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Chi è venuto dall'Aldilà? (storie autentiche su cui meditare)

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 16:46
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05/09/2009 16:40

Chi è venuto dall'aldilà?

Una sera afosa di luglio, uno dei più noti professio­nisti di Milano, l'istologo A.P. (si tace il nome per vo­lontà del protagonista della vicenda) lasciò la clinica per recarsi nel suo studio. Qui visitò un'ammalata, e men­tre stava stendendo una breve relazione, entrò l'infer­miera dicendo con voce strana: Professore, c'è di là una bambina. -Andò in anticamera a vedere. «In piedi, con­tro la porta d'ingresso - narra il professore - c'era una bambina di dieci anni circa, magrolina, pallida d'un pal­lore quasi mortale e nel cui volto brillavano due occhi immensi, febbrili che si guardavano fissi. Un abitino a fiori di percalle, e due treccine brune ornate da due no­dini rossi, ma d'un rosso tanto vivo da dare fastidio. Le chiesi: "Che vuoi piccola? sei sola?..."

Mi guardò fissamente, poi con una voce del tutto imprevista, opaca, disse: - la mamma è tanto malata ! - E... dov'è la tua mamma? - In via Pioppette. - Non so perché rispondo: Vengo subito -.

Vado in studio, depongo il camice e torno in anti­camera. La bambina non c'era più. Chiedo: Dov'è an­data? - È uscita, dice l'infermiera.

Spinto da una oscura urgenza mi precipito sul pia­nerottolo. Nulla. Scomparsa. Rimango un attimo perples­so, poi un'ansia sempre più mi pervade, afferro la bor­sa, scendo, salto in macchina e vado in via Pioppette, nel quartiere più antico di Milano: Porta Ticinese. Ma lì giun­to mi accorgo che non conosco il nome della donna né il numero di casa... Come seguendo un richiamo mi infi­lo in un portone. C'è uno stambugio con una vecchia che accarezza un gatto. Chiedo se per caso nella casa c'è una donna ammalata che ha una bambina così e così. Vedo la vecchia sbarrare gli occhi e dire che sì, è la Caterina Terrani e abita al secondo piano. Salgo le scale e mi tro­vo davanti a una porta socchiusa. Non so perché, entro... Su un letto c'è una donna di una magrezza spaventosa, che ad un primo sguardo pare morta. Mi accosto, respi­ra, ma il polso è quasi nullo e il cuore batte tanto debol­mente da denunciare uno stato preagonico. Non mi per­do in congetture, faccio subito un'iniezione di adrenali­na, poi mi siedo, in attesa... Della bambina nessuna trac­cia. Guardo la donna e scopro su quel volto terreo, già bagnato dal freddo sudore dell'agonia, una parvenza di colore; vedo le palpebre vibrare, la bocca dischiudersi, la testa girare come in cerca di respiro. Mi accosto. Il pol­so ha ripreso un poco, il cuore batte più regolarmente. Provoco con breve massaggio una ripresa cardiaca.

Dopo un po' quella donna quasi morta apre gli oc­chi e mi guarda stupita. Dice con la voce appannata: Ma lei chi è? - Sono il dottore... - Sbarra gli occhi e ri­prende: Il dottore? Ma... chi le ha detto di venire qui? Sa, dottore, io sono in questo letto da ieri pomeriggio... - Aggiungo: È venuta da me una bella bambina con due treccine e un vestito a fiori, e... -

La donna spalanca la bocca, si alza sui gomiti, mi guarda con gli occhi sbarrati, atterriti... M'afferra un braccio, lo stringe, parla spasmodicamente: Lo sapevo, lo sapevo! Ho tanto pregato la Madonna che non mi fa­cesse morire senza prima aver portato la mia Marina al cimitero... Dottore venga, venga di là. -

