorno del battesimo.

Da ciò vedete, Signora, quanto sia importante che un bambino battezzato non riceva mai lezioni da maestri che gli potrebbero far perdere la fede.

Ma noi siamo, mi direte, in piena Chiesa cattolica; ed e qui che v'insegno con Sant'Agostino che è una gran cosa avere la fede nella sua integrità.

Mi spiego. La fede è nel mondo, Dio ce l'ha messa per la nostra salvezza. Ma anche l'errore è nel mondo: il diavolo l'ha seminato per la nostra perdizione.

La fede nella sua integrità è una fede al riparo da tutti gli errori, da tutti i pregiudizi, da tutte le vane opinioni che corrono nel mondo, che riempiono gli spiriti, che perdono le anime.

Ora, debbo dirvi, se voi già non l'avete notato, che ogni spirito contaminato da un errore avrà sempre piú zelo per il suo errore di quanto comunemente gli uomini non ne abbiano per la verità. È un fatto che salta agli occhi; la ragione ne è che, dato che la verità viene da Dio e l'errore viene dall'uomo, quest'ultimo sarà piú facilmente trasportato verso l'errore, che è cosa sua, che non verso la verità, che è cosa di Dio.

Ne consegue che per quanti uomini vi síano che portino nel loro spirito un errore, una falsità, un pregiudizio, una vana opinione, vi saranno altrettanti missionari (perdonatemi l'uso di questa parola in tal materia), vi saranno altrettanti missionari che lavoreranno per far entrare nello spirito del fedele uno una cosa, l'altro un'altra, che batteranno in breccia se non la fede tutt'intera, almeno l'integrità della fede.

Ora, il numero di questi missionari al contrario è grande al giorno d'oggi. Parlano con arroganza, quasi dappertutto. E come se parlare non bastasse loro, hanno la stampa: la dominano, ed è per loro che essa lavora tutti i giorni quasi dappertutto.

Tutti i giorni dunque si fa nel mondo un formidabile lavoro di perversione degli spiriti. Gli uni attaccano un dogma, gli altri un altro. Qui si crederà d'aver dimostrato che la fede nel mistero della Santissima Trinità è un'assurdità; là si crederà d'aver distrutto il mistero dell'Incarnazione e la fede nella divinità di Nostro Signore Gesú Cristo; altrove s'attaccherà la Chiesa, i suoi sacramenti, la sua disciplina, il suo culto: si darà a tutto questo un'aria di ragione ragionante, si commisereranno gli spiriti arretrati, s'inviteranno le anime a entrare nelle vie del progresso. La fede resisterà in mezzo a tutti questi pericoli che stanno dappertutto, che son di tutti i giorni, che si presentano sotto tutte le forme? Se resiste, sarà un grande prodigio. Se avete la fortuna di vederlo, questo prodigio, ringrazia­tene Dio; e al veder tutte le rovine che potrete osservare nei dintorni di questo prodigio, comprenderete la verità della parola di Sant' Ago­stino: È una gran cosa avere, all'interno stesso della Chiesa catto­lica, la fede nella sua integrità.

Diciamo insieme: Credo.



IX. La fede senza le opere e le opere senza la fede.

Ci fu un tempo, agli albori del cristianesimo, nella stessa Roma, una disputa alquanto vivace a proposito della fede e delle opere. Gli uni dicevano: La fede è sufficiente; gli altri dicevano: Le opere, le opere, non occorre altro!

Se un bel giorno fossimo nel vostro giardino, e ponessimo ai vostri bambini una domanda analoga dicendo loro: Bambini, che ne dite? Quale dei due è necessario, il melo o le mele?, i piú giovani certamente ci direbbero: le mele sono sufficienti. I piú grandi però, comprendendo che senza meli non ci sarebbero mele nel giardino, ci direbbero: Quel che ci vuole, sono dei meli con delle mele. E, in effetti, mele senza meli è cosa impossibile; meli senza mele, è inutile.

Per uscire dall'apologo, dobbiamo dire che la fede è l'albero indispensabile per avere dei frutti di salvezza, e che tutti i frutti che si potrebbero raccogliere senza la fede non sarebbero dei frutti di salvezza.

