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Omelie su san Tommaso d'Aquino
Oltre al "De Divinis Nominibus", che non poteva mancare, e il "De Gerarchia Coelestis et Ecclesiastis", le due somme sono le due cattedrali costruite da San Tommaso, cioè la Summa Theologiae, che voi conoscete nella divisione fondamentale. Se seguirete i corsi dell’Ordo Praedicatorum, presso la venerabile basilica di San Domenico a Bologna, allora prenderete molta familiarità con la Summa Teologiae.


La prima parte è dedicata alla dogmatica, con i trattati de Deo Uno, de Deo Trino, de Deo Creatore e dell’ordo disciplinae. Questo ordine non si può cambiare, perché San Tommaso ha trovato quell’ordinamento delle questioni che è attinente alla cosa in sé. Certo uno potrebbe dire che è una impostazione troppo deduttiva e poco pedagogica, invece l’uomo deve elevarsi alla verità, non pretendere di abbassare la verità a sé, come è di cattivo gusto al giorno di oggi. Temo che San Tommaso abbia ragione contro i moderni nel dire: "l’ordo disciplinae" è questo: prima de Deo Uno, l’unità, l’esistenza e l’essenza di Dio, le due questioni: essenza ed esistenza di Dio, successivamente il mistero della Trinità Santissima. Vedremo come distingue tra filosofia e teologia, come la Trinità per lui è mistero essenzialmente rivelato, non è assolutamente accessibile alla ragione filosofica.

È bellissimo il trattato "De Deo Creatore", che non a caso si aggiunge in qualche modo al trattato trinitario. C’è una analogia, solo un’analogia, (non che sia una continuazione), tra le processioni divine ad intra, cioè interiori rispetto a Dio, e le processioni ad extra, che è la processione delle cose create da Dio.

Segue il trattato sulla creazione, che si articola secondo le singole opere create da Dio. C’è anche il trattato "De Nomine", l’antropologia tomistica, il trattato "De Angelis", per il quale San Tommaso si meritò il titolo di dottore angelico, doctor angelicus o anche doctor communis, perché cattolico, trasparente per tutto il popolo di Dio. Dunque: il trattato sugli Angeli e il trattato sul governo di Dio rispetto al mondo.

La seconda parte si divide in "Prima Secundae" e "Secunda Secundae", questa ultima è la parte morale. San Tommaso dice che è il reditus rationalis creaturae in Deum, cioè il ritorno della creatura razionale in Dio. Anche qui è geniale nella sua impostazione. Tutta la sua morale poggia sul fine. La prima questione della morale non è la costituzione della legge, dei precetti. Tutto questo deriva da che cosa? Dal fine. Cioè la legge di Dio non è campata per aria, è fondata nell’essere, è proprio quello che i moderni non riescono a stabilire, il legame fra ontologia e deontologia, quello che San Tommaso stabilisce tramite la finalità. La prima questione della morale è quella della finalità, dell’atto umano, atto libero, che in qualche modo è sottoposto, responsabilizzato dal fine, sottoposto alle esigenze del fine. Un atto umano buono è quello che adempie le esigenze della finalità umana, un atto umano disordinato è quello che si sottrae a queste finalità. Vedete come la morale di San Tommaso comincia con la questione del fine ultimo.

Segue il trattato sugli abiti umani, dove parla della soggettività dell’atto umano, l’influsso sul volontario. Prima vengono esaminati gli abiti, poi le virtù, i peccati e i vizi. Infine il trattato sulla legge e la grazia. Nei principi estrinseci c’è Dio che ci istruisce tramite la legge, poi ci aiuta tramite la grazia: questa è la morale generale.

