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IL REGNO DI DIO PRIMA DI TUTTO - LA VITA DI DON CARLO DE AMBROGIO INIZIATORE E PRIMO ANIMATORE DEL MOVIMENTO G.A.M. a cura del Movimento Gam

G.A.M. GIOVENTU’ ARDENTE MARIANA

PRESENTAZIONE


Biografia di Don Carlo De Ambrogio. Era attesa, desiderata, auspicata. Da taluni ne venivano chieste informazioni a me, in forza - penso - della spontanea associazione di idee tra la dio­cesi di Alba e l'opera apostolica di quello zelante sacerdote evan­gelizzatore, in coloro che lo hanno conosciuto.

Io non ebbi il privilegio di conoscerlo personalmente. Il suo nome sale però dal nido della mia memoria di lettore della rivi­sta salesiana « Meridiano 12 » e del Settimanale torinese « Il Nostro Tempo», e, soprattutto, dall'incontro con i suoi originali commenti ai Vangeli, di cui mi misero a parte, qualche anno fa, a Roma, le mie Suore Orsoline, reduci entusiaste da un Cenacolo GAM.

Ora, venuto a diretto contatto con l'istituzione da lui fondata in virtù del mio ministero episcopale in Alba, sono veramente lieto di salutare la nascita del profilo biografico di lui e di intro­durre la lettura di queste pagine. Le quali ripercorrono il cam­mino di questo autentico «uomo di Dio» nella successione delle sue varie tappe e cercano nello stesso tempo di cogliere le linee della sua singolare figura di cristiano e di sacerdote. Pagine scritte indubbiamente con amore, che perciò assumono il carat­tere di testimonianza. Testimonianza sia della copiosa semina­gione che Don Carlo ha profuso nei cuori, sia della fedeltà di questi alla memoria ed all'eredità morale dell'indimenticabile padre. Il tutto sul filo di anni, che si direbbero cronaca, tanto ci sono vicini, e che fanno storia.

Il valore di testimonianza non oscura l'indole storica del libro. Il Movimento GAM, infatti, ha avuto cura di ricostruire l'esistenza terrena del protagonista, cominciando dalle sue ori­gini naturali nella povertà della sua famiglia veneta, e avanti avanti nell'itinerario formativo della fanciullezza e della gio­ventù, fino alla grazia del sacerdozio ministeriale, alla matura­zione del peculiare carisma da cui si è irradiata la virtù anima­trice del Movimento, che egli ha generato e guidato con umile e fervente senso ecclesiale. «Il Nostro Tempo», in un articolo pubblicato il 26 ottobre 1980, definisce Don Carlo «un'anima dolcissima e forte, un "santino", di quelli che non pesano, che camminano in punta di piedi, ma che vanno diritto allo scopo ». Il venerato Cardinale Corrado Ursi, che lo accolse nell'Archidio­cesi di Napoli e ne sanzionò autorevolmente il carisma, ha scritto di lui: « Visse nella Chiesa come messaggero dello Spirito e mi­nistro fiamma di fuoco. Il messaggio rovente, però, scaturiva sempre da labbra sorridenti di un volto luminoso di fanciullo in toni dolci, limpidi, penetranti ». Sono apprezzamenti che trovano ampie conferme nel percorso di Don Carlo e nella sua attività. Nella quale confluiscono, sui ritmi della sua marcata spiritualità, non comuni risorse umane e sacerdotali: una vasta cultura gene­rale, una musicalità d'animo pronta a tradursi nella composi­zione e nel canto, una profonda conoscenza della Sacra Scrittura capace di esprimere il senso della Parola di Dio nei termini più semplici ed accessibili della catechesi, una irresistibile dedizione all'apostolato tra la gioventù.

L'ardore apostolico lo stimolò ad agire, superando difficoltà e incomprensioni, in quelle direzioni in cui più manifesta e peri­colosa andava covando la crisi degli anni Settanta: l'Eucaristia, il Sacramento del perdono, la devozione alla Vergine, la missione del Successore di Pietro. Ne dedusse la improcrastinabile neces­sità di una nuova evangelizzazione condotta con metodi nuovi e originali, puntando soprattutto sul mondo giovanile, che gli era tanto congeniale. Ed ecco il Movimento GAM, programmatico già nel nome «Gioventù Ardente Mariana», e l'iniziativa dei « Cenacoli », la quale, in ideale collegamento col Cenacolo di Gerusalemme, attraverso la meditazione della Parola di Dio e la preghiera, sotto la guida della Madre celeste, prepara a ricevere il Sacramento della Penitenza e l'Eucaristia, e stimola all'aposto­lato. La fondatezza delle intuizioni di Don Carlo appare dalla diffusione geografica del Movimento e dalla sua fecondità. La Pia Unione «Figlie della Madre di Gesù», che si dedica all'ado­razione eucaristica, alla stampa e divulgazione della Parola di Dio in appoggio al Movimento stesso, e l'associazione dei « Con­sacrati del GAM », composta di sacerdoti e laici, ne sono espres­sioni qualificate.