Non so come trova la forza di alzarsi e mi trascina a una tenda... Al di là della tenda c'è una stanzetta pic­cola, immersa in un'ombra cupa, appena rischiarata da una candela. Su un misero giaciglio è stesa, nella im­mobilità della morte, una bambina dall'apparente età di dieci anni, dalle treccine brune ornate da due nastri rossi... Mi chino per guardarla bene. È lei, la bimba che è venuta nel mio studio. La guardo senza essere nem­meno spaventato; mi sento schiacciato dal senso oscu­ro del mistero. Avverto il mormorìo della madre: Ma­donna santa, grazie per aver ascoltato le mie parole. La mia bimba mi ha salvato. Io non so come ciò sia avve­nuto. - Poi si volge a me e dice: Dottore, quando ieri è morta la mia Marina, io ho avuto un colpo al cuore e, dopo averla composta, sono caduta su quel letto. Ca­pivo che stavo morendo e mi disperavo, sola com'ero, per non poter fare ciò che era necessario per la mia bam­bina. E pensavo: O se la mia Marina fosse viva in que­sto momento. Adesso lei, dottore, è qui e... - S'inginoc­chia, si raggomitola e comincia a piangere tutte le la­crime del suo disperato dolore e della sua gioia incon­cepibile.

Sono passati parecchi anni. Caterina Terrani, an­cora vivente, è terziaria presso un convento alla perife­ria di Milano. Per quanto riguarda una spiegazione al fatto, io dico che si tratta di un autentico miracolo... - (Da «Raggio di sole», Luglio-Agosto 1967, dell'Unio­ne Cattolica Ammalati).



Chi è venuto dall'aldilà?

Il mattino di giovedì, 2 aprile 1985, moriva a Ro­ma, nel Convento dei Frati Minori in Via Merulana, Pa­dre Emanuele Chiettini, Frate di santa vita.

Alle 10 di quel giorno egli è atteso invano al suo con­fessionale. Viene ricercato, non si trova. Si telefona al Monastero delle Clarisse di Via in Selci, dove da 38 an­ni era solito celebrare la S. Messa di buon mattino. Si risponde che anche quel giorno il Padre Emanuele ave­va già celebrato il Sacrificio Eucaristico e poi era an­dato via.

Dopo diligente ricerca, Padre Chiettini viene trovato morto in un recondito angolo di un corridoietto pochis­simo frequentato, chiamato «delle botteghe oscure».

L'indomani va a celebrare la S. Messa, al posto del defunto, il Padre Alessio Benigar che trova le Suore ad­dolorate per l'improvvisa scomparsa di P. Chiettini.

Dopo la celebrazione della Messa, Suor Celina, Ab­badessa del Monastero, riferisce al Padre Alessio che cir­ca le 9.15 del giorno precedente, mentre si trovava nel­la sua cella, fu colpita come da un lampo improvviso, quasi un flash fotografico, accompagnato da un lieve scatto. Alla sua richiesta del significato di quel segno, Padre Alessio disse a lei e alle Suore: «Non piangete, non siate tristi! Padre Emanuele è vivo, è felice! L'ho visto io tutto luminoso con questi miei occhi, così come ora vedo voi. Non ho mai visto nulla di simile in vita mia! Mi ha detto: "Sono felice!" ».

Padre Emanuele Chiettini era già in Paradiso. (Dall'Osservatore Romano del 4 maggio 1985).



Chi è venuto dall'aldilà?

(«Sono N. N... Se non mi avessero ucciso»)


«In un paesello dell'Italia centrale viveva la fami­glia "Berardi" benestante, dedita ai lavori dei campi e di sentimenti profondamente cristiani. Una figlia, che chiamerò Marcella, era cresciuta sana ed esuberante di vita. A tredici anni per la prima volta avvertì un males­sere misterioso, che tale le rimarrà per ben dieci anni...».

Così Mons. Corrado Balducci inizia il racconto di un caso di possessione diabolica, nelle sue varie vicen­de e tentativi di esorcismo, nel libro «La possessione dia­bolica - Ediz. Mediterranea, Roma». Questo racconto fu pubblicato nella rivista «Famiglia mese, n. 4,1975», dal­la quale se ne riporta un tratto.

Nella povera donna si erano insediati dieci spiriti. In seguito ai diversi esorcismi, nove di essi furono cac­ciati. L'ultimo spirito aveva dichiarato: «Io sono forte e potente; io non uscirò!».

