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Chi è venuto dall'Aldilà? (storie autentiche su cui meditare)

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 16:46
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05/09/2009 16:37


CHI E’ VENUTO DALL’ALDILA’?

Tratto da: L'ALDILA’ STUPENDA REALTA’ - Il Paradiso
di P. GNAROCAS N.J. EDITRICE COMUNITÀ Via S. Pietro, 87 - ADRANO (Catania)

Don Teodosio Galotta, salesiano di Napoli, era am­malato così gravemente che i suoi parenti gli avevano preparato il loculo al cimitero con l'iscrizione già fatta.

L'urologo, dott. Bruno, fece questa diagnosi: Neo­plasia prostatica con metastasi ossee e polmonari, una prostata aumentata di volume, di consistenza lignea e di superficie bornoccoluta.

La diagnosi era stata confermata dalle radiografie: Alterazione strutturale del terzo prossimale del femore destro e delle branche ischio-pubiche, specie a sinistra, per lesioni del tipo osteolitico. Nei campi polmonari al­ti, specie a destra, presenza di noduli neoplastici meta­statici.

Descrivendo poi dettagliatamente quanto riscontra­to, il radiologo, pro f. Acampora, aveva aggiunto: L'alte­razione si presenta con scomparsa della normale trabecolatura ossea, sostituita da aree di osteolisi alternate ad aree di addensamento osseo, riproducenti il tipico quadro neoplastico del tipo osteoclastico e in parte osteoclastico. Successivamente si notò una frattura del piccolo trocantere di destra...

L'internista dott. Schettino, nella sua dichiarazio­ne scritta, aveva parlato, in occasione dei due gravi col­lassi periferici, di condizioni fisiche molto precarie e di situazione molto pericolosa per la vita del paziente. Il medico legale a sua volta, dopo aver esaminato tutta la documentazione, disse che si trattava di una diagno­si precisa e non di un sospetto diagnostico o di un enun­ziato nosologico di probabilità.

La notte del 25-10-1976 Don Teodosio Galotta arri­vò alla fine: era quasi in coma. L'assistente toccandogli il polso si lasciò sfuggire: Non si sente più.

Don Galotta, che ancora capiva, al sentire questo, invocò nel suo cuore i due martiri salesiani della Cina: Mons. Versaglia e Don Caravario, aiutatemi voi.

Subito gli comparvero i due martiri e gli dissero: Non temere, ci siamo noi.

All'istante Don Galotta guarì completamente. La do­cumentazione medica è ora a Roma presso la Sacra Con­gregazione per le Cause dei Santi, per la beatificazione dei due martiri.

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Chi è venuto dall'aldilà?

L'episodio qui riportato è uno dei miracoli studia­ti dalla Chiesa per la causa di Beatificazione di Papa Gio­vanni XXIII.

Suor Caterina Capitani, suora delle Figlie della Ca­rità della provincia napolitana, cominciò ad accusare disturbi alla salute alcuni mesi dopo la vestizione. Era il 1962, la Suora aveva 18 anni e lavorava come infer­miera presso gli Ospedali Riuniti di Napoli. Fino a quel tempo la sua salute era stata molto buona. Un giorno avvertì un dolore intercostale noioso, al quale non die­de nessuna importanza. Dopo un paio di mesi però eb­be una emorragia e questa volta si spaventò. Era nella sua stanza. Ebbe un conato di vomito, corse al lavabo con la bocca piena di sangue molto rosso. Poiché le ave­vano insegnato che il sangue molto rosso proviene dal torace, pensò con terrore alla tisi. Con una simile ma­lattia la sua vita di suora sarebbe finita perché la rego­la della Congregazione delle Figlie della Carità esige che le aspiranti religiose siano sane per poter affrontare i sacrifici che il lavoro in ospedale richiede.

Suor Caterina per il momento decise di non dir niente a nessuno. Per alcune notti non riuscì a dormi­re, ma poi, vedendo che l'emorragia non si ripeteva e che il dolore intercostale era scomparso, riprese la vita di sempre.

Per sette mesi non accadde più niente. Poi all'im­provviso, senza alcun sintomo preventivo, ecco un'altra terribile emorragia che lasciò la suora molto spossata.