San Gregorio Magno l'ha detto in una breve frase: Nec fides sine operibus, nec opera adjuvant sine fide. Che in italiano significa: La fede senza le opere, o le opere senza la fede, non sono d'alcun aiuto.

La fede è per il cristiano la radice della salvezza e di ogni opera che conduca alla salvezza; la santa speranza e la divina carità vengono a dare al frutto o all'opera il suo gusto, il suo sapore, la sua dolcezza, il suo merito; ma senza la fede non v'è né merito, né dolcezza, né sapore, né gusto, né frutto, né opera che sia utile alla salvezza.

Tenete bene a mente questo primo principio, Signora; ed eccone un altro che incontestabilmente ne deriva. La misura della fede è la misura del merito dell'opera. So bene che l'ultima parola del merito cristiano appartiene alla carità; ma la carità è la figlia della fede, e non può crescere che insieme con sua madre, di modo che alla fin dei conti è sulla fede che in un cristiano debbono misurarsi tutte le cose. Nostro Signore, in questa stessa prospettiva, diceva: La vostra fede vi ha salvati!

Stabilito questo, faremo un passo in questo mondo, a vedere un po' a che punto è la fede, e a che punto sono le opere figlie della fede.

E per cominciare, Signora, non avete spesso notato che il nostro secolo è il secolo delle opere? Mai, mai, se ne sono viste sorgere con una tale esuberanza.

Ma il nostro secolo è, nella stessa proporzione, un secolo di fede? Ahimè! Bisogna dirlo: la fede è rara al giorno d'oggi.

Su un albero straordinariamente indebolito, vediamo spuntare una dovizia di frutti che sarebbe da ammirare, se si potesse dimenti­care lo stato dell'albero. Le opere spuntano e vanno sempre accre­scendosi, e al tempo stesso siamo costretti ad ammettere che la fede va declinando. Non c'è una sorta di contraddizione?

La contraddizione, Signora, è soltanto apparente. Le opere di salvezza, abbiamo detto, nascono dalla fede; ma le opere che assomi­gliano alle opere di salvezza possono nascere da un principio diverso dalla fede.

E allora?, mi direte.

Allora, Signora, delle due l'una: o le opere nate da un principio diverso dalla fede salveranno qualcosa di diverso dalle anime (totale: niente per Dio); oppure non salveranno sé stesse, e periranno.

Nate da un principio che non è la fede, creazioni del genio o dell'immaginazione, le opere che non sono nutrite del succo vivificatore della fede, il solo che vivifichi; le opere che vivono dell'abilità dell'uomo, o del suo denaro, o del suo credito, queste opere non salvano le anime, e sono al cospetto di Dio degli alberi sterili; il tempo ha la sua scure per abbatterli, e lo farà immancabil­mente.

La Chiesa, che è opera di Dio, resiste e resisterà perché conserva e conserverà la fede. Noi, figli di Dio e della Chiesa, non resistiamo e non resisteremo, noi e le nostre opere, se non nella misura della nostra fede.

Se tutte le opere che oggi sono all'opera intorno a noi avessero tanta sollecitudine per vivificare l'albero che è la fede quanta ne hanno per produrre frutti, vedremmo certo delle meraviglie. Ma, purtroppo, la fede manca, e noi non manchiamo di gente che vuol raccogliere i frutti dalla fede prima d'aver seminato la fede. Si possono, in quel senso, fare grandi passi, ma a lato della via. Magni passus, sed extra viam, diceva Sant'Agostino.

Diciamo insieme: Credo.



X. Le devozioni senza la fede.

La fede, che nel cristiano è il principio unico delle opere salutari, è egualmente il principio della devozione, e anche, se volete, delle devozioni, quando la devozione e le devozioni sono realmente salutari.

Abbiamo visto che molte opere possono nascere a lato della fede, e, per ciò stesso, non essere opere utili alla salvezza. La stessa identica cosa si deve dire della devozione e delle devozioni. Esse possono nascere, svilupparsi e crescere, anche prodigiosamente, a lato della fede, ed essere quindi completamente inutili per la salvezza eterna degli uomini.