Inizia poi la morale particolare, con questa ironica constatazione del prologo, nel quale San Tommaso dice: "Sermones morales universales sunt minus utiles", "i sermoni morali troppo universali sono meno utili". In morale bisogna agire. San Tommaso è un pragmatista, perché la sua morale è impostata in vista della visione beata del Cielo. Con San Bonaventura dice chiaramente che la beatitudine dell’uomo non sta né nell’amare Dio, né nel godere di Dio, ma sta nel conoscere Dio. Quindi le virtù intellettuali, come in Aristotele (anche se è chiaro in chiave cristiana, soprannaturale), continuano ad avere la preminenza sulle virtù morali. Però le virtù morali predispongono alla beatitudine che consiste nella piena realizzazione dell’intelligenza umana. Chiaramente questo atto dell’intelletto che vede Dio non è senza amore di Dio e senza godimento di Dio, questo è ovvio, però San Tommaso pone la beatitudine nell’atto dell’intelligenza.

Nella morale particolare sono trattate le virtù nella loro specie, anzitutto le virtù teologali, quindi la fede, la speranza e la carità. Seguono le altre quattro virtù cardinali, tra cui la prudenza, che per San Tommaso è molto importante. Bello questo, i moralisti oggi hanno molto dimenticato questo ruolo, di quella che è l’auriga virtutum, cioè quella che è la guida di tutte le virtù. Poi il trattato sulla giustizia, sulla fortezza e sulla temperanza. Sono così ordinate le virtù perché la prudenza è la più razionale, nell’intelletto pratico. La giustizia sta nella volontà, sempre razionale, però derivata in qualche modo dalla parte volitiva. Poi ci sono le virtù che regolano gli appetiti sensitivi, prima di tutto l’appetito irascibile, la fortezza (San Tommaso spiega che anche l’ira è una cosa buona), quindi la fortezza e la magnanimità. E’ stupendo San Tommaso nel trattato sulla magnanimità, come spiega che l’umiltà non esclude la magnanimità, ma anzi l’uomo umile è quello che ha la giusta stima di sé, alla luce di Dio, si capisce, e quindi si sente spronato a cose grandi, il cristiano non è quello che si abbassa e quindi dice: "Io sono un buono a nulla!", questo potrebbe essere anche un bel alibi per non far niente. San Tommaso dice: "Il cristiano è uno che aspira alla santità ha una visione grandiosa del cristianesimo, però umile". Vedete la grandezza dell’umiltà, San Tommaso in questo è un grande maestro.

Infine c’è il trattato aggiunto alla Secunda Secundae, che è quello sugli stati di vita, quindi lo stato clericale, laicale e lo stato religioso.

Nella terza parte, che è l’ultima, dulcis in fundo, tratta del Cristo, che ricapitola in sé tutte le cose. Oggi ci sono quelli che si scandalizzano e che dicono: "Come, San Tommaso mette il Cristo nella terza parte, come se fosse in un angolino!", invece è lì, a ragion veduta, per sottolineare la gratuità con cui Dio ci ha redenti in Cristo. Nessuno poteva pensare ad un Redentore così grande, un Redentore che fosse nel contempo Dio e Uomo, quindi San Tommaso nella terza parte svolge questi trattati sul Cristo, sull’Incarnazione del Verbo anzitutto, poi sulla soteriologia, sul Cristo salvatore, sui sacramenti. Il resto è stato aggiunto dopo traendolo dalle sentenze di Reginaldo di Priverno.

Tutto deve concludersi con i novissimi: ben vedete che la terza parte finisce con l’esecuzione, cioè il regno si è compiuto, si arriva alla meta. La Somma è un’opera proprio geniale, meravigliosa, non ho parole per descriverla. Vedere per provare, come si dice, andate a vedere, provare per credere. Provate a leggere la Summa Theologiae e vedrete che gusterete questa profonda sapienza, tanto razionale e anche tanto elevata.

L’altra Summa, quella "Contra Gentes" è anche questa meritevole di attenzione, ha una struttura veramente interessante, decisamente apologetica. Si dice che San Tommaso l’abbia scritta proprio come manuale per i predicatori che andavano in missione presso i Saraceni. Allora c’era l’idea, secondo me anche giusta, di convertire gli infedeli e non tanto di fare dialogo o eucumenismo con loro. San Tommaso inquadrava la conversione in un dialogo con loro, però lo scopo del dialogo era quello di portarli al cattolicesimo, senza scherzi.