Un'ultima annotazione. La piccola, grande storia di questo ministro del Signore - piccola perché concepita e vissuta nell'u­miltà, e grande anche per questo - appartiene al fecondo capi­tolo della «nuova stagione aggregativa », che segna la vita della Chiesa sullo scorcio del ventesimo secolo. Entra cioè a far parte di quel fenomeno di cui il nostro Papa Giovanni Paolo II, in preparazione al Sinodo del 1987 sulla vocazione e missione dei Laici, disse: «Accanto all'associazionismo tradizionale, e tal­volta dalle sue stesse radici, sono germogliati movimenti e soda­lizi nuovi, con fisionomia e finalità specifiche: tanta è la ric­chezza e la versatilità delle risorse che lo Spirito alimenta nel tessuto ecclesiale» (Insegnamenti, X, 3 (1987) 240). Ed è un tema che il Pontefice riprende nella Christifideles Laici, non senza sot­tolineare l'opportunità che tali movimenti e associazioni siano esplicitamente approvati dalla competente autorità ecclesiastica, qualora siano ravvisabili in essi le caratteristiche di « ecclesia­lità ». Nella lettera e nello spirito di queste direttive pontificie, si può presagire un solido incremento dell'opera nata dalla creati­vità evangelica di Don Carlo e fedelmente custodita dai suoi figli spirituali. Un'opera concepita e attuata non come un momento di passaggio od un episodio marginale, ma vitalmente innestata nel dinamismo del fine missionario della Chiesa, carica quindi di volontà di crescita. Garante uno dei caposaldi della spiritualità e della pedagogia del Fondatore: l'amore al Vicario di Cristo e la sottomissione alla Gerarchia; dimostrando fattivamente che, sì, l'obbedienza è ancora una virtù.

Alba, 18 Ottobre 1989

Giulio Nicolini Vescovo di Alba

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1 - GLI ANNI DEL FOCOLARE

Un giglio del Tabernacolo


Le prime luci dell'alba illuminano la vetta del Cimone e si stendo­no man mano sull'altipiano vicentino. I galli danno richiami acuti e rochi qua e là e gli uccellini si danno la sveglia pigolando; qualche carro cigola in lontananza. Sulla strada deserta che porta alla chiesa un fan­ciullo è tutto ascolto, tutto sguardi qua e là sulla natura che si risve­glia, mentre sgambetta veloce con le scarpe in spalla. È Carletto. Tut­ti lo conoscono in paese, tutti salutano volentieri quel bambino dal visetto tondo sempre aperto al sorriso, dagli occhi vispi e dolci, che ha sempre i riccioli scompigliati per l'impulsiva vivacità.

La mamma ripete spesso a chi le parla di lui: «El me Carleto! El xe tuto spirito; speremo che el se calma».

Eppure quando sale l'altare vestito da chierichetto, tutti notano la sua compostezza semplice e raccolta, consapevole che sta per compiersi qualcosa di grande.

Eccolo giunto alla chiesa: si rimette le scarpe ed entra. L'amore ardente per Gesù Eucaristia che sarà il centro vitale, il fulcro lumino­so della sua spiritualità e della sua missione, ha la sua radice qui, nel­l'incontro eucaristico quotidiano.

D'estate, d'inverno, con il sole, la pioggia o la neve che d'inverno abbonda ad Arsiero, Carletto divora d'un fiato quel chilometro e più di strada che dalla casa porta alla chiesa.

« Gli piaceva tanto vestirsi da chierichetto e servire Messa », ricor­da la sorella Renata.

Finita la Messa, sosta qualche istante davanti all'altare della Ma­donna, poi corre a casa per un po' di colazione alla svelta ed eccolo di nuovo in strada - scarpe in spalla - per andare a scuola. Così ogni mattina.