Vi farà certamente piacere che vi citi a questo proposito l'Année Dominicaine. Ecco ciò che vi leggo, a firma del R. P. Vincent Maumus:

«La pratica senza la conoscenza di Dio: ecco un grande ostacolo all'avanzamento delle anime. Le s'illumina poco, prima di tutto perché si hanno già in partenza pochi lumi, e poi perché si taccia facilmente di vana curiosità una scienza che non s'apprezza. Le anime vengono dunque poco illuminate; in compenso, le si carica di pratiche moltiplicate all'infinito; le si arruola in ogni sorta di confraternite; si fa loro intravvedere, come ultimo sforzo della pietà cattolica, la propaganda attiva di certe devozioni che, se non s'arresta la corrente, minacciano di soffocare l'ampio spirito cristiano.

Che cosa sono oggi i libri di pietà? A parte qualche rara eccezione, non sono che trattati superficiali che si rivolgono unica­mente all'immaginazione, e che indirizzano unicamente alla pratica esteriore di quella o quell'altra devozione di moda. Diversi anni fa un grande vescovo lamentava la profusione con cui si diffondono questi tipi di libri, e Bossuet già diceva: "Non capisco piú niente dei direttori spirituali"».

Avete letto questa citazione con grande attenzione, Signora, e ne avete avvertito tutta la portata. Mi pare anzi d'udirvi, di qui, menzionare il detto di Joseph de Maistre: "Dio benedica il si impersonale!".

Volentieri augurerò con voi quest'assai desiderabile benedizio­ne, e terminerò qui questa lettera.

Diciamo insieme: Credo.

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03/09/2009 20:28

XI. La fede e la scienza.

Lo sapete: l'uomo nasce ignorante. Non esce dall'ignoranza se non con difficoltà: costa fatica imparare, e piú elevata è la scienza che vogliamo acquisire, piú fatica ci costa.

Il male è cosí grande che non soltanto facciamo fatica a imparare, ma troppo spesso troviamo in noi una sciagurata ripugnan­za per lo studio, ripugnanza che ci farebbe gustare una specie di tranquillità, una felicità del tipo stupido, a non saper nulla.

E tuttavía non è che ci piaccia l'ignoranza in sé: quel che ci piacerebbe sarebbe non fare lo sforzo necessario per arrivare alla scienza.

Noi cristiani conosciamo la causa d'uno stato cosí lamentevole: la fede, infatti, ci mostra in esso uno degli effetti del peccato originale.

Quando Dio, col battesimo, cancella in noi il peccato originale, ci dà la fede, e con la fede il bisogno di conoscere le verità cristiane e l'inclinazione a riceverle e conservarle.

Questo bisogno delle anime non è di quelli che si possano trascurare. La Chiesa vi risponde col catechismo. Ma purtroppo le lezioni del catechismo durano poco, e troppo facilmente vengono dimenticate: l'educazione cristiana è assai trascurata nelle scuole, quando addirittura non vi manca del tutto. Ne consegue che i cristiani in genere non sono sufficientemente istruíti su ciò che pure hanno un rigoroso bisogno di conoscere per conservare la loro fede, per praticarla fedelmente, per conservarla intatta fino al termine del loro percorso.

Ecco la condizione presso che generale dei cristiani che hanno finito gli studi alla scuola primaria.

Ma abbiamo scuole secondarie, scuole superiori, persino l'Uni­versità. Se da qualche parte c'è la scienza, è là che dev'essere.

A proposito della scienza vorrei, Signora, farvi notare un fenomeno di cui, assai a torto, non si tien conto.

Poiché la fiaccola della fede è accesa nel mondo, e accesa per mano di Dio, è per ciò stesso inestinguibile. Brilla nonostante tutto. Tutti gli spiriti lo sanno; e allora, a causa del bisogno di sapere che la fede depone in noi col battesimo, in coloro che hanno l'amore della scienza avviene un lavoro interiore che li spinge a conquiste grandio­se sull'ignoranza: essi vogliono sapere.

Noi diciamo che questo è un effetto della fede: ed è il fenomeno piú notevole e meno notato che vi sia al mondo. Vi si faccia bene attenzione: in nessun luogo gli spiriti lavorano tanto per la scienza quanto dove c'è la fede. Forse che l'Asia o l'Africa sono animate da questa passione della scienza che vediamo cosí ardente nella nostra Europa battezzata? Assolutamente no. Là gli spiriti dormono, qui sono desti. La ragione della differenza è facile a cogliersi. La fiaccola della fede là è spenta. Non si battezza. Qui si battezza, e la fede versa in mezzo a noi le sue luci piú potenti e piú abbondanti. E gli spiriti, stimolati dall'operazione dello Spirito di Dio che ci ha dato la fede, s'accendono d'un bel fuoco per la scienza: ancora una volta, voglio­no sapere.