Scrive questa "Contra Gentes" con i primi tre libri che trattano gli argomenti naturali, proprio di filosofia naturale, poi il quarto libro, che tratta di argomenti teologici. Infatti San Tommaso è ben convinto, lo dice esplicitamente, (vedete come ci insegna il vero metodo apologetico), da un lato avere il coraggio dell’apologetica. Cioè non dire dialogo, dialogo e niente apologetica, ma dialogo apologetico. Certo dialogo signorile, nessuno è più signore di San Tommaso in queste cose, tuttavia dialogo in vista della conversione. Il sottotitolo di questa Contra Gentes è: "iter de veritate cattolicae fidis" cioè il libro sulla verità della fede cattolica. In San Tommaso non c’è una specie di commercio: "noi vi diamo un pezzettino del nostro dogma e voi ci concedete qualche cosa d’altro". Ad esempio, parlando con i luterani dire: voi accettate la Madonna e noi vi sacrifichiamo i Santi. Non è un compromesso serio. Per San Tommaso non ci sono compromessi, la pienezza della verità c’è nella fede cattolica, non per merito nostro, ma per bontà, per grazia di Dio.

Tuttavia dice che per dialogare, in vista della conversione, con gli infedeli bisogna sempre procedere fondandosi su quello che loro ammettono. E i gradi sono questi: con gli eretici cristiani, che si rifanno a Cristo, per esempio con Ariani ecc., bisogna disputare basandosi sul nuovo Testamento, perché loro accettano anche quello. Con i Giudei, che accettano l’Antico Testamento, bisogna disputare almeno in base all’antico testamento, ovviamente non si può disputare sulla base del nuovo testamento, perché loro lo rifiutano. Però non perché continuino a rifiutarlo, ma affinché lo accettino. Qualcuno potrebbe dire: "San Tommaso è estremamente moderno in questo", però la sua mentalità è quella di iniziare da quello che c’è di comune, per condurre poi alla pienezza.

Quando non c’è neppure il vecchio testamento, una cosa però rimane, (è ottimista San Tommaso), "quidiquid est intellegi potest", tutto ciò che è si può conoscere con la ragione. Quindi anche se manca il lume della fede, non dovrebbe almeno mancare la ragione. San Tommaso ahimè è più ottimista di me, dice: "natura non deficit in necessariis", la natura non viene meno nelle cose necessarie, non manca il lume della ragione naturale e quindi si può sempre disputare sul terreno della filosofia. San Tommaso ha capito bene l’importanza apologetica della filosofia, è estremamente importante. La mia vocazione tomistica si fonda in gran parte su questa convinzione: oggi per condurre anime alla fede e per consolidare la fede, è necessario appoggiarla su una solida filosofia.

Troviamo molte altre questioni disputate ad esempio sulla fedeltà, sull’uso del denaro ecc. Infine le quaestiones quodlibetales, de quo libet. Si distinguevano due tipi di disputazioni all’università: una era la disputazione diciamo così determinata, nel senso che l’argomento era fissato, si diceva: "Si discuterà sul tale tema" quindi gli studenti si radunavano, c’era il magister, il cancelliere, gli studenti e si disputava su quella determinata questione. Invece nei sacri tempi dell’avvento e della quaresima si diputavano le quaestiones quodlibetales. Pensate alla vita cristiana dell’università, mi dispiace per il rettore della nostra Alma Mater Bononiensis, il quale affermava che il merito dell’università di Bologna era stato quello di separare la cultura dal cristianesimo. Invece la cultura nasce dal cristianesimo. C’era l’antica cultura scaligera, prima di quella cristiana, ma quella universitaria, c’è poco da fare, nasce con il cristianesimo. Non solo, io aggiungo che finisce con il cristianesimo. Basta guardare come è ridotta l’università al giorno di oggi per rendersene conto.

