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03/09/2009 15:03 | |
Dimmi come vivi e ti dirò chi sei
Per capire meglio come si pone a noi il problema della Speranza e perché spesso, nei suoi confronti, ci scopriamo esitanti, dubbiosi, carichi di incertezze e perplessità, vorrei quasi "interrogare" con voi quello che io ritengo uno fra i più grandi scrittori religiosi del nostro tempo, ma insieme anche scienziato dedito alla geologia e alla paleontologia: Pierre Teilhard De Chardin. E un gesuita francese, vissuto tra il 1881 e il 1955, capito troppo tardi nelle sue ardite concezioni spirituali, connesse a delle lucide introspezioni psicologiche ed esperienziali sulla vita umana.
Dal 1926 al 1946 lavorò in Cina, dove era stato praticamente esiliato, a Tiensin e a Pechino.
Vorrei chiedere a Teilhard, come se lui fosse qui, in una specie di dibattito immaginario che supera le leggi del tempo, se davvero gli atteggiamenti fondamentali della vita di ognuno possano dirci qualcosa del suo modo di essere profondo. Credo che la sua risposta potrebbe essere più o meno questa.
A colloquio con Teilhard
«Vedete, amici, noi potremmo immaginare un gruppo di escursionisti, che partono alla conquista di una vetta difficile. È un paragone che può calzare per persone giovani, magari amanti dell'avventura o di qualche camminata in montagna.
Proviamo però a passare in rassegna il nostro gruppo qualche ora dopo la partenza. A questo punto è molto probabile che la comitiva, che era partita insieme e con slancio, sia divisa ora in tre tronconi.
Alcuni rimpiangono di avere lasciato il Campo o l'albergo; lì si stava comodi, si poteva prendere il sole e riposarsi. La fatica e forse il pericolo della escursione sembrano sproporzionate all'interesse della conquista di quella vetta a cui avevano mirato.
Altri non sono per nulla dispiaciuti di essersi messi in cammino; il sole risplende in un cielo terso e carico di azzurro, il panorama è meraviglioso, l'aria che si respira è piena di ossigeno e dilata i polmoni, abituati come siamo all'ossido di carbonio delle nostre città... Ma a questo punto perché salire ancora, perché continuare a fare fatica quando tutto è così bello; ci si può godere la montagna dove si è, in mezzo ad un prato chiazzato di stelle alpine o in pieno bosco odoroso di muschio e licheni. Così, appagati, si sdraiano sull'erba, aspettando che arrivi l'ora del picnic insieme.
È rimasto, infine, un gruppetto di veri amanti della montagna; i loro occhi non si staccano dalla vetta per la quale si sono messi in cammino e che hanno giurato a se stessi di conquistare, costi quello che costi... Pur vedendo gli altri fermarsi o ritornare indietro, loro stringono i denti e riprendono la salita...».
Non c'è speranza per... “i nati stanchi”
Fin qui è quanto ha voluto dirci, con il suo esempio, Teilhard De Chardin.
Proviamo noi ora a scavare un po' di più per capire il messaggio e decodificarlo nella nostra vita.
Il primo troncone lo potremmo definire dei "nati stanchi"... Sono quelli (e ahimé sono tanti), che non amano fare fatica, che cercano tutti i possibili comforts, che si lamentano in continuazione di questo che non va, di quello che non li capisce, di come la vita si presenti difficile e dura... In loro c'è sempre una velata apatìa che li porta alla rassegnazione e al valutare gran parte della vita, se non l'esistenza stessa nella sua interezza, con un atteggiamento di profondo pessimismo.
Hanno occhi scoraggiati e sfiduciati, il loro passo è stanco, il loro modo di vivere è sentito come uno scacco continuo.
Per questi individui, il solo "pensare" alla Speranza è una ...illusione e la loro vita diventa un camminare strascicato, perché si tirano dietro una pesante palla di piombo legata al piede: il loro pessimismo!
In fondo, il loro slogan potrebbe suonare così: « È meglio essere MENO che essere PIO; anzi, il meglio di tutto sarebbe non essere per nulla».
