È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!

LA BIBLIOTECA DEL DIFENDERE LA VERA FEDE

La Santa Messa, il Sacrificium (un capolavoro da non perdere!)

  • Messaggi
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 1.222
    Sesso: Femminile
    00 07/09/2009 16:44
    LA SANTA MESSA

    CAPITOLO PRIMO

    DELL'ESSENZA DELLA S. MESSA


    In latino la santa Messa è chiamata Sacrificium. questa parola significa contemporaneamente immolazione ed offerta. Il Sacrificio è un tributo offerto a Dio solo, da uno dei suoi servi appositamente consacrati, per riconoscere e confermare la so­vranità dell'Onnipotente sulle creature.

    Che il Sacrificio così interpretato non convenga che a Dio solo, sant'Agostino lo prova con l'usanza universale e co­stante di tutti i popoli. "Chi ha mai pensato - dice - che si pos­sano offrire dei sacrifici ad altri che a Colui che riconosciamo come Dio o che viene qualificato per tale?". Lo stesso Padre dice ancora altrove: "Se il demonio non sapesse che il Sacrificio appartiene a Dio solamente non chiederebbe sacrifici ai suoi adoratori. Molti tiranni si sono attribuiti prerogative proprie della divinità, pochissimi hanno ordinato che si offrissero loro dei sa­crifici e quelli che l'hanno osato, si sono studiati di farsi credere altrettanti dei. Secondo la dottrina di san Tommaso, sacrificare a Dio è una legge così naturale che l'uomo vi è portato spon­taneamente. Per far questo Abele, Noè, Abramo, Giacobbe e gli altri patriarchi non ebbero bisogno, per quanto sappiamo, di un ordine o di un'ispirazione dall'Alto.

    E non solamente hanno sacrificato a Dio i veri creden­ti, ma i pagani stessi hanno fatto altrettanto per onorare i loro idoli. Nella legge che dette agli israeliti, il Signore comandò loro di offrirgli ogni giorno un sacrificio che, nelle grandi feste, era compiuto con una straordinaria solennità.

    Non dovevano contentarsi d'immolare agnelli, pecore, vitelli e buoi, ma dovevano anche offrirli con cerimonie speciali, compiute dai sacerdoti. Durante il canto dei salmi e al suono della tromba, gli stessi sacerdoti sgozzavano gli animali, li scor­ticavano, ne spargevano il sangue e ne bruciavano le carni sul­l'altare. Tali erano i sacrifici giudaici, mediante i quali, il popolo eletto rendeva all'Altissimo gli onori che gli sono dovuti e con­fessava che Dio è il vero padrone di tutte le creature.

    Tutti i popoli hanno messo il sacrificio nel numero del­le pratiche riservate esclusivamente al culto della divinità, dimo­strando, in tal modo, come esso sia in perfetta armonia con le tendenze della natura umana. Era dunque necessario che il Sal­vatore istituisse similmente un Sacrificio per la sua Chiesa, per­ché il più semplice buon senso dimostra che Egli non poteva privare i veri credenti di questa suprema forza dell'adorazione, senza che la Chiesa rimanesse al disotto del giudaismo, i sacrifi­ci del quale erano così magnifici che i gentili accorrevano da paesi lontani per contemplare lo spettacolo e perfino alcuni re pagani, come dice la Sacra Scrittura, provvedevano alle ingenti spese che erano necessarie.

    Istituzione del divino sacrificio

    Quanto al Sacrificio, tal quale lo ha istituito nostro Si­gnore nella sua Chiesa, ecco che cosa ci insegna il Concilio di Trento: "Nell'Antico Testamento, secondo la testimonianza di Paolo, il sacerdozio levitico era impotente a condurre alla perfe­zione; bisognava, perché così voleva il Padre delle misericordie, che si istituisse un altro sacerdote, secondo l'ordine di Melchisedech, il quale potesse rendere compiti e perfetti quelli che dovevano essere santificati. Questo sacerdote, che è Gesù Cristo nostro Dio e nostro Signore, volendo lasciare alla Chiesa, sua cara sposa, un Sacrificio visibile che rappresentasse il Sacri­ficio cruento che Egli doveva offrire una sola volta sulla Croce, ne perpetuò il ricordo fino alla fine dei secoli e ne applicò la virtù salutare alla remissione delle nostre colpe quotidiane di­chiarandosi, nell'ultima Cena, Sacerdote costituito secondo l'or­dine di Melchisedech. Nella notte stessa in cui fu dato in mano ai suoi nemici offrì a Dio suo Padre, sotto le specie del pane e del vino, il suo Corpo e il suo Sangue; li fece ricevere, sotto i simboli degli stessi alimenti, agli apostoli che Egli costituiva allora sacer­doti del Nuovo Testamento e ordinò loro ed ai loro successori nel sacerdozio di rinnovare questa oblazione dicendo: "Fate questo in memoria di me", secondo quanto la Chiesa cattolica ha inteso ed ha sempre insegnato". La Chiesa ci comanda dun­que di credere che nostro Signore, nell'ultima Cena, non sola­mente ha transustanziato il pane e il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue, ma che li ha offerti a Dio Padre istituendo così il Sacrificio del Nuovo Testamento nella sua propria persona, eser­citando in tal modo il suo ministero di sacerdote secondo l'ordi­ne di Melchisedech. La Sacra Scrittura dice: "Melchisedech, re di Salem, offrì il pane e il vino, perché era sacerdote dell'Onni­potente e benedisse Abramo".

    Il testo non dice espressamente che Melchisedech ab­bia sacrificato a Dio; ma la Chiesa fin dal principio l'ha inteso così e i santi Padri lo hanno interpretato in questa maniera. David l'aveva detto: "Il Signore l'ha giurato e non verrà meno: Tu sei sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedech". Con san Paolo possiamo affermare che Melchisedech e nostro Signore hanno veramente sacrificato: "Ogni pontefice è istituito per of­frire doni e vittime". Lo stesso apostolo si esprime ancor piu chiaramente: "Ogni pontefice, assunto in mezzo agli uomini, è istituito per gli uomini allo scopo di offrire a Dio doni e sacrifici per i peccati". Egli aggiunge: "Nessuno si attribuisca questa di­gnità, ma solamente colui che, come Aronne, è chiamato da Dio. Infatti il Cristo non si è glorificato da se stesso, per divenire pon­tefice, ma ha ricevuto quest'onore dal Padre suo che gli disse:

    "Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato: Tu sei sacerdote in eter­no secondo l'ordine di Melchisedech". È dunque chiaro che Gesù Cristo e Melchisedech sono stati pontefici e che, tutti e due, con questo titolo, hanno offerto a Dio dei doni e dei sacri­fici. Melchisedech non ha immolato a Dio alcun animale, come facevano Abramo ed i credenti di allora, ma per ispirazione del­lo Spirito Santo e contrariamente all'uso dei tempi, egli ha of­ferto il pane ed il vino con cerimonie e preghiere speciali, li ha alzati verso il cielo e li ha offerti all'Onnipotente in gradito olo­causto. Così egli merita di essere la figura di Cristo e il suo sacri­ficio l'immagine del Sacrificio della legge nuova. Se dunque Gesù Cristo è stato consacrato Sacerdote da Dio Padre, non secondo l'ordine di Aronne che immolava gli animali, ma secondo l'or­dine di Melchisedech che offriva il pane ed il vino, è facile con­cludere che Egli, durante la sua vita mortale, ha esercitato il suo ministero sacerdotale offrendo un Sacrificio di pane e di vino.

    Ma, quando nostro Signore ha compiuto il ministero di sacerdote secondo l'ordine di Melchisedech? Nel Vangelo, nell'ultima Cena, è accennato ciò che si riferisce ad un'offerta di questa natura.

    «Mentre erano a cena, Gesù prese del pane, lo bene­disse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo". Poi, preso il calice, rese grazie e lo dette loro dicendo: "Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue della nuova Alleanza che sarà versato, per la remissione dei peccati di molti"». In queste parole non è detto che Gesù Cristo abbia offerto il pane ed il vino, ma il contesto è così chiaro che non c'era bisogno di farne una menzione forma­le. Del resto, se Gesù Cristo non ha offerto allora il pane ed il vino, Egli non l'ha mai fatto. In questo caso non sarebbe stato sacerdote secondo l'ordine di Melchisedech e mi domando che cosa significherebbe il linguaggio di san Paolò: «Gli altri sacer­doti sono stati costituti senza giuramento, ma questi col giura­mento, perché Dio gli ha detto: "Il Signore ha giurato e non verrà meno: Tu sei sacerdote in eterno...". questi, perché dura in eterno, ha un sacerdozio che non passa»

    Profezia di Malachia sul S. Sacrificio della Messa

    Nel Concilio di Trento, la Chiesa ha dato, dunque, la vera interpretazione e il Sacrificio nuovo è il vero Sacrificio puro, senza macchia che non può essere contaminato da alcuna inde­gnità, da alcuna malizia del sacrificatore. Sacrificio che il Signo­re annunciò, per bocca del profeta Malachia, doversi offrire dovunque in suo nome. Malachia fa parlare così il Dio degli eserciti: "Ho cessato di compiacermi in voi (sacerdoti dell'antica Alleanza) e, in avvenire, non riceverò nessun dono dalle vostre mani, perché dall'oriente all'occidente, il mio nome è grande in mezzo alle nazioni e in tutti i luoghi si offre un sacrificio puro al mio nome. Questo testo è stato considerato da tutti i santi Padri come una profezia del santo Sacrificio della Messa. que­sta predizione, infatti, non è stata compiuta nell'Antico, ma so­lamente nel Nuovo Testamento, come nel Nuovo fu realizzata la promessa fatta da Dio Padre a nostro Signore: "Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato. Domandamele ed io ti darò in eredità le nazioni Sappiamo tutti che questo oracolo si com­pì quando si convertirono i gentili.

    La profezia di Malachia non si può precisamente ap­plicare al Sacrificio che nostro Signore consumò sulla Croce, come a torto pretendono di fare gli eretici, perché questo Sa­crificio non è stato offerto in tutti i luoghi, come asserisce il profeta, ma in uno solo: sul monte Calvario. E non si può ap­plicare nemmeno alle nostre preghiere, né alle nostre buone opere, perché tanto le une che le altre non sono un sacrificio assolutamente puro, ma anzi un offerta impura, come ricono­scono gli eretici stessi e come dice Isaia: "Siamo tutti impuri e le opere della nostra giustizia sono come un panno lordo"'. La profezia, dunque, deve esclusivamente riferirsi alla santa Messa, che è l'unico Sacrificio del Nuovo Testamento, Sacrifi­cio interamente puro, che Gesù Cristo offre a Dio suo Padre, in tutti i tempi ed in tutti i luoghi per le mani dei sacerdoti. Nostro Signore è il solo pontefice perfetto e sovrano e i sacer­doti non sono che i suoi ministri; essi gli prestano le mani e la bocca. Infatti, essendo Gesù Cristo invisibile ed il Sacrificio dovendo essere visibile, bisognava, per farvi partecipare gli uomini, ricorrere necessariamente al ministero dei sacerdoti. E per di più questo Sacrificio durerà fino alla fine del mondo e non cesserà che alla venuta dell'Anticristo. Gli eretici fanno l'obiezione che nella Sacra Scrittura non si trova la parola Messa. Va bene, ma non si trova nemmeno la parola Trinità, ma non per questo siamo dispensati dal credere a questo augusto mistero. La Scrittura non prescrive neanche il riposo domenicale e nemmeno il battesimo dei bambini, eppure que­sti sono per noi strettissimi obblighi. La parola Messa non fi­gura nella Bibbia, la leggiamo nelle opere dei papi come san Clemente, terzo successore di san Pietro, sant'Evaristo e san­t'Alessandro che sono vissuti nel primo secolo. Sant'Agostino, sant'Ambrogio, san Giovanni Crisostomo e molti altri adope­rano la parola Messa quando parlano del Sacrificio del Nuovo Testamento. Sant'Ambrogio, in una delle sue lettere scrive: "Re­stai al mio posto, cominciai la santa Messa e... durante il Sa­crificio pregai Dio affinché si degnasse venire in nostro soccor­so. Sant'Agostino se ne serve incidentalmente: "Nelle Le­zioni che leggiamo nella Messa - dice - riconosceremo... " Notate bene che il modo col quale questi due santi Padri si sono serviti della parola Messa, prova che l'uso ne era allora generale.

    La tradizione ci insegna che gli apostoli stessi hanno offerto il Sacrificio della Messa. San Matteo fu ucciso all'altare, mentre celebrava i divini misteri. Secondo la leggenda sant'An­drea diceva al giudice Egea: "Ogni giorno io sacrifico a Dio onnipotente non la carne dei tori o il sangue dei montoni, ma l'Agnello immacolato". Abbiamo ancora le liturgie della Messa di san Giacomo e di san Marco, cioè preghiere e cerimonie rela­tive al santo Sacrificio, che troviamo nel primo volume della Biblioteca dei Padri: l'una fu in uso a Gerusalemme e l'altra ad Alessandria d'Egitto.

    La parte della Messa chiamata Canone che va dal Sanctus alla Comunione ci viene da san Pietro; soltanto più tar­di furono aggiunte, da alcuni santi papi, alcune frasi al testo primitivo. E evidente che la Messa fu in uso nella Chiesa fin dai primi tempi e che è stata sempre riconosciuta, sotto questo nome, come il vero Sacrificio del Nuovo Testamento.

    La S. Messa attaccata dagli eretici

    Vediamo ora come la Messa è stata attaccata dagli eretici.


    Le tempeste furiose che il demonio suscitò in differenti epoche contro questo adorabile Sacrificio, ne dimostrano la gran­de importanza.

    Si spiega facilmente come, nei primi dieci secoli della Chiesa, la Messa non fu attaccata nella sua essenza. I giudei e i pagani erano abituati a considerare il sacrificio come il centro di ogni religione e perciò anche le più detestabili eresie al principio erano costrette a rispettare il Sacrificio dei cristiani, altrimenti tutti si sarebbero allontanati da loro con orrore. Prima di tentare un'im­presa così audace il nemico doveva fare una laboriosa prepara­zione. Il primo strumento della sua opera infernale fu l'orgoglioso e spergiuro Berengario di Tours, che visse dal 1015 al 1088.

    È vero che questo infelice ritornò alla vera fede otto anni prima della sua morte e si estinse, sinceramente pentito, nel seno della Chiesa cattolica. Ma quello che aveva seminato germogliò segretamente e, qualche anno più tardi, se ne videro gli effetti nell'eresia degli albigesi. questa setta immorale ed empia inveiva violentemente contro la Messa, ma specialmente contro la Messa piana e quelli che la celebravano furono vittime di innumerevoli delitti. Il beato Cesario di Heisterbach, con­temporaneo della persecuzione (poiché morì nel 1240) ci rac­conta che gli albigesi punivano molto severamente i sacerdoti che dicevano la Messa piana. Un pio ecclesiastico che ardeva di zelo per l'onore del santo Sacrificio, non si lasciò distogliere dal compimento del suo ministero, né dalle proibizioni, né dalle minacce e, scoperto dagli eretici, fu accusato e condotto davanti al tribunale, dove subì l'interrogatorio del magistrato che gli dis­se: "Mi viene assicurato che, nonostante la nostra esplicita proi­bizione, tu hai celebrato una Messa piana. È vero?". Il sacerdo­te rispose senza timore: "Ti risponderò come i santi apostoli ai giudei che domandavano loro se avevano predicato Gesù Cristo nonostante la loro proibizione: bisogna obbedire a Dio piutto­sto che agli uomini. Ed ecco perché, a dispetto delle vostre in­giuste leggi, ho detto la Messa in onore di Dio e della sua santa Madre". I giudici furono talmente irritati da questa franca con­fessione che ricoprirono di ingiurie lo zelante sacerdote, lo mal­trattarono e alla fine, davanti a tutto il popolo, gli fecero strap­pare la lingua dal carnefice.

    Il martire sopportò, con ammirabile pazienza, questo orribile supplizio e, con la bocca piena di sangue, andò in chie­sa, si inginocchiò davanti all'altare sul quale aveva celebrato, espose umilmente le sue sofferenze alla santa Vergine e, non potendo parlare, si raccomandò col cuore alla protezione di questa Madre di misericordia.

    Tralasceremo di dire come fu soccorso. Ci basta mo­strare con quale rabbia infernale gli eretici perseguitavano i sa­cerdoti nei quali lo zelo era più forte del timore dei tormenti. Le parole che il beato Cesario ha posto al principio del suo libro di esempi, varranno a convincerci della verità di questo racconto. Egli dice : "Prendo Dio a testimone, che non ho riferito qui se non ciò che ho veduto con i miei propri occhi o sentito dalla bocca di uomini che sarebbero morti piuttosto che mentire". Per dare pertanto una nuova sanzione alla santa Messa, Dio ha operato molti miracoli simili a questo. Il beato Cesario ne narra una cinquantina. Leggete la sua opera che, fortificando la vo­stra fede, aumenterà la vostra devozione per il santo Sacrificio.

    La dottrina che combatteva l'olocausto della nuova Alleanza, minacciava l'ordine civile e politico ad un tempo e, con le armi in pugno, voleva propagare i suoi empi errori.

    Ma, secondo le parole del Maestro: "Chiunque colpirà con la spada, di spada perirà", essa fu quasi interamente distrut­ta in una guerra scatenata dagli eretici contro i sacerdoti nei quali lo zelo era più forte del timore dei carnefici della terra. Ma quando il demonio ha cominciato una battaglia non abbando­na tanto presto il campo e, mentre un'eresia soccombe, ne susci­ta un'altra. Se, per la ragione addotta sopra, i primi eresiarchi non osarono attaccare il santo Sacrificio, in seguito non vi fu errore che non lo colpisse.