Più volte il Sacerdote aveva scongiurato lo spirito a manifestare il suo nome, ma si rifiutava sempre. Un pomeriggio, nella chiesa gremita di gente, durante le preghiere di rito l'esorcista chiese: Dimmi, chi sei? - Tra lo spavento e il terrore dei presenti, si udì un grido: Sono NN - e pronunziò il nome di un uomo conosciu­tissimo in paese, vittima qualche anno prima di un at­tentato (lo chiamerò Pallante).

La stessa sera a tarda ora il Parroco, mentre esor­cizzava privatamente in casa Berardi, interrogò così: «Dì, mi conosci? - E lo spirito: Mi hai portato al cimi­tero; tu quella notte pregasti per me e per la mia fami­glia: ormai però le tue preghiere erano inutili... io ero dannato.

In altra circostanza Pallante parlò così al Sacerdo­te: Se non mi avessero ucciso così presto, tu forse mi avresti convertito! Ti prego, porta via quella croce po­sta sul luogo del delitto, e passando di lì non dire più quelle preghiere, mi dai pena. Ho fatto questa fine per­ché ho ricevuto fin da bambino una cattiva educazio­ne. Prega per mia sorella (la fattucchiera) che non ven­ga in questi luoghi di tormento. Certo dovrei uscire da questa ragazza, perché i miei hanno ricevuto del bene dalla sua famiglia: l'anno scorso mia moglie è venuta qui a raccogliere le ulive (tutto rispondeva a verità).

E ancora: Povera figlia mia; quando saprà che so­no io, quanto dovrà soffrire. Questa notte si è svegliata, ha preso la mia fotografia, piangendo mi ha baciato e mi ha detto: Papà, papà, se sei tu, esci da quella ragaz­za perché qui tutti mi dileggiano.

Se dunque - interruppe l'esorcista - tu ci hai co­nosciuto, se tante volte siamo stati insieme, perché non ci fai del bene? Lascia in pace questa ragazza.

Da parte mia - riprese lo spirito - sarei pronto a farti del bene... ma non posso - e qui lo spirito, per­dendo per un istante la sua abituale asprezza, con voce pacata continuò - Pensa: anima dannata vuol dire dia­volo, e diavolo portare al male!

Un altro giorno l'esorcista, nella chiesa sempre gre­mita di gente, interrogò lo spirito: Si soffre all'Inferno? C'è il fuoco?

L'ossessa che balzando indietro dette in un gran so­spiro e disse: Pensa, una goccia di quel fuoco sarebbe sufficiente per incenerire ciquemila persone!

- Ma Dio che ti ha condannato è ingiusto? - No, è giusto.



Chi è venuto dall'aldilà?

È noto il rigore dei Processi di Canonizzazione. La Chiesa, prima di elevare qualcuno agli onori degli alta­ri e dichiararlo Santo, esamina la sua vita e specialmen­te i fatti rilevanti. Il seguente episodio, scrupolosamen­te autentico, fu inserito nei Processi di Canonizzazione di San Francesco di Girolamo, celebre missionario del­la Compagnia di Gesù, vissuto nel secolo scorso.

Un giorno questo Sacerdote predicava a una gran folla in una piazza di Napoli. Una donna di cattivi co­stumi, di nome Caterina, abitante in quella piazza, per distrarre l'uditorio durante la predica, si diede a fare schiamazzi e cenni inverecondi dalla finestra.

Il Santo dovette interrompere la predica, perché la donna non la smetteva più. Fu inutile ogni protesta. Il giorno seguente il Santo ritornò a predicare sul­la stessa piazza e, vedendo chiusa la finestra della don­na disturbatrice, domandò cosa fosse capitato.

Gli fu risposto: È morta questa notte improvvi­samente.

La mano di Dio l'aveva colpita. - Andiamo a ve­derla! - disse il Santo.

Accompagnato da altri, entrò nella camera dell'in­felice e vide il cadavere disteso. Il Signore suole glorifi­care i suoi Santi con i miracoli e ispirò al suo fedele Ser­vo di richiamare a vita la defunta.

San Francesco di Girolamo guardò con orrore il ca­davere e poi con voce solenne esclamò: Caterina, in no­me di Dio, alla presenza di costoro, dite dove siete! - Per virtù di Dio, si aprirono gli occhi del cadavere, le sue labbra si mossero convulse: Nell'Inferno... Io sono per sempre nell'Inferno! –



Chi è venuto dall'aldilà?