Cominciarono visite, controlli, esami clinici. Furo­no fatte radiografie del torace, dello stomaco, stratigra­fie. Nessuno riusciva a trovare il perché di quelle emorragie.

Nel 1964 i medici degli Ospedali Riuniti si dichia­rarono vinti e Suor Caterina passò all'Ospedale «Asca­lesi» sotto le cure del professor Alfonso DAvino.

Una eso fagoscopia rivelò una zona emorragica nel segmento toracico: sembrava che tutti i malanni pro­venissero da lì. Allora la Suora fu portata all'Ospedale Pellegrini dell'ematologo professor Giovanni Bile, ma anche egli non riuscì a migliorare la situazione. Restò un'ultima speranza: ricorrere al prof. Giuseppe Zanni­ni, direttore dell'Istituto di semeiotica chirurgica del­l'Università di Napoli, una personalità di spicco nel cam­po medico internazionale. Dopo una lunga visita e un'a­nalisi minuziosa di tutti i referti degli altri medici, il professor Zannini iniziò una nuova cura che durò cin­que mesi. Anche questa volta però la situazione non cambiò, per cui il professore decise di sottoporre la Suo­ra a un intervento chirurgico.

Suor Caterina fu ricoverata nella Clinica Mediter­ranea e tre giorni dopo venne operata. L'intervento du­rò cinque ore. Lo stomaco, all'interno, era completamen­te ricoperto di varici. Una forma ulcerosa strana e rara, provocata forse da un cattivo funzionamento della mil­za e del pancreas che risultavano in pessime condizioni. Il professore fu costretto ad asportarle lo stomaco, la mil­za e il pancreas. Si trattò di un intervento molto delica­to e le probabilità che la Suora uscisse viva dalla sala operatoria erano minime. Il pericolo sembrava supera­to. Le consorelle di Suor Caterina, senza perdere la fidu­cia, continuavano a pregare con fervore Papa Giovanni.

Nei giorni seguenti l'operazione lo stato di salute della Suora andò peggiorando. Durante la prima notte ebbe un collasso, poi un blocco intestinale la gonfiò co­me una botte. Il professore, molto preoccupato, pensa­va che fosse necessario un altro intervento. Ma dopo no­ve giorni le condizioni della Suora migliorarono all'im­provviso, ma fu un miglioramento illusorio.

Tre giorni dopo, mentre la Suora stava sorseggian­do un po' di liquido ed ecco che divenne cianotica e per­se i sensi. Accorsero i medici con l'ossigeno. La visita­rono riscontrandole la pleurite. In seguito alle cure ap­propriate ci fu un miglioramento e dopo dieci giorni fu in grado di uscire dalla clinica.

Ancora una volta però il miglioramento fu brevis­simo: dopo due settimane cominciò a peggiorare. Suor Caterina vomitava succhi gastrici in grande quantità.

Erano così forti che le bruciavano la pelle. Dopo alcuni giorni aveva la parte inferiore della faccia ridotta a una piaga e poiché non riusciva a ingerire niente, veniva nu­trita con flebloclisi. Il professore Zannini, sempre più preoccupato, decise di mandarla a casa, a Potenza, per provare se l'aria nativa potesse giovarle. Ma dopo due mesi la Suora ritornò a Napoli peggiore di quando era partita. Sembrava un cadavere.

Il 14 maggio 1966, dopo una breve crisi di vomito, si era aperto sullo stomaco un buco dal quale uscivano succhi gastrici, sangue e quel poco di succo d'arancia che la Suora aveva bevuto poco prima. Si era formata una perforazione che aveva causata una fistola ester­na. Era in atto una peritonite diffusa. La febbre era sa­lita a 40. La situazione era disperata. Il professor Zan­nini la fece ricoverare immediatamente all'Ospedale del­la Marina. Le ordinò delle medicine in attesa dello svi­luppo della crisi, perché un intervento chirurgico in quelle condizioni era impensabile.

Essendo in pericolo di morte, fu concesso alla Suo­ra di emettere i voti anzitempo e dopo le fu amministra­to l'Olio degli Infermi.

Nel frattempo una consorella le portò da Roma una reliquia di Papa Giovanni, che Suor Caterina mise sul­la perforazione dello stomaco e pregava il Papa di por­tarla con lui in Paradiso. La fine si avvicinava.

