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03/09/2009 15:08 | |
La Speranza matura nel silenzio
Alcuni anni fa, ebbi modo di compiere un'escursione in montagna del tutto particolare: si trattava di raggiungere con un gruppo di ragazzi un bivacco posto in una zona piuttosto impervia - e fortunatamente anche solitaria - delle Dolomiti (eh sì, perché ormai in quei posti tu ci arrivi con fatica, a piedi, dopo aver percorso sentieri piuttosto ripidi e duri e poi in cima ti trovi con una marea di gente arrivata lì, tranquillamente, con una funivia costruita nel giro di qualche mese...).
Siccome la possibilità di pernottare al bivacco era limitata ad un certo numero di posti, era stato giocoforza dover dividere il gruppo in due "tronconi" per passare, prima con l'uno e poi con l'altro, la notte all'interno del bivacco.
Nell'interscambio tra i due gruppi ebbi la possibilità di restare sul posto qualche ora, da solo... E stata un'esperienza che non potrò mai dimenticare: credo infatti di non avere mai avuto l'opportunità di sentirmi avvolto da un silenzio più... silenzio di così.
Era un'assenza totale, assoluta, quasi impressionante di ogni pur minimo rumore; solo di tanto in tanto il gracchiare di una cornacchia lasciava un'eco un po' sinistra tra le rocce e qualche piccolo sasso rotolava ora qua ora là, forse sospinto dal vento.
Credo sia stata la prima volta che, seriamente, ho potuto "ascoltare... il silenzio".
La paura e la gioia del silenzio
Quando si tocca l'argomento silenzio, ci sono le reazioni più disparate: c'è chi dice che non è possibile trovare un attimo di pausa nel rumore assordante e frenetico del quotidiano e che quindi questo è un discorso improponibile; c'è chi afferma che non riesce a stare in silenzio da solo, perché gli prende un'angoscia terribile...
C'è chi si rifugia in un mare di "decibel musicali" per non dover restare neppure un attimo in silenzio.
C'è chi dice di amare il silenzio, ma appena ne ha la possibilità deve cercare qualcuno o qualcuna con cui fare quattro chiacchiere. C'è chi lo teorizza e chi lo banalizza.
Il grande filosofo francese Blaise Pascal afferma nei suoi "PENSIERI":
«Ogni infelicità degli uomini deriva da una cosa sola: non saper restare in silenzio in una camera».
Un aneddoto orientale racconta:
«I discepoli di un guru stavano discutendo animatamente sulla causa della sofferenza umana. Alcuni sostenevano che derivasse dall'egoismo. Altri dall'illusione. Altri ancora dalla incapacità di distinguere il reale dall'irreale. Quando consultarono il maestro, egli disse semplicemente: "Tutta la sofferenza di una persona deriva dall'incapacità di sedere in silenzio, da sola... "» (Anthony De Mello).
Credo che in entrambe queste espressioni ci sia un profondo significato di verità, anche se questi "pensieri" vanno certamente interpretati: la nostra vita è fatta per la relazione e quindi per la comunicazione. Quando questa non si verifica, corriamo il rischio di sentirci soli, frustrati e depressi. La parola ci permette di uscire da noi stessi, ci dà modo di stabilire delle sintonie profonde e vere, ma non è tutto...
L'altra fondamentale forma di comunicazione è il silenzio, che resta un mistero altrettanto grande come quello della parola: anche l'animale che vuole aggredire una preda o che vuole sfuggire ad un pericolo, sa stare in silenzio... Anche un sasso, come ogni essere inanimato, "sta in silenzio", ma ciò di cui noi stiamo cercando di cogliere il significato è un'altra cosa, ben diversa, ben più profonda.
Silenzio è ciò che si verifica quando ciascuno di noi, dopo aver parlato, "rientra in se stesso" e tace. Solo in questo ritorno nel profondo del proprio cuore non abbiamo più paura del silenzio; solo quando esso diventa non l'alternativa alla parola, ma la sua sorgente, sentiamo tutto il gusto, la gioia di poter tacere, di poter "ascoltare il silenzio".
Le parole del silenzio
Ho preso a prestito questo slogan da una bellissima antologia sul "Silenzio", proposta da Massimo Baldini per le Edizioni Paoline. Baldini, guarda caso, è professore di filosofia del linguaggio presso l'università di Perugia, quindi è uno che se ne intende di... parole; eppure ci invita a riflettere sul fatto di come anche il silenzio parli!
Proviamo per un attimo a riflettere sui nostri silenzi: possono essere dettati da un momento di riflessione, oppure da una pausa in una conversazione che ci annoia e ci distrae e ci porta a seguire il filo della nostra fantasia. Potrebbe essere il momento in cui cerchiamo di elaborare un messaggio da lanciare agli altri e la forma migliore e più convincente per dirlo; o può essere ancora un segno di mutismo arrabbiato, carico di ostilità e di tensione, che coagula nel silenzio tutta la forza rabbiosa delle parole di Dante nella Divina Commedia: "Non ti curar di lor, ma guarda e passa...".
Come pure il silenzio può essere il segno del "nulla" che aleggia dentro di noi, di un vuoto di pensiero, di riflessione e di emozioni che si esprimerebbe solo in chiacchiere futili e inutili (e questa talvolta è una realtà che ci tocca molto da vicino).
Un grande scrittore contemporaneo, Michele Federico Sciacca, afferma: «Senza silenzio non vi sarebbe linguaggio di sorta, né poetico, né pittorico, né musicale: cesserebbero il pensiero e la parola cui essa è essenziale. E l'uomo vocerebbe, urlerebbe, ecc., ma non parlerebbe.