    L'infelice Martin Lutero fin dal 1517 si era separato dalla Chiesa, in seno alla quale aveva trascorso, fino allora, una vita tranquilla, ma non rinnegò questo divino mistero che molti anni più tardi, per insinuazione del demonio. Dio ha voluto che il miserabile facesse la confessione della sua ignominia, affinché nessuno la mettesse in dubbio, scrivendo, di proprio pugno, la lunga disputa che ebbe con il diavolo su questo argomento.

    Qui non riferirò che poche cose di quelle che egli scri­ve nel suo libro Della Messa bassa e della consacrazione sacerdotale:

    "Una volta mi accadde di svegliarmi tutto ad un tratto verso mezzanotte, e il diavolo cominciò a contrastare così con me:

    "Sai tu, sapiente dottor Lutero, che per quindici anni hai detto quasi ogni giorno una Messa piana?... E se una tal Messa non fosse che una spaventosa idolatria?... E se tu non avessi adorato che del pane e del vino?". Gli risposi: "Sono stato costituito sa­cerdote, consacrato, unto e ordinato dal vescovo ed ho agito per obbedienza verso i miei superiori. Perché non avrei consacrato, se ho pronunziato seriamente le parole di Gesù Cristo e celebra­to la Messa?". Il demonio replicò: "Sta bene tutto questo, ma anche i turchi e i pagani nei loro templi compiono i riti per ob­bedienza. Ma se la tua consacrazione e la tua ordinazione fosse­ro false, come è falso il culto degli infedeli? Tu sai bene che una volta, quando professavi il papismo tu non avevi né conoscenza di Gesù Cristo, né vera fede... perché come tutti i sacerdoti e i vescovi consideravi Gesù come un giudice severo e per giungere a Lui ricorrevi a Maria ed ai santi che erano intermediari fra Lui e te ed in tal modo gli sottraevi l'onore che gli è dovuto; né il papa, né tu potete negarlo. E perciò ti dico che essendo ordi­nati ed unti come i pagani, non potete aver consacrato". In que­sta angosciosa lotta volevo difendermi - continua Lutero - e dis­si (come ero abituato a fare quando ero papista): “Anche quan­do io non avessi avuto la vera fede, la Chiesa supplisce alla mia insufficienza”. Ma il demonio replicò: "Dov’è scritto che la fede della Chiesa sia sufficiente? Tu non puoi provarlo con la parola di Dio ed io posso asserire che tutto l'insegnamento della Chiesa cattolica è un tessuto di errori". Il demonio menzognero disse questa e molte altre cose che abbrevio, per non dilungarmi trop­po. Vinto dalla sua parola finii per confessare che avevo peccato celebrando la Messa e che, come Giuda, ero incorso nella pena della dannazione.

    Ecco l'uomo accecato che riconosce di aver ricevuto lezioni dal diavolo. Eppure, sapeva bene ché esso non insegna che il male e odia tutto ciò che è bene. Se Lutero, invece di avere l'intenzione della Chiesa, avesse ritenuto la Messa una pratica superstiziosa, il demonio non lo avrebbe certo tentato in tal modo. Lungi dal distoglierlo dall'altare lo avrebbe invece incoraggiato a salirvi, perché moltiplicasse gli atti di idolatria e oltraggiasse maggiormente Iddio.

    Non soltanto i luterani ripudiarono la santa Messa, ma a loro si unirono i calvinisti, gli zwingliani e tutte le altre sette che pullularono dopo Lutero. Arrivarono perfino a proclamare che essi ritenevano questo sublime mistero come un'abomine­vole idolatria. Così parlano i calvinisti nel loro catechismo di Heidelberg. Non mi prolungherò a confutare questa bestem­mia, ma non posso nemmeno tacerla. Se fosse vero quello che sostengono gli eretici, bisognerebbe concludere che dalla venu­ta di nostro Signore non si è salvato nessuno. Infatti gli stessi apostoli e tutti i sacerdoti dopo di loro hanno detto la Messa; i martiri ed i confessori l'hanno ascoltata con devozione e l'han­no stimata come la più grande opera della pietà cristiana. E evidente, pertanto, che se essa fosse un'idolatria ed una negazio­ne del Sacrificio unico di Gesù Cristo, gli apostoli e tutti i cristia­ni, partecipandovi, avrebbero offeso Dio gravemente e meritato l'eterna dannazione. Nessun uomo dabbene può osare tenere questo linguaggio, né prestare fede alla dottrina calvinista. San Fulgenzio dice: "Credete fermamente e senza alcun dubbio che il Figlio unico di Dio fatto uomo si è offerto per noi in Sacrificio all'Onnipotente, come vittima di gradito odore. A Lui, uno col Padre e con lo Spirito Santo, i patriarchi, i profeti ed i sacerdoti dell'Antico Testamento offrivano sacrifici di animali; e a Lui sotto la legge nuova, la santa Chiesa cattolica non cessa di offrire, in tutto l'universo, nella fede e nella carità, il Sacrificio del pane e

    del vino"'. Giudicate ora se si deve credere a san Fulgenzio, uno dei più illustri discepoli di sant'Agostino o a Lutero e Calvino, che sono due apostati. Pietro di Cluny disse a questi due eresiarchi: "Se il mondo volesse accettare le vostre nuove lezioni succederebbe, sotto l'era di grazia quello che non è mai accadu­to nei tempi dell'ira. I cristiani dovrebbero cessare di offrire il Sacrificio e il culto di Dio, che è sempre esistito, sparirebbe com­pletamente dalla superficie del globo. Sì, o nemici di Dio, la Chiesa asserisce che senza Sacrificio non può sussistere e in ogni occasione insegna ai suoi figli che non ne ha altri, all'infuori del Corpo e del Sangue del suo Salvatore e che ad ogni Messa rin­nova quello che Egli stesso ha fatto una sola ed unica volta sul Calvario"'. Vigiliamo affinché non ci avvenga quello che è ac­caduto agli eretici. Per loro maggior disgrazia, il nemico del ge­nere umano li ha privati della santa Messa e non potendo rapir­la interamente a noi, si sforza di accecarci e di intorpidirci nel­l'ignoranza della sua efficacia. Tuttavia dobbiamo confessare che, se la malizia del demonio non è estranea alla negligenza che hanno gli uomini di istruirsi su questo punto, dobbiamo dare una gran parte di responsabilità anche alle rare predicazioni ed istruzioni ed alla mancanza di scritti su questo augusto mistero. Esso non è spiegato abbastanza ai fedeli e molti lo ignorano o vi assistono senza devozione.

    Maggiore conoscenza del S. Sacrificio

    Per rimediare a questo male la Chiesa ha ordinato ai pastori delle anime, per mezzo del Concilio di Trento, di predi­care spesso sul santo Sacrificio e "di spiegare essi stessi o di fare spiegare da altri, durante la celebrazione, qualche punto delle preghiere che vi sono dette o di commentare qualcuno dei mi­steri che racchiude, specialmente nelle domeniche e nei giorni di festa"'.

    questo decreto di un Concilio ecumenico obbliga tutti i sacerdoti che hanno cura di anime, ma sono pochi quelli che se ne danno pensiero con grave danno della Chiesa. Il popolo che ignora tutta l'efficacia della Messa non l'ama e non la stima. La trascura nei giorni feriali, la domenica e le feste l'ascolta con negligenza e distrazione, arrivando addirittura, senza scrupolo e senza una giusta ragione, a non assistervi.

    La causa principale di questo male è il silenzio dei par­roci. Ne risponderanno davanti a Dio, perché, se si conformas­sero agli ordini della Chiesa e, almeno qualche volta all'anno, parlassero di una questione così importante, sarebbe impossibi­le che il popolo non apprezzasse altamente questo prezioso te­soro e non vi fosse devotissimo.

    Niente più utile della santa Messa, se ne persuadano i cristiani e non abbandonino facilmente l'abitudine di assistervi, nemmeno nei giorni in cui non c'è l'obbligo di ascoltarla.

  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 1.222
    Sesso: Femminile
    00 07/09/2009 16:46
    CAPITOLO SECONDO

    DELL'ECCELLENZA DELLA SANTA MESSA


    L'eccellenza della santa Messa è tale che gli stessi ange­li non potrebbero esprimerla degnamente, ma tuttavia io oso parlarne e sarà molto se riuscirò a darne una pallida idea. San Francesco di Sales le tributa molti titoli onorifici: "Il santissimo, sacratissimo e augustissimo Sacrificio dell'Altare è il sole degli esercizi spirituali, centro della religione cristiana, cuore della de­vozione, anima della pietà, mistero ineffabile, il quale compren­de l'abisso della carità divina mediante il quale Dio, dandosi realmente a noi, ci comunica magnificamente le sue grazie e i suoi favori"'.

    Occorrerebbe troppo tempo per spiegare tutti i pregi elencati dal santo Vescovo di Ginevra, il quale vuol dire che, per acquistare una soda pietà e accendersi di amor divino, bisogna ascoltare con raccoglimento la santa Messa.

    Il sapiente Osorio le dà la preferenza su tutti gli altri misteri della religione: "La Messa è, fra tutte le azioni sante che sono nella Chiesa, la più santa e la più preziosa, perché in essa è consacrato il SS. Sacramento dell'Altare ed è offerto a Dio in Sacrificio". Ecco quello che Fornero, arcivescovo di Bamberga aggiunge: "La Messa sorpassa in dignità tutti i sacramenti; que­sti sono pieni di maestà, ma quanto essa è più augusta! questi sono sorgenti di misericordia per i vivi; questa è per i vivi e per i morti l'oceano inesauribile della divina liberalità". E da notarsi quanto questo Dottore insiste sulla dignità del santo Sacrificio. Mostreremo ora tutte le ragioni di questa eccellenza che si rivela, prima di tutto, nel cerimoniale della consacrazione delle chiese e degli altari. Poiché poche persone hanno assistito a questo spet­tacolo e molte di quelle che hanno avuto il privilegio di goderne non hanno sentito o non hanno compreso le preghiere che l'ac­compagnano, le descriverò brevemente.

    Consacrazione di una Chiesa cattolica

    Il vescovo, dopo essersi parato degli abiti pontificali, nel luogo dove, fin dal giorno innanzi, sono state depositate le sante reliquie, recita a voce bassa i sette salmi penitenziali, poi, seguito dal clero, si reca davanti alla porta principale della chie­sa che è chiusa, mentre nell'interno della chiesa resta un diaco­no. Il vescovo invoca l'assistenza di Dio sul nuovo edificio e, quando il coro ha cantato le litanie dei santi fino alle parole: 'Ab omni malo, ecc.", benedice l'acqua, asperge se stesso e tutti gli assistenti, dicendo: 'Aspergimi con l'issopo, o Signore e sarò purificato, diventerò più bianco della neve". Poi conduce la pro­cessione attorno alle mura, che asperge dicendo: "In nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo". Intanto il coro canta la profezia nella quale è annunciato che "alla venuta del Messia, il tempio del Signore sarà fabbricato sulla sommità del monte e vi affluiranno tutti i popoli". Il vescovo ritorna alla por­ta ed implora su quella casa la protezione di Dio, creatore e padrone dell'universo, su quella casa della quale Egli stesso è fondatore, affinché vi sia sempre professato un culto puro, libero e pio. Nel dire queste parole si avvicina alla porta, la percuote col pastorale, dicendo a voce alta: "Principi, levate le porte; apri­tevi porte eterne e il re della gloria entrerà". Il diacono, da den­tro, domanda: "Chi è questo re della gloria?" E il vescovo ri­sponde: "E il Signore forte e potente, il Signore vincitore nei combattimenti". Poi il celebrante guida la processione, girando due volte intorno alle mura della chiesa, con le stesse cerimonie, benedicendo e aspergendo, la prima volta la parte inferiore, la seconda volta la parte mediana delle mura. Intanto recita un'ora­zione in cui ricorda che il Figlio di Dio, che è la pietra angolare, ha riunito i due muri opposti: il giudaismo e il paganesimo.

    In un'altra orazione prega Dio di ricordarsi che ha pro­messo di confermare tutto ciò che i suoi sacerdoti avrebbero fatto in suo nome e di benedire tutto ciò che essi avrebbero be­nedetto. S'inoltra verso la porta e, per la terza volta, picchia nuovamente col pastorale ripetendo: "Principi, levate le porte; apritevi porte eterne e il re della gloria entrerà". "Chi è questo re della gloria?" domanda ancora il diacono. Il celebrante ed il clero rispondono: "È il Signore degli eserciti, il re della gloria". quindi ripetono: 'Aprite, aprite, aprite". A questo punto la por­ta si apre, il vescovo traccia col pastorale il segno della croce sulla soglia, dicendo: "Ecco il segno della croce, tutti i demoni siano messi in fuga". Entrato in chiesa dice: “Pace a questa casa”.

    Il diacono risponde: "E’ al tuo ingresso". Il coro intona un canto di pace e ripete le parole del Vangelo: "Zaccheo, discendi pre­sto..." e termina così: "È stata portata la salute a questa casa da Dio stesso". Giunto in mezzo alla navata, il vescovo s'inginoc­chia e comincia l'inno Veni Creator Spiritus; poi recita le litanie dei santi alle quali si intercalano queste parole: "Degnatevi benedire, santificare e consacrare questa chiesa e quest'alta­re". Terminate le litanie si canta il Benedictus ripetendo dopo ogni versetto le parole del patriarca Giacobbe: "Come questo luogo spira sacro terrore! E’ veramente qui la casa di Dio e la porta del cielo!". Durante questo canto il vescovo scrive col pa­storale le lettere dell'alfabeto greco e latino, in forma di croce sul suolo, che perciò è stato precedentemente coperto di cenere; benedice poi il sale, la cenere e il vino mescolato con l'acqua e procede alla consacrazione dell'altare maggiore.

    Il vescovo recita prima l'antifona e il salmo del princi­pio della Messa: "Mi avvicinerò all'altare di Dio, di Dio che rallegra la mia giovinezza. Sii mio giudice, o mio Dio e separa la mia causa da quella del popolo empio, ecc.". Durante queste preghiere immerge il pollice nell'acqua che ha benedetta e trac­cia una croce in mezzo e ai quattro lati della pietra. Nell'orazio­ne che segue domanda all'eterno Padre, in nome del Sacrificio che fu offerto sull'altare della Croce, di benedire quella pietra, della quale quella di Giacobbe era il simbolo e subito dopo into­na l'antifona: 'Asperges me, ecc." e il coro canta il salmo L. Intanto il prelato come gli israeliti alla presa di Gerico, gira sette volte intorno all'altare aspergendolo con acqua benedetta e ri­petendo l'antifona ad ogni fermata; fa ancora, per tre volte, il giro delle mura, aspergendole prima in basso, poi in mezzo e finalmente in alto. Nello stesso tempo il coro canta il salmo CXXI che parla del giusto, pacifico e felice regno di Gesù Cristo, i dieci ultimi versi del salmo XLVII dove è profetizzata la missione degli apostoli presso i pagani e infine il salmo XC che promette a quelli che Dio protegge, la sicurezza nei pericoli e contro le ten­tazioni.

    Terminati questi canti e queste cerimonie, il vescovo si mette di nuovo in mezzo alla chiesa, in faccia all'altare, e ricor­dando in un'antifona la scala di Giacobbe sulla quale gli angeli salivano e scendevano, implora per quel luogo di preghiere le più abbondanti benedizioni del Cielo; dopo benedice il cemen­to destinato a sigillare il sepolcro. quindi il clero va in processio­ne al luogo dove furono poste le reliquie, le porta in chiesa can­tando le antifone seguenti: "Oh! quanto è glorioso il regno nel quale i santi si rallegrano con Gesù Cristo! Essi sono coperti di vesti bianche e seguono l'Agnello ovunque vada... La via dei santi è diritta, il cammino per il quale devono passare è pronto... Venite eletti di Dio, entrate nella città del Signore, per­ché vi hanno fabbricato un tempio nuovo, nel quale il popolo adorerà la maestà del Signore". Arrivati alla porta della chiesa si fermano e il vescovo rivolge un'allocuzione all'assemblea, esal­tando la santità del tabernacolo del Signore, dimostrando, tut­tavia, che esso è soltanto un'ombra dei nostri santuari e fa rile­vare quanto maggiormente si devono rispettare i nostri templi. Domanda in seguito al fondatore l'ammontare del fondo asse­gnato alla chiesa e stende il processo verbale.

    Dopo una breve orazione, il Vescovo fa col sacro crisma un' unzione in forma di croce sulla porta, poi la processione si inoltra verso l'altare maggiore cantando queste parole: "I santi che hanno seguito le tracce di Gesù Cristo si rallegrano del loro trionfo e poiché essi hanno versato il loro sangue per amore di Lui, esulteranno di eterna allegrezza". Intanto viene consacrato il sepolcro dove si mettono le reliquie che vengono sigillate, men­tre il vescovo dice: 'Avete preso posto, o santi, sotto l'altare di Dio... Sotto l'altare di Dio ho sentito la voce dei martiri"; poi ancora: "I corpi dei santi vivranno nell'eternità" e altre parole tolte pure dalla Sacra Scrittura. Chiuso questo glorioso sepolcro il vescovo, incensando, fa il segno di croce col turibolo in mezzo e ai quattro angoli dell'altare; poi dà il turibolo al sacerdote che continua ad incensare girando intorno all'altare fino al termine della cerimonia. Intanto il coro canta il salmo LXXXIII, nel quale David anela al tempio di Gerusalemme, il salmo XCI che è una lode sublime indirizzata a Dio, il salmo XLIN, canto d'amo­re, nel quale sono celebrate le prerogative comunicate dal Sal­vatore alla Chiesa e il salmo CXLVII che esalta la sua magnifi­cenza, riguardo a Gerusalemme. Finalmente il consacratore unge col sacro crisma le dodici croci, dipinte sui muri e dà a ciascuna tre incensate. Di ritorno all'altare benedice l'incenso che dovrà esservi bruciato e i cui grani sono messi in forma di croce sulle cinque croci della pietra. Allora si accendono i ceri che vi sono stati messi appositamente, facendo comunicare la fiamma dal­l'uno all'altro e,mentre essi ardono sull'altare, il vescovo si ingi­nocchia dicendo: "Vieni, Spirito Santo, riempi di luce i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore". La ceri­monia termina con preghiere simili, cantate nel tono del Prefazio.