Sapeva quanti sacrifici erano costate quelle scarpe e voleva farle durare il più a lungo possibile.



Le due annunciazioni di Maria

Carletto è il primo di quattro fratelli della famiglia De Ambrogio. Papà Pietro di Varallo Pombia (Novara) aveva messo su casa ad Ar­siero, paese nativo della sua sposa, la signora Lucia Augusta Carollo. In quegli anni dopo la prima guerra mondiale, un modesto falegname come lui faticava a trovare lavoro ed egli si adattava a cercare qua e là qualsiasi occupazione.

Intanto il 1921 segnò per loro una grande gioia: la nascita di Car­letto, il primogenito. Nasceva proprio il 25 marzo, festa dell'Annun­ciazione del Signore, il venerdì santo di quell'anno alle 14 e 30, l'ora in cui, nel primo venerdì santo, Gesù dalla croce donava la Madre al discepolo prediletto.

Carletto, divenuto poi Don Carlo, porterà sempre nel segreto del cuore la luce di questa coincidenza. Le due Annunciazioni di Maria - la prima da parte dell'Angelo Gabriele che la rese Madre di Dio e la seconda presso la croce da parte di Gesù che la rese Madre della Chiesa, Mamma di ciascuno di noi - saranno la realtà spirituale che tesserà in filigrana tutta la sua vita e la sua evangelizzazione.

Dopo qualche giorno dalla nascita, e precisamente lunedì 3 aprile, Carletto fu battezzato nella chiesa parrocchiale. Iniziava in lui la "vi­ta nascosta con Cristo in Dio" divenendo un tabernacolo vivente, una "stupenda Cattedrale dei Tre". S. Leonida, padre di Origene, si ingi­nocchiava a baciare sul petto il suo bambino, divenuto per il battesi­mo dimora della Santissima Trinità. Possiamo pensare che qualcosa di simile abbia fatto con il suo Carletto anche mamma Augusta che i figli ricordano come una donna di grande fede e di intensa preghiera.

Intanto le difficoltà finanziarie aumentavano e il papà con l'ap­poggio di un compaesano pensò di emigrare con la piccola famigliola in Francia. Ad Asniéres - sur Seine (vicino a Parigi), dove aveva tro­vato un impiego come falegname, la vita era dura. Abitavano in una baracca e per tirare avanti la mamma portava Carletto all'asilo-nido e cercava di lavorare qua e là riuscendo a malapena a raggranellare qualcosa da aggiungere al misero stipendio del marito. Al disagio del­la povertà si aggiungeva quello dell'umiliazione, perché gli emigrati italiani erano allora guardati con diffidenza e disprezzo.



"Non è mica nato santo mio fratello"

Anche se in tenera età, Carletto - che rivelava già un intuito per­spicace non comune - avvertiva il clima depresso e ne soffriva. Rea­giva anche. Infatti un giorno - aveva poco più di tre anni -, senten­dosi burlato da una signora francese che lo apostrofò: « Petit maca­rony » (piccolo maccherone), punto sul vivo raccolse una doppia ma­nata di terra e sassi e la gettò a tutta forza contro i vetri di quella casa, mandandoli in frantumi. Alla mamma che lo rimproverava per il pic­colo disastro, disse ancora rosso in viso per l'indignazione: «Ma mam­ma, io non sono un maccherone! ». La mitezza e la dolcezza che di­stingueranno il tratto e la parola di Don Carlo non erano dunque in­nate, ma frutto di Spirito Santo e di rinnegamento continuo della sua natura sensibile e pronta.

« Non è mica nato santo mio fratello - sottolinea la sorella Rena­ta che più di tutti gli è stata vicina -; ha sofferto per diventarlo».



Cadde nell'acqua

Renata era venuta ad allietare la famigliola tre anni dopo di Car­letto e condivise con lui gli anni più duri, ma anche più felici - come lei stessa sottolinea - dell'infanzia e della fanciullezza.

Un giorno, non si sa come, Carletto cadde nell'acqua. Riuscirono a salvarlo, ma per aver battuto violentemente sul fondo sassoso, ri­scontrarono subito delle gravi conseguenze con inizio di paresi al pie­dino. I medici consigliarono di portarlo d'urgenza in Italia, all'ospe­dale di Padova.

La mamma si mise subito in viaggio con i due bambini e, dopo aver lasciato Renata, di un anno, dai nonni a Varallo, proseguì in fretta per Padova.