Solo piacere... niente speranza
La seconda "trance" dei nostri escursionisti, forse la fetta più consistente, è formata da una categoria di tipi che possiamo definire, tranquillamente, dei "bontemponi".
Sono allegri, gioviali e in fondo a loro non interessa far fatica ma piuttosto divertirsi. Là dove si trova questa opportunità ci si ferma, un po' come dei farfalloni che una volta trovato il buon nettare di un fiore si fermano a succhiarlo, gratificati, fino in fondo.
Sono i figli della nostra cultura dell'immediato, quelli che amano cogliere ...l'attimo fuggente e fermarsi a quello che "qui e adesso", senza difficoltà, viene passato come il piacere della vita.
Per loro il motto potrebbe essere: "Riempiamoci del momento presente". Una riedizione per nulla originale del vecchio "carpe diem", esaltato dal poeta latino Orazio, che non sempre ci ha visti, o ci vede attualmente, benevoli e compiaciuti nei suoi confronti, sui banchi di scuola durante qualche traduzione di ...latino.
Sono quelli che sul futuro e per il futuro non scommettono nulla, non rischiano nulla. Sono quelli per cui la Speranza resta una gran bella parola, ma che li lascia indifferenti e assopiti nel loro benessere presente.
Il coraggio dei "cuori ardenti"
Ci è rimasto l'ultimo gruppo, che non esiterei a definire il gruppo dei "coraggiosi", uomini e donne, giovani dal cuore ardente e tenace, per cui il vivere è una ricerca e una scoperta di valori preziosi; per essi la Speranza è un bene che vale lo sforzo di una dura salita, è una vetta che appaga pienamente la fatica fatta per raggiungerla.
Anzi, oserei dire che per essi la Speranza è la ricerca di un qualcosa di più, non in senso perfezionistico, ma nel riuscire a cogliere il loro punto di arrivo come il nuovo punto di partenza per la prossima vetta e quindi per una ulteriore scoperta. Non sono avventurieri, ma giovani innamorati di "essere di più e meglio", sapendo che l'Essere che cercano è inesauribile nelle sue proposte e nelle sue risposte; che la Speranza che trovano è come un focolare di luce, di calore a cui è bello e anche possibile avvicinarsi sempre maggiormente.
Qualcuno li deride, qualche altro li ritiene illusi o ingenui, altri ancora li credono delle "teste matte" che non sanno capire il senso concreto della vita.
Si accomodino pure questi signori dal riso incredulo, come Sara, la moglie di Abramo, di fronte ai tre ospiti che le annunciavano la sua futura maternità, pur nella vecchiaia. Si accomodino... perché piano piano sarà il loro riso a smorzarsi sulla bocca, quando vedranno che in quelli e da quelli che loro ritenevano ingenui, si prepara a sorgere la "terra di domani".
Se vuoi speranza, sii ...risoluto
Abbiamo visto che ci sono tanti modi per impostare la vita, tanti quanti sono le persone sulla faccia di questa terra; ma è anche vero che noi possiamo trovare qualche "fil rouge", denominatori nel decodificare uno stile di vita e nel capire se esso porta o meno alla Speranza.
Certamente, non sono cercatori di Speranza quelli che hanno uno stile di vita "accartocciato su se stessi", dei ricci isolati per cui conta "ciò che a loro piace" più di ciò che ha un senso o un valore in se stesso.
Non sono cercatori di Speranza quella grande massa di "gregari passiveggianti" della nostra società e cultura, facilmente suggestionabili da quanto viene loro proposto dai mass-media, facilmente aggregabili a ciò che pensa la... maggior parte della gente, facilmente assimilabili ai comportamenti di moda, non importa se passeggeri e spesso anche contraddittori.
La loro regola di vita non è l'amore di qualcosa o qualcuno, ma il timore, la terribile paura di "essere scomunicati" dagli altri, di non poter più fare parte del gruppo a cui si sono agganciati in maniera acritica e un po' insulsa...
Quanti di questi manichini fotocopiati l'uno sull'altro girano per le nostre strade!