Viveva a Londra, nel 1848, una vedova di ventino­ve anni, molto ricca e assai mondana. Tra i damerini che frequentavano la sua casa, si notava un giovane Lord, di condotta poco edificante.

Una notte, verso le dodici, la donna stava a letto leg­gendo un romanzo per conciliare il sonno. Appena spen­ta la candela per addormentarsi, si accorse che una stra­na luce, proveniente dalla porta, si diffondeva nella ca­mera, crescendo sempre più. Meravigliata, spalancò gli occhi non sapendo spiegarsi il fenomeno. La porta del­la camera si aprì lentamente ed apparve il giovane Lord, complice dei suoi disordini.

Prima che essa potesse proferire parola, il giovane le fu vicino, l'afferrò al polso e disse in inglese: «C'è un Inferno, dove si brucia!».

Il dolore che la poveretta sentì al polso fu tale che svenne. Rinvenuta mezz'ora dopo, chiamò la camerie­ra, la quale entrando nella stanza sentì un forte puzzo di bruciato. La cameriera constatò che la padrona ave­va al polso una scottatura così profonda da lasciar ve­dere l'osso, avente la superficie di una mano di uomo. Osservò ancora che dalla porta il tappeto aveva le im­pronte di passi d'uomo e che ne era bruciato il tessuto da una parte all'altra.

Il giorno seguente la signora seppe che la stessa not­te il giovane Lord era morto.

L'episodio è narrato da mons. Gastone De Sègur nel suo opuscolo sull'Inferno, il quale così chiude il suo di­re: Non so se quella donna si sia convertita, ma so che vive ancora. Per coprire agli sguardi altrui le tracce della sua scottatura, porta al polso sinistro, in forma di brac­cialetto, una larga fascia d'oro, che non depone né gior­no né notte, per cui viene chiamata «la signora del brac­cialetto».



Chi è venuto dall'aldilà?

(Vi è un Inferno e io vi sono dentro)


Il dotto e pio Mons. Gastone di Segur, nel suo noto opuscolo sull'Inferno, narra un episodio straordinario accaduto a Mosca poco prima dell'orribile campagna bellica del 1812.

- «Mio nonno materno, il conte Roctopchine, go­vernatore militare di quella città, era in stretta relazione col generale conte Orloff, celebre per il suo valore, non meno che per la sua empietà. Una sera dopo cena, il conte Orloff e un suo amico, il generale V..., volter­riano al pari di lui, si burlavano volgarmente della reli­gione e soprattutto dell'Inferno.

- Ma pure - disse Orloff - e se vi fosse poi qual­cosa al di là della tomba?

- Ebbene - riprese il generale..., - qualora così fosse, quello di noi due che morirà per primo verrà ad avvisare l'altro. Restiamo d'accordo?

- Benissimo - rispose Orloff...

Alcune settimane dopo scoppiò una terribile guer­ra, una di quelle tanto temute, quali Napoleone sapeva allora suscitare. L'esercito russo fu chiamato alle armi, e il gen. V..., ricevette l'ordine di partire immediatamen­te per prendervi una posizione importante. Erano tra­scorse due o tre settimane da che egli aveva lasciato Mo­sca, quando un mattino assai per tempo, mentre mio nonno stava alla toeletta, si vide all'improvviso aprire bruscamente la porta della stanza ed entrarvi il conte Orloff, in veste da camera, con i capelli irti, gli occhi stralunati, pallido come un cencio.

- Ecchè, Orloff ? Voi qui a quest'ora? In questa ma­niera? Che avete? Che cosa vi è accaduto?

- Mio caro - risponde Orloff - io credo d'impaz­zire: ho veduto il gen. V...

- Il gen. V...? E dunque arrivato?

- Oh no! - rispose Orloff gettandosi sopra un di­vano e prendendosi violentemente la testa fra le mani. - No, no, non è ritornato, ed è appunto questo che mi spaventa.

Mio nonno non capiva nulla e procurava di calmarlo.

- Raccontatemi dunque - disse - ciò che vi è ca­pitato e che cosa significhi questo.

