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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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Articoli di Nico Dal Molin pub­blicati dal 1990 al 1992 su SE VUOI (Cammini di speranza)

Ultimo Aggiornamento: 03/09/2009 15:10
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Sesso: Femminile
03/09/2009 15:05

Bella scoperta! - dirà subito qualcuno.

Eppure, ci sono delle realtà in cui non c'è nulla più che io possa fare; a quel punto non si tratta di arrendersi, ma di accettare che il corso delle cose, come quello di un fiu­me, ha il suo svolgimento e che è importante accettarlo con calma, senza inutili isterismi, direi quasi con dolcezza. Questa, sia ben chiaro, non è passività né rassegnazione fatalistica.

Accettare significa ammettere, senza arrabbiarsi, che gli altri sono fatti in maniera diversa da come io li vorrei, che ci sono sensibilità diverse e che non sempre io le posso piegare a quello che vorrei o che mi piacerebbe.

È imparare a "ripararsi" senza restare in balìa delle saet­te e della pioggia torrenziale di un temporale.

È concentrarsi sull'avvenimento che viene e, invece di andare in tilt e perdere la testa, lasciare che ogni cosa, o­gni persona, una per una, quasi "affettuosamente" esista.

Non serve a nulla trattare male le pietre che sono sul nostro cammino, arrabbiarsi perché esse sono lì e pren­derle a calci (oltretutto è assai rischioso per l'incolumità personale). Il trasferire grosse cariche emozionali aggres­sive su ciò che succede non serve a modificarle per nulla, anzi, fa soffrire noi stessi per primi. Il primo bersaglio di tale rabbia e aggressività diventiamo proprio noi stessi. Essere delicati con le pietre? Ma non è assurdo?

Non tanto, perché non saranno certo le nostre vampa­te d'ira a levigare le pietre. Con esse, credo sia più im­portante essere dolci e affettuosi; mi pare davvero che sia l'unico sistema perché non ci feriscano malamente.

Però, sia chiaro, non pensate che chi sta scrivendo que­ste cose riesca anche a farle... magari! Eppure sono pro­fondamente convinto di quanto detto sopra, proprio per­ché per anni ho seguito la via opposta senza approdare a nessun risultato; tanto vale allora cambiare, non vi pare? Ci sono delle pietre che non possiamo togliere dal sen­tiero della vita, non possiamo caricarcele sulle spalle per poi farle rotolare a valle; queste pietre penso sia impor­tante lasciarle indietro sul nostro cammino, da amiche, sapendo che lì ci sono e che in un successivo passaggio si può provare a non caderci sopra...

Se volessimo essere ancora più concreti, c'è ancora qualcosa da dirci: per esempio, ricordarsi che non si può vivere una vita impostata sul "SE"...

«Se avessi fatto così... se fossi stato... se ...». Quando questi "se" si fanno troppo frequenti, quasi automatica­mente si apre la via alla tristezza, al rimpianto, al rimorso.

È anche importante ritornare a "desiderare": non possiamo colpevolizzare il desiderio, perché esso porta in sé il seme di un progetto, di una crescita, di un cambia­mento, di uno stupore nuovo... di una Speranza.

E infine non serve a nulla banalizzare né teorizzare troppo le nostre piccole o grandi croci. Spesso vorrem­mo capirne il perché, ma non sempre questo è possibile.

Il dolore, la sofferenza, sono realtà concrete che tocca­no in prima persona... Elaborare la propria sofferenza non è una cosa facile, anche se può essere più accessibile quando trovi una persona "amica", ma veramente tale, con cui la puoi condividere.

Per integrare in noi la sofferenza c'è un'altra via, che ci porta diritta diritta sui sentieri della speranza: «Una donna, quasi schiantata dal dolore per la morte del figlio, si recò un giorno dal maestro, in cerca di conforto. Egli la ascoltò pazientemente, mentre ella riversava su di lui la sua triste storia. Poi dolcemente le disse: "Io non posso a­sciugare le tue lacrime, mia cara. Posso solo insegnarti a renderle sante: offrile nella tua preghiera; ti saranno ridonate in nuovi segni di consolazione e di speranza"».



La Speranza nasce da un cuore in pace

A o spunto per questo tema, che tocca in profondi­tà le fibre più recondite della nostra esistenza, mi è venuto dall'ascoltare quell'incomparabile testimone del Vangelo della carità che è Jean Vanier. Forse, il suo no­me potrà dire molto a qualcuno, mentre potrebbe dire poco o niente ad altri...