Tutti i battezzati hanno ricevuto lo stimolante divino. E nei nostri scienziati, il punto di partenza è la fede. Ma alcuni l'hanno conservata, altri perduta. Gli spiriti camminano da quel momento su vie molto diverse, pur avendo ricevuto gli uni e gli altri, nel dono della fede, l'energía del desiderio che li porta verso la scienza,).

Per una conseguenza logica, la scienza tenderà verso due scopi diversi, a seconda che gli spiriti abbiano conservato o perduto la fede. E mai come ai nostri giorni, forse, s'è potuta osservare tanto chiaramente questa sorta di biforcazione nella direzione seguita dalla scienza.

Esiste oggi una scienza che vuol credere: in ciò cammina verso il vero, secondo Dio, e secondo la legge immutabile dello sviluppo dello spirito umano.

Esiste anche una scienza che non vuol credere: e farebbe di tutto per mantenersi in un rifiuto che tuttavía non è affatto scientifico: non credere.

Dall'una e dall'altra parte vediamo spiriti attivissimi, ardentissimi, ansiosissimi d'arrivare allo scopo. Dall'una e dall'altra parte scuole, lavori seri, e un'emulazione che sarebbe egualmente lodevole, se lo scopo perseguito fosse egualmente legittimo.

Bisogna dirlo: la scienza che cammina contro la fede oggi tiene un linguaggio tracotante. Ha per sé mille appoggi nel mondo esterno. Forte della sua impalcatura, aspira a spegnere la fiaccola divina della fede.

Ma in tutto questo non c'è nulla di nuovo. Leggiamo nel libro piú antico del mondo che gli uomini si dissero un giorno: All'opera! costruiamo una torre che salga fino al cielo. Si misero all'opera, costruírono una torre, e non scalarono il cielo.

Allo stesso modo gli uomini di oggi si dicono: All'opera! eleviamo l'edificio della scienza, e daremo la scalata alla fede. Lavorano, e il loro edificio, come quello dei loro predecessori, si chiamerà Babele.

L'uomo non ha creato la luce; il giorno in cui crederà d'aver provato che la luce non è che tenebre, Dio gli griderà: Maledetto! Lo chiamerà al suo giudizio, e continuerà a versare nelle anime la luce della fede.

La scienza che combatte la fede non raggiungerà lo scopo. Non prevarrà contro la fede, è evidente; ma per di piú non sussisterà neppure come scienza: finirà, la Scrittura lo dice, col dissolversi.

La scienza sarà salvata dagli uomini di fede: e per essi è sacro dovere avanzare sia nella scienza sia nella fede.

Ecco lo spettacolo che ci offre oggi il mondo. Qui l'ignoranza, purtroppo, è il corredo della maggioranza. Altrove, la fede; e poi, dov'è la fede, la scienza, fedele negli uni, infedele negli altri; da una parte tesa a lottare contro la fede, contro lo stesso Dio; dall'altra impegnata ad abbattere, seguendo San Paolo, tutto quanto abbia la pretesa di levarsi contro Dio.

La lotta è ingaggiata, la mischia è accanita; e benché Dio debba rimaner vincitore sempre e dappertutto, noi ci auguriamo che i credenti non síano mai in ritardo. All'opera, diremo loro; e se quelli che hanno perduto la fede lavorano per Babele, noi, credenti, edifi­chiamo Gerusalemme.

Credo.



XII. Sulla necessità d'avere una fede lucida.

L'apostolo San Pietro, scrivendo ai primi fedeli, e istruendo in essi i fedeli di tutti i tempi, diceva: "Siate sempre pronti a rispondere in difesa della religione a chiunque vi domandi la ragione della speranza che è in voi".

Ciò che traduciamo con a rispondere in difesa della religione è espresso nel testo di San Pietro con una sola parola. Egli dice, alla lettera: "Siate sempre pronti all'apologia (o per l'apologia)"; ciò significa che, secondo le solenni istruzioni del nostro Santo Padre il papa San Pietro, ogni cristiano dev'essere sempre pronto all'apologia, alla difesa della religione, di fronte a chiunque gli domandi la ragione della speranza ch'egli porta in sé.