Allora sforzandosi di dominare la sua emozione, il conte Orloff racconta quanto segue: «Mio caro Roctop­chine, non è trascorso ancora molto tempo da quando il gen. V... e io ci siamo giurati a vicenda che il primo che fosse morto di noi due, sarebbe venuto a dire all'al­tro se vi sia qualche cosa al di là della tomba. Ora que­sta mattina, mentre me ne stavo tranquillamente a let­to, desto da lungo tempo, senza pensare affatto a lui, sento aprirsi le cortine del letto e mi vedo dinanzi, a due passi, il gen. V., diritto, pallido, con la destra al petto che mi dice: Vi è un Inferno e io ci sono dentro... Dopo di che scomparve. Sull'istante sono corso da voi: io per­do la testa.

Mio nonno prese a calmarlo come meglio poté, ma non fu facile; cercò di convincerlo di allucinazione, di fantasmi, tentò di fargli credere che forse dormiva..., che si danno talora casi straordinari che non si sanno spiegare...

Dieci o dodici giorni dopo, un messo dell'esercito annunziava a mio nonno, insieme alle altre notizie, la morte del gen. V... La mattina stessa di quel giorno me­morando in cui il conte Orloff lo aveva veduto e senti­to, all'ora stessa che egli era apparso in Mosca, l'infeli­ce generale, uscito a esplorare la posizione del nemico, era stato trapassato da una palla di fucile ed era cadu­to fulminato» (De Segur G. - L'En fer - Parigi 1876).» -



Chi è venuto dall'aldilà?

Giuseppina Berettoni, anima privilegiata morta a Roma nel 1927, fu pregata dalla Presidente del Circolo delle Donne Cattoliche Carlotta Marchi, vedova Conte­stabile), a far visita a un suo nipote gravemente amma­lato, ma purtroppo sprezzante di Dio e dei Sacramenti. Nel tardo pomeriggio del 31 maggio 1906 ella si presentò alla clinica e si trovò a colloquio con il Direttore, il quale con un sorriso canzonatorio le chiese: Lei deve es­sere una bizzoca che vuole convertirlo! Ma che? Non ci riuscirà, perché un tipo... - Poi cercò di licenziarla, ma essendo troppo tardi e non potendo ritornare a casa, Giuseppina si mostrò così persuasiva che il Direttore le concesse di rimanere, anzi le disse: «Veda, tutti i giorni io porto via questa chiave; ma ora la consegno a lei, co­sì, dopo la visita all'infermo, potrà passare qui la notte; potrà riposare su quella poltrona».

Partito il professore rimase sola e si mise a recitare il rosario, poi si presentò al malato. Con serie riflessio­ni e intercalando segrete preghiere a Dio in brevi inter­valli Giuseppina ottenne la conversione del giovane, il quale fece chiamare un Padre Cappuccino, si confessò e ricevette il Viatico e l'Estrema Unzione.

Ritiratasi nello studio del Direttore, Giuseppina si avvide che in angolo c'era uno scheletro umano, ritto, con tutte le sue ossa congiunte da fili metallici. Di chi sarà stato? E dove si troverà l'anima di costui? - si do­mandava. Ed ecco che all'improvviso quello scheletro riprende vita, si muove, parla e dice:

- Eccomi! Tu mi hai chiamato.

- Ma io non ti ho chiamato - risponde Giuseppi­na Berettoni, terrificata.

- Noi - riprende a dire lo scheletro - quantun­que dannati, dobbiamo fare la volontà di Dio. Sappi che da 74 anni io sono dannato all'Inferno. Questo domani lo dirai al Direttore.

- Egli non mi crederà, come glielo posso provare? - Vedrà che non sto nella posizione in cui ero. - Questo non basta.

- Ne avrai la prova - e così dicendo lo scheletro torna nell'angolo da dove si era mosso, mettendosi in posizione alquanto diversa.

Il giorno seguente il Direttore si diresse al suo stu­dio, desideroso di riprendere la conversazione.

- La scienza - disse a un certo punto - mi ha di­mostrato molte cose. Io non credo ai miracoli!

- Ciò mi stupisce, essendo lei così erudito - rispo­se Giuseppina - Sappia che io ho visto dei miracoli e che io stessa sono stata guarita all'istante da una piaga al braccio; di questo lei può accertarsi all'ospedale S. Giacomo.

- Allora è lei che ha fatto bizzoco il Direttore di quell'ospedale?