    Alla fine il vescovo rivolge a Dio questa supplica: "Conferma ciò che hai operato fra noi nel tuo santo tempio che è a Gerusalemme. Alleluia!".

    Il coro canta il salmo LXVII, inno alla vittoria della Chiesa. Si benedicono le tovaglie e gli arredi dell'altare e il ve­scovo comincia la Messa.

    Il valore di queste cerimonie

    Quelli che assistono alla consacrazione di una chiesa sono molto sorpresi di questo gran numero di cerimonie, di unzioni, di benedizioni e di preghiere. Perché tante noie, tanto tempo e tante spese? Per rendere il tempio più degno del subli­me Sacrificio che deve esservi offerto e per purificare l'altare che dovrà ricevere l'Agnello di Dio, vittima santa e senza mac­chia. Il cristiano resterà così convinto della santità della casa del Signore e del rispetto che essa esige. Il tempio di Salomone era l'immagine dei nostri, eppure i giudei ed i pagani stessi lo tene­vano in gran venerazione. Il Libro dei Re, cap. VIII e il Il dei Paralipomeni, cap. VI e VII narrano che Salomone alla consacra­zione di questo edificio immolò ventiduemila buoi e centoventimila pecore.

    Mentre il re pregava ad alta voce un fuoco misterioso scese dal cielo divorando tutte le vittime e una fitta nube si diffu­se nel sacro recinto, rendendo visibilmente manifesta la Maestà divina. A questo spettacolo i figli di Israele furono presi da so­prannaturale terrore e caddero col volto verso terra, in atto di profonda adorazione. Poi Salomone gridò: "È credibile che Dio abiti veramente sulla terra? Se il cielo e i cieli dei cieli non pos­sono contenerti, quanto meno degna sarà questa casa che ho fabbricato io!".

    Chi potrà mai comprendere la maestà di questo tem­pio? Eppure esso era la figura delle nostre chiese e racchiudeva l'Arca dell'Alleanza dove erano conservate le tavole della legge,

    una piccola quantità di manna e la verga fiorita di Aronne. Nei sacrifici giudaici le vittime erano animali immolati e bruciati, offerti con pane e vino, focacce ed altre simili cose. Quanto maggiore è la superiorità del tempio cristiano consacrato con l'olio e il crisma, asperso d'acqua benedetta, profumato coi va­pori dell'incenso, santificato dall'imposizione del segno della Croce e destinato all'oblazione del santo Sacrificio! Invece del­l'Arca dell'Alleanza noi abbiamo il santo Ciborio nel quale è conservato il SS. Sacramento dell'Altare, il vero corpo di Gesù Cristo.

    Grandezza dei templi cristiani

    La chiesa è chiamata la "casa di Dio" ed è realmente tale, perché nostro Signore vi abita in tutti i tempi. Qui l'eserci­to degli angeli lo serve e l'adora, lo loda e gli porta le nostre preghiere. Questo commovente mistero è figurato dalla visione di Giacobbe: "Una notte il patriarca si addormentò a cielo sco­perto e vide in sogno una scala che andava dalla terra al cielo e sulla quale gli angeli di Dio salivano e scendevano. A questo spettacolo, preso da spavento, gridò: "quanto questo luogo è terribile! Veramente è qui la casa di Dio e la porta del cielo". Poi unse con olio la pietra sulla quale aveva posato la testa e ne formò un altare". Era quello, l'ho già detto, un simbolo profetico della chiesa cristiana, nella quale la pietra dell'altare è unta con l'olio e col santo Crisma, pietra sacra della quale si può dire veramente: "quanto questo luogo è terribile! questa è la casa di Dio e la porta del cielo". Qui gli angeli salgono e scendono per trasmettere a Dio le nostre preghiere e portarci le sue grazie. Le nostre chiese sono anche quel luogo del quale parla il Signo­re per bocca di Isaia: "Io li condurrò al mio santo nome, li riem­pirò di allegrezza nella casa delle preghiere. Le loro vittime, con­sumate nel mio altare, mi saranno gradite e la mia dimora sarà chiamata casa di preghiera, per tutti i popoli"

    Tutto questo prova il rispetto che merita il luogo santo. Se noi avessimo veramente una viva fede vi entreremmo con terrore e non solo adoreremmo nostro Signore nell'Eucaristia, ma ci prostreremmo davanti agli angeli che sono sempre davan­ti ai nostri altari. David lo proclamava: 'Andrò nella vostra casa e vi adorerò con timore nel vostro santo tempio. In presenza degli angeli, canterò le vostre lodi ed esalterò il vostro santo nome.

    Quelli che chiacchierano durante l'ufficio divino, rido­no e commettono altre irriverenze, provocano la collera di Dio e si rendono rei verso la divina Maestà di un'offesa che potrebbe essere grave. Per questo non sarà mai sufficiente la riverenza che dobbiamo avere per la chiesa, dove è necessario astenersi da tutte le parole inutili e da ogni sguardo curioso; dove bisogna pregare con devozione, adorare il Signore con fervore, confessa­re i nostri peccati con vera umiltà e pentimento sincero.

    Consacrazione dei sacerdoti

    L'eccellenza della Messa si riconosce anche dalla con­sacrazione che ricevono i ministri dell'altare e senza la quale non possono esercitare il loro ministero.

    Colui che è destinato al sacerdozio ha sette gradini da salire prima di essere giudicato degno di offrire l'Agnello senza macchia. Chi ha ricevuto i primi quattro ordini può servire i sacerdoti all'altare, ma non oserà toccare né calice, né patena, né corporale e nemmeno il purificatoio, perché per essere autorizzato a questo bisogna aver ricevuto il quinto ordine, il suddiaconato, tranne il caso di una dispensa speciale o di asso­luta necessità. Come nella legge di Mosè, soltanto i Leviti pote­vano toccare e pulire i vasi sacri, così solamente i sacerdoti, i diaconi e i suddiaconi hanno il diritto di toccare e di pulire gli oggetti che servono immediatamente alla celebrazione della santa Messa. E’ opportuno, del resto, che le cose impiegate al compi­mento del più alto mistero e messe in contatto col corpo di no­stro Signore, siano interamente pure. Leggi speciali obbligano i sacerdoti, i diaconi e i suddiaconi a tenere questi oggetti con la più rigorosa pulizia. È certo che gli ecclesiastici negligenti a questo proposito incorrono in una forte responsabilità, che potrebbe estendersi anche ai fedeli della parrocchia. Se il sacerdote fosse ridotto a celebrare con un camice sudicio, con una pianeta strac­ciata, con un calice ossidato e se l'altare fosse privo di arredi decenti, mentre i fedeli, nelle feste, fanno pompa dei loro abiti in chiesa, non sarebbe forse questo non pensare al decoro della casa di Dio? Questa chiesa i vostri padri l'hanno edificata e prov­veduta degli arredi necessari; volete, dunque, che questi durino quanto le mura? Lo si direbbe, dal momento che non vi date pensiero di rinnovarli. questo penoso spettacolo è una vergo­gna per una parrocchia e un segno manifesto che i fedeli non comprendono l'eccellenza dell'augusto Sacrificio del Nuovo Testamento.

    Ordinazione sacerdotale

    Le cerimonie che accompagnano la consacrazione sa­cerdotale ci danno ancora un'idea di questa eccellenza. Al mo­mento di essere ordinato sacerdote, il diacono è rivestito dell'amitto, del camice e della stola passata sopra la spalla sini­stra e legata sul lato destro: s'inginocchia davanti al vescovo che è seduto sul trono vicino all'altare. Il vescovo gli ricorda la gravi­tà del passo che sta per compiere e domanda al popolo se lo

    giudica degno. Se nessuno reclama, il prelato si inginocchia e recita ad alta voce le litanie dei santi, mentre il diacono, prostra­to col viso verso terra, prega con lui. In seguito gli posa la mano sulla testa, recita un'orazione e un lungo Prefazio, gli mette la stola intorno al collo e la pianeta sulle spalle. La consacrazione propriamente detta avviene durante la recita del Veni Creator. Il vescovo è seduto sul suo seggio e l'ordinando, in ginocchio, gli presenta le mani. Il vescovo vi fa le unzioni con gli oli santi di­cendo: "Degnati, Signore, per queste unzioni e per la nostra benedizione, di consacrare e santificare queste mani". Poi ag­giunge, facendo il segno della croce: "In nome di nostro Signore Gesù Cristo, sia benedetto tutto quello che queste mani benedi­ranno e sia consacrato tutto ciò che esse consacreranno". A queste parole lega le mani dell'ordinando una contro l'altra, con una fascia di lino, poi gli presenta il calice con la patena e l'ostia dicendo: "Ricevi in nome del Signore il potere di offrire il Sacri­ficio a Dio e di celebrare la Messa tanto per i vivi che per i morti. Amen". Si sciolgono le mani del sacerdote novello che se le lava e il celebrante continua la Messa. All'Offertorio si pre­senta all'offerta con un cero acceso, che consegna al vescovo baciandogli la mano. Poi s'inginocchia dietro il celebrante e dice la Messa con lui, parola per parola, leggendola nel messale.

    Alla Comunione riceve, dal vescovo, il corpo del Salva­tore; dopo la recita del Credo il prelato gli posa le due mani sulla testa dicendo: "Ricevi lo Spirito Santo: quelli ai quali tu rimetterai i peccati saranno rimessi, ma i peccati che riterrai saranno ritenuti". Infine il sacerdote promette obbedienza al vescovo che lo benedice con le seguenti parole: "La benedizione di Dio onnipotente, Padre, Figliolo e Spirito Santo, discenda sopra di te, affinché tu sia benedetto nell'ordine sacerdotale e tu possa offrire delle ostie salutari, per i peccati e le offese del po­polo, a Dio onnipotente, al quale è onore e gloria in tutti i secoli dei secoli".

    Così la Chiesa cattolica consacra i suoi sacerdoti e non è difficile capire quanto è rispettabile l'antico uso di magnificare la grande solennità del conferimento degli ordini sacerdotali. Ma perché queste promozioni progressive? Perché questo appa­rato? Perché queste preghiere, queste unzioni, queste cerimo­nie? Il fine principale è certamente quello di insegnarci quanto bisogna essere santi per salire all'altare e offrire alla tremenda maestà di Dio la vittima senza macchia.

    Oggetti sacri

    Un'altra testimonianza dell'eccellenza della santa Mes­sa è ciò che è necessario alla sua celebrazione: un sacerdote debitamente ordinato che fa le veci di Gesù Cristo stesso; un altare consacrato, nuovo Calvario sul quale l'Agnello divino sarà immolato; gli indumenti sacerdotali, che sono: l'amitto, che il sacerdote posa sulla testa e sul collo in memoria del velo col quale, in casa di Caifa, i giudei hanno coperto la faccia del Salvatore dicendogli per scherno: "Cristo, profetizza e dicci chi ti ha percosso". Il camice, ricordo della veste bianca della quale fu rivestito da Erode. Il cingolo che simboleggia la corda con la quale fu legato. Il man14)olo, che fa pensare ai legami che strinsero le sue braccia. La stola, figura delle catene di ferro delle quali fu caricato dopo la sua condanna. La pianeta, im­magine del mantello scarlatto gettato sulle sue spalle. La Cro­ce centrale della pianeta rappresenta quella sulla quale fu in­chiodato Gesù Cristo e quella che è sul davanti rappresenta la colonna della flagellazione.

    Diciamo una parola degli oggetti che servono al santo Sacrificio.

    Il calice consacrato richiama il calice dei dolori che Gesù ha bevuto fino alla feccia e la sepoltura nella quale il suo corpo fu deposto. La palla la pietra quadrangolare del sepolcro. La patena, l'urna che conteneva i profumi necessari per l'imbalsamazione. Il corporale, il santo sudano che avvolse il cor­po del Salvatore. Il purificatoio, i lini che servirono alla sepoltura.

    Il velo del calice, il velo del tempio che alla morte di Gesù si squar­ciò dall'alto al basso. Le due ampolline, i due vasi ripieni di fiele e di aceto, offerti al Figlio dell'uomo per calmarne la sete.

    A questa elencazione di cose richieste per la celebra­zione della Messa bisogna aggiungere: il pane azzimo, un croci­fisso sul tabernacolo, il vino, l'acqua, due candelieri, un messa­le, un leggio, tre tovaglie che coprono l'altare, una pezzuola con la quale il sacerdote si asciuga le mani dopo le abluzioni e un campanéllo. E necessario, inoltre, un chierico che serva il sacer­dote all'altare e gli risponda a nome del popolo.

    La maggior parte di questi oggetti sono talmente indi­spensabili che il celebrante commetterebbe un peccato grave se ne facesse a meno. Un esempio servirà come prova.

    Nel tempo in cui la Spagna gemeva sotto il giogo dei mori, un re di Caravaca che aveva fatto prigioniero un gran numero di cristiani, ebbe pietà di quegli infelici e si decise a liberarli tutti. Domandò ad ognuno qual era il suo mestiere e gli permise di esercitarlo. Fra i prigionieri si trovava un sacerdote che, interrogato a sua volta, rispose con la più grande serietà:

    "Esercito l'arte di far discendere dal Cielo il Dio onnipotente". Il principe gli comandò di mettersi al lavoro, ma egli replicò:

    "Non posso farlo che a condizione di avere tutti gli oggetti ne­cessari.

    Il re idolatra gli ordinò di scrivere per farli venire da un paese cristiano. Il sacerdote ne fece minutamente la lista, ma dimenticò di segnare il crocifisso. Quando ebbe avuto tutto e volle cominciare il santo Sacrificio, notò la mancanza della cro­ce e stette a lungo indeciso se dovesse celebrare. Il re, sospettan­do che non conoscesse perfettamente la sua arte, gli domandò la causa del suo turbamento. "Principe - rispose - ho dimenticato la croce e questo mi preoccupa e mi fa esitare a salire all'altare". Mentre rifletteva così, invocando l'aiuto del Cielo, la volta di pietra si aprì e due angeli, splendenti come il sole, discesero por­tando nelle loro mani una croce di legno, tutta circondata di luce, che posarono sull'altare. A questa vista il sacerdote comin­ciò la Messa, ma il re e tutti i mori che erano nella sala presero gli angeli per delle divinità e caddero, pieni di spavento, col viso contro terra e si rialzarono solo quando la visione disparve.

    Tale è l'origine della croce spagnola che si conserva a Caravaca con la più grande venerazione e che viene mostrata al popolo nell'anniversario del giorno in cui fu portata dal Cielo.

    Questo fatto prova molto bene l'importanza che si deve dare a tutto ciò che serve alla celebrazione del santo Sacrificio.

    Il numero delle cerimonie

    L'eccellenza della santa Messa si riconosce infine dalle cerimonie prescritte per celebrarla. Citerò solo le più importan­ti: il sacerdote fa sopra di sé sedici segni di croce, si rivolge sei volte verso il popolo, bacia l'altare otto volte, undici volte alza gli occhi al cielo, si batte il petto dieci volte, fa dieci genuflessio­ni, giunge le mani cinquantaquattro volte, abbassa la testa ventun volte e sette volte le spalle, si prostra otto volte, benedice l'offer­ta trentun volte col segno della croce, posa ventidue volte le mani sull'altare, prega stendendole quattordici volte e giungendole trentasei volte, mette la mano sinistra stesa sull'altare nove volte e la porta undici volte sul petto, alza le due mani verso il cielo quattordici volte, undici volte prega a voce bassa e tredici ad alta voce. Il sacerdote deve osservare ancora una quantità di altre prescrizioni, che portano a cinquecento il numero delle cerimonie. Aggiungete a questa cifra quelle delle rubriche e ve­drete che il sacerdote che dice la Messa secondo il rito della Chiesa cattolica romana è obbligato a novecento cerimonie dif­ferenti. Ciascuna di queste ha la sua ragione d'essere, il suo si­gnificato spirituale, la sua importanza e ognuno tende a far com­piere con la fede richiesta l'ineffabile Sacrificio dell'altare. Perciò papa san Pio V ha ordinato a tutti i cardinali, arcivescovi, vescovi, prelati e sacerdoti di dire la Messa senza cambiare nul­la, senza aggiungere o togliere la minima cerimonia. La più pic­cola negligenza potrebbe assumere una certa gravità, sia perché avrebbe per oggetto l'atto più grande e più santo del nostro cul­to, sia perché sarebbe una disobbedienza formale all'ordine di un papa. Non si può immaginare né un movimento di mano più degno, né una disposizione del corpo più edificante di quelli prescritti dalla Chiesa. Si assiste con più raccoglimento di spiri­to ad una Messa nella quale sono osservate tutte le cerimonie che a quella in cui esse sono violate e perciò il sacerdote che celebra con esattezza coscienziosa ha diritto alla vostra gratitu­dine perché, lungi dal distrarvi nella vostra devozione, la facili­ta. Egli fa sì che le vostre preghiere siano più efficaci e contribu­isce in larga parte al loro merito.