Il 25 maggio verso le 14,30 Suor Caterina si assopì. A un certo punto sentì una mano che le premeva la fe­rita sullo stomaco e una voce d'uomo che la chiamava. La Suora pensò che fosse il professor Zannini che ogni tanto veniva a controllare le sue condizioni. Suor Cate­rina si girò verso la parte da cui veniva la voce e vide, accanto al suo letto, Papa Giovanni. Era lui che teneva la mano sulla ferita dello stomaco. Papa Giovanni le di­ce: Non temere, non hai più niente. Suona il campanel­lo, chiama le suore che stanno in cappella, fatti misu­rare la febbre e vedrai che la temperatura non arriverà neppure a 37 gradi.

Mangia tutto quello che vuoi, come prima della ma­lattia. Non avrai più niente. Va dal professore, fatti vi­sitare, fa'delle radiografie e fai mettere tutto per iscrit­to, perché un giorno queste cose serviranno.

La visione scomparve e solo allora mi resi conto che non era stato un sogno. Suor Caterina si sentiva bene, non aveva più alcun dolore. Suona il campanel­

lo, le suore accorrono. La madre superiora pensò su­bito che la suora fosse in preda al delirio che precede la morte.

Trovarono la Suora seduta a metà letto. La guar­davano trasognate. Suor Caterina, non potendo conte­nere la gioia, quasi gridando disse: Sono guarita. È sta­to Papa Giovanni. Misuratemi la febbre, vedrete che non ho più nulla. La febbre arrivò a 36,8. Ora datemi da man­giare perché ho fame.

La febbre arrivò a 36,8. Con grande voracità ingoiò semolino, polpette, una minestrina, anche un gelato. Era guarita completamente. Della fistola nessuna traccia: la pelle era liscia, pulita e bianca. Allora Suor Caterina raccontò alle sue consorelle l'apparizione di Papa Giovanni.

Da quel giorno Suor Caterina non ha avuto più niente. I medici la visitarono, la sottoposero a decine di radiografie. Dei suoi malanni non c'era più nessuna traccia.

Il giorno dopo il miracolo la suora riprese una vita normale. Sono trascorsi più di 27 anni e ella sta be­nissimo.

Il testimonio più prezioso del miracolo è il profes­sor Zannini, il quale afferma: La guarigione di Suor Ca­terina è un caso di cui non trovo spiegazione nella scien­za medica. Ho operato io l'ammalata, le ho asportato quasi tutto lo stomaco perché affetto da una gastrite ul­cerosa emorragica gravissima. Le lasciai poco più di un centimetro di stomaco. Le asportai anche la milza. Ci fu una convalescebnza difficile, l'ammalata non pote­va nutrirsi. Poi si aprì la fistola, ci fu fuoriuscita di li­quido, peritonite, febbre altissima, stato ansioso grave, condizioni disperate.

Non era possibile intervenire con una nuova ope­razione. Feci delle prove: tutto quello che l'ammalata beveva usciva dalla fistola. Consigliai trasfusioni, pla­sma, antibiotici, più che altro come terapia d'attesa. Non ebbi successo: la fistola s'ingrandì e le condizioni del­l'ammalata peggiorarono. Avevo pensato di far traspor­tare Suor Caterina alle sezione rianimazione degli Ospe­dali Riuniti di Napoli per fare un ultimo tentativo. In­vece ricevetti una telefonata in cui mi diceva che la Suo­ra era migliorata. Andai a trovarla e con mia somma sopresa la trovai perfettamente guarita. Per il momento non venni informato di quello che era realmente ac­caduto. Continuai il mio lavoro di medico sottoponen­do l'ammalata ad esami radiografici, visite, ecc. Nessu­na traccia di malattia. Solo venti giorni dopo la supe­riora m'informò dell'apparizione di Papa Giovanni.

Affermo che non ho mai visto una cosa del genere, né posso immaginare come ciò sia potuto accadere. Non trovo modo di spiegare scientificamente quello che è ac­caduto.

Sono un medico e ho seguito il caso con la freddez­za del medico. Sono stato anche più pignolo e scrupo­loso dopo che mi hanno raccontato dell'apparizione di Papa Giovanni.

Sono pienamente convinto che si tratta di una gua­rigione assolutamente inspiegabile, al di fuori delle leggi fisiologiche e dell'esperienza umana. Il fatto che resi­sta da tanti anni, senza ricadute, la rende ancora più inspiegabile e insieme importante.