- Può darsi che io vi abbia contribuito - rispose Giuseppina - Ma ora guardi là, - disse puntando il dito verso l'angolo - quello scheletro appartiene a uno che da 74 anni sta all'Inferno.

- Adesso lei vuole tenermi una seduta di spi­ritismo.

- Io non fo dello spiritismo, perché proibito dalla Chiesa; tuttavia glielo assicuro perché lo so.

-A questo punto lo scheletro cominciò a muover­si in direzione del professore. Questi spaventato e scon­volto, uscì dallo studio e si rifugiò in Cappella, con me­raviglia delle Suore che mai prima di allora ve lo ave­vano visto entrare.

Due giorni dopo si recò a far visita a Giuseppina, ancora profondamente impressionato da quello strano evento. Ella lo incoraggiò e gli consigliò di recarsi a farsi un corso di esercizi spirituali a Genova.

Partì il 4 giugno. Pochi giorno dopo, nella notte tra l’11 e il 12, il professore si trovava nella sua camera, sve­glio, scoraggiato e agitato. Improvvisamente gli si pre­senta Giuseppina.

- Cos'è? È possibile! Lei... com'è entrata qui?

- Colui che le fece quel favore - rispose Giuseppina - ha fatto che io venissi a consolarla, perché lei si trova in grande afflizione.

Era avvenuto un caso di bilocazione, non raro nel­la vita di Giuseppina Berettoni.

Terminata la sua missione, Giuseppina si ritrovò ne suo letto a Roma. Il 15 luglio il professore, accompa­gnato dal figlio maggiore, andò a far visita alla sua ami­ca e benefattrice e si trattenne in colloqui per due ore. Il figlio del convertito, anche lui medico, vivamen­te impressionato dal cambiamento così avvenuto del pa­dre, si diede lui pure a una vita seriamente cristiana. Entrò poi in un convento e volle per umiltà essere fra­tello laico.

(Antico P. - Giuseppina Berettoni - Centro Giusep­pina Berettoni - Via S. Erasmo, 14 - Roma 1978).



Chi è venuto dall'aldilà?

(Maria Santissima a Fatima)


Il 13 maggio 1917 la Vergine Santissima appare a due ragazzine, Lucia di 11 anni e Giacinta di 7, e a un ragazzetto di 9 anni, Francesco, tre pastorelli semplici e buoni che recitavano sempre le preghiere.

Verso mezzogiorno, interrompendo i loro innocen­ti trastulli, i fanciulli recitarono come al solito il santo rosario. Dopo ritornarono ai loro giuochi. A un tratto un lampo li abbagliò. Spaventati guardarono il cielo: non v'era nemmeno una nube e il sole era splendente. Temendo qualche vicino temporale, radunano le peco­re e si avviano per ritornare a casa. A metà della china, ecco un nuovo lampo più abbagliante del primo... Dop­piamente atterriti affrettano il passo, ma un po' più avanti si fermano interdetti e attoniti per la meraviglia. Dinanzi a loro scorgono una bellissima Signora più splendente del sole.

Si svolse subito un piccolo dialogo tra la Signora e Lucia: «Di che paese siete?» domanda la ragazzina. - «Il mio paese è il Cielo» - rispose la Signora.

... Viene dal Cielo... dal Cielo... - rifletté Lucia: «al­lora mi sapreste dire se io andrò in Cielo?» - «Sì, vi

andrai» - rispose la Signora - «E mia cugina Giacin­ta?» - «Anche lei» - «E mio cugino Francesco?» - «Egli pure...» -.

Incoraggiata dalla bontà della Celeste Signora, Lu­cia volle sapere ancora la sorte di due ragazze, sue ami­che e morte da poco e ne ebbe in risposta che la più gio­vane (di 16 anni) era già in Paradiso, l'altra (sui 20 anni) era in Purgatorio... -.