    Il principale sacerdote della Santa Messa

    Benché la dignità del santo Sacrificio risalti chiaramente dalle cerimonie e dalle preghiere della consacrazione della chie­sa e dell'altare e anche dall'ordinazione del sacerdote e dalle prescrizioni liturgiche, tuttavia essa ritrae la sua massima digni­tà ed eccellenza dalla persona dello stesso sacrificatore. Ma chi è dunque il sacrificatore? Il sacerdote? Il vescovo? Il papa? Un angelo? Maria, la Regina dei santi? È il Sacerdote dei sacerdoti, il Vescovo dei vescovi, il Figlio unico di Dio, Gesù Cristo, che suo Padre stesso ordinò Sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedech. Egli solo eleva il Sacrificio cristiano all'altezza di un'opera divina. Che il sacerdote è Gesù Cristo lo proverò con le parole di san Giovanni Crisostomo: I sacerdoti - dice egli - sono semplici ministri, quello che santifica e transustanzia l'of­ferta è Gesù Cristo. Nell'ultima Cena ha consacrato il pane e il vino e ancora continua ad operare lo stesso miracolo... E per­ciò, o cristiano, quando vedi il sacerdote consacrare, ricordati che la mano di Dio, e non la sua, compie il Sacrificio". Con queste parole il santo Dottore c'insegna che Gesù Cristo accom­pagna personalmente i punti essenziali della Messa, che Egli scende dal Cielo per cambiare il pane ed il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue, che Egli stesso si offre a dà per la salute del mondo e che, fedele mediatore, prega per la redenzione del po­polo.

    Dai sacerdoti Gesù Cristo prende soltanto la voce e le mani, ma Egli stesso compie il divino Sacrificio.

    La testimonianza di san Giovanni Crisostomo vi pare insufficiente? Ecco quella della Chiesa cattolica: "Poiché nel divin Sacrificio compiuto nella santa Messa è presente quello stesso Gesù Cristo che si è offerto una volta ed in una maniera cruenta sulla Croce e che ora si immola in una maniera incruenta, il sacro Concilio insegna che questo Sacrificio è veramente propiziatorio... perché il Signore accorda la grazia, il dono del­la penitenza, il perdono dei peccati e dei delitti, per grandi che siano, placato da questo Sacrificio, in cui si immola l'unica e medesima vittima immolata sul Calvario, in cui, per il ministero dei sacerdoti, si offre quello stesso che un giorno si offrì sulla croce.

    Gesù Cristo sommo ed eterno sacerdote

    Dunque è veramente la dottrina della Chiesa che ci insegna che i sacerdoti sono semplicemente i ministri di Gesù Cristo e che nostro Signore si offre sull'altare così volentieri e con altrettanta efficacia come si offrì sul sanguinoso albero della Croce.

    Che grande onore, che immensa grazia e quale inesti­mabile tesoro è per noi la bontà di Gesù che si fa nostro sacerdo­te e nostro mediatore! L'apostolo san Paolo è molto esplicito sopra una verità così consolante: "Bisognava - dice - che avessi­mo un pontefice santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori e innalzato al disopra dei Cieli. La legge non costitui­va sacerdoti che uomini infermi, ma la parola di Dio, conferma­ta dal suo giuramento, decreta pontefice eterno il suo divin Fi­glio, che è perfetto". L'apostolo non dimostra, forse, con que­ste sublimi parole, fino a qual punto Dio ci stima, poiché ci ha donato per sacerdote e mediatore non un uomo fragile e pecca­tore, ma il suo unico Figlio?

    Consideriamo ora perché Gesù Cristo non ha voluto affidare il suo Sacrificio agli uomini.

    La principale ragione è che questo Sacrificio doveva essere di una purezza assoluta come aveva annunciato il profeta Malachia. Perciò la Chiesa proclama che il santo Sacrificio".

    non può essere macchiato da alcuna indegnità, né da alcuna malizia da parte di coloro che lo offrono"'4. Certo se i sacerdoti fossero i veri sacrificatori, la Messa sarebbe troppo spesso profa­nata, o almeno si potrebbe sempre concepire dei dubbi sulla maniera con cui Dio l'accoglie. Ma secondo la parola del salmista:

    "Tu sei sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedech", Dio ha voluto che il suo Figliolo prendesse egli stesso il nome e la funzione di sacerdote. Benché i sacerdoti dicano la Messa, non sono, dunque, propriamente parlando, che i ministri del Sommo Sacerdote, Gesù Cristo. Un ministro riceve dal suo pa­drone un ducato per offrirlo in un pellegrinaggio: il dono non potrebbe essere macchiato dalla coscienza del mandatario, fosse questi anche reo di peccato mortale.

    Perché nostro Signore non ha voluto affidare la Mes­sa né agli angeli, né ai santi, né alla sua Madre santissima? Eppure sono esseri puri e pieni di grazia e, lungi dal profanare questo augusto mistero, lo avrebbero compiuto in modo per­fetto. Quale altra Messa potrebbe essere detta con maggiore devozione di quella che potrebbe celebrare san Pietro, san Pa­olo, un cherubino e un serafino? Che gioia proverebbero e quanta devozione ne ritrarrebbero le persone che l'ascoltasse­ro nel vedere la pietà, il rispetto, l'attenzione del celebrante. I loro cuori traboccherebbero di amore e di gioia divina! Che avverrebbe, dunque, se la stessa Madre di Dio offrisse il suo caro Figliolo sull'altare? Ce ne danno un'idea le parole che essa rivolse a santa Matilde: "Il giorno della purificazione - le disse - offrii il mio caro Figlio con tanta pietà e con tanta rico­noscenza, che la devozione di tutti i santi non avrebbe potuto eguagliare la mia". Se Maria santissima aveva questi senti­menti quando era ancora sulla terra, quanto più sublimi non sarebbero essi ora che si trova in Cielo? E quanto maggiore sarebbe la virtù, la potenza, la santità del sacrificio da lei offer­to? Un'opera simile sarebbe sicuramente qualcosa di ineffabi­le, ma pur tuttavia resterebbe infinitamente al disotto di ciò che esige la santità di Dio e il sacrificio, così compiuto, non meriterebbe di essergli offerto. L'unica oblazione veramente conveniente è quella nella quale la persona del sacrificatore è pari alla sovrana maestà di Dio e quindi Gesù Cristo non ha affidato la Messa né agli angeli, né ai santi, né a nessun uomo. L'ha riservata solo a se stesso, perché Egli è l'unico che ha la stessa grandezza del Destinatario.

    Valore infinito della S. Messa

    Da tutto questo risulta che ogni Messa ha un valore infinito e che è celebrata in un modo invisibile, con tale devo­zione e rispetto da sorpassare ogni angelica ed umana intelli­genza. Così ha rivelato Gesù Cristo a santa Matilde: "Io solo - le disse - comprendo perfettamente in qual modo mi immolo, ogni giorno, sull'altare per la salute dei fedeli: questo non pos­sono comprenderlo interamente i Cherubini, né alcuna po­tenza celeste".

    Dopo tutto questo come oseremo parlare dell'eccellen­za di un tal Sacrificio? O mio Gesù, quale imperscrutabile mi­stero è mai questo per noi! Felice quell'uomo che col suo fervore merita di riceverne i frutti ai piedi dell'altare!

    Vantaggi che derivano dall'assistenza alla S. Messa

    Lettore caro, illuminato da queste parole, medita i van­taggi che puoi procurarti assistendo alla Messa. Ricordati che nostro Signore si offre a Dio Padre per te e che, ponendosi come mediatore fra la tua debolezza e la divina giustizia, arresta ogni giorno il castigo che meriterebbero i tuoi peccati.

    Se tu ne fossi veramente convinto, quanto ameresti di più il santo Sacrificio e quanto desidereresti la felicità di potervi assistere. Con quanta pietà vi assisteresti e quanto soffriresti nel doverne restare privo e piuttosto che rassegnarti al danno che questa privazione recherebbe all'anima tua, ti esporresti a subi­re mille mali temporali. I primi cristiani avevano ben compreso tutto questo e preferivano perdere la vita piuttosto che la santa Messa. Il Baronio racconta, a questo proposito, il fatto seguente avvenuto nell'anno 303.

    Gli imperatori Diocleziano e Massimiano, per istiga­zione di Galerio, avevano fatto abbattere tutte le chiese di Alluta, città dell'Africa e molti cristiani, uomini e donne, ascoltavano la Messa in una casa privata. Furono scoperti, presi e trascinati davanti al giudice, sulla piazza pubblica. Il messale e gli altri libri santi furono presi, profanati dai pagani e gettati nelle fiam­me. Ma intervenne la divina giustizia ed un improvviso diluvio cadde sul fuoco, spegnendolo. Alla vista di un tal miracolo, il giudice fu tanto spaventato che mandò a Cartagine le diciasset­te donne e i trentaquattro uomini che erano stati arrestati per farli giudicare dal proconsole Anolino.

    I prigionieri fecero quel tragitto allegramente cantan­do sempre salmi e cantici. Quando giunsero, l'ufficiale che li accompagnava li presentò così al proconsole: "Ecco dei misera­bili cristiani che abbiamo scoperto in una casa di Alluta dove, malgrado la tua proibizione, compivano i riti della loro falsa religione". Il magistrato fece denudare uno di essi chiamato Dativo, che era senatore e ordinò che gli applicassero il suppli­zio della ruota. A quella vista un altro cristiano, chiamato Telica gridò: "Perché, o tiranno, tormenti soltanto lui? Noi siamo tutti cristiani e abbiamo ascoltato la Messa insieme a lui". Anolino lo fece subito spogliare, come il suo compagno e lo fece sospende­re e torturare. Mentre eseguivano quest'ordine gli domandò:

    "Chi è stato il promotore della riunione?". "Il sacerdote Saturnino e tutti noi d'accordo, ma tu, disgraziato, compi un'ope­ra ingiusta tormentandoci per questo motivo; noi non siamo né assassini, né ladri e non abbiamo commesso nessun delitto". Il proconsole insistette: "Tu avresti dovuto aver riguardo per gli ordini degli imperatori e abbandonare la tua falsa religione". "Rispetto la legge del mio Dio e per Lui sono pronto a morire. Allora il tiranno comandò di sciogliere i martiri e di condurli in prigione. Nello stesso momento un pagano, fratello di santa Vit­toria, si fece avanti accusando Dativo di aver condotto la giovinetta alla Messa. Vittoria protestò dicendo: "Nessuno mi ha condotto in quella casa, ho ascoltato la Messa perché sono cristiana". Suo fratello le disse: "Tu parli come una pazza". "Non sono pazza, sono cristiana". Il proconsole domandò: "Vuoi ri­tornare con tuo fratello?". "No, non riconosco quest'uomo per mio fratello; i miei fratelli e le mie sorelle sono quelli che soffro­no per Gesù Cristo. Io sono cristiana". Anolino continuò: 'Abbi pietà di te stessa e segui il consiglio di tuo fratello". "Non mi allontanerò dai miei fratelli, né dalle mie sorelle e confesso che ho ascoltato la Messa con loro". Il giudice allora comandò di ricondurla in prigione e di mettere tutto in opera per distoglier­la dalla sua fede. Ella era di una rara bellezza e apparteneva ad una delle più illustri famiglie della città. Quando i suoi parenti avevano voluto maritaila contro la sua volontà, era scappata gettandosi da una finestra e si era fatta tagliare i capelli come segno della sua consacrazione a Dio. Il tiranno si rivolse poi al sacerdote e gli disse: "Sei tu che disprezzando gli ordini degli imperatori, hai riunito questa gente?". "L'ho riunita per ordine del Signore, per compiere l'ufficio divino". "Perché hai fatto questo?". "Perché noi non dobbiamo né possiamo omettere la celebrazione della santa Messa". "Dunque sei tu il promotore di questa riunione e sei tu che hai persuaso gli altri ad intervenir­vi?". "Precisamente, ed ho celebrato la santa Messa". Allora il giudice lo fece spogliare facendogli poi lacerare le carni con uncini di ferro così aspramente che gli intestini gli uscivano dal corpo. Dopo questo orribile supplizio lo fece condurre, con i suoi compagni, in prigione. Al suo posto fu chiamato Emerito. Anolino gli domandò: "La Messa è stata detta nella tua casa?". "Si", risponde il martire. "Perché hai violato gli ordini degli imperatori?". "Non potevo obbedirti; questi uomini sono miei fratelli e non possiamo vivere senza la santa Messa". Subito lo straziarono e poi lo rinchiusero in prigione.

    Il tiranno disse agli altri rimasti: "Spero che non segui­rete l'esempio di questi disgraziati e che non vi giocherete così leggermente la vostra vita". Ma i santi martiri gridarono ad alta voce: "Siamo cristiani e adempiremo la legge di Gesù Cristo anche a costo di tutto il nostro sangue". Anolino allora si volse ad uno di essi chiamato Felice, dicendogli: "Non ti domando se sei cristiano, ma se sei stato all'assemblea e se anche tu hai ascol­tato la Messa". Felice rispose: "Che sciocca domanda! Credi tu che si possa esser cristiani senza assistere alla Messa? Sappi, odio­so demonio, che ci siamo riuniti appunto per assistervi". A que­sta risposta il tiranno si adirò e gettò a terra il generoso confes­sore facendolo bastonare fino a lasciarlo quasi morto. Il proconsole, infuriato, passò tutto il giorno a tormentare i prigio­nieri e, quando venne la notte, fece chiudere in una oscura pri­gione quelli che respiravano ancora, proibendo ai custodi di dar loro da bere e da mangiare, sotto pena di morte. I parenti e gli amici dei santi martiri ottennero il permesso di vederli e porta­rono loro un po' di cibo nascosto sotto gli abiti, ma i carcerieri frugando accuratamente i pii visitatori, portavano loro via le provviste e li coprivano di bastonate.

    Tuttavia quei fedeli amici restarono giorno e notte da­vanti la prigione piangendo e lamentandosi. Speravano di im­pietosire Anolino e fargli liberare i poveri prigionieri, ma il ti­ranno era così ostinato nella sua malvagità che lasciò languire i servi di Cristo e li fece morire dello spaventoso supplizio della fame.

    Questa storia che il Baronio ha tratto, parola per paro­la, dagli atti che sono serviti alla canonizzazione dei santi marti­ri, dimostra chiaramente che, fin dai primi secoli del cristianesi­mo, i fedeli ascoltavano la Messa, come facciamo noi ai nostri giorni. Essa ci prova ancora lo zelo che avevano i cristiani di allora per la Messa e che essi preferivano morire piuttosto che accettare di non assistervi. Da dove attingevano questo fervore? Dalla perfetta conoscenza del suo valore infinito. Ora sta a noi imitare il loro fervore e trarre dal loro esempio una grande de­vozione verso i santi misteri.

    Del prezioso dono offerto nella S. Messa

    Abbiamo parlato fin qui a lungo dell'eccellenza della Messa, ma resta ancora un punto importantissimo da esamina­re: il valore dell'offerta alla SS. Trinità. Secondo la dottrina di san Paolo “Ogni sacerdote è ordinato per offrire dei doni e delle vittime”.

    Gesù Cristo, dunque, che fu ordinato sacerdote dal Padre suo, ha anch'egli un'offerta da fare. In che cosa consiste essa? L'apostolo non lo dice, ma egli fa appello alla nostra me­moria e la risposta sarà l'argomento del presente paragrafo.

    Si comprende a prima vista che quest'offerta non po­trebbe essere una cosa volgare, poiché il dono deve essere tanto più prezioso quanto più grande è colui che lo riceve. Qui si tratta di un Sovrano di tale maestà che il cielo e la terra sono un niente in suo confronto. Ascoltate le parole del Savio: "Il mondo intero, davanti a lui, è come il piccolo grano che fa appena pendere la bilancia, come la gocciolina di rugiada del mattino che cade da una foglia". Se così è, dove trovare nell'universo qualche cosa che sia degna di essergli offerta? Che troverà Gesù Cristo nel Cie­lo, all'infuori di Dio? Una cosa sola: la sua santa, immacolata, beata umanità, cioè il suo corpo, il suo sangue, la sua anima. Dice san Giovanni Crisostomo che "Gesù Cristo è l'offerta ed il sacer­dote ad un tempo; il sacerdote secondo lo spirito, l'offerta secon­do la carne: egli offre ed è offerto". Sant'Agostino si esprime analogamente: "Gesù Cristo è nello stesso tempo sacerdote ed offerta, perché ciò che egli ha offerto è se stesso" . La sua umani­tà è l'opera migliore e più preziosa che sia uscita dalle mani onni­potenti di Dio, come fu rivelato a santa Brigida dalla santa Vergi­ne. Il liberalissimo Dio ha dato in dono a questa umanità tante grazie, tante ricchezze, tante virtù, tanta santità e sapienza che non potrebbe riceverne di più; non che Dio non possa assoluta­mente conferirgli niente di più, ma perché la capacità dell'uomo è finita. Benché la santa Vergine sia per noi di una incomprensibi­le perfezione, pure non la possiamo paragonare all'umanità di Cristo, come non si può paragonare la luce di una torcia a quella del sole. In conseguenza di questa singolare eccellenza l'umanità di Cristo sulla terra non era onorata soltanto dagli uomini, ma anche dagli angeli ed anche oggi continua, da parte di questi cele­sti spiriti, ad essere l'oggetto di una venerazione che nessuna cre­atura umana potrebbe pretendere.

    Dio ha elargito agli angeli santità insigne e innumere­voli perfezioni; a molti uomini ha dispensato grazie eminenti, virtù eroiche e ha sorpassato ogni generosità nel colmare in questa vita la beata Vergine di privilegi speciali.

    Tuttavia questi doni sono divisi fra molti santi, mentre lo Spirito Santo li ha tutti riuniti magnificamente in Gesù Cri­sto. Ma c'è ancora di più: Egli ha ricolmato l'umanità del Salva­tore di molte altre grazie, oserei quasi dire, di grazie infinite, di ricchezze, di tesori celesti che non si riscontrano in nessun altro, nemmeno in Maria.

    Con ciò si proclama altamente che questo oceano di perfezioni è al disopra di ogni lode. Tale è il dono che il Sommo Sacerdote Gesù Cristo, Figlio unico di Dio, offre quotidianamen­te alla SS. Trinità nel santo Sacrificio della Messa. Non offre, però, soltanto questo dono, ma vi aggiunge ancora tutto quello che ha fatto per la gloria di Dio durante i trentatré anni che ha passato sulla terra; le amare sofferenze che ha sopportato, i digiuni, le veglie, i viaggi e tutte le fatiche del suo apostolato; tante persecu­zioni, umiliazioni, schemi e ingiurie; la sua flagellazione, la coronazione di spine, la crocifissione, le piaghe, le angosce, le la­crime, il sudore nel giardino degli Ulivi; la sua spaventosa agonia, l'acqua del costato, l'adorabile sangue che ne sgorgò.