All'ospedale civile dove venne accolto, la prognosi di Carletto ri­sultò grave e i medici presero a cuore il caso. Mamma Augusta per due o tre mesi non si staccò mai giorno e notte da quel lettino.

Il bambino intanto migliorava sensibilmente e riacquistava tutta la vivacità dei suoi quattro anni, facendo domande a non finire su tutto e su tutti, rivelando un'intelligenza non comune e una memoria straor­dinaria.



Mamma Augusta incise nella sua vita

Il papà intanto era rimasto in Francia per sostenere la famiglia, ma, data la necessità di continuare cure mediche e controlli all'ospe­dale, la mamma con i due bambini si stabilì ad Arsiero. Soffrivano per la lontananza del papà, ma sapevano che quel sacrificio reciproco era per provvedere il poco necessario già tanto scarso e misurato. Mam­ma Augusta cercava di supplire in tutti i modi e seguiva con amore i suoi bambini.

« Era sempre serena, allegra - ricorda Renata -, prendeva la vi­ta così come veniva. Anche se doveva affrontare tanti sacrifici e diffi­coltà, la sentivamo sempre cantare mentre andava su e giù per la casa o al torrente. Era sostenuta da una grande fede; pregava moltissimo e ci insegnava a pregare ».

Sapeva farsi amare in paese e non si sentiva affatto umiliata quan­do qualche buona donna le regalava i vestiti dimessi dei suoi bambini, anzi ringraziava sempre.

Allora si improvvisava sarta, li rivoltava, li ricuciva su misura e dalle sue mani uscivano come nuovi. Era sempre in movimento. Quan­do non trafficava in casa, era al torrente a lavare la biancheria e al lume di candela completava di notte ciò che non riusciva a fare di giorno.

La figura della mamma inciderà moltissimo in Carletto, nella sua formazione e nella vita spirituale caratterizzata appunto da un vivissi­mo amore alla Mamma Celeste e da una profonda esperienza della sua materna presenza.



Quel pianoforte a coda delle Suore

Ad Arsiero la casa era povera, ma almeno non era una baracca. Si arrampicava su un piccolo pendìo a ridosso del colle e al lato de­stro si affacciava su una ripida china chiamata "Le Grotte", che de­clinava a picco nel torrente Posina; alberi e prati tutt'intorno. Carlet­to vi si trovava a suo agio: poteva scorazzare liberamente, asseconda­re quello spirito di avventura che sentiva innato e affinare quella ca­pacità di ascolto e di stupore per la natura che sarà caratteristica del suo animo contemplativo.

Ormai era guarito completamente ed era diventato il piccolo leader di gioco dei suoi compagni. Amava la loro compagnia e andava volentieri all'asilo che era a un tiro di sasso da casa. Vi erano allora le Suore della S. Famiglia che lo accolsero con tanta bontà, lo teneva­no a mensa da loro e provvedevano ora a questa, ora a quella necessi­tà. Carletto vi si trovava di casa e in due salti, scarpe in mano, saliva quel piccolo pendio per andare dalle sue Suore più volte al giorno.

Da Sacerdote conserverà sempre una grande stima e predilezione per le anime consacrate, e oltre che tra i giovani svolgerà gran parte della sua predicazione (esercizi spirituali, ritiri ecc.) tra le religiose, claustrali in particolare.

Suor Luisa, la Superiora, vedendolo dotato di uno spiccato senso musicale, lo iniziò al suono del pianoforte a soli quattro anni. Lo af­fidò poi al Maestro Fontana di Arsiero, un valido ed esperto maestro di musica che suonava anche nei concerti classici.

Carletto imparava con passione, la musica lo affascinava al punto da passare a volte molte ore al pianoforte a coda delle Suore. Componendo musiche e canti per i giovani Gam (negli anni 1975 - 79), Don Carlo confiderà poi sorridendo: « La Mamma Celeste mi ha preparato a questo fin da bambino ».

A cinque anni sapeva già suonare e accompagnava i cori nei tea­trini dell'asilo e dell'oratorio festivo. Non solo suonava, ma recitava anche e attirava la simpatia di tutti.