Jean Vanier è un ex capitano di marina, canadese, il quale ha dedicato gran parte della sua vita a seguire e a sensibilizzare l'opinione pubblica sul grande tema della carità verso gli ultimi, soprattutto per quelle forme gravi di handicap psico-fisico e mentale che troppo spesso so­no trascurate vergognosamente dalla nostra società del perbenismo e dell'efficienza, o che vengono tenute na­scoste per non turbare il nostro quieto vivere. Ma questo lo capiamo anche noi che non è Vangelo!



L'oscurità del cuore

Tante volte mi sono chiesto cosa davvero significhi vi­vere con un cuore riconciliato, con un cuore... in pace. È la domanda che mi affascina e insieme mi spaventa, co­me tutte le grandi domande che coinvolgono la nostra vi­ta stessa, come tutte le grandi "sfide" dell'esistenza.

Mi guardo intorno e vedo tante, troppe persone che in questo nostro mondo orientato verso il successo, il benes­sere, lo stare bene in maniera individualistica senza esse­re... scocciati dagli altri, in questo mondo che ci siamo co­struiti con le nostre mani, molta gente vive con il cuore oppresso dall'ansia, che spesso è vera e propria angoscia, dalla solitudine affettiva, che è mancanza di amicizia e in­timità; si vive la penosa esperienza di relazioni infrante (quante coppie separate, arrabbiate, frustrate...). Su tutto questo potrebbe aleggiare quella che in maniera angoscio­sa J.P. Sartre, filosofo francese esistenzialista, chiama la "nausea". Con queste condizioni di vita e di cuore si met­tono tutti i presupposti per la noia, il senso del vuoto e della inutilità, per l'enorme diffusione della depressione.

Non voglio assolutamente essere "profeta di sventura", fare la Cassandra apocalittica... ma per parlare e capire il senso della speranza che nasce da un cuore riconciliato e in pace con se stesso dobbiamo guardare negli occhi la grande povertà morale e spirituale che si nasconde dietro il "look" di ricchezza, successo, prestigio e potere della no­stra epoca.

È quello che, in un suo romanzo, B. E. Ellis chiama con uno slogan neppure tanto paradossale ..."meno di zero". Noi non vogliamo andare "sotto zero" con la temperatura del nostro cuore.

Sappiamo che spesso l'abbandono, il tradimento, il rifiu­to, la perdita di una persona o di una realtà amata sono fe­rite aperte e profonde, difficili da cicatrizzare. Sono ferite che portiamo con noi nel cammino della vita.

Come dice Henri Nouwen, psicologo americano, «ri­velano l'oscurità che non abbandona mai completa­mente il cuore umano».



Vivere i momenti di tenebra

Provate a concentrarvi per un momento su voi stessi e sulle vostre esperienze di relazione.

Se incontrate una persona scoraggiata, delusa e de­pressa, alla fine di questo incontro in cui avrete fatto di tutto per cercare di tirarla un po' su di morale, vi trovere­te a vostra volta con un velo di depressione e malinconia che offusca la vostra vita.

La sua chiusura alla relazione, alla fiducia nella vita, ad una visione più realistica dei fatti, lentamente porta cia­scuno di noi alla chiusura. Quella "prigione di tristezza" riapre le nostre ferite, il suo rifiuto di comunione provoca anche in noi angoscia e blocco paralizzante.

Oppure provate a ripensare ad un incontro con una persona violenta e aggressiva: la sua violenza e aggressi­vità possono scatenare, in maniera spesso incomprensibi­le e inconscia, la nostra violenza e aggressività e farci constatare che noi stessi, in certe situazioni, possiamo "fare del male" a qualcuno che è più debole di noi.

Personalmente ho visto tante volte come "ciò che è debole" richiami in ciascuno di noi il bello, ma possa an­che evocare quanto vi è di più tenebroso e nascosto...

Eppure è necessario prendere coscienza di queste real­tà "tenebrose", di questi sentimenti che non vorremmo, perché è l'unico modo per camminare verso la pace e la libertà del cuore, per risvegliarci alla vita, per suscitare in noi tenerezza e dolcezza, apertura, accoglienza e pazienza.

In fondo noi siamo "responsabili" gli uni degli altri, e se Dio ha creato fra noi questi legami sarà Lui che ci aiuterà a purificarli e ad approfondirli.

Questo comporta anche un altro grande vantaggio per la pace del cuore: non gioco più a fare l'adulto "grande e potente", invulnerabile, che cerca successo, ammirazione e... il primo posto sempre e dovunque.

