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03/09/2009 15:05 | |
Bella scoperta! - dirà subito qualcuno.
Eppure, ci sono delle realtà in cui non c'è nulla più che io possa fare; a quel punto non si tratta di arrendersi, ma di accettare che il corso delle cose, come quello di un fiume, ha il suo svolgimento e che è importante accettarlo con calma, senza inutili isterismi, direi quasi con dolcezza. Questa, sia ben chiaro, non è passività né rassegnazione fatalistica.
Accettare significa ammettere, senza arrabbiarsi, che gli altri sono fatti in maniera diversa da come io li vorrei, che ci sono sensibilità diverse e che non sempre io le posso piegare a quello che vorrei o che mi piacerebbe.
È imparare a "ripararsi" senza restare in balìa delle saette e della pioggia torrenziale di un temporale.
È concentrarsi sull'avvenimento che viene e, invece di andare in tilt e perdere la testa, lasciare che ogni cosa, ogni persona, una per una, quasi "affettuosamente" esista.
Non serve a nulla trattare male le pietre che sono sul nostro cammino, arrabbiarsi perché esse sono lì e prenderle a calci (oltretutto è assai rischioso per l'incolumità personale). Il trasferire grosse cariche emozionali aggressive su ciò che succede non serve a modificarle per nulla, anzi, fa soffrire noi stessi per primi. Il primo bersaglio di tale rabbia e aggressività diventiamo proprio noi stessi. Essere delicati con le pietre? Ma non è assurdo?
Non tanto, perché non saranno certo le nostre vampate d'ira a levigare le pietre. Con esse, credo sia più importante essere dolci e affettuosi; mi pare davvero che sia l'unico sistema perché non ci feriscano malamente.
Però, sia chiaro, non pensate che chi sta scrivendo queste cose riesca anche a farle... magari! Eppure sono profondamente convinto di quanto detto sopra, proprio perché per anni ho seguito la via opposta senza approdare a nessun risultato; tanto vale allora cambiare, non vi pare? Ci sono delle pietre che non possiamo togliere dal sentiero della vita, non possiamo caricarcele sulle spalle per poi farle rotolare a valle; queste pietre penso sia importante lasciarle indietro sul nostro cammino, da amiche, sapendo che lì ci sono e che in un successivo passaggio si può provare a non caderci sopra...
Se volessimo essere ancora più concreti, c'è ancora qualcosa da dirci: per esempio, ricordarsi che non si può vivere una vita impostata sul "SE"...
«Se avessi fatto così... se fossi stato... se ...». Quando questi "se" si fanno troppo frequenti, quasi automaticamente si apre la via alla tristezza, al rimpianto, al rimorso.
È anche importante ritornare a "desiderare": non possiamo colpevolizzare il desiderio, perché esso porta in sé il seme di un progetto, di una crescita, di un cambiamento, di uno stupore nuovo... di una Speranza.
E infine non serve a nulla banalizzare né teorizzare troppo le nostre piccole o grandi croci. Spesso vorremmo capirne il perché, ma non sempre questo è possibile.
Il dolore, la sofferenza, sono realtà concrete che toccano in prima persona... Elaborare la propria sofferenza non è una cosa facile, anche se può essere più accessibile quando trovi una persona "amica", ma veramente tale, con cui la puoi condividere.
Per integrare in noi la sofferenza c'è un'altra via, che ci porta diritta diritta sui sentieri della speranza: «Una donna, quasi schiantata dal dolore per la morte del figlio, si recò un giorno dal maestro, in cerca di conforto. Egli la ascoltò pazientemente, mentre ella riversava su di lui la sua triste storia. Poi dolcemente le disse: "Io non posso asciugare le tue lacrime, mia cara. Posso solo insegnarti a renderle sante: offrile nella tua preghiera; ti saranno ridonate in nuovi segni di consolazione e di speranza"».
La Speranza nasce da un cuore in pace
A o spunto per questo tema, che tocca in profondità le fibre più recondite della nostra esistenza, mi è venuto dall'ascoltare quell'incomparabile testimone del Vangelo della carità che è Jean Vanier. Forse, il suo nome potrà dire molto a qualcuno, mentre potrebbe dire poco o niente ad altri...