Ma ciò che più cresceva in lui a contatto di quelle anime consacra­te era l'amore per Gesù e la Mamma Celeste già instillato da mamma Augusta. Nel cuore di Carletto, in quei primi anni d'infanzia, si face­va già strada il sogno più bello della sua vita: essere Sacerdote, essere tutto e solo di Gesù e di Maria. E lo confidò un giorno a Sr. Luisa con il candore innocente di chi affida la cosa più bella ancora in boccio. Quella sua calligrafia da fanciullo

A sei anni passò alla scuola elementare. Appena imparato a legge­re divorava tutto ciò che di scritto potesse capitargli sotto mano. So­prattutto cominciò a leggere il Vangelo e altri libri sacri che trovava dalle Suore e si appassionò a tal punto della Parola di Dio che a soli nove anni sapeva a memoria l'Apocalisse, il libro delle realtà future. Un fatto significativo per lui che diverrà un apostolo degli ultimi tempi, dei "cieli nuovi e terra nuova".

La Parola di Dio sarebbe stata la passione più grande di tutta la sua vita. La Madonna preparava già il suo evangelizzatore ed egli po­teva dire fin da allora come il profeta: « Quando le tue parole mi ven­nero incontro, le divorai con avidità, la tua Parola fu la gioia e la leti­zia del mio cuore, perché io portavo il tuo nome, Signore, Dio degli eserciti» (Geremia 15,16).

Tornato da Messa raccoglieva i suoi libri e quaderni nella sacca di pezza cucita dalla mamma e si avviava a scuola. Se per strada tro­vava qualche carro di passaggio, vi si attaccava dietro e vi saliva con altri compagni a seconda della condiscendenza del carrettiere. E allo­ra era proprio una festa.

Non invidiava per niente i compagni di condizione più agiata, non rimpiangeva la sua povertà. Nella sua esuberanza, a volte birichina, diceva alle due figlie del direttore della cartiera che andavano a scuola accompagnate dalla governante: « Voi dovete sempre stare agli ordi­ni, io invece per la strada corro, salto, monto sul carretto, vado come voglio... ».

Per l'ottima riuscita a scuola, la maestra pensò bene di fargli ab­binare terza e quarta insieme e a fine anno riportò il giudizio: « ono­revole, con lode ».

Teneva sempre con diligenza i libri e i quaderni vergati da quella sua scrittura limpida, gentile e aggraziata. Conservò, tutta la vita, una calligrafia di fanciullo da cui trasparivano il candore e l'innocenza, l'equilibrio e l'armonia interiore.

Quando, nel 1979, nacque il foglio volante Gam "Per me Cristo" per i fanciulli con le figurine e il testo del Vangelo manoscritto, Don Carlo, presentando il primo numero agli intimi collaboratori, disse sor­ridendo: «Adesso capisco perché a differenza degli altri ho mantenu­to sempre una scrittura da bambino; la Mamma - così egli amava chiamare la Madonna - voleva utilizzare anche questo per il Regno di Dio ».

Tutto nella sua vita sarà finalizzato alla sua consacrazione e mis­sione, sia perché lo Spirito Santo e l'Immacolata tessevano passo pas­so la trama del disegno del Padre, sia perché la sua volontà indirizza­va tutto a quell'unico ideale: essere di Gesù e annunciare il Vangelo. Faceva continuamente esperienza di quanto dice il profeta Isaia:

«Io sono il Signore tuo Dio, che ti insegno per il tuo bene, che ti guido per la strada su cui devi camminare» (48,17).



Un pubblico insolito

Al pomeriggio, eseguiti i compiti, correva all'asilo a suonare. La stanza del pianoforte dava sul piccolo orticello. Un giorno Carletto si accorse che tutti i coniglietti, orecchie drizzate, si erano radunati dinanzi alla vetrata e stavano immobili ad ascoltare. Preso dall'entu­siasmo per quel pubblico insolito si diede a pestare con più impeto sui tasti e quelli spaventati scapparono. Allora riprese l'andatura tran­quilla di prima e i timidi animaletti, uno dopo l'altro, tornarono ad ascoltare.

Fu per lui come una rivelazione: intuì il legame strettissimo con la natura, con l'intero cosmo.

Più volte - divenuto Sacerdote - nel suo annunzio sottolineerà questa comunione con l'universo; « Se tocchi un fiore, tremano le stel­le »; e parlerà di risurrezione cosmica in cui tutto l'universo - come dice S. Paolo - parteciperà alla gloria dei figli di Dio (cf Rm 8,22-23). Tutto per lui era segno. Ed era strada.