Notate come al tempo di San Tommaso la vita cristiana rientra nello svolgimento delle lezioni universitarie, c’era quasi un divertimento penitenziale, in questi tempi ove la liturgia vestiva in viola, ci si incontrava per queste dispute de quo libet. Era veramente de quo libet, domande di ogni tipo, è interessante leggerle. Per esempio sulla liceità della confessione ai laici, dice San Tommaso, "se un Crucis signatus", un crociato in sostanza, "se rimane accerchiato dai nemici e teme per la sua vita, che cosa deve fare? Si può confessare ai cavalieri, che sono laici? E’ tutta una cosa pia, però non è una assoluzione valida". Dice la scrittura che dobbiamo confessarci i peccati gli uni agli altri, quindi sistema un poco la questione, nel dire che non è una confessione sacramentale, però è una cosa buona, la confessione all’altro. Altre curiosità, come il quesito con quali fasce la Madonna avvolse Gesù Bambino, oppure diatribe sul libro della vita, quello su qui l’Angelo porterà i nomi scritti , questioni disputate di diverso tipo.

Dopo l’analisi delle opere, che potete vedere sia dall’elenco delle edizioni Marietti, sia in altre edizioni, adesso affrontiamo la dottrina. Anzitutto il rapporto tra ragione e fede. Abbiamo già visto con Sant’Alberto che la filosofia si distingue nettamente dalla teologia. Ebbene San Tommaso corrobora fortemente questa convinzione. Distinzione, separazione, ma mai contraddizione. Combatte contro due fronti, contro gli agostiniani, dice: "C’è distinzione, non si può confondere filosofia con teologia e non si fa un’opera a favore della teologia non rispettando l’autonomia della filosofia" San Tommaso parte da questa ottimistica considerazione, (questa volta l’ottimismo è fondato), questa convinzione che la ragione non può che essere amica della fede. La ragione amica della fede.

Quindi dice: "La filosofia va rispettata nella sua autonomia". San Tommaso non sarebbe contento perciò dell’espressione "filosofia cristiana". C’è il cristiano che è anche filosofo, però il suo essere filosofo sarebbe un accidens rispetto al suo cristianesimo. Suona quasi orribilmente dire che uno è cristiano per accidens rispetto alla filosofia, cioè è cristiano per sé, per la salvezza della sua anima, essenzialmente per la sua anima, ma rispetto alla filosofia lo è per accidens. Autonomia della ragione: la ragione va rispettata nella sua autonomia, proprio perché lo splendore della ragione prepari la via alla fede, non che lo conduca alla fede, ma la prepari. La fede ha quasi la funzione di Giovanni Battista, prepara la via della salvezza. Quindi distinzione tra ragione e fede.

Tommaso combatte contro gli agostiniani che riducevano la filosofia al cristianesimo. San Tommaso dice: "No, la filosofia è disciplina razionale, a sé stante, anche i pagani hanno filosofi a pieno titolo", però poi si oppone alla teoria della duplice verità. Non è concepibile che uno possa dire: "Io come cristiano, dico che l’anima è immortale, ma come avveroista dico che l’anima non è spirituale", non è possibile . Si può citare la "Humani Generis" quella bella opera di Pio XII, il quale condanna tutte le tendenze pericolose della teologia moderna e tra tante tendenze c’è anche quella evoluzionistica. Il Papa dice: "Va bene, il cristiano in tema evoluzionistico non deve pronunciarsi si o no, è un tema scientifico. Però uno scienziato cristiano non è libero in materia del monogenismo o poligenismo, perché il concilio di Trento insegna autorevolmente che l’eredità del peccato delle origini viene trasmesso mediante le generazioni". Quindi sarebbe un’assurdità se la stirpe umana fosse generata sulla terra da molti luoghi, uno in Africa, mettiamo, e l’altro in Australia, uno potrebbe dire: "Bene, quelli dell’Africa hanno il peccato originale, quelli dell’Australia sono innocenti". Non è possibile, perché sono nati sotto il peccato. Vedete che qui la fede obbliga a fare opzioni anche a livello razionale, non di violentare la ragione, semplicemente essere coerenti

San Tommaso non avrebbe ammesso il discorso di oggi: "Io sono un buon cristiano, che va a Messa tutte le domeniche, però nel contempo in materia di evoluzione la penso come Darwin etc"

continua......