Non sono cercatori di Speranza coloro che hanno fatto del legalismo ad oltranza la loro unica ed inderogabile norma di vita. Si appoggiano ad una "legge" che diventa un totem sacro da adorare e venerare; sono anche quelli che in maniera nostalgica rimpiangono sempre il passato e dicono sconsolati: «Ai miei tempi non era così... ». E forse possono anche avere ragione, ma non è certo da coloro che soffrono di questa "sindrome del torcicollo" o che si appoggiano ad una rigidità legalistica e formale che ci si può aspettare il... colpo d'ala verso la Speranza.
Sono invece cercatori di Speranza coloro che hanno una qualità che il grande filosofo viennese Martin Buber, quasi contemporaneo di Teilhard De Chardin perché vissuto tra il 1879 e il 1965, definisce come la virtù della "risolutezza". È una risolutezza e una fedeltà creativa di vita che non ha nulla da spartire con l'orgoglio che deriva dal successo. In realtà significa evitare il nostro eterno zizzagare qui e là, l'andirivieni di tante esperienze della nostra esistenza che non hanno né capo né coda.
Sia chiaro, non è una cosa facile: si tratta di riprendere e "ricompattare" un cuore sfilacciato e disperso in tanti frammenti, una specie di puzzle che domanda la fatica della ricomposizione. Ma la Speranza si può cercare e trovare solo così: ri-concentrandosi e re-indirizzandosi verso la meta che essa rappresenta, anche quando abbiamo imboccato strade sbagliate e vicoli ciechi.
C'è una forza divina che giace nelle profondità recondite del cuore umano ed è in grado di agire su di esso e trasformarlo, come è in grado di ri-fondere insieme tutti quegli elementi che tendono a separarsi.
La speranza si fa "responsabilità"
La parola "responsabilità" è di quelle che possono tonificare una intera esistenza; sì, perché essa non può coniugarsi separata dalla "libertà del cuore".
Aveva ragione il grande psicoanalista Victor Frankl, autore della Logoterapia, la terapia del "significato della vita", ad affermare con una battuta che celava tanta verità sotto un velo di ironia: «Come si è costruita la statua della Libertà sulla costa dell'Oceano Atlantico, bisognerebbe costruire la statua della Responsabilità sulla costa dell'Oceano Pacifico...». La libertà ti aiuta ad andare al di là della possibile e talvolta inevitabile stanchezza che ti assale, rende duro il camminare e fa sentire forte la tentazione di arrendersi, di fermarsi, di tornare indietro.
È andare al di là dell'angoscia che ti prende quando le tue paure si fanno sentire più forti e ti sembra di non riuscire a dominarle; e ti paralizza la mente, il cuore e ogni
slancio di iniziativa. È un andare al di là di un cuore angusto e stretto, mediocre, che dice: "Va bene così", quando non ha pensato che a se stesso.
È una Libertà che si fa Responsabilità.
Ce lo ricorda Erich Fromm, nel suo prezioso libro "L'arte di amare": responsabilità deriva dal verbo latino 44respondeo", vale a dire RISPONDERE.
È una risposta ad un appello di vita che chiede, ora sussurrando ora gridando... spiragli di Speranza.
È una risposta che "sa dare ragione della Speranza che è in noi", per citare una bellissima espressione presa al volo dalla Prima Lettera dell'Apostolo Pietro (3,15). Non si dona, né si comunica quello che non si ha, anche se è sempre possibile cercare insieme agli altri di impreziosire il bagaglio di Speranza che, pur piccolo, può crescere e riempire di senso la nostra vita.
È una Responsabilità che - proprio perché chiede alla Speranza di farsi compagna di viaggio del cuore umano, soprattutto di tanti cuori giovani - può superare o addirittura far cadere il muro di tutte quelle "tristezze inutili" che appesantiscono la nostra vita, e la possono finalmente strappare alle fitte maglie di una rete chiamata imbarazzo, fatalismo e impotenza.
Cercare insieme la Speranza è, in fondo, un modo di aiutare se stessi... aiutando gli altri.
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