Si arrampicava come un vero scoiattolo

Dopo aver aiutato la mamma nei piccoli servizi e nell'accudire la sorellina Renata, Carletto trovava il tempo anche per giocare. I com­pagni venivano a cercarlo e sullo spiazzo poco sopra la sua casa, gio­cavano a rincorrersi, a nascondino, a bandiera, a palla e a mille altri giochi improvvisati al momento dalla fervida fantasia di quel piccolo trascinatore. Carletto era agilissimo nella corsa. Quando la palla s'im­pigliava tra i rami di qualche albero, tutti gli occhi erano su di lui: « Carletto, vai tu? ». « Sì, sì, vado io » rispondeva invariabilmente e si arrampicava come uno scoiattolo fino in alto. Ricorda il signor Da­nilo Zavagnin, suo compagno d'infanzia, che un albero era partico­larmente pericoloso perché pendeva su uno strapiombo, tanto che una volta un cuginetto salito a prendere la palla, non riusciva più a scen­dere e lo dovettero prelevare con le corde. Ma egli, tutto fuoco e gene­rosità, vi si arrampicava con estrema disinvoltura e coraggio.

Godeva delle piccole gioie della vita: un incontro, una piccola sor­presa, un bel voto a scuola, una scampagnata con gli amici. Gli piace­va tanto nelle giornate d'autunno sedere vicino alla finestra con un bel libro da leggere (divorava i libri), ascoltando il ticchettìo della piog­gia come una musica, magari con qualcosa di buono da sgranocchia­re: qualche nocciolina, raccolta nei boschi lì attorno, o un pugnetto di caldarroste.

Lo appassionava anche esplorare quelle zone battute dai soldati nella prima guerra mondiale e raccattare qua e là qualche resto signi­ficativo, a volte incorrendo anche in seri pericoli. Ma la Madonna lo difese sempre. E Mamma Augusta aveva la netta percezione di questa particolare protezione sul suo Carletto.



Mancava tutto... ma non la gioia

Giunse intanto la notizia tanto bella che papà sarebbe tornato dal­la Francia: cominciava a diventare insostenibile il sacrificio della lon­tananza dalla famiglia. Forse le cose erano un po' cambiate al paese e sperava di poter trovare lavoro nella grande cartiera di Arsiero che aveva assunto circa seicento operai.

Il ritorno del papà fu una grande festa per tutti, ma soprattutto per Carletto così espansivo e sensibile. Papà Pietro era un uomo di poche parole ma di un gran cuore. Semplice e senza esigenze, dopo il lavoro scambiava volentieri quattro chiacchiere con gli amici o una partita a carte. Non mancava mai alla Messa la domenica e anche se non lo esprimeva molto, si vedeva in lui una fede semplice.

Il lavoro intanto non si trovava: alla cartiera per il momento era­no al completo e altrove le porte erano chiuse. Questa situazione veni­va a incrudire ancor più le condizioni già misere della famiglia. A ta­vola vi era solo qualche patata, mezzo uovo o un pezzetto di formag­gio, un po' di pane o di polenta. La carne compariva solo nelle grandi feste ed era proprio solo una comparsa; qualche frutto o dolcetto a Natale e a Pasqua. Papà e mamma servivano prima i bambini e riser­vavano per sé solo ciò che rimaneva. Mamma Augusta doveva nascon­dere il pane, perché ce ne fosse anche a cena.

Eppure in una situazione così penosa c'era sempre tanta gioia. Ri­corda la sorella Renata: « Carletto era sempre contento, non aveva esigenze o pretese, né faceva pesare le privazioni. Si accontentava del mi­nimo e non era ambizioso. Non era attaccato a niente, anzi, se aveva qualcosa, dava via tutto ».



Augusta, corri... la casa brucia!

Un pomeriggio la mamma era scesa al torrente a fare il bucato; aveva con sé la piccola Renata che giocherellava con l'acqua. Dopo un po' sente gridare: «Il fuoco! Il fuoco!... Augusta, corri: la casa brucia! ». Le fiamme erano ormai più alte del tetto. D'un fiato la po­vera donna è nel cortile; il suo pensiero va subito a Carletto che aveva lasciato in casa a fare i compiti. Chiama, grida, ma il bambino non risponde. Entrare in casa ormai era impossibile.

La mamma piange e invoca la Madonna. Ad un tratto vede scen­dere dalla scarpata le Suore e Carletto tra loro: finiti i compiti era an­dato all'asilo a suonare. Inesprimibile la gioia e la gratitudine della mamma: la Madonna aveva salvato il suo bambino.