(Da « Un uomo mandato da Dio - Biografia di Giovanni XXIII» di Renzo Allegri - Editrice Ancora Milano).

Chi è venuto dall'aldilà?

Il Venerabile P. Domenico di Gesù Maria (+1630) era solito tenere nella sua cella, come si usa nell'Ordi­ne Carmelitano, un teschio vero, sia per ricordare la morte come per avere un richiamo al dovere di carità di suffragi verso i defunti.

Quando arrivò al convento di Roma, nella cella che gli venne assegnata trovò un teschio, da cui una notte udì una voce alta e spaventevole che gridava: «In me­moria hominum non sum - nessuno si ricorda di me». Le parole furono ripetute più volte e udite in tutto il dormitorio del convento. Il Venerabile rimase stupito e timoroso, dubitando che si trattasse di un fenome­no diabolico. Si mise subito a pregare per sapere cosa dovesse fare. Prese poi dell'acqua benedetta e aspergen­dola sopra il teschio, il medesimo pronunciò queste al­tre parole: «Acqua, Acqua, misericordia, misericordia».

Il religioso gli domandò chi era e che misericordia voleva. Il defunto rispose dandogli queste informazio­ni: era un tedesco, venuto a Roma a visitare i Luoghi Santi. Il suo corpo era stato sotterrato da molto tempo nel camposanto, l'anima si trovava in Purgatorio a pa­tire pene intollerabili. Non aveva nessuno che gli faces­se del bene, né chi si ricordasse di lui, e perciò lo prega­va di aspergerlo continuamente con l'acqua benedetta. Gli raccomandò che pregasse per lui il Signore affinché lo liberasse da quelle pene.

Padre Domenico promise. Pregò molto e fece peni­tenze. Pochi giorni dopo il defunto gli comparve in cel­la per ringraziarlo del beneficio della liberazione dal Purgatorio, promettendogli riconoscenza.

(Dai processi di beatificazione del P. Domenico di Gesù Maria)

Chi è venuto dall'aldilà?

A Roma, nel 1873, alcuni giorni prima della festa dell'Assunzione, in una di quelle case, dette di tolleran­za, accadde che si ferisse alla mano una di quelle scia­gurate giovani. Il male, che in sulle prime fu giudicato leggero, inaspettatamente si aggravò tanto che la mise­ra, trasportata all'ospedale, morì nella notte.

Nello stesso istante una delle sue compagne, che non poteva sapere ciò che avveniva nell'ospedale, cominciò a gridare disperatamente, così che svegliò gli abitanti del quartiere, mettendo lo sgomento fra quelle miserabili in­quiline e provocando l'intervento della questura.

La compagna morta nell'ospedale le era apparsa, circondata di fiamme, e le aveva detto: Io sono danna­ta e se tu non lo vuoi essere, esci subito da questo luogo d'infamia e ritorna a Dio!

Nulla potè calmare l'agitazione di questa giovane, la quale, appena spuntata l'alba, se ne andò via, lascian­do tutta la casa nello stupore, specialmente allorché si seppe della morte della compagna nell'ospedale.

Stando così le cose, la padrona del luogo infame, che era una garibaldina esaltata, si ammalò gravemen­te e, pensano all'apparizione della dannata, si conver­tì e volle un Sacerdote per ricevere i Santi Sacramenti. L'autorità ecclesiastica incaricò un degno Sacerdote, Monsignor Sirolli, Parroco di San Salvatore in Lauro, il quale richiese all'inferma, alla presenza di più testi­moni, la ritrattazione delle sue bestemmie contro il Sommo Pontefice e la dichiarazione di cessare dall'in­fame industria che esercitava. La donna morì con i Con­forti Religiosi.

Tutta Roma conobbe ben presto i particolari di que­sto fatto. I cattivi, come sempre, si burlarono dell'acca­duto; i buoni invece ne approfittarono per divenire mi­gliori.

Chi è venuto dall'aldilà?