Jean Vanier è un ex capitano di marina, canadese, il quale ha dedicato gran parte della sua vita a seguire e a sensibilizzare l'opinione pubblica sul grande tema della carità verso gli ultimi, soprattutto per quelle forme gravi di handicap psico-fisico e mentale che troppo spesso sono trascurate vergognosamente dalla nostra società del perbenismo e dell'efficienza, o che vengono tenute nascoste per non turbare il nostro quieto vivere. Ma questo lo capiamo anche noi che non è Vangelo!
L'oscurità del cuore
Tante volte mi sono chiesto cosa davvero significhi vivere con un cuore riconciliato, con un cuore... in pace. È la domanda che mi affascina e insieme mi spaventa, come tutte le grandi domande che coinvolgono la nostra vita stessa, come tutte le grandi "sfide" dell'esistenza.
Mi guardo intorno e vedo tante, troppe persone che in questo nostro mondo orientato verso il successo, il benessere, lo stare bene in maniera individualistica senza essere... scocciati dagli altri, in questo mondo che ci siamo costruiti con le nostre mani, molta gente vive con il cuore oppresso dall'ansia, che spesso è vera e propria angoscia, dalla solitudine affettiva, che è mancanza di amicizia e intimità; si vive la penosa esperienza di relazioni infrante (quante coppie separate, arrabbiate, frustrate...). Su tutto questo potrebbe aleggiare quella che in maniera angosciosa J.P. Sartre, filosofo francese esistenzialista, chiama la "nausea". Con queste condizioni di vita e di cuore si mettono tutti i presupposti per la noia, il senso del vuoto e della inutilità, per l'enorme diffusione della depressione.
Non voglio assolutamente essere "profeta di sventura", fare la Cassandra apocalittica... ma per parlare e capire il senso della speranza che nasce da un cuore riconciliato e in pace con se stesso dobbiamo guardare negli occhi la grande povertà morale e spirituale che si nasconde dietro il "look" di ricchezza, successo, prestigio e potere della nostra epoca.
È quello che, in un suo romanzo, B. E. Ellis chiama con uno slogan neppure tanto paradossale ..."meno di zero". Noi non vogliamo andare "sotto zero" con la temperatura del nostro cuore.
Sappiamo che spesso l'abbandono, il tradimento, il rifiuto, la perdita di una persona o di una realtà amata sono ferite aperte e profonde, difficili da cicatrizzare. Sono ferite che portiamo con noi nel cammino della vita.
Come dice Henri Nouwen, psicologo americano, «rivelano l'oscurità che non abbandona mai completamente il cuore umano».
Vivere i momenti di tenebra
Provate a concentrarvi per un momento su voi stessi e sulle vostre esperienze di relazione.
Se incontrate una persona scoraggiata, delusa e depressa, alla fine di questo incontro in cui avrete fatto di tutto per cercare di tirarla un po' su di morale, vi troverete a vostra volta con un velo di depressione e malinconia che offusca la vostra vita.
La sua chiusura alla relazione, alla fiducia nella vita, ad una visione più realistica dei fatti, lentamente porta ciascuno di noi alla chiusura. Quella "prigione di tristezza" riapre le nostre ferite, il suo rifiuto di comunione provoca anche in noi angoscia e blocco paralizzante.
Oppure provate a ripensare ad un incontro con una persona violenta e aggressiva: la sua violenza e aggressività possono scatenare, in maniera spesso incomprensibile e inconscia, la nostra violenza e aggressività e farci constatare che noi stessi, in certe situazioni, possiamo "fare del male" a qualcuno che è più debole di noi.
Personalmente ho visto tante volte come "ciò che è debole" richiami in ciascuno di noi il bello, ma possa anche evocare quanto vi è di più tenebroso e nascosto...
Eppure è necessario prendere coscienza di queste realtà "tenebrose", di questi sentimenti che non vorremmo, perché è l'unico modo per camminare verso la pace e la libertà del cuore, per risvegliarci alla vita, per suscitare in noi tenerezza e dolcezza, apertura, accoglienza e pazienza.
In fondo noi siamo "responsabili" gli uni degli altri, e se Dio ha creato fra noi questi legami sarà Lui che ci aiuterà a purificarli e ad approfondirli.
Questo comporta anche un altro grande vantaggio per la pace del cuore: non gioco più a fare l'adulto "grande e potente", invulnerabile, che cerca successo, ammirazione e... il primo posto sempre e dovunque.
Non cerco più di apparire per quello che non sono; accetto di essere il "bambino" che sono, perché questo è anche il primo passo per accettare di essere "amato" da Dio come figlio suo.