Più tardi tornò anche il papà e guardò quel cumulo di macerie in un muto silenzio, stretto dall'angoscia. Del poco che avevano rima­neva solo ciò che portavano addosso. Fu la mamma, come sempre, a rompere il silenzio e a fare coraggio a tutti: era allenata a calare la fede nella vita di tutti i giorni e anche in quell'ora di grave prova la sostenne la certezza che Dio è Padre e non abbandona mai.

Le buone Suore si industriarono subito a provvedere tutto lo stret­to necessario. Il papà, un po' alla volta, con materiale grezzo raccolto qua e là ricostruì alla meglio i muri distrutti. Persistendo la disoccu­pazione, tentò un'altra possibilità di lavoro all'estero e partì stavolta per l'Africa.



Era la consolazione di tutti

Carletto intanto cercava di essere la consolazione della mamma: si impegnava a fondo in tutto e a scuola riportava sempre il massimo dei voti con lode. «Fin dalla più tenera età - afferma la sorella Re­nata - viveva intensamente la sua giornata, applicandosi in tutto. Non litigava, né mancava di rispetto; era buono. Non diede mai dispiaceri alla mamma ». Diceva spesso anche in casa che voleva farsi Sacerdote.

Qualche scappellotto della mamma tuttavia piombava anche su di lui all'occasione, per qualche birichinata fuori serie. Scappando allo­ra diceva: «Quando sarò prete non me le darai più! ». E la mamma di rimando: « No, invece, te le darò anche da Papa, se ci sarà bisogno! ».

All'età di otto, nove anni, Carletto cominciò a confidare anche ai suoi compagni di voler farsi prete. Ne parlava soprattutto con Dani­lo, con il quale aveva più affinità e confidenza. Gli resterà sempre amico anche nei brevi contatti che terrà da Chierico e da Sacerdote. A di­stanza di molti anni il signor Danilo Zavagnin ricorda di lui: « Era sem­pre disponibile, buono. Quando lo vedevo mi pareva di vedere il Si­gnore: aveva una dolcezza nel parlare, una cordialità e finezza... ».

E i ricordi si accavallano come onde nella mente, chiari, incancel­labili. «...Ma la dolcezza che ho trovato in Don Carlo - conclude - è la cosa più sublime».

Quando aveva svolto i suoi impegni di scuola, di casa, di musica, andava volentieri in canonica per stare con i Sacerdoti: il Parroco e qualche Sacerdote o missionario di passaggio. Si intratteneva spesso anche con Caterino, un'anima stupenda, un consacrato laico che atti­rava i bambini con qualche gioco o dolcetto per parlar loro di Gesù, farli pregare, specialmente con il Rosario, e aiutarli a diventare più buoni.



Finalmente, il Tabernacolo si apre per lui

Il Papa dell'Eucaristia S. Pio X aveva aperto il Tabernacolo ai bam­bini fin dalla più tenera età, da quando sapevano distinguere « Pane da pane ». Aveva compreso il desiderio ardente di Gesù: « Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite» (Mc 10,14).

A quanti anni Carletto ricevette la Prima Comunione? Certamente pri­ma dei nove anni, ma ce ne sfugge l'età precisa. Si preparò con gran­de fervore alla Prima Confessione: voleva ricevere Gesù degnamente, con cuore immacolato. Da Sacerdote diverrà un fervente apostolo della Confessione, aiutando a riscoprirla come Sacramento della gioia. Ar­rivò finalmente anche per lui l'ora in cui poteva ricevere Gesù nell'O­stia santa tutti i giorni; l'aveva tanto desiderato con santa invidia mentre da chierichetto teneva la patena. Adesso all'alba volava per la strada pensando all'incontro eucaristico con Gesù e si fermava all'altare del­la Madonna per dirle: « Mamma, dammi il tuo Cuore per amare Gesù ». Carletto unirà sempre in tutta la sua vita un ardente amore a Gesù Eucaristia a un intenso e tenerissimo amore alla Mamma Celeste. Da Sacerdote dirà: « La Vergine e l'Emmanuele (Dio-con-noi) sono indis­sociabili; il candore dell'Ostia e quello dell'Immacolata si richiamano a vicenda. È la Mamma che ci dona Gesù». E insegnava a ripetere un piccolo saluto alla Vergine di S. Caterina da Siena: « Io ti ringra­zio, dolce Mamma, che ci dai Gesù, il Pane Eucaristico della tua farina ».