Non cerco più di apparire per quello che non sono; accetto di essere il "bambino" che sono, perché questo è anche il primo passo per accettare di essere "amato" da Dio come figlio suo.



Per trovare la pace del cuore

Davvero non ho ricette particolari da suggerire, ma piuttosto delle modalità per impostare il cammino della nostra vita e, possibilmente, anche delle nostre relazioni.

La via della pace del cuore passa attraverso la vita di ogni giorno, la nostra "QUOTIDIANITA ", attraverso il ri­conoscimento di questa alleanza che c'è tra noi, attraver­so un amore che accetta tutto, spera e sopporta tutto (1Cor 13).

Ricordiamolo, perché anche fatti recenti ce lo hanno dimostrato: la lotta genera lotta, la paura genera paura; ma la pace e l'amore generano pace e amore anche in un mondo disarticolato e spesso "strano" come il nostro.

Allora ecco emergere un'altra pista per la pace del cuore: diventare uomini e donne di PERDONO, essere quella "parabola di riconciliazione" su cui si fonda tanta parte della spiritualità di Roger Schutz e della Comunità da lui fondata a Taizé, così amata e cercata dai giovani.

Noi tutti costruiamo attorno alla nostra fragilità e vul­nerabilità tutto un sistema di difese e di aggressività. Que­ste ci portano a perdere talvolta la misura delle relazioni, a storpiarle con una battuta o un atteggiamento che pro­voca, ferisce, amareggia chi ne viene colpito.

Non possiamo accettare che quella relazione "ferita" ri­stagni in quella situazione; lascerà nell'inquietudine noi e chi da noi è stato colpito e ferito.

Come talvolta potremmo essere noi i destinatari di qualcosa che ci fa male e ci fa soffrire, perché la troviamo ingiusta, dura e indelicata...

Anche in questo caso non possiamo lasciare la situa­zione ristagnare fino a diventare acqua putrida che inqui­na la nostra vita, le nostre relazioni, il nostro cuore.

È l'inizio di un processo in cui cominciamo a identifi­carci con la nostra zona di tenebra, perdiamo fiducia nelle nostre capacità di amare e di comunicare amore e vita. Abbiamo bisogno di essere perdonati e di imparare a per­donare.

Questo ci darà consapevolezza che qualcuno vede in noi una zona luminosa e ciò diverrà spazio di speranza, di nascita o rinascita di energia vitale.

Il lupo che è in noi può essere addomesticato e trasfor­mato in agnello dal perdonare e dall'essere perdonati...

C'è pure una terza via verso la riconciliazione del cuo­re: la potrei definire la via dell'UNITA INTERIORE. Vi­viamo in un'epoca di frammentarietà, di rotture, di ade­sioni parziali e selettive, come ci viene bene descritto an­che nel Documento dei vescovi italiani "Evangelizzazione e testimonianza della Carità".

Solo quando si comincia a riconoscere le proprie ferite e il proprio errore, si diviene capaci di accettarsi con veri­tà. Non è rassegnazione o passività priva di speranza, tut­t'altro! È riconoscere che abbiamo bisogno di fare un po' di ordine dentro di noi, che abbiamo bisogno dell'aiuto degli altri, del loro sostegno, della loro accettazione bene­vola e magari anche tollerante, del loro perdono, per po­ter ridonare a nostra volta tutto questo come frutto di un cuore "riordinato".

È nell'accettazione di sé che si può cominciare a cam­minare verso l'unità interiore. Allora potremo diventare strumenti di Dio che solo può guarire i nostri cuori, molto meglio di ogni psicoanalista...

La luce di verità che scaturisce da una unità interiore riconquistata, ci fa diventare a nostra volta uomini e don­ne che guariscono... i cuori.

L'amore si fa contagioso e potremo manifestarci come dei "lampionai della speranza", come quei vecchi lampio­nai di un tempo che sul far della sera accendevano i lam­pioni delle strade con il loro piccolo e quasi inesauribile stoppino.

Altre vie potrebbero essere indicate per orientarci alla pace del cuore. Vorrei piuttosto affidare il resto delle pa­role ad una immagine simbolica, ad un detto della "sa­pienza cinese:

«...Quando la scarpa si adatta perfettamente al piede, ad essa non ci si pensa più.

Quando la cintura è su misura attorno alla vita, ad essa non ci si pensa più.

Quando il cuore è nel giusto, ai "pro" e ai "con­tro" della vita non ci si pensa più» (Chuang Tzu).

Il cuore che è... nel giusto è anche un cuore in pace, pronto a far scaturire dal profondo del suo essere un do­no di speranza.



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