Per trovare la pace del cuore
Davvero non ho ricette particolari da suggerire, ma piuttosto delle modalità per impostare il cammino della nostra vita e, possibilmente, anche delle nostre relazioni.
La via della pace del cuore passa attraverso la vita di ogni giorno, la nostra "QUOTIDIANITA ", attraverso il riconoscimento di questa alleanza che c'è tra noi, attraverso un amore che accetta tutto, spera e sopporta tutto (1Cor 13).
Ricordiamolo, perché anche fatti recenti ce lo hanno dimostrato: la lotta genera lotta, la paura genera paura; ma la pace e l'amore generano pace e amore anche in un mondo disarticolato e spesso "strano" come il nostro.
Allora ecco emergere un'altra pista per la pace del cuore: diventare uomini e donne di PERDONO, essere quella "parabola di riconciliazione" su cui si fonda tanta parte della spiritualità di Roger Schutz e della Comunità da lui fondata a Taizé, così amata e cercata dai giovani.
Noi tutti costruiamo attorno alla nostra fragilità e vulnerabilità tutto un sistema di difese e di aggressività. Queste ci portano a perdere talvolta la misura delle relazioni, a storpiarle con una battuta o un atteggiamento che provoca, ferisce, amareggia chi ne viene colpito.
Non possiamo accettare che quella relazione "ferita" ristagni in quella situazione; lascerà nell'inquietudine noi e chi da noi è stato colpito e ferito.
Come talvolta potremmo essere noi i destinatari di qualcosa che ci fa male e ci fa soffrire, perché la troviamo ingiusta, dura e indelicata...
Anche in questo caso non possiamo lasciare la situazione ristagnare fino a diventare acqua putrida che inquina la nostra vita, le nostre relazioni, il nostro cuore.
È l'inizio di un processo in cui cominciamo a identificarci con la nostra zona di tenebra, perdiamo fiducia nelle nostre capacità di amare e di comunicare amore e vita. Abbiamo bisogno di essere perdonati e di imparare a perdonare.
Questo ci darà consapevolezza che qualcuno vede in noi una zona luminosa e ciò diverrà spazio di speranza, di nascita o rinascita di energia vitale.
Il lupo che è in noi può essere addomesticato e trasformato in agnello dal perdonare e dall'essere perdonati...
C'è pure una terza via verso la riconciliazione del cuore: la potrei definire la via dell'UNITA INTERIORE. Viviamo in un'epoca di frammentarietà, di rotture, di adesioni parziali e selettive, come ci viene bene descritto anche nel Documento dei vescovi italiani "Evangelizzazione e testimonianza della Carità".
Solo quando si comincia a riconoscere le proprie ferite e il proprio errore, si diviene capaci di accettarsi con verità. Non è rassegnazione o passività priva di speranza, tutt'altro! È riconoscere che abbiamo bisogno di fare un po' di ordine dentro di noi, che abbiamo bisogno dell'aiuto degli altri, del loro sostegno, della loro accettazione benevola e magari anche tollerante, del loro perdono, per poter ridonare a nostra volta tutto questo come frutto di un cuore "riordinato".
È nell'accettazione di sé che si può cominciare a camminare verso l'unità interiore. Allora potremo diventare strumenti di Dio che solo può guarire i nostri cuori, molto meglio di ogni psicoanalista...
La luce di verità che scaturisce da una unità interiore riconquistata, ci fa diventare a nostra volta uomini e donne che guariscono... i cuori.
L'amore si fa contagioso e potremo manifestarci come dei "lampionai della speranza", come quei vecchi lampionai di un tempo che sul far della sera accendevano i lampioni delle strade con il loro piccolo e quasi inesauribile stoppino.
Altre vie potrebbero essere indicate per orientarci alla pace del cuore. Vorrei piuttosto affidare il resto delle parole ad una immagine simbolica, ad un detto della "sapienza cinese:
«...Quando la scarpa si adatta perfettamente al piede, ad essa non ci si pensa più.
Quando la cintura è su misura attorno alla vita, ad essa non ci si pensa più.
Quando il cuore è nel giusto, ai "pro" e ai "contro" della vita non ci si pensa più» (Chuang Tzu).
Il cuore che è... nel giusto è anche un cuore in pace, pronto a far scaturire dal profondo del suo essere un dono di speranza.
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