Il Papa Giovanni Paolo II dirà: «Alla radice dell'Eucaristia c'è la vita verginale e materna di Maria, la sua traboccante esperienza di Dio, il suo cammino di fede e di amore, che fece, per opera dello Spi­rito Santo, della sua carne un Tempio, del suo Cuore un altare.

Ave, o vero Corpo, nato da Maria Vergine».



All'ombra dello Spirito

A nove anni, il 30 agosto ricevette la Cresima da Monsignor Fer­dinando Rodolfi, Vescovo di Vicenza. La pienezza dello Spirito San­to con tutti i suoi doni opererà in lui con un'efficacia straordinaria, tanto da richiamare alla mente le parole di Gesù:

«Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4,18).

L'azione divina dello Spirito Santo in lui si manifesterà solo più tardi, all'ora di Dio.

Intanto egli cresceva nel silenzio all'ombra dello Spirito e di Maria. Lucia, io ti battezzo...

Nel 1930 nasceva Lucia. Anche se poveri, mamma e papà acco­glievano come un grande dono le creature che il Signore mandava lo­ro. Renata era felice di avere una sorellina. L'unico a non essere con­tento stavolta fu Carletto: voleva un fratellino lui, non una sorellina; un fratellino avrebbe potuto fargli da chierichetto nelle messe che lui celebrava ormai da anni sugli altarini improvvisati in cucina o in camera.

Tutto il vicinato seppe del suo malumore e ne sorse una benevola ilarità. C'era chi a bella posta gli chiedeva notizie della sorellina e, particolarmente il direttore della cartiera che aveva un bimbo di po­chi giorni come Lucia, lo stuzzicava dicendo: « Il mio Enrico parla già, il mio Enrico già cammina, la tua invece... ». Carletto si indispettiva, ma non tardò a rappacificarsi e accettare con amore anche la piccola Lucia. Imparò a circondarla di tanta affettuosa attenzione, al punto che la mamma poteva fidarsi di lasciarla alle sue cure quando doveva assentarsi.

C'era però un fatto che lo lasciava inquieto: era già trascorso un mese e la sorellina non era ancora stata battezzata perché si attendeva dalla Svizzera lo zio Gaudenzio che doveva farle da padrino. Carletto aveva imparato a catechismo quanto fosse importante amministrare al più presto ai bimbi questo Sacramento sia per la grandezza del do­no di diventare figli di Dio, partecipi della stessa Vita divina, sia per la fragilità del loro fisico che li espone talvolta al pericolo di morire con il peccato originale, senza la grazia santificante. Una volta semi­nato questo dono stupendo, ineffabile di Dio, « dorma o vegli », dice Gesù nella parabola, cioè sia o no consapevole, come nel caso di un bimbo piccolo, « il seme cresce, senza che egli sappia come » (cf Mc 4,26-27).

Carletto credeva a tutto questo ed era sulle spine finché Lucia non fosse battezzata. In più le Suore, un po' scherzando bonariamente, lo tormentavano: « Va' via, che hai un`ebrea" in casa! ».

Carletto meditava sul come risolvere le cose, dato che lo zio tarda­va ancora. Un giorno portò a casa le vesti da chierichetto. La mamma gli fece notare che non erano sporche, ma lui insisté deciso: « Sono da lavare » ed evase l'argomento per non essere interrogato più oltre.

Attese il momento buono, che si presentò quando la mamma uscì al mercato. Allora indossò la piccola talare nera e rivestì Renata (che allora aveva sei anni) della cotta bianca, le affidò in braccio la picco­lina e prese un catino con l'acqua e il sale. Poi versando l'acqua pro­nunciò chiaramente con convinzione la formula: « Lucia, io ti battez­zo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo ». Con tutta serietà Renata rispose: « Amen ».

Fece appena in tempo, perché le grida disperate della piccina atti­rarono l'attenzione di una passante che, entrata e vista la scena, si af­frettò a salvare la bimba da quel diluvio di acqua e sale. Ma ormai il Battesimo era amministrato e Carletto era felice.

Il Parroco, informato premurosamente dalla mamma, confermò che il Battesimo era valido, perché Carletto (lui lo conosceva bene) aveva l'intenzione di fare ciò che fa la Chiesa; tuttavia avrebbero ri­petuto la Liturgia battesimale in chiesa.