    Gesù Cristo si offre vittima di amore

    Nella Messa Gesù Cristo, con il più ardente amore, mette tutto questo sotto gli occhi della SS. Trinità e la costringe a gradirlo.

    Ma ecco il colmo delle meraviglie: questa umanità così perfetta, così ricca di meriti è inseparabile dal Verbo; cioè, se il Verbo non è nella sua divinità l'oggetto stesso del Sacrificio, lo èrealmente nella natura umana in cui risiede e che è divenuta sua per l'Incarnazione. Concepire il valore e la dignità di un tal dono è superiore a ogni intelligenza.

    Altra considerazione: Gesù Cristo non offre la sua umanità come è attualmente in Cielo, ma nello stato in cui èsull'altare.

    Nel cielo è tanto gloriosa che gli angeli tremano davan­ti alla sua maestà, mentre sull'altare si inabissa in un tale eccesso di umiliazione e di abbassamento che quei puri spiriti ne sono confusi. Noi la vediamo coperta dalle apparenze dell'Ostia come da un vestito grossolano e chiusa come in una prigione. Le spe­cie che la circondano la tengono talmente avvinta che quando esse sono trasportate da un luogo all'altro, essa pure è trasporta­ta e finché esse sussistono nessuna potenza può separarle. In cielo ha le sue proporzioni naturali, ma sull'altare non sorpassa le dimensioni della santa Ostia. E tutta intera in ogni parte del­l'Ostia, ma occupa tanto poco spazio quanto la particella stessa. Dal fondo di quell'umile riduzione, il Salvatore non può natu­ralmente né stendere il Corpo, né muovere i piedi e le mani, né compiere alcuna delle azioni che fanno gli esseri viventi. Egli giace compresso e spogliato di tutta la potenza dei suoi organi.

    Così annichilito si presenta davanti alla SS. Trinità e si offre a Lei in una maniera così commovente che il celeste eserci­to ne è sorpreso ed estasiato.

    Davanti a questo ineffabile spettacolo che cosa potra pensare o dire la SS. Trinità? Quale immenso onore riceve Id­dio dal Figlio suo che si annienta così soltanto per rendergli glo­ria! E quale eccellenza, quale virtù ne ritrarrà poi il Sacrificio nel quale si compiono questi divini misteri? Che soccorso sara esso per gli uomini a pro dei quali è offerto? Quanta consolazio­ne e quanto sollievo riceveranno le anime del purgatorio allorché il Sacrificio sarà offerto per la loro liberazione?

    Sappiamo che quel luogo di sofferenza è la prigione temporanea delle anime che hanno lasciato la terra in stato di peccato veniale o senza avere scontato le pene meritate per i peccati già perdonati. Esse sono impotenti ad abbreviare da sole la loro espiazione.

    Come nel bucato la biancheria non recupera il cando­re primitivo che dopo essere passata a più riprese per l'acqua e asciugata poi ai raggi del sole, così le anime del purgatorio non recuperano lo splendore necessario per entrare nel regno di Dio, se non con le lacrime di penitenza che per loro scorrono dagli occhi dei cristiani e per la grazia di Gesù Cristo. I raggi di que­sto sole di giustizia si concentrano nella santa Messa come in uno specchio ustorio. Sforzatevi dunque di assistere spesso con fede e pietà al santo Sacrificio per portare soccorso ai vostri in­felici fratelli. La Messa quotidiana è l'arma della grazia, la forza della misericordia e Dio non può ricusare niente a quelli che l'ascoltano con fervore. Ringraziamo Gesù dal fondo del cuore di avere istituito, per noi miserabili, questo onnipotente Sacrifi­cio e ringraziamolo di averci dato un mezzo così sicuro per atti­rare la divina misericordia.

  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 1.222
    Sesso: Femminile
    00 07/09/2009 16:49
    CAPITOLO TERZO

    I MISTERI DELLA SANTA MESSA


    Qui dobbiamo esclamare col profeta David: "Venite e vedete le opere del Signore e i prodigi che ha fatto sulla terra". Di tutte le meraviglie compiute da Gesù Cristo la più stupenda è l'isti­tuzione del Sacrificio della Messa, perché in essa si trova come il riepilogo di tutte le altre. San Bonaventura dice: "Nella santa Mes­sa ci sono tanti misteri, quante gocce d'acqua sono nel mare, quanti atomi di polvere nell'aria e quanti angeli nel Cielo; non so se mai mistero più profondo usci dalla mano dell'Altissimo". Sanchez si accorda col serafico Dottore. "Nella santa Messa dice - ricevia­mo tesori ammirabilissimi, doni preziosi, molti beni per la vita pre­sente e futura e una speranza così certa che per crederlo abbiamo bisogno della grazia di una fede soprannaturale".

    Lo stesso autore aggiunge: "Come è inesauribile l'ac­qua del mare e dei fiumi, così, e molto più, è inesauribile l'effi­cacia della Messa per quante grazie se ne attingano".

    Ecco un esempio che metterà questa dottrina nella sua vera luce. San Giovanni da San Facondo, monaco agostiniano, non lasciava mai di dire la Messa e lo faceva di buon mattino perché il suo zelo, per offrire e ricevere nostro Signore, era così ardente che non poteva attendere a lungo. Però, celebrava con tanta lentezza che spesso i chierici lasciavano l'altare ed egli non trovava più nessuno che gli rispondesse. Pregò quindi il priore di obbligare i laici a servirgli la Messa. Il priore rifiutò: "Perché siete tanto lungo da annoiar tutti? Da ora innanzi direte la Mes­sa come tutti gli altri sacerdoti

    Per qualche giorno Giovanni si conformò a questo ordi­ne, per quanto gli sembrasse duro, ma poi si gettò ai piedi del superiore e lo scongiurò di lasciaflo libero di celebrare a suo pia­cere. Il superiore gli rispose: "Non posso stancare troppo i confratelli". Il sant'uomo disse che alcuni motivi gli impedivano di fare più presto. Il superiore volle conoscerli, ma l'umile religio­so acconsentì di rivelarglieli solo in confessione. Il priore, dopo aveilo ascoltato, ordinò ai laici di servire la Messa al padre Gio­vanni qualunque fosse stata la durata del Sacrificio e, desideran­do far conoscere alla comunità il segreto del religioso, sollecitò ed ottenne da lui il permesso di farlo. "State certo - disse ad un altro monaco - che se il p. Giovanni celebra così lentamente è perché Dio gli rivela i misteri della Messa, misteri grandi che l'umana intelligenza non può comprendere. Mi ha insegnato cose tanto straordinarie da incutermi un religioso spavento ed ho creduto di perdere i sensi. Gesù Cristo appare a questo padre in un modo reale; gli paila affettuosamente e gli mostra le sue piaghe i cui raggi si riflettono sul sant'uomo e lo confortano talmente che può vivere senza mangiare né bere. Il p. Giovanni vede il corpo del Salvatore come un sole brillante, nella sua gloria e bellezza infini­ta. In una parola è testimone ditali meraviglie che nessuno po­trebbe approfondire e neanche spiegare. Tutto questo mi ha fatto riflettere sui grandi benefici che riceviamo nel celebrare e ascolta­re la santa Messa e ho deciso di non tralasciarne mai la celebra­zione e di ascoltaila tutte le volte che mi è possibile".

    Simboli e figure dell'Antico Testamento nel Sacrificio della Messa

    Dopo aver parlato dei misteri, mostriamo come, in que­sto divino olocausto, sono compiuti i simboli e le figure dell'Antico Testamento. La prima immagine della santa Messa fu il sa­crificio del pio e giusto Abele, che offrì all'Altissimo il più grasso dei suoi agnelli, come un omaggio dovuto alla sua infinita mae­stà. La Sacra Scrittura attesta che quest'offerta fu gradita a Dio:

    "Il Signore gettò gli occhi sopra Abele e sopra i suoi doni". Teodosio ne commenta così questo passo: "Il Signore ha infiam­mato il sacrificio di Abele, cioè, mentre questo giusto riuniva la legna necessaria, venne il fuoco dal Cielo e consumò la carne delle vittime". In certo modo, succede lo stesso dell'Eucaristia. Nel momento in cui il sacerdote pronunzia le parole della con­sacrazione il fuoco divino scende, brucia il pane e il vino per lasciarne solo le apparenze, transustanziandoli nel vero Corpo e nel vero Sangue di Gesù Cristo. Il sacrificio di Abele fu graditis­simo a Dio onnipotente, ma il Sacrificio cristiano gli è incompa­rabilmente più gradito, perché quando il sacerdote innalza la sua offerta per presentaila a Dio, il Padre celeste ripete le parole che fece sentire al Battesimo di nostro Signore: "Questi è mio Figlio diletto nel quale ho riposto tutte le mie compiacenze". L'ottavo capitolo della Genesi contiene una nuova figura: "Noè innalzò un altare al Signore e prendendo alcuni animali e alcu­ni uccelli mondi, li offrì in olocausto sull'altare. Il Signore ne gradì l'odore e disse: "Per l'avvenire non manderò più la mia maledizione sulla terra per i peccati degli uomini"". Eppure quello che valse questa promessa a Noè non fu che un'offerta di animali. Quanto maggiormente intenerito deve essere Iddio quando gli offriamo il suo caro Figlio, per le mani del sacerdote! "Il Cristo ci ha amati - dice san Paolo - e si è offerto per noi come una vittima di grato odore". Dunque, con queste parole:

    "Fate questo in memoria di me", Egli ha ordinato ai suoi apo­stoli e ai loro successori di fare ciò che ha fatto Egli stesso. I sacerdoti che ogni giorno immolano questa vittima santissima offrono, dunque, all'Onnipotente un Sacrificio di un'infinita soavità, profumato dalle virtù e dalla santità di Gesù Cristo.

    La santa Messa è ancora figurata dai differenti sacrifici di Abramo, molti dei quali sono riportati dalla Sacra Scrittura. Isacco e Giacobbe, veri servi di Dio, hanno immolato essi stessi delle vittime con la spada e col fuoco.

    Un altro simbolo profetico della Messa fu il sacrificio di Melchisedech, sacerdote e re, che al ritorno trionfante di Abramo, presentò al Dio degli eserciti, in azione di grazie, il pane e il vino, con cerimonie e preghiere speciali.

    Nominiamo infine i sacrifici della legge mosaica, ordi­nati da Dio medesimo. Gli uomini fino allora avevano immola­to a seconda della loro devozione. Con la legge scritta Dio ha reclamato tre sorte di doni: l'olocausto, il sacrificio propiziatorio e il sacrificio espiatorio. Gli uni e gli altri erano figure simboli­che di quello della Croce, ed essi cessarono con la Passione di Gesù Cristo, per essere surrogati dall'olocausto cristiano: la san­ta Messa. Nel Canone si fa menzione dei sacrifici antichi e prin­cipalmente di quelli di Abele, di Abramo e di Melchisedech, quando immediatamente dopo la Consacrazione il sacerdote dice: "Offriamo alla vostra sublime Maestà il dono di una vitti­ma + pura, di una vittima + santa, di una vittima + senza mac­chia, il pane sacro + della vita eterna e il calice dell'eterna + salute. Degnatevi riguardarla con occhio favorevole e ricevere con bontà quest'Ostia immacolata. Voi che vi siete degnato di gradire i doni del vostro servo, il giusto Abele, il sacrificio del patriarca Abramo e quello di Melchisedech vostro Sommo Sa­cerdote". In tal modo, la Chiesa ci insegna che questi sacrifici sono stati l'immagine della santa Messa e in tal modo ci rivela la causa che li fece gradire tanto favorevolmente all'Altissimo.

    Molti cattolici interpretano male questa preghiera, la quale, da un altro lato, irrita quelli che non appartengono alla Chiesa. Secondo la loro falsa immaginazione, il sacerdote chie­derebbe a Dio di gradire il Sacrificio della Messa con lo stesso piacere con cui gradì quelli di Abele, di Abramo e di Melchisedech, come se si potesse stabilire un paragone tra l'Eu­caristia (nella quale sono offerti il Corpo santissimo e il prezioso Sangue di Gesù) e l'oblazione degli animali o quella del pane e del vino. Ma in realtà il sacerdote non implora l'indulgenza di Dio per la vittima che gli è immolata, perché questa vittima gli è infinitamente più cara di tutte le creature, ma domanda al Si­gnore di voler ricevere favorevolmente il suo Sacrificio, cioè la sua opera personale, come si è degnato accogliere la pietà con la quale Abele, Abramo e Melchisedech gli hanno offerto i loro olocausti.

    La S. Messa rinnova il mistero dell'incarnazione

    Nella Messa sono rappresentati i principali avvenimenti della vita e della passione di nostro Signore, come canta David:

    "Il Signore nella sua bontà e misericordia, ha fatto un memoria­le delle sue ammirabili opere".

    E affinché non ci ingannassimo sul suo pensiero dice altrove: "Mi terrò vicino al tuo altare per sentire ripetere le tue lodi e proclamare le tue meraviglie". Questo è anche il senso delle parole indirizzate, dopo l'istituzione dell'Eucaristia, dal Salvatore agli apostoli,: "Fate questo in memoria di me", cioè io sono sul punto di separarmi da voi, perché l'opera della Reden­zione volge al suo fine, ma prima di ritornare al Padre mio isti­tuisco la santa Messa, come Sacrificio unico del Nuovo Testa­mento e in questo Sacrificio racchiudo tutti i misteri della mia vita e delle mie sofferenze, affinché, riprodotti in questo modo davanti agli occhi dei miei fedeli, restino impressi nella loro memoria.

    Innanzitutto nella Messa si rinnova il mistero dell'In­carnazione.

    Maria aveva offerto e consacrato a Dio la sua anima, il suo corpo e principalmente il suo purissimo seno e perciò lo Spirito Santo, nel giorno dell'Annunciazione, formò in lei col suo sangue verginale, il corpo di Gesù Cristo e unì l'umanità alla divinità. Così quando il sacerdote presenta il pane e il vino e li offre a Dio, lo Spirito Santo, in virtù delle parole della Con­sacrazione, cambia questi elementi nel vero sangue di nostro Signore. Non esagero affatto dicendo che quest'operazione di­vina rinnova il mistero dell'Incarnazione, perché il sacerdote riceve Gesù nelle sue mani, realmente, come lo ricevette nelle sue caste viscere la santa Vergine.

    Anche il sacerdote può dire, con sant'Agostino: "Colui che senza il mio aiuto ha fatto tutto dal niente, mi ha dato il potere (se posso osare di parlare così) di produrre Lui stesso". Non è un gran mistero ed un miracolo che sorpassa tutti gli altri quello per cui un uomo crei il suo Creatore?

    La S. Messa rinnova il mistero della natività

    Il mistero della Natività si rinnova ai nostri sguardi come quello dell'Incarnazione e non con minore chiarezza. Gesù Cri­sto è nato dal corpo verginale della santa Vergine; nella Messa nasce dalle labbra del sacerdote. Quando questi pronuncia le ultime parole della Consacrazione, il Bambino Gesù è nelle sue mani vivo e vero come era in quelle di Maria. Il sacerdote, testi­moniando la sua fede in questo mistero, fa la genuflessione, ado­ra il suo Dio, l'innalza al di sopra della testa e lo mostra al popo­lo. Maria Vergine presenta all'adorazione dei pastori il neonato suo Figlio avvolto in povere fasce; il sacerdote presenta ai fedeli, sotto l'apparenza del pane, Gesù Bambino, affinché tutti lo ri­conoscano per loro Signore. Quelli che adorano il Salvatore in questo stato esercitano una virtù più grande di quella dei pastori, perché essi videro l'umanità di nostro Signore viva e reale e credettero alla sua divinità, mentre noi non abbiamo sotto gli occhi che le sole apparenze del pane e del vino e malgrado ciò crediamo fermamente alla presenza reale della persona di Gesù Cristo. Sì, nella Messa abbiamo davanti a noi quello stesso Gesù ai piedi del quale si prostrarono i Re Magi, quello stesso che Simeone prese nelle sue braccia e che la santa Vergine offrì a Dio nel tempio. Conformiamoci a questo triplice esempio, of­friamo con la nostra pietà un umile omaggio a nostro Signore e meriteremo anche noi la ricompensa eterna.

    La S. Messa, scuola di fede e di amore

    Nella Messa Gesù predica il suo Vangelo con la voce del sacerdote e noi possiamo attingere da questo insegnamento un tesoro di beni immensi. Egli opera dei miracoli quando cam­bia il vino nel suo Sangue divino, prodigio infinitamente più grande di quello che fece a Cana. Egli transustanzia, come nel­l'ultima Cena, il pane nella sua vera Carne. Finalmente noi lo vediamo, dopo la Consacrazione, innalzarsi fra le mani del suo ministro, come si alzò sulla Croce e interiormente lo sentiamo dire: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno, né quanto ti offendono gravemente". Benché noi non vediamo tutto questo con gli occhi del corpo, non ne dubitiamo minima­mente e meritiamo una ricompensa più grande di quelli che, venti secoli or sono, contemplarono questo mistero. Nostro Si­gnore l'ha detto espressamente: "Beati quelli che non hanno visto e che hanno creduto". Più le verità sono incomprensibili, più meritoria è la fede e più ricca sarà la ricompensa. "Per una Messa ben ascoltata - dice un pio autore - diverremo più ricchi che per il possesso di tutte le cose create"

    Nell'Eucaristia, Gesù Cristo compie fedelmente la con­solante promessa del Vangelo: "Ecco che sono con voi fino alla consumazione dei secoli". Non si tratta qui della sua divinità, ma della sua umanità presente sull'altare e nel tabernacolo. C'è di più: se nell'Ostia consacrata Egli sta costantemente fra noi, pronto ad ascoltarci, per esaudire le nostre preghiere e per soc­correrci nei nostri bisogni, nella Messa si fa nostra vittima e no­stro intercessore, dedicandosi all'espiazione dei nostri peccati. Mi spiego meglio: Gesù Cristo, nella Messa, esercita il suo mini­stero sacerdotale e dunque per questo titolo, secondo l'espres­sione di san Paolo, "offre dei doni e dei sacrifici per i peccati del popolo. Ora, sull'altare, come sulla Croce, Egli stesso è do­natore e dono insieme: sacrificatore e vittima.