Bisogna pesare le parole di San Pietro: sempre pronti, a chiun­que. Evidentemente, per essere sempre cosí pronti, pronti di fronte a chiunque, ci vuole una dose d'istruzione cristiana, che oggi non è comune fra i cristiani.

Ma, per timore di non sembrare esagerato in alcunché, voglio dare la parola a un interprete che non si potrebbe respingere, Traduco: "Ecco il pensiero di San Pietro: Poiché gl'infedeli chiamano vana la speranza che voi avete da Gesú Cristo d'una vita futura e d'una gloria eterna, vi avviso d'aver sempre pronta una risposta con la quale voi possiate dimostrare che la vostra fede e la vostra speranza poggiano su ragioni solide, sia che abbiate di fronte un contraddittore, sia un uomo semplicemente desideroso d'istruirsi, il quale vi doman­di perché voi disprezzate i beni della vita presente, e soffrite quaggiú tanti mali.

Non bisogna però interpretare ciò nel senso che San Pietro esiga che tutti i cristiani síano dei teologi, capaci di dissertare sui dogmi della fede, sia come dottori, sia come apologeti.

San Pietro esige da ciascun fedele una cosa soltanto: ch'egli possa rispondere in modo soddisfacente, secondo le sue capacità, a chi lo interroghi e gli domandi ragione di quanto crede e spera come cristiano.

Ci sono in effetti delle ragioni generali con le quali ogni cristiano poteva sempre difendersi contro i pagani, e rispondere a chi lo interrogava: per esempio, che la religione cristiana è stata annun­ciata dai profeti, che è stata confermata da innumerevoli miracoli operati dal Cristo e dagli apostoli, che insegna la giustizia, l'innocen­za e la carità spinte fino all'amore dei nemici, che è una religione castissima. Oppure: che il mondo è governato dalla provvidenza d'un Dio unico, la quale esige che alla fine ciascuno riceva secondo le proprie opere; che nulla è impossibile a Dio; che non ci si deve meravigliare se la nostra fede e la nostra speranza sorpassano l'intelligenza umana, dal momento che nella natura stessa vi sono tante cose che il nostro spirito non riesce a penetrare.

Allo stesso modo, ai nostri tempi, vi sono buone ragioni e argomenti generali, che sono come dei primi principii, su cui bisogna che i fedeli síano istruiti (e istruiti dai loro parroci) per rispondere agli eretici che attaccano la fede cattolica, o che ne vogliono discutere. Questi principii sono: che la Chiesa di Gesú Cristo è una, e che è visibile e manifesta; ch'essa s'è perpetuata dagli apostoli fino a noi attraverso la successione dei vescovi; che ha avuto nel suo seno un gran numero di santi martiri e confessori, che in tempi diversi hanno confermato e suggellato la fede cattolica con la loro dottrina e i loro miracoli; che la Scrittura ci prescrive d'ascoltare questa Chiesa che è la colonna e la base della verità.

È in questo senso che San Giovanni istruísce i fedeli, al capitolo IV della sua prima Lettera. Dopo aver detto: Saggiate gli spiriti, per sapere se sono da Dio, egli prescrive loro questo stesso metodo generale di saggiare la fede, quando dice: Chi conosce Dio ci ascolta, cioè ascolta gli apostoli e i loro successori; chi non è da Dio, non ci ascolta. Da questo soltanto noi riconosciamo lo spirito di verità e lo spirito dell'errore".

Il nostro commentatore aggiunge: "Ciò non di meno, è assai opportuno che i fedeli possiedano, secondo le loro capacità, le ragioni piú particolari e le prove speciali, per poter rispondere" a chiunque.

La parola di San Pietro e le spiegazioni del suo commentatore vi mostrano a sufficienza, Signora, quale dev'essere la fede dei cristiani.

Non abbiamo piú che una parola da dire, e sarà la preghiera degli apostoli a Nostro Signore: Adauge nobis fidem! Signore, aumenta la nostra fede! (Luca, 17, S).

Diciamo insieme: Credo.

Padre Emmanuel


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