Nell'anno 1863 fu ricoverata all'ospedale del Cotto­legno la sessantenne israelita Sara Pescarolo. Un Sacer­dote la visitò più volte e fece pregare il Servo di Dio P. Giuseppe Cottolengo (+1842) affinché avesse la grazia del Battesimo. Di questo Sacramento egli parlava va­gamente all'inferma. Ella rispondeva: Adesso no. - Ve­dendola in pericolo di morte «mi feci a parlare schiet­tamente e apertamente sulla necessità del Battesimo per salvarsi - racconta il teste Don Domenico Bosso - e da una parola che proferì mi parve che fosse disposta a riceverlo, per cui mi accinsi ad amministrarglielo, ma essa si alzò dal capezzale furibonda, respingendomi con le mani e dimostrando nel modo più energico la sua vo­lontà contraria. Le feci notare che se io mi ero accinto ad amministrarle il Battesimo, fu perché credevo che fosse disposta a riceverlo, ma vedendo che la cosa non era così, le disse che stesse pure tranquilla che io non glielo amministravo, poiché la religione stessa ci vieta di conferire il Battesimo a chi non lo vuole ricevere, e che mai io avrei usato violenza». Don Bosso si ritirò a pregare. «Dissi con confidenza queste precise parole: "Padre Cottolengo, se siete in Cielo, come lo credo fer­mamente, e se il processo canonico che deve iniziarsi di qui a qualche giorno è di gloria di Dio, e dovrà quin­di avere un buon esito, datemi un segno. Il segno che vi domando è la conversione di quella israelita, ma fa­te in modo che non sia più io a presentarmi a lei per persuaderla a farsi battezzare, ma lei stessa mi faccia chiamare e mi preghi a volerla battezzare!". Con mio stupore l'inferma non solo non morì in quella notte, ma ebbe un piccolo miglioramento...».

L'indomani (sabato) il medesimo Sacerdote fu av­visato che la Pescarolo per ben tre volte l'aveva chia­mato, che voleva parlarli e che voleva essere battezza­ta quella sera stessa. L’ ammalata manifestava a Don Bosso che desiderava sinceramente di essere battezza­ta. Il Sacerdote volle che dichiarasse questa sua volon­tà davanti a due testimoni. Accondiscese e così fu fatto. La domenica successiva, dopo nuova interrogazione alla presenza di tre altri testimoni, fu battezzata, dimostran­dosi tutta contenta. Otto giorni dopo, davanti al rabbi­no, dichiarava fermamente: «Sì, sono io che ho voluto farmi cristiana e nessuno mi ha costretta».

(Dal processo per la beatificazione e canonizzazio­ne di Giuseppe B. Cottolengo).

Chi è venuto dall'aldilà?

(«Io sarò alle tue spalle a proteggerti») Rachelina Ambrosini, una ragazza di eccezionale bontà, moriva il 10 marzo 1941 a soli 15 anni e 8 mesi. Dopo la morte continuò a farsi viva. Ecco alcuni episodi. Umberto Mirra da Campanarello (Avellino), nel 1941 è alle armi, si ammala di polmonite e viene condotto all'ospedale di Salerno. Una notte gli appare Rachelina vestita tutta di bianco e gli dice: «Non aver paura, stai già bene e fra poco andrai a vedere la tua famiglia». La predizione si avverò pienamente. - Lo stesso anno il Mirra è trasferito dalla Sicilia all'alta Italia per prepa­rarsi ad andare in Russia. Una notte gli appare di nuo­vo Rachelina e gli dice: «Non aver paura, per te c'è chi ci pensa; parti contento; tornerai sano e salvo». In Rus­sia, nel 1942, sta per iniziarsi un'azione bellica e Um­berto è molto preoccupato. Rachelina gli appare la ter­za volta: «Perché sei così malinconico e hai tanta pau­ra? I Russi sono già andati via; tu e i tuoi compagni an­date senza timore. Già te lo dissi che tornerai a casa sa­no e salvo». E infatti - conclude la relazione - sono tornato a casa mia».

A Domenico Colantuoni, soldato a Cava dei Tirre­ni, e disperato perché deve partire per la Sicilia, la «san­tina», come egli la chiama, batte sulla spalla - mentre in pieno giorno si è addormentato - e gli dice: «A che pensi? Su, su, non preoccuparti che io sarò alle tue spal­le a proteggerti». Infatti invece che in Sicilia viene man­dato a Salerno. Qui per un po' le cose vanno bene, ma poi incominciano i bombardamenti e i pericoli.