    Da questo una certa distinzione fra l'Ostia che si espo­ne nell'ostensorio, quella che si riceve dai fedeli alla sacra Men­sa e quella della Messa. Benché nei tre casi Gesù sia egualmente presente, tuttavia nell'ostensorio si offre alle nostre adorazioni:

    nel santo Sacrificio si offre a Dio per le mani del sacerdote; nel­l'ostensorio discende dal Cielo verso di noi; nella santa Messa si innalza dalla terra al Cielo. Brevemente: nell'ostensorio è Sa­cramento mentre nella Messa è vittima. Alla sacra Mensa siamo noi che lo riceviamo nella Comunione, nel santo Sacrificio è il Padre celeste che lo riceve come espiazione. Non è difficile spie­gare questa volontà espressa di nostro Signore di restare con noi fino alla fine del mondo. Egli vuol essere il capo della sua Chie­sa, cioè dei fedeli e vuole che i fedeli siano il suo corpo spirituale. Ora non potendo essere il corpo nel Cielo con la testa, non è naturale che la testa sia sulla terra col corpo? Cristo è senza dubbio lo Sposo della Chiesa che ama d'immenso amore ed èdunque ragionevole che questo amore lo spinga ad essere sem­pre con lei. Ascoltate san Paolo come ci parla di questa tenerez­za: "Uomini, amate le vostre mogli come Gesù Cristo ha amato la sua Chiesa e si è dato per lei, per santificarla purificandola nell'acqua del Battesimo, con la parola di vita, per offrire a se stesso una Chiesa gloriosa, senza macchia né ruga, né altro di simile, ma santa e immacolata". Tutti i cristiani sono membri della Chiesa e per mezzo del Battesimo diventano belli come gli angeli. Non è dunque possibile che Gesù Cristo si allontani dal­la sua Chiesa. Perché Gesù Cristo resta nella sua Chiesa in una maniera invisibile? Perché quest'unione è spirituale e non cor­porale come ci avverte per mezzo del suo profeta: "Vi sposerò per sempre, vi sposerò per un'alleanza di giustizia e d'intelletto, di compassione e di misericordia. Vi sposerò nella fede e saprete che sono io il Signore". Poiché Gesù Cristo è unito alla Chiesa nella fede, era opportuno che restasse nascosto, affinché i fedeli avessero occasione di praticare questa virtù e di acquistare mag­gior merito. Conveniva anche che lo Sposo divino restasse con la sposa, per fornirle nello stesso tempo gli alimenti necessari, i suoi soccorsi ed i suoi favori. Egli raggiunge questo scopo e di­simpegna il suo ministero nella santa Messa e nella Comunione sacramentale; così Egli dà alla Chiesa immense prove d'amore e veglia amorosamente sopra i suoi interessi temporali ed eterni.

    Anima cristiana, se vivi nello stato di peccato mortale sei la fidanzata del demonio, se sei in stato di grazia sei la fidan­zata del Salvatore che ti ama teneramente e prende cura della tua salute.

    CAPITOLO QUARTO

    NELLA SANTA MESSA GESÙ RINNOVA LA SUA INCARNAZIONE


    Nel capitolo precedente ho spiegato troppo brevemen­te e in modo superficiale i mistri della Messa. Li spiegherò, dunque, in modo particolare cominciando dall'Incarnazione. Anzitutto proverò che questo mistero si rinnova ad ogni Messa e mi servirò ell'asserzione di un celebre maestro: "La santa Mes­sa - dice Marchant - è una rappresentazione vivente e perfetta o piuttosto una rinnovazione dell'Incarnazione, della Nascita, della Vita, della Passione, della Morte di Gesù Cristo e della Redenzione che Egli ha compiuto". Queste parole sembreran­no strane a molti, ma dopo la dimostrazione che farò, nessuno ne contesterà la verità.

    La misericordia divina ha meritato un'infinita ricono­scenza dal genere umano, dal giorno in cui il Verbo è disceso dal Cielo per la nostra salute e per opera dello Spirito Santo, si è fatto carne nel seno della santa Vergine. Il sacerdote adora questo mistero quando fa la genuflessione alle parole del Credo:

    Et incarnatus est.

    La Chiesa, per confermare i fedeli in questa verità tan­to commovente, ha prescritto, nel tempo dell'Avvento, la Messa Rorate, o Messa degli angeli, che comincia con queste parole:

    "Cieli, mandate la vostra rugiada e le nubi facciano piovere il giusto! La terra si apra e partorisca il suo Salvatore!". L'intera Messa si riferisce all'Incarnazione e se da un lato deve risveglia­re in noi il desiderio di veder nascere il Salvatore del mondo, dall'altro deve suscitare in noi gratitudine e gioia. Infatti, con questo mistero, Gesù Cristo ci ha comunicato favori così grandi, lavorando e soffrendo tanto per noi, che l'eternità non bastereb­be per ringraziailo, fosse anche una lunga azione di grazie. Ma Gesù Cristo non si è contentato di farsi uomo una volta sola, ma nella sua infinita sapienza ha trovato in una nuova Incarnazio­ne il sublime segreto di riprodurre sull'altare la soddisfazione già offerta una volta alla Santissima Trinità.

    Quest'Incarnazione, per quanto mistica, non è meno reale della prima. Per rafforzare la mia asserzione citerò la testi­monianza della Chiesa, espressa nella Segreta della IX domeni­ca dopo la Pentecoste: "L'opera della nostra salute si compie tutte le volte che si celebra la memoria di questa vittima". La santa Chiesa non dice che l'opera della nostra salute è rappre­sentata, ma che l'opera della nostra salute si compie.

    Quest'opera non è altro che l'Incarnazione, la Nascita, la Passione e la Morte di Cristo. Sant'Agostino l'attesta escla­mando: "Come è sublime la dignità del sacerdote, nelle mani del quale Gesù Cristo si fa nuovamente uomo. E’ veramente ce­leste il mistero che operano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, attraverso il ministero del sacerdote!". San Giovanni Damasceno professa la stessa dottrina: "Se qualcuno domanda come il pane è transustanziato nel corpo di Gesù Cristo, gli rispondo che lo Spirito Santo copre il sacerdote della sua ombra e opera come nel seno della beata Vergine Maria". San Bonaventura è ancor più assoluto dicendo: "Dio, nel discendere ogni giorno sull'alta­re non fa meno di quello che fece quando si abbassò fino a rive­stire la natura umana"4. Ma ascoltiamo Gesù Cristo stesso:

    "Come sono diventato uomo nel seno della mia santissima Ma­dre - dice al beato Alano de la Roche - così rinnovo l'Incarna­zione ogni volta che si celebra la Messa". Il Verbo divino si fa carne tra le mani del sacerdote in una maniera evidentemente differente, ma sempre per la stessa opera dello Spirito Santo. Qui è il caso di esclamare ancora con sant'Agostino: "O grande dignità del sacerdote, fra le mani del quale Gesù Cristo si incar­na nuovamente! O grande dignità dei fedeli, per la salute dei quali, il Verbo divino si fa carne, ogni giorno nella santa Messa, in una maniera mistica". Cade a proposito il ripetere le parole dei Libri santi: "Dio ha tanto amato il mondo che gli ha dato il suo unico Figlio". Che dolce consolazione, per noi miserabili, essere così teneramente prediletti dal nostro Dio! Il pio Tommaso da Kempis ci dà questo devoto consiglio: "Quando dite o ascol­tate la Messa, ricordatevi che partecipate ad un'opera così gran­de ed ammirabile come se in quello stesso giorno Gesù Cristo discendesse dal Cielo e si incarnasse nel seno della Vergine Maria". Quale sarebbe la nostra felicità se nostro Signore ritor­nasse visibilmente sulla terra! Chi non si affretterebbe ad anda­re ad adorailo, a domandargli grazie? Perché, dunque, non an­diamo alla Messa? Ohimè! Non ho che una risposta da dare: la nostra fede è molto debole e conosciamo troppo imperfettamente questo divin beneficio.

    Le meraviglie della transustanziazione [SM=g27998]

    Vedremo ora in quale maniera mirabile Gesù Cristo opera questo mistero. La fede ci insegna che, prima della consa­crazione, quando il sacerdote prende l'Ostia ha fra le mani del pane; ma al momento stesso in cui pronuncia le parole della consacrazione, questo pane, per virtù della divina onnipotenza, diventa il vero Corpo di Gesù Cristo. Aggiungo che il preziosis­simo Sangue si trova nello stesso tempo per concomitanza, in quel sacro corpo, perché un corpo vivente non può essere privo del sangue. quale incomparabile mistero, che grande miracolo! Non è infatti il più strepitoso dei miracoli vedere del pane dive­nire Dio e il vino transustanziarsi nel sangue del Salvatore? Non è il prodigio dei prodigi che non vi sia più né pane, né vino, ma che restino le sole apparenze? Sì, perché la santa Ostia ed il preziosissimo Sangue conservano il colore, l'odore ed il gusto che gli alimenti transustanziati avevano prima. Non è la meravi­glia delle meraviglie che le specie sussistano realmente senza aderire a nulla? Esse sono sostenute in una maniera sopranna­turale, come se il tetto di una casa restasse sospeso in aria dopo il crollo delle mura. Non è cosa superiore ad ogni legge il fatto che Gesù Cristo, avendo la statura di un uomo, si faccia piccolo fino al punto di essere contenuto in un'Ostia? Che dico? Nella minima particella di un'Ostia?

    Ecco gli effetti della potenza del Salvatore messa a di­sposizione del suo amore. questo pensiero confondeva santa Geltrude: "Un giorno, durante la Messa, ero umilmente pro­strata e dicevo a nostro Signore, immediatamente prima della Consacrazione: "O dolce Gesù, l'opera che state per compiere è così eccellente che io, povera creatura indegna, non oso alzare lo sguardo fino ad essa; mi basta potermi abbassare nella più profonda umiltà, aspettando che voi mi doniate la mia parte del Sacrificio che procura la vita di tutti gli eletti". Gesù mi rispose:

    "Dal canto tuo abbi la ferma risoluzione di servirmi anche in mezzo alle più grandi pene, affinché questo Sacrificio, che è sa­lutare ai vivi ed ai morti, si compia in tutta la sua eccellenza, ed avrai aiutato l'opera mia""

    Come santa Geltrude, nel momento della Consacra­zione, riflettete al gran miracolo operato da Dio sull'altare e concepite un ardente desiderio di vedere l'immolazione di Gesù, di contribuire alla maggior gloria della Santissima Trinità e alla salute dei fedeli. Con questa intenzione, ripetete le belle parole della santa: "O dolcissimo Gesù, l'opera che state per compiere è così eccellente, che nella mia indegnità non oso contemplarla, e perciò mi sprofondo nell'abisso del mio niente e attendo la mia parte, quantunque non l'abbia meritata, perché quest'ope­ra sarà supremamente profittevole a tutti gli eletti. O dolce Gesù Dio voglia che io possa contribuirvi! Mi ci adopererò con tutte le forze e malgrado le pene più dure, starò unita a te, affinché il tuo Sacrificio serva ai vivi ed ai morti e raggiunga pienamente il suo fine. E tu, Signore, accorda al celebrante e agli assistenti tutte le grazie necessarie per conseguire questo scopo

    Grandezza del potere sacerdotale

    Considerate la grandezza del potere di consacrare che Gesù Cristo accorda ai sacerdoti: "La potenza di mio Padre ècosì grande - dice nostro Signore al beato Alano de la Roche - che ha creato dal niente il cielo e la terra, ma quella del sacerdo­te è tale che fa nascere il Figlio di Dio stesso nell'Eucaristia e per questo Sacramento e per questo Sacrificio augusto, il tesoro del­la salute passa nelle mani degli uomini Salvatore aggiunge: "È la maggior parte della gloria di Dio, è la principale gioia della mia santa Madre, è la delizia dei beati, il miglior soccorso dei vivi, la più grande consolazione dei morti". Ripetiamo dun­que le parole di san Giovanni: "Dio ha tanto amato il mondo che gli ha dato il suo unico Figlio, affinché tutti quelli che crederanno in Lui non siano perduti, ma abbiano la vita eterna Dio ci ha dato prova di questo grande amore quando ha man­dato al mondo il suo Figliolo unico. Ogni giorno e ogni ora ce lo prova nuovamente nel far scendere dal Cielo lo stesso Verbo per riprodurre lo stesso mistero. Con l'Incarnazione di Nazareth, Gesù Cristo ha acquistato un tesoro infinito di meriti, facendovi partecipare tutti quelli che ascoltano o celebrano devotamente la Messa. Eccone un interessante esempio. Si racconta nella cro­naca dei Frati Minori che il beato Giovanni della Verna offriva il divin Sacrificio con un gran fervore e provava spesso tante dolcezze spirituali che ne era come oppresso. Il giorno dell'As­sunzione della santa Vergine, doveva officiare solennemente, ma appena salito all'altare, provò dei trasporti interni così vivi che temette di non poter arrivare in fondo. La sua apprensione si realizzò ben presto. Arrivato alla Consacrazione, il beato consi­derava l'amore immenso che da tutta l'eternità aveva spinto Gesù Cristo a discendere dal cielo per rivestire la natura umana e rinnovare continuamente la sua Incarnazione nella santa Mes­sa, quando sentì il cuore struggersi e gli mancò la forza di pro­nunciare le parole sacramentali. Finalmente disse: "Hoc est enim..." senza poter terminare. Il padre Guardiano e un altro religioso si avvidero di questa interruzione e accorsero presso di lui per aiutarlo. Gli assistenti credettero che l'avesse colpito un improvviso malore. Finalmente poté pronunziare le parole:

    "...Corpus meum". Vide subito l'Ostia cambiarsi in un piccolo fanciullo, nel quale riconobbe il Bambino Gesù . Il Salvatore allora gli svelò la profonda umiltà che lo spinse a farsi uomo e a rinnovare l'Incarnazione nella Messa. questa rivelazione finì per annientare le forze del religioso che cadde a terra, privo di sensi. Ma il Guardiano e l'altro padre che stavano vicino a lui lo sostennero, mentre altri gli facevano respirare dei sali che lo ri­chiamarono in vita. Benché restasse spossato fino al punto di non poter muovere le membra, né alzare le mani per fare il se­gno della croce, terminò il santo Sacrificio, assistito dal suo su­periore. Ma perse i sensi per la seconda volta e dovettero portar­lo in sacrestia. Aveva tutta l'apparenza di un cadavere, il corpo ghiacciato, le dita contratte, e restò in questo stato molte ore e tutti lo piangevano come morto. quando ritornò in sé, lo pre­garono per amor di Dio, di dire ciò che gli era successo e ciò che aveva visto nella sua estasi. Cedette alle ripetute istanze e rac­contò : 'Al momento della consacrazione riflettevo sull'amore immenso che ha spinto nostro Signore a farsi uomo e a rinnova­re l'Incarnazione ad ogni Messa; allora il mio cuore è diventato molle come la cera calda e la mia carne mi è sembrata priva di ossa. Non potevo né sostenermi, né pronunziare le parole sacramentali. quando, dopo molti sforzi, finalmente riuscii a difle, vidi fra le mie mani, al posto della santa Ostia, il dolce Bambino Gesù, del quale un solo sguardo mi trafisse fino al fondo del­l'anima e mi tolse interamente le forze. Caddi svenuto, ma re­stai infiammato di amore per questo divino Pargoletto". Il beato Giovanni aggiunse ancora molti particolari sulle impressioni che aveva provato durante quel rapimento e spiegò alle anime pie l'amore infinito che ci dimostra Gesù nel santo Sacrificio.

    Molti santi personaggi hanno provato le stesse conso­lazioni di Giovanni della Verna. Se anche voi aveste la pia abi­tudine di assistere alla santa Messa provereste, come lui, ineffabili delizie.

    CAPITOLO QUINTO

    NELLA SANTA MESSA GESÙ RINNOVA LA SUA NASCITA


    La Chiesa cattolica canta per tutta la terra il dolce mi­stero della nascita di risto. "In quel giorno la soavità scenderà dalle montagne e le colline stilleranno latte e miele". Nel giorno di Natale, Colui che è la sorgente di ogni dolcezza, ha addolcito tutto portando dal Cielo la vera gioia, ha annunciato la pace agli uomini di buona volontà, ha consolato gli afflitti; in breve, col suo felice avvento ha riempito l'universo di benedizione.

    quale immensa gioia provò l'eterno Padre quella not­te in cui vide nascere, dalla Vergine Maria, il Figlio amatissimo che Egli aveva generato prima di tutti i secoli! Che delizia fu per il Figlio avere una Madre in terra e un Padre nel Cielo!