Cerco l'oasi del silenzio
Per cercare di dare fondamento e consistenza a questa profonda convinzione che avverto in me stesso - vale a dire di come dal silenzio possa sgorgare, come sorgente di acqua cristallina, la SPERANZA vera, quella che sa plasmare completamente una vita -, vorrei fare riferimento ad una stupenda esperienza dei nostri giorni.
Le chiamano "Fraternità monastiche di Gerusalemme", e coloro che in esse vivono si autodefiniscono "monaci nelle città". Questa esperienza del tutto particolare ed originale è nata in Francia, nel cuore di Parigi, su invito di un grande vescovo pastore, il cardinale Marty, e su iniziativa di padre Pierre-Marie Delfieux, al quale si sono aggiunti, nell'ottobre del 1974, i primi compagni di viaggio.
Creare nel cuore di una grande città... il deserto! Sembra un'utopia ed è invece una stupenda realtà di vita cristiana.
Le nostre megalopoli moderne, inquinate dai gas nocivi, dai decibel assordanti dei rumori, dagli idoli di vita a cui immolare il nostro tempo e le nostre energie in maniera frenetica ed ossessiva, possono diventare ancora il luogo dove incontrare se stessi con sincerità e dolcezza; dove imparare la vera "conoscenza", che non è la semplice notizia di qualcosa che succede, ma diviene il chiedersi "perché" questo succede e "come" possiamo vivere questa situazione affinché la realtà non abbia sempre a scorrerci accanto o sopra come acqua che passa e va, ma alla quale siamo assolutamente impermeabili.
La speranza fiorisce nel silenzio
C'è un deserto che ci aiuta a contemplare Dio nelle cose belle della vita, per avere la forza di andare incontro ad altri "deserti" aridi e stepposi, fatti di solitudine ed inquietudine, di ricerca, di indifferenza ed anonimato...
Ascoltiamo un altro esempio:
"Dove posso trovare Dio?", chiese un giovane alla sua guida spirituale.
"È proprio davanti a te", fu la risposta pacata ma ferma.
"Ma allora perché non lo vedo?", ribatté quel giovane... "Perché l'ubriaco non vede la sua casa". Più tardi il maestro aggiunse: "Scopri che cosa ti rende ubriaco; per vedere, devi imparare ad essere sobrio".
Forse tutti noi siamo "ubriachi" di parole, saturi di messaggi promozionali e di elaborazioni concettuali; perché non imparare a recuperare la sobrietà tipica del silenzio?
Un'oasi di silenzio in cui nasce la speranza di una solidarietà con l'uomo d'oggi, con i suoi desideri e le sue paure; uno spazio che sia accoglienza e condivisione, luogo e momento di "gratuità" in cui si voglia davvero "essere", più che agire e parlare.
È un silenzio delle labbra che evita la superficialità.
È un silenzio del cuore che stempera giudizi o nostalgie di ricordi ingombranti e invadenti.
È un silenzio di tutto l'essere per riportare la nostra vita nella calma, sapendo che «il bene non fa rumore e che il rumore non fa il bene». E questa è SPERANZA.
Il silenzio si impara
Una realtà come quella del silenzio, sorgente della nostra speranza, non sorge in noi come un fungo, all'improvviso, e non arriva come un fulmine dal cielo: domanda lo sforzo di impararla con pazienza e fatica.
È importante tornare a guardare dentro di sé, vivere una maggiore capacità di "concentrazione" e non essere continuamente in... fuga da noi stessi.
Ma questo aspetto, forse legato anche ad aspetti temperamentali, non basta.
Tutto ciò potrebbe prestarsi alla altalenante esperienza di stati d'animo diversi, per cui quando siamo tristi ed immalinconiti, allora ci fermiamo a pensare... anche troppo a noi stessi; e quando invece siamo euforici, allora il tempo del silenzio può anche aspettare un altro giorno. «È importante imparare a difendersi contro l'ininterrotto fiume di chiacchiere che ci assilla da ogni parte, difendersi come chi ha il petto oppresso e cerca di assicurarsi il respiro», diceva il grande teologo Romano Guardini.
Se non riusciamo a fare questo, qualcosa si inaridisce in noi e la sorgente della Speranza pian piano si seccherà. Ma se il rumore esteriore è un fatto che non ci deve soverchiare, c'è anche un rumore interiore, un caos interno al nostro cuore, fatto di pensieri, desideri, ansie, depressioni, rigidità ed altro ancora che si ammucchiano come detriti sopra lo sbocco della sorgente e l'acqua non sgorga più.
Concretamente è un imparare a stare zitti tutte le volte che lo esige la fiducia altrui (altro che confidare all'amico o all'amica del cuore un segreto che diventa... il segreto di Pulcinella!).
È imparare a capire che ci sono troppe cose superflue e sciocche che diciamo ogni giorno.
Per carità, non sto pensando a giovani seriosi e imbambolati nel loro silenzio; no, semmai sto pensando che colui che impara il vero silenzio interiore non avrà fretta di dare risposta a tutto, vivrà una giusta e doverosa calma di fronte alle domande importanti della vita e saprà fare suoi, fino in fondo, in una profonda accoglienza, i problemi di chi ci sta veramente a cuore.
Allora faremo una singolare esperienza, indicata già da sant'Agostino nelle sue CONFESSIONI: che il nostro mondo interiore è vasto e in esso si può andare sempre più in profondità.
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