Nella terza apparizione del 13 luglio la Madonna mostrò ai tre fanciulli l'Inferno. Scrive Lucia: «Vedem­mo come un mare di fuoco. Immersi in quel fuoco i dia­voli e le anime, in forma umana, come brace trasparente e nera o bronzea, che fluttuavano nell'incendio e veni­vano trasportate, assieme a nuvole di fumo, dalle fiam­me che uscivano da loro stesse. Esse cadevano da ogni parte, uguali al cadere delle scintille nei grandi incen­di, senza peso né equilibrio tra grida e gemiti di dolore e disperazione che suscitavano orrore e facevano trema­re di paura. I demoni si distinguevano per le forme or­ribili e schifose di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti come neri carboni roventi».

Spaventati e come per chiedere aiuto, alzammo gli occhi alla Madonna, che ci disse con bontà e tristezza: «Avete visto l'Inferno dove cadono le anime dei poveri peccatori!… ».



Chi è venuto dall'aldilà?

Nella Casa Provinciale dei Preti della Missione, in Via dei Vergini 51 a Napoli, si conserva, visibile al pub­blico, un quadro rappresentante Gesù Crocifisso in carta incollata su tela, incorniciata da un piccolo telaio di le­gno. Lo straordinario sta nel fatto che porta nella parte inferiore le impronte di due mani incise a fuoco. Qual è l'origine di quelle impronte?

In Firenze un giovane aveva una relazione disone­sta con una donna sposata. Il padre del giovane ne era dolente e più volte aveva rimproverato il figlio, anzi ave­va pregato i Padri Lazzaristi Missionari di Firenze per richiamarlo al dovere, ma inutilmente. Un'improvvisa malattia colpì la donna e in pochi giorni le aprì la tom­ba. Il giovane fu sul unto d'impazzire per il dolore e il padre, approfittano di un corso di esercizi spirituali che si tenevano nella Casa dei Missionari in S. Iacopo SoprArno, invitò il figlio a parteciparvi. Costui vi an­dò e fu accolto con cordialità.

La sera del primo giorno di esercizi, mentre gli al­tri esercitandi sono scesi a refettorio per la cena, il no­stro giovane manca al suo posto. Avrà preso sonno?, pensa il direttore, e va alla sua camera, bussa, senza ri­cevere risposta, bussa ancora, nulla. Apre e trova la ca­mera piena di fumo che subito lo investe. Pensa a un incendio e chiede aiuto. Accorrono diversi confratelli e, attraverso il fumo in parte dileguato per la porta la­sciata aperta, scorgono il giovane disteso sul pavimen­to e senza segni di vita. Trasportatolo sul letto e appre­state le cure necessarie, riescono a farlo rinvenire. Il di­rettore cerca per la camera la causa del supposto incen­dio e con grande meraviglia s'imbatte sull'inginocchia­toio bruciato in quattro parti, cioè là dove si appoggia­no le ginocchia e i gomiti, e vede nel quadro del Croci­fisso le impronte di mani infuocate come fossero state di ferro rovente. Non si rende conto dell'accaduto fin­ché il giovane, rinvenuto, non gli ha spiegato come po­co prima della cena, mentre stava ancora in camera, gli era apparsa l'amante tutta di fuoco. – E’ per causa tua - gli aveva gridato minacciosa - che sono all'inferno! Stà bene in guardia. Dio ha voluto che io te ne dessi l'av­viso; e perché tu non abbia a dubitare della realtà della mia apparizione, te ne lascio il segno. - Inginocchiata­si al genuflessorio e toccato il quadro vi lascia le im­pronte di fuoco che ora si vedono. Il giovane si conver­te. Essendo le due famiglie molto conosciute in Firen­ze, il Superiore, per riguardo al loro onore, cercò di oc­cultare il fatto. Il Padre Scaramelli, Superiore della Ca­sa, tenne presso di sé il quadro e il genuflessorio, fin­ché chiamato all'ubbidienza a Napoli portò con sé il qua­dro, lasciandolo alla Casa in Via dei Vergini.

Così è narrato nel «Petit Pré spir. De la Congr. de la Mission (Parigi 1880)».

Una narrazione più breve si trova nella vita di S. Alfonso de'Liguori scritta dal Tan­noia. Il quadro si conserva a Napoli; l'inginocchiatoio fu fatto scomparire. Sull'episodio il Padre Mario Sor­rentino condusse uno studio critico (Annali della Mis­sione, 1962), arrivando a questa conclusione: «Pensia­mo di poter affermare la verità del fatto come viene co­munemente narrato».



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