    Che felicità per lo Spirito Santo quando Colui per il quale era unito a Dio Padre da tutta l'eternità, con il legame di un indissolubile amore, si incarnò con la sua cooperazione e riunì in una stessa persona la natura divina e l'umana. Di quale soavità non foste inondata voi, o Maria, quando, nel contem­plare Gesù, pensaste che Egli non era soltanto Figlio vostro, ma ancora Figlio di Dio! quanto furono privilegiati gli uomini di allora che poterono vedere coi loro occhi quel Bambino di be­nedizione! quanto dovettero essere lieti e commossi quei pasto­ri ai quali gli angeli annunciarono la sua nascita! E come si af­frettarono ad andare a Betlemme per adorarlo! Chi potrà de­scrivere la felicità dei pii israeliti al giungere di questo giorno affrettato dai loro desideri, all'annuncio che fu dato loro da Simeone e da Anna che la promessa così lungamente attesa era finalmente compiuta? La loroflelicità e incommensurabile e de­gna di considerazione, ma la nostra sorpassa la loro, poiché ogni giorno possiamo contemplare con gli occhi della fede il dolce Bambino Gesù e partecipare continuamente alla gioia della sua nascita! "Le parole del Vangelo e delle profezie ci infiammano talmente - dice un santo papa - che ci sembra di onorare la nascita del Salvatore, non come un avvenimento ormai passato, ma come se fosse attuale, perché noi pure riceviamo l'annuncio degli angeli ai pastori: "Ecco che vi annuncio una grande gioia: oggi è nato il Salvatore". Tutti i giorni, volendo, possiamo as­sistere a questa beata nascita nella santa Messa, nella quale è rinnovata e continuata. questa è pure la dottrina di santa Ildegarda: "quando il pane e il vino sono cambiati nel Corpo e nel Sangue di nostro Signore - dice nelle sue Rivelazioni - la nascita del Salvatore appare come in uno specchio". questa testimonianza conferma le mie parole e prova sufficientemente che il Cielo prende viva parte a questo grande atto, compiuto ormai da duemila anni. Desiderate sapere da chi e come nasce Gesù Cristo? Ascoltate san Girolamo: "I sacerdoti chiamano Gesù Cristo alla vita per mezzo delle loro labbra consacrate ". E come se il santo Dottore dicesse che Gesù Cristo nasce dalle labbra del sacerdote quando pronuncia le parole della consa­crazione. Il papa Gregorio XIII afferma la stessa cosa, quando raccomanda ai sacerdoti prima di salire all'altare di dire: "Vo­glio celebrare la santa Messa e formare il Corpo e il Sangue di nostro Signor Gesù Cristo". La Chiesa fa ancora di più quando ci ordina di cantare il cantico che gli angeli fecero echeggiare nella notte di Natale: "Gloria a Dio in cielo e pace in terra agli uomini di buona volontà". Non sembra anche a voi di ricevere, come i pastori, il messaggio dei celesti spiriti? "Vi annuncio una grande gioia: oggi è nato il Salvatore. Troverete il Bambino av­volto nelle fasce e coricato in una mangiatoia". Immaginate che il vostro angelo custode vi dica: "Rallegrati, figlio mio, il Salva­tore sta per nascere nuovamente per la tua salute e lo vedrai sotto la forma della santa Ostia". Ma anche se il vostro angelo non vi parlasse così, la fede vi insegna che il fatto è questo.

    Che fortuna per voi se ci credete fermamente! E quale immensa gio­ia vi è riservata se vi comporterete con il divino Fanciullo come coloro che furono degni di contemplarlo con gli occhi del cor­po! Nelle antiche leggende si racconta di un santo personaggio che di tanto in tanto, quando il SS. Sacramento era sull'altare o innalzato fra le mani del sacerdote, lo vedeva prendere la forma di un piccolo fanciullo. Nella Vita dei Padri leggiamo la relazione di un fatto simile che avvenne durante la Messa di un sacerdote chiamato Plego. Ma ciò che allora appariva agli occhi carnali, può essere percepito ogni giorno dal nostro occhio spirituale e dappertutto, dove si dice la santa Messa. San Luigi informato di un prodigio di questo genere che si ammirava in quei giorni nei dintorni di Parigi, rispose alle persone che lo esortavano ad an­darlo a vedere: "Possono andarci quelli che non credono, io vedo Gesù vivente tutti i giorni alla Messa". Cito questa risposta, ispi­rata a una fede profonda, per mostrarvi che noi possediamo Gesù presente sull'altare, presente dico, non in una maniera immagi­naria o puramente spirituale, ma realmente e corporalmente. Insomma lo stesso Gesù che è nato dalla santa Vergine a Betlemme e che i Re Magi hanno adorato. Gli accidenti soltan­to ci impediscono di vederlo fisicamente, ma il nostro occhio interiore, rischiarato dalla fede, squarcia il velo e ci convince della reale presenza. Le ragioni per le quali Gesù si nasconde sono molte; la principale è quella di farci esercitare molto la fede e procurarci così un' occasione di merito. E per confermar­ci in questa stessa fede, in molte circostanze si è mostrato ai cri­stiani ed anche ai giudei ed agli idolatri.

    Prodigi che rivelano la presenza reale di Gesù nel sa­cramento dell'altare

    Alberto Kranz racconta che Carlo Magno aveva com­battuto molti anni contro i Sassoni, per il desiderio di strapparli all'idolatria. questi barbari vinti ed anche battezzati erano pur sempre eccitati all'apostasia dal loro capitano Wittikindo. Per la dodicesima volta, l'imperatore compariva in Sassonia con nu­merose truppe: era in tempo di quaresima e quando giunse la Pasqua comandò a tutta la sua armata di prepararsi devota­mente per ricevere la Comunione. La festa fu celebrata al cam­po imperiale con molta pietà. Wittikindo aveva un gran deside­rio di vedere la magnificenza del culto cristiano e per raggiun­gere il suo scopo lasciò i suoi abiti preziosi, si copri di cenci e andò da solo al campo chiedendo l'elemosina come un mendi­cante qualunque. In tal modo il Venerdì santo poté osservare che l'imperatore e i suoi soldati visibilmente contriti digiunava-no rigorosamente e pregavano con fervore. Li vede poi confes­sarsi e prepararsi alla Comunione. Il giorno di Pasqua assistette alla Messa e quando il sacerdote fu arrivato alla Consacrazione, Wittikindo vide fra le sue mani un bambino incomparabilmente bello e si sentì preso da un'ineffabile dolcezza. Per tutta la fun­zione non cessò di guardare il celebrante e quando i soldati an­darono alla santa Comunione vide con grande meraviglia che ognuno di loro riceveva un bambino che, però, da qualcuno andava con grande gioia, mentre non voleva andare da altri dibattendosi con le mani e con i piedi, benché fosse costretto a sottomettersi.

    Il capitano Wittikindo non poteva riaversi dalla mera­viglia che questo inaudito mistero gli suscitava. Dopo la funzio­ne usci dalla chiesa, si confuse coi poveri e tese la mano a quelli che uscivano dal luogo santo. L'imperatore dava ad ognuno qualche cosa, ma quando fu davanti a Wittikindo, uno dei suoi servi, che l'aveva riconosciuto dal dito storpio, l'avverti: "Perché il capo dei Sassoni si nasconde sotto l'apparenza di un mendi­cante?", esclamò Carlo. Wittikindo si spaventò al pensiero di essere accusato di spionaggio e rispose subito: "Sire, non inter­pretate male la mia condotta; se ho agito così è stato all'unico fine di assistere liberamente alle funzioni dei cristiani". "Che hai visto?", soggiunse l'imperatore. "Un prodigio tale di cui non ho mai sentito parlare e che non so neanche spiegare". Raccon­tò allora quello di cui era stato testimone il Venerdì santo, quello che aveva visto alla Messa di Pasqua e domandò il significato di un fatto così straordinario. L'imperatore, meravigliato che Dio avesse accordato, ad un pagano indurito, una' grazia così insi­gne, negata a tanti santi, quella cioè di vedere il Bambino Gesù nell'Ostia, gli spiegò il motivo della tristezza del Venerdì santo e del digiuno, della confessione e della Comunione. questa spie­gazione toccò talmente il cuore di Wittikindo che abiurò il paganesimo e dopo essersi fatto istruire, ricevette il Battesimo. Non contento di tutto questo condusse con sé dei sacerdoti che a poco a poco convertirono al cristianesimo il Ducato di Sassonia.

    questa storia è bene indicata per ravvivare la nostra fede nella presenza reale di Gesù nell'Ostia. Gesù Cristo rende invisibile ai nostri occhi prevaricatori la sua bellezza ma non già agli occhi di Dio e dell'esercito celeste. Ad ogni Messa Egli ap­pare in un tale splendore che la SS. Trinità ne riceve una gloria infinita e la beata Vergine Maria, gli angeli e i santi ne provano gioia ineffabile, come ha rivelato Gesù Cristo al beato Mano de La Roche.

    Adorazione degli angeli

    Quando gli angeli vedono Gesù nell'Ostia, si inginoc­chiano umilmente davanti a Lui e lo adorano con lo stesso ri­spetto che ebbero davanti alla mangiatoia, compiendo per la seconda volta la profezia applicata da san Paolo al mistero di Natale: "quando Dio introdusse sulla terra il suo Figliolo, disse: "Lo adorino tutti gli angeli". questi celesti spiriti, presi da un santo timore, come canta la Chiesa nel Prefazio, si uniscono in una comune allegrezza per lodare e celebrare la maestà divina. Uniamoci a loro ed esaltiamo il dolce Gesù che ad ogni Messa rinnova lo stesso mistero per farcene più largamente partecipi. Nessun essere umano potrebbe degnamente spiegare una così sublime verità e solo la scienza degli angeli sarebbe sufficiente, perché essi soli vedono le delizie che la celebrazione della Messa procura a tutto il Cielo. Per noi è impossibile concepire la gioia che ne prova la divinità.

    La SS. Trinità, senza acquistare, né perdere niente di se stessa, attinge tutta la sua bellezza dall'unione delle sue tre Persone distinte in una comune essenza. Lo Spirito Santo dice della Sapienza increata, cioè del Figliolo di Dio: "Essa è lo splen­dore della luce eterna, lo specchio senza macchia della maestà divina, l'immagine della sua bontà". questo specchio da tutta l'eternità è davanti agli occhi del Padre, che si contempla gu­stando una felicità infinita. Egli si vede quale è attualmente e quale rimarrà eternamente, cioè il Signore grande, glorioso, sa­piente, onnipotente, bello e ricco e tutto ciò in un grado infinito. La contemplazione incessante della sua fedele immagine è per Lui un godimento così soave, così perfetto che costituisce da solo la sua completa beatitudine. questo stesso specchio imma­colato fu posto nuovamente sottoi suoi occhi alla nascita di Gesù, perché Egli è ricoperto dalla più nobile natura umana, adorno di ogni virtù e sfavillante di tutte le perfezioni. A questa vista, il Padre celeste provò, a nostro modo di dire, nuove delizie alle quali fece partecipare tutta la corte celeste. Ed è perciò che i celesti spiriti, nella notte di Natale, cantarono un inno così me­lodioso che la terra ne fu rapita ed i pastori trasalirono di allegrezza. E ripetendo Glona in excelsis i cori celesti si affrettaro­no verso Betlemme, si prostrarono davanti al neonato ed adora­rono la sua divinità. quello che è successo visibilmente una vol­ta sola si rinnova ogni giorno sull'altare dove il Figlio unico di Dio nasce dalle parole del sacerdote e si fa di nuovo uomo. Non si crea certamente un nuovo Gesù, ma si moltiplica la presenza reale di Gesù Cristo. La sua umanità, riprodotta in virtù della transustanziazione si trova lì dove non era prima e resta real­mente sotto le specie della santa Ostia, finché le specie si conser­vano incorrotte. Dico finché si conservano incorrotte, perché quando cominciano a corrompersi Gesù Cristo si ritira. Ciò ètanto vero che se Gesù Cristo non esistesse che sotto queste spe­cie e queste fossero distrutte, Egli sparirebbe con esse e non ci sarebbe più Gesù né in Cielo né in terra.

    L'Eucaristia glorifica il Padre

    quando il Verbo fatto carne nasce di nuovo per mezzo delle parole del sacerdote, quando questo specchio di giustizia èinnalzato dalle mani del sacerdote e presentato a Dio dal cele­brante e dal popolo, quali saranno le gioie e le delizie che risen­tirà il Padre celeste? Lingua umana non può descriverle, perché la nostra intelligenza non è in grado di comprenderle, ma certa­mente non sono inferiori a quelle che Egli gustò nella notte di Natale, perché tanto nell'uno che nell'altro caso ha sotto gli oc­chi Colui del quale ha detto: "questi è il mio Figlio diletto nel quale ho posto tutte le mie compiacenze" Ma ecco la differen­za: Gesù di Betlemme era ricoperto di una carne mortale, men­tre nella santa Ostia il suo glorioso corpo, adorno delle sue sacre piaghe, come da cinque pietre preziose, è immortale. A Betlemme nacque corporalmente, mentre sull'altare nasce in maniera mi­stica e reale insieme.

    Queste delizie sorpassano tutte quelle che l'Altissimo gusta nelle lodi degli angeli, nelle adorazioni dei santi, nelle buone opere degli uomini, essendo la santissima umanità di Cristo, unita ipostaticamente alla divinità, la sola capace di onorare ed amare la SS. Trinità, secondo la sua infinita amabilità. Possono dar­cene un'idea le parole che nostro Signore disse a santa Matilde: "Io solo so e comprendo perfettamente come mi immolo ogni giorno sull'altare, per la salute dei fedeli, cosa che non possono comprendere interamente né i Cherubini, né alcun'altra poten­za celeste". Sì, soltanto Gesù Cristo conosce quanto il suo amo­re e la sua oblazione quotidiana siano graditi a Dio nella Messa. Egli compie questo doppio ministero di amante e di vittima con una suprema soavità ed una compiacenza che sorpassa ogni in­tendimento. L'intero cielo ammira con occhi pieni di sorpresa e con cuore estasiato, senza poter misurare l'estensione della gio­ia divina. E poiché questo si riproduce ogni giorno, ad ogni ora, chi potrà calcolare l'incommensurabile effetto di tante migliaia di Messe? O mio Dio, la tua felicità mi rapisce e i miei desideri si riducono ad uno: che tanta felicità non sia mai turbata dall'in­differenza di coloro che assistono a questo augusto Sacrificio! O Gesù, ti prego di volere, ad ogni Messa, amare e letificare, per me, la SS. Trinità e di supplire sovrabbondantemente all'amore che ho trascurato di testimoniarle e alla gioia che avrei dovuto procurarle.

    L'Eucaristia, fonte di frutti salutari

    Vediamo ora quali salutari frutti riceve il mondo pec­catore dalla nuova nascita di nostro Signore. Isaia profetizzava così la venuta del Messia: "Ci è nato un Bambino, ci è stato dato un figlio". Possiamo dire lo stesso, dopo ogni consacra­zione: "Ci è stato dato un Bambino!". Che ricco dono! Che dono prezioso! questo Bambino è veramente il Figlio del Pa­dre onnipotente, viene da un lontano paese di gioia, dal cele­ste paradiso, fertile in delizie. Egli ci porta immense ricchezze: la grazia e la misericordia divina, la purezza, il perdono e la remissione delle pene, il miglioramento della vita, il favore di una buona morte, l'accrescimento della gloria celeste, il bene­ficio del nutrimento temporale, una protezione sicura contro il peccato e lo scandalo e tutte le divine benedizioni. Egli è pron­to a prodigare questi tesori a tutti quelli che ascoltano la Mes­sa con pietà.

    Consideriamo attentamente il testo di Isaia e vi trove­remo un altro insegnamento. Il profeta dice chiaramente: "Ci è nato un Bambino, ci è dato un figlio". Che cosa significano que­ste parole applicate alla nascita sacramentale di Gesù, se non che Egli diviene nostra proprietà con tutto quello che è, con tutto ciò che possiede e con tutto quello che opera sull'altare? Così sono nostri l'onore, le azioni di grazie, le soddisfazioni, gli omaggi che Egli offre alla Santissima Trinità. Che immensa con­solazione, dunque, è per colui che ascolta la Messa, il sapere che non solamente gli appartiene il santo Sacrificio, ma lo stesso Gesù! Se nella notte di Natale foste stati nella grotta di Betlemme, certamente avreste preso il Bambino Gesù nelle braccia, lo avreste offerto al suo eterno Padre e innalzandolo verso di Lui, lo avre­ste pregato di abbassare sopra di voi, per amore di questo diletto Figlio, i suoi sguardi di misericordia. Dubitate forse che non vi avrebbe ricolmato delle sue grazie? No, ebbene fate altrettanto alla Messa, specialmente nell'Avvento e nelle feste di Natale; recatevi in spirito all'altare, prendete Gesù fra le braccia e offri­telo al Padre suo.

    Annientamento di Gesù nella S. Eucaristia

    Resta ancora da trattare un punto importantissimo e cioè che il Salvatore nasce sull'altare in una maniera mistica e prende una forma tanto umiliante da meravigliare il Cielo e la terra.

    La sua prima Incarnazione e la sua prima nascita sono descritte da san Paolo in termini chiari: "Fratelli miei - dice il grande apostolo - dovete avere i medesimi sentimenti che ebbe Gesù Cristo. Egli, essendo in forma di Dio, non ha ritenuto come un'usurpazione questa sua uguaglianza, eppure si è annientato prendendo la forma di servo, divenendo simile agli uomini e giudicato all'esterno come uomo. Si è abbassato e si è fatto ob­bediente fino alla morte e alla morte di Croce"

    Chiunque rifletta sulla nascita mistica del Salvatore vi troverà un'umiliazione ancora più grande. Perché se a Betlemme era simile agli altri bambini, o meglio se aveva la forma del più bello dei bambini, sull'altare si annienta sotto le apparenze del pane. Chi mai sentì pailare di un tale abbassamento? Gesù Cri­sto può dire veramente col profeta re: "Sono un verme della terra e non uomo, oggetto di scherno per gli uomini, di disprez­zo per il popolo". Chi bada a questa minima particella? Chi l'adora? Chi gli rende gli onori divini? Ohimè! quasi nessuno! quanto e come nostro Signore si abbassa, come si sottrae agli onori che sono dovuti alla sua presenza! Dov'è la sua gloria, la sua onnipotenza? Dove l'imponente maestà che fa tremare la corte celeste? Vi ha rinunciato per abbandonarsi al disprezzo. Egli è il Verbo di Dio e non può articolare una parola; ha creato il firmamento e non può muovere né il piede, né la mano; l'uni­verso stesso non può conteneilo e si è rinchiuso come prigionie­ro in una piccola Ostia! Nel Cielo è assiso su di un trono abba­gliante, sui nostri altari è giacente, legato come l'agnello del sa­crificio. quale annientamento! Incomparabile amore che ha ri­dotto in questo stato l'amante dell'anima umana. Ma questo non è tutto: si assoggetta alla volontà di ogni sacerdote e non soltanto di quelli pii, ma anche degli indifferenti e dei tiepidi e si abbandona fra le loro mani fino al punto che essi possono disporre di Lui a loro piacere. Grande meraviglia! Non rifiuta di essere benedetto da loro, benché, come dice san Paolo: "L'infe­riore riceve la benedizione del superiore". Come mai Gesù Cri­sto, infinitamente superiore al sacerdote, consente di essere be­nedetto da lui? E un fatto che il sacerdote benedice la santa Ostia fino a quindici volte dopo la Consacrazione, proprio quando èdivenuta il vero Corpo e il vero Sangue del Salvatore,! quando Giovanni incontrò Gesù sulle rive del Giordano esclamò: "Io devo essere battezzato da te, e tu vieni a me?". Grande e tre­menda lezione per i sacerdoti! Essi dovrebbero dire al Salvatore: "Signore Gesù, sono io che ho bisogno di essere benedetto da te e tu vuoi ricevere la benedizione di un peccatore!". Non certo come uomo il sacerdote traccia il segno della croce sulla santa Ostia, ma egli pronuncia la benedizione di Dio Padre.