Una notte, mentre dopo una delle solite incursio­ni, il Colantuoni prende un po' di sonno, torna Racheli­na. Altro che festa con quella musica! E lei a insistere: «Stai contento che io ti proteggo».

Di lì a un po' arriva il sergente e gli ordina di anda­re con altri a tagliare dei rami d'albero per mascherare un po' le tende. Colantuoni si alza e obbedisce. Mentre ritornano, ecco gli aeroplani nemici, i compagni cerca­no rifugio sotto un'altra ripa; Domenico, senza saper per­ché, rimane distaccato da loro e si arrangia come può. Cade una bomba: quelli che sono sotto la ripa vengono travolti, Colantuoni rimane completamente illeso -.

Antonio Villani narra, sotto vincolo di giuramen­to, il seguente episodio: «Nel 1942, trovandomi nello spaccio cooperativo del mio reggimento (4 carristi), udii un collega di armi raccontare quanto appresso. Trovan­domi accampato in località esposta alle offese del ne­mico, una notte, mentre riposava, gli appare una giovi­netta e gli dice di allontarsi da quel luogo perché vi sa­rebbero cadute delle bombe. Il soldato non dette impor­tanza e continuò a dormire. Una seconda volta compar­ve la fanciulla che gli ripeté con insistenza di allonta­narsi di lì e mettersi in salvo se non voleva rimanere ucciso. Il soldato, impressionato, avvertì i compagni, ma questi scoppiarono a ridere e lo motteggiarono, per cui anche egli, sebbene con l'animo turbato, rimase sotto la tenda con loro. Ed ecco che l'apparizione ritorna per la terza volta e gli dice: «Non vuoi proprio salvarti? Io ti confermo, che fra pochi minuti il campo sarà bom­bardato». Allora il sodato, sgomento, le domandò: «Ma tu chi sei?». L'apparizione rispose: «Sono Rachelina Am­brosini, figlia del Dott. Alberto». Il suo aspetto era di un angelo. Il soldato si alzò di scatto esclamando: «Chi mi vuol seguire, mi segua, e uscì dalla tenda seguito da altri due soldati. Gli altri rimasero. Ma non erano tra­scorsi che pochi minuti quando apparecchi nemici ro­vesciaraono sul campo proiettili d'ogni calibro seminan­dovi la distruzione e la morte» (I. Felici - Il volo di un Angelo - Ediz. Paoline).



Chi è venuto dall'aldilà?

San Leopoldo Mandic è il famoso Cappuccino con­fessore a Padova, morto nel 1942. Le sue apparizioni do­po morte, numerose e ben documentate, costituiscono (come quelle degli altri santi) altrettanti indizi della so­pravvivenza. Le guarigioni istantanee di malattie orga­niche seguite in parecchi casi alle apparizioni indicano che non si tratta di allucinazioni. Ecco il racconto di una pe rsona guarita.

Il fatto che, in certe apparizioni, il Santo sia stato creduto persona corporea vivente in questo mondo, che sia stato toccato, che abbia portato oggetti fisici, fa pen­sare ad un corpo parasomatico. Ecco il caso di Teresa Pezzo:

«Ero da molto tempo affeta da gravi disturbi al fe­gato. Si tentarono varie cure, ma tutto inutilmente, tan­to che il 22 ottobre 1946, nonostante il persistere della febbre, venni sottoposta a gravissimo intervento chirur­gico di oltre tre ore. Dopo parecchi giorni passati tra la vita e la morte, mi ripresi alquanto e andai a Bovolone presso lo zio Arciprete, monsignor Bartolomeo Pezzo. Per un po' di giorni tutto andò bene, ma il 4 dicembre dovetti rimettermi a letto perché mi ritornarono fortis­simi i dolori, la febbre risalì oltre i 40, ricominciò il vo­mito quasi continuo, tanto che non potevo ritenere nem­meno una goccia d'acqua. Si aggiunse un gonfiore du­ro e voluminoso al di sopra del taglio dell'operazione; i dolori continui e acutissimi si estendevano alla gam­ba e al braccio destro. Divenni così debole che non potevo quasi più parlare. Il medico curante dichiarò che si era ritornati allo stato di prima dell'operazione e for­se peggio.

Dietro esortazione di un padre cappuccino, di pas­saggio da Bovolone, il giorno 8, domenica, cominciai la novena di Padre Leopoldo e posi una sua reliquia sulla parte ammalata. Martedì notte, mi addormentai alle 11.30. Sonava mezzanotte quando all'improvviso mi ap­parve Padre Leopoldo. Era identico alla sua immagine, ma senza stola e molto più bello. La stanza, quantun­que la luce fosse spenta, era illuminata a giorno. Il Pa­dre si avanzò sino quasi al mio letto. Tra noi due av­venne il dialogo seguente:

"Mamma! Mamma!" gridai io tra gioia e lo spavento.

"Non aver paura!" disse Padre Leopoldo. "Tu ti ac­costi tutte le mattine alla santa comunione a letto, non è vero?".

"Sì, Padre".

"Domani" continuò Padre Leopoldo mettendomi una mano sulla spalla "alle 8 vai in chiesa, ascolta la santa messa e fai la comunione, perché sei guarita. E ogni giorno dovrai recitare una corona di Gloria Patri. Questo per tutta la vita".

"Sì, Padre, anche due!".

"Brava! Tu hai sofferto molto nella tua vita, specie in questo ultimo periodo, ma questo, cara, lo troverai nella eternità! Tu devi sempre fare del bene al mondo e, se ti giungerà qualche brutto momento, dolori e ma­lattie, sopporta tutto con rassegnazione e soffri tutto per amore di Dio" .

"Padre, che grazia!".

"Quando termini la novena?". "Lunedì ".

"Allora tornerò lunedì a mezzanotte perché ho mol­te cose da dirti. Intanto ti dò la benedizione".

«Mi benedisse e scomparve dicendo: "Sia lodato Ge­sù Cristo!" ».

«Scomparso Padre Leopoldo, mi scossi. Credevo di aver sognato, ma mi trovai perfettamente guarita. Non più dolori al fegato, scomparso il gonfiore, i dolori alla gamba e al braccio, cessata la febbre.

La zia, che dormiva in camera con me, aveva senti­to tutte le parole mie, ma non quelle di Padre Leopol­do, e non aveva visto nulla.

La mattina mi alzai, scesi frettolosa le scale, men­tre il giorno prima non potevo nemmeno reggermi in piedi, andai in chiesa alla Messa delle 8, feci la santa comunione, rimasi a lungo in preghiera e poi, ritorna­ta in canonica, mangiai con un appetito formidabile sen­za sentire alcun disturbo. Ero perfettamente guarita.

Il fatto suscitò nel paese una grande impressione, perché a tutti era nota la mia dolorosa condizione, e si accese una vivissima attesa della nuova apparizione pro­messa. Gran numero di persone m'incaricarono di pre­sentare a Padre Leopoldo domande su diverse cose. Alla mezzanotte tra il 16 e il 17 dicembre, Padre Leo­poldo mi comparve di nuovo, circonfuso di luce, in mo­do da illuminare la stanza a giorno. Mi parlò di molte cose riguardanti la mia vita spirituale e mi raccoman­dò in modo particolare di pregare. Poi rispose alle do­mande che gli presentavo. Io scrivevo le risposte man mano che Padre Leopoldo parlava, e le scrivevo alla lu­ce della visione perché la lampada era spenta. La zia che dormiva nella stessa camera e un sacerdote fuori dalla porta udivano le mie parole, ma non vedevno nulla e non sentivano le parole del Padre. Appena questi scom­parve, io accesi la lampada esclamando: "Che bellezza!

Che bellezza!': Tenevo in mano il foglio che avevo scrit­to sotto dettatura di Padre Leopoldo, con la penna for­nitami dallo stesso Padre.

Mia zia mi disse poi che durante la visione cera per lei nella stanza buio perfetto, mi aveva sentito far scor­rere velocemente la penna sulla carta, ma che quando Padre Leopoldo scomparve e si accese la lampada, essa vide in mano mia il foglio scritto, ma non la penna con cui l'avevo scritto.

Rileggendo le risposte di quel foglio, rilevai una co­sa molto importante: Padre Leopoldo si lamenta quasi con tutti che pregano poco e male, e insiste con tutti che preghino di più se vogliono che Dio li benedica». Valdi­porro (Verona), 28 dicembre 1946: Teresa Pezzo.



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