    Non è sorprendente che Dio si serva di un uomo per benedire il più santo degli olocausti! Perché il Salvatore si umilia così? Ascolta­te ed ammirate. Una delle ragioni principali è quella di disar­mare la collera di Dio e di allontanare il castigo che minaccia il peccatore. Non vi è miglior mezzo per placare il proprio nemico che umiliarsi davanti a lui, implorando il suo perdono. Ne ab­biamo un notevole esempio a proposito dell'empio Acab. Elia annunciò a questo principe che il Signore, giusto vendicatore dei delitti suoi e della sua famiglia, lo avrebbe punito con morte violenta insieme alla moglie e ai suoi bambini, che nessuno di loro sarebbe stato sepolto e che i loro corpi sarebbero stati divo­rati dai cani. A questa notizia Acab si stracciò gli abiti reali, si rivestì di cilicio, si copri con un sacco grossolano e si allontanò a testa bassa. Allora Dio disse ad Elia: "Hai visto come Acab si èumiliato davanti a me?". "Sì", rispose il profeta. Il Signore ri­prese: "Giacché si è umiliato per me, non gli farò male durante la vita e soltanto alla sua morte mi vendicherò sulla sua fami­glia".

    Se questo empio re di cui, secondo la testimonianza dei Libri santi non e mai esistito uno simile" è riuscito, con la sua umiltà, a far sì che l'onnipotente Iddio revocasse la terribile. sentenza pronunciata contro di lui, che cosa Gesù, così umiliato sugli altari, non otterrà mai dal Padre celeste? Lo stato in cui si riduce per i peccatori che, per la malizia e l'orgoglio, hanno meritato un giusto castigo, non è mille volte più commovente di quello di Acab? Si spoglia delle vesti di gloria, per nascondersi sotto le apparenze della santa Ostia, come sotto un duro cilicio: non si allontana con la testa china, ma sull'altare sta in atteggia­mento di un verme della terra e, dal fondo del cuore, scongiura il Padre suo, con grida supplichevoli, di perdonarci e risparmiarci. Davanti a un tale spettacolo Dio non dirà dunque ai suoi angeli: `Avete visto come il Figlio mio si è umiliato al mio cospetto?". E gli angeli risponderanno: "Sì, o Signore e noi siamo confusi per tanto abbassamento!". "Poiché mio Figlio si è così annientato per amore dei peccatori, - aggiungerà il Padre celeste - io riter­rò la mia collera e per quanto grandi siano le iniquità degli uo­mini non procederò con rigore verso di loro". Non c'è dubbio, se Dio giusto risparmia la vita del colpevole o non lo punisce per i suoi delitti, questo avviene perché il reo ha assistito alla santa Messa e partecipato così all'ammenda del Salvatore, umiliato per lui. Cristiani, siate riconoscenti a quest'adorabile vittima e ditele dal fondo del cuore: "O dolcissimo Gesù, ti siano rese lodi e onore, per l'amore che a ciascuna Messa ti fa scendere dal Cielo, per quell'amore che cambiando il pane e il vino, nella tua Carne e nel tuo Sangue, ti tiene schiavo sotto queste umili appa­renze, disarma la collera del Padre tuo e ci ottiene la remissione delle pene dovute ai nostri peccati! Ti ringraziamo dal fondo del cuore, per questo inestimabile Sacrificio; ti lodiamo, ti esaltia­mo, ti benediciamo, ti glorifichiamo con tutte le nostre forze e preghiamo il celeste esercito di unirsi a noi, per supplire all'in­sufficienza delle nostre azioni di grazie. Ti supplichiamo ancora di aprire gli occhi del nostro spirito, affinché, conoscendo sem­pre meglio questo dolce mistero, possiamo più degnamente ono­rarlo ed applicarlo alla nostra salute".

  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 1.222
    Sesso: Femminile
    00 07/09/2009 16:51
    CAPITOLO SESTO

    NELLA SANTA MESSA GESÙ RINNOVA LA SUA VITA


    Il mondo assiste ad ogni genere di spettacoli teatrali ritenendoli piacevoli alla vista e all'udito e vi consacra i giorni e le notti e, pur di parteciparvi, niente gli riesce gravoso.

    Se prestassimo attenzione ai grandi misteri della Mes­sa, se comprendessimo qualcosa di questo meraviglioso dram­ma in cui Cristo si presenta, come in abito da festa, per rinnova­re davanti a noi tutte le scene della sua ammirabile vita, ci preci­piteremmo verso la chiesa, al primo tocco della campana, per assistere ad una rappresentazione così commovente. Ma per una sorprendente contraddizione noi, pronti a pagare caro un posto al teatro, a correre con premura alle opere o meglio alle pazzie coreografiche, senza curarci del tempo e del denaro, trascuria­mo la santa Messa, dove, anziché impoverirci, ci arricchiamo di tutti i meriti del Salvatore, alla sola condizione di assistervi come pii spettatori.

    Ma che cosa c'è di sorprendente, direte voi, se le perso­ne frivole preferiscono affrettarsi di più verso i teatri che alla Messa? La commedia è divertente, mentre nel santo Sacrificio non vi è niente che rallegri le orecchie o che attiri lo sguardo. Che accecamento è mai questo, vi risponderò a mia volta, di uomini leggeri che non hanno altri occhi che quelli aperti sotto la fronte e nei quali la vista intellettuale è purtroppo oscurata! Se avessero il lume della fede troverebbero, in questo augusto spettacolo un godimento intimo e vario, perché la Messa è il compendio dell'intera vita di nostro Signore e la riproduzione di tutti i suoi misteri. Non è come nei drammi, una semplice rappresentazione poetica degli avvenimenti, ma una ripetizione esatta e reale di tutte le azioni e di tutte le sofferenze di nostro Signore Gesù Cristo.

    La Messa rispecchia la vita di Gesù

    Nella Messa, infatti, abbiamo sotto gli occhi il Bambi­no che trovarono i pastori, che i Magi adorarono e che Simeone tenne nelle sue braccia. Egli è li sull'altare, vivente, per ricevere l'omaggio della nostra pietà e del nostro amore.

    Egli annuncia il Vangelo per mezzo del sacerdote e la sua grazia non è meno abbondante di quando la sua parola usciva dalle sue proprie labbra. Cambiando il vino nel suo Sangue opera un miracolo più grande di quello di Cana e cambiando il pane nel suo Corpo, rinnova l'ineffabile mistero della Cena. Sull'al­tare è immolato ancora una volta, non dalla mano dei carnefici, ma da quelle del sacerdote che l'offre come vittima espiatoria a Dio onnipotente. Così il Sanchez non teme di dire che "chi sa profittare della Messa può ricevere il perdono dei peccati e l'ef­fusione delle grazie celesti, come se avesse vissuto ai tempi del Salvatore ed assistito a tutti i suoi misteri

    Dionigi il Certosino non è meno esplicito. "La vita di Gesù Cristo - dice - è stata una celebrazione della santa Mes­sa, nella quale Egli stesso era l'altare, il tempio, il sacerdote e la vittima". Egli ha rivestito gli abiti sacerdotali nel santuario del seno materno, dove, prendendo la nostra carne ha preso spoglie mortali. Uscì da questo tabernacolo verginale nella notte benedetta del Natale, ed ha cominciato l'Introito al suo ingresso nel mondo. Ha detto il Kyrie eleison quando ha steso le mani nella mangiatoia, come per chiedere soccorso. Il Gloria in excelsis è stato intonato ed eseguito dagli angeli del Cielo, mentre il neonato riposava nella culla, circostanza rappresentata dal sa­cerdote che durante lo stesso cantico resta nel mezzo dell'alta­re. Il Salvatore ha detto la Colletta nella vigilia che passò in preghiera, per richiamare sopra di noi la misericordia divina. Ha letto l'Epistola quando spiegò e interpretò Mosè ed i profe­ti, il Vangelo quando percorse la Giudea per diffondere la buo­na novella, l'Offertorio quando si è offerto a Dio Padre per la salute degli uomini accettando tutte le sofferenze. Ha cantato il Prefazio lodando Dio incessantemente per noi e ringrazian­dolo per i suoi benefici. Il popolo ebreo fece risuonare il Sanctus quando lo acclamò nel giorno delle Palme: "Benedetto Colui che viene nel nome del Signore! Osanna al Figlio di David". Gesù ha operato la Consacrazione, nell'ultima Cena, nella transustanziazione del pane e del vino nel suo Corpo e nel suo Sangue. L'Elevazione avvenne quando fu inchiodato sul patibo­lo e drizzato in aria per servir da spettacolo al mondo. Ha recitato il Pater quando ha pronunciato le sette parole sulla Croce ed ha effettuato la frazione dell'Ostia quando la sua anima santissima si è separata dal suo sacratissimo Corpo. L'Agnus Dei si riconosce nella confessione del centurione che si batté il petto esclamando: "quest'uomo era veramente il Fi­glio di Dio"; l'imbalsamazione e la sepoltura si riconoscono nella Comunione. Gesù ha benedetto il popolo prima di lasciare il mondo, quando, sulla cima del monte degli Ulivi, ha steso le mani sopra i suoi discepoli. Come è bella e solenne questa Messa celebrata sulla terra dal Salvatore! È quella stessa che il sacerdote dice ogni giorno, benché più brevemente. "Si, - in­siste un pio autore - la santa Messa è il compendio della vita di Gesù Cristo. In una mezz 'ora vediamo rappresentato quello che Egli ha fatto in trentatré anni". Come il ragioniere nota esattamente nel suo libro tutto ciò che ha dato e ricevuto e poi somma tutto in un totale generale, così Gesù concentra nella santa Messa tutti i misteri della sua vita e li rimette sotto i no­stri occhi, come in una breve ricapitolazione. Noi siamo più favoriti di quelli che hanno vissuto con Lui sulla terra, perché essi ascoltarono una Messa lunghissima ma unica, mentre noi ogni giorno possiamo ascoltarne parecchie e raccogliere, quasi senza fatica,tutti i meriti di Gesù. Ma per facilitare la com­prensione di questa verità, ecco un fatto che la conferma.

    Prodigi eucaristici

    Il domenicano Tommaso di Cantimprè, vescovo olan­dese, racconta che, nel tempo pasquale del 1267, nella chiesa di sant'Amando a Douai, a un sacerdote, nel distribuire la Comu­nione durante la Messa, cadde un'Ostia. Spaventato, si inginoc­chiò per rimediare a una così grande disgrazia. Ma quando sta­va per prendere l'Ostia, la vide alzarsi da terra e librarsi in aria. Non avendo che un corporale sul quale era posta la pisside, pre­se il purificatoio e lo stese al disotto dell'Ostia che venne a posarvisi. Dopo averla ricevuta, la portò sull'altare e, prostrato umilmente, pregò nostro Signore di perdonargli la sua irrive­renza. Mentre aveva gli occhi fissi sulle sante specie che aveva raccolto, con grandissima sorpresa vide che si trasformavano in un grazioso Bambino. Commosso sino al fondo del cuore, da­vanti a un così grande spettacolo, non poté trattenere un grido. I cantori si lanciarono in suo soccorso e, come lui, videro il cele­ste Bambino. La loro gioia fu al colmo ed il popolo si precipitò a sua volta per contemplare il miracolo, ma un nuovo prodigio si presentò ai loro sguardi: mentre i cantori vedevano Gesù Cristo sotto la forma di un bambino, gli altri fedeli lo vedevano sotto l'aspetto di un uomo, nello splendore della Maestà divina. Gli uni e gli altri furono talmente colpiti da quest'apparizione che non la dimenticarono per tutta la vita. Ora abbassavano gli oc­chi rispettosamente, ora li alzavano per guardare. Il miracolo duro un' ora. Chi potrà descrivere le dolcezze prodotte in loro da un tale favore ricevuto? La chiesa era affollatissima e dopo che il sacerdote ebbe chiuso il SS. Sacramento nel tabernacolo, rese noto dappertutto il fatto del quale era stato testimone. Il vescovo Tommaso di Cantimprè fu uno dei primi a saperlo. Andò a Douai dal decano di sant'Amando e gli domandò se era vero ciò che si raccontava sull'apparizione di nostro Signore.Il sacer­dote rispose: "È verissimo che Gesù Cristo si è mostrato in for­ma umana a molte persone". "A queste parole - continua Tommaso - nacque in me un vivo desiderio di godere della stes­sa grazia e pregai il decano di mostrarmi la santa Ostia. Mi accompagnò alla chiesa, dove ci segui un'immensa folla, con la speranza che si rinnovasse il miracolo. Il decano aprì con timore il tabernacolo, ne levò il SS. Sacramento col quale dette la be­nedizione. Il popolo scoppiò subito in singhiozzi e alzò la voce gridando: "O Gesù, o Gesù!". Io domandai che cosa significa­vano quelle grida e quelle lacrime. Mi fu risposto: "Vediamo coi nostri occhi il divin Salvatore!". Eppure, io non vedevo che la forma ordinaria della santa Ostia e questa cosa mi affliggeva molto, temendo che il mio Redentore si rifiutasse di mostrarsi a me, a causa dei miei peccati. Esaminai scrupolosamente la mia coscienza e non trovando nulla di straordinario, scongiurai con le lacrime Gesù Cristo di lasciarmi vedere con gli occhi del cor­po il suo volto divino. Dopo alcuni istanti di suppliche i miei voti furono esauditi e contemplai non il viso di un bambino come era successo a molti fedeli, ma l'aspetto di un adulto. Vidi il Salvatore faccia a faccia, i suoi occhi erano chiari e ridenti, i capelli ondeggiavano sulle spalle, la barba, assai lunga, inqua­drava il mento, la fronte liscia e larga, le guance pallide, la testa un po' inclinata. Vidi nostro Signore ed ero così commosso di tale visione che il mio cuore stava per scoppiare per l'eccesso di gioia e di amore. Dopo un non breve tempo, il viso di Cristo divenne triste così come doveva essere nella sua passione. Mi apparve coronato di spine, inondato di sangue e questa vista mi inteneri e provai una tale compassione che versavo lacrime amare sullo stato del mio Salvatore e credevo sentire sulla mia fronte l'acuta punta delle spine che laceravano la sua. Gli assistenti gettarono alte grida e davano mille segni di afflizione. Come nella prima apparizione anche ora ognuno vedeva in una ma­niera differente; mentre gli uni contemplavano Gesù sotto la forma di un neonato, altri lo scorgevano coi tratti di un adole­scente, altri con la statura di un uomo maturo e altri, infine, in mezzo agli orrori della Passione. Rinuncio a descrivere le emo­zioni che provavano quei felici cristiani, lasciando alle anime pie la cura di immaginailo".

    O Gesù, benché io non abbia avuto, come quei fortu­nati la gioia di vederti sotto il tuo aspetto corporeo, non credo meno fermamente alla tua presenza reale e ti offro all'eterno Padre con altrettanto fervore, come se ti avessi contemplato con i miei propri occhi.

    Io so che queste tue manifestazioni sono facili alla tua Onnipotenza, so anche che non sono necessarie e che, purché l'occhio della mia fede sia sano, io ti vedrò nella tua gloria o nella tua Passione, secondo che mi assocerò alle tue gioie o ai tuoi dolori. Tu non ti riveli ai miei sguardi mortali, ma, fin dal­l'eternità, mi hai preparato un mezzo per assistere in spirito allo spettacolo della tua vita e delle tue sofferenze e di offrirle al Pa­dre e allo Spirito Santo, per la maggior gloria della tua beata Madre, di tutti i cori angelici e dell'esercito degli eletti.

    Durante la santa Messa, Dio e i suoi angeli rivedono Gesù Cristo nella grotta di Betlemme, nella sua circoncisione, nella presentazione al tempio; rivedono la fuga in Egitto, il di­giuno nel deserto, le sue predicazioni e i viaggi; lo rivedono per­seguitato, venduto, trascinato davanti ai tribunali, flagellato, coronato di spine, crocifisso, morto, sepolto, risuscitato, ascen­dente alla gloria del Cielo, terminante così l'opera sua meravi­gliosa. questa vivente rappresentazione, questa rinnovazione degli anni terrestri del Salvatore causa al Padre, allo Spirito Santo e agli angeli, una gioia così grande come quella causata dai mi­steri compiutisi in Giudea. In altre parole: ad ogni Messa, il cie­lo intero prova tali delizie che tutti i beni di questo mondo non potrebbero procurarne simili. questa gioia non viene soltanto dalla riproduzione della vita e della Passione di Gesù, ma anche dall'amore che la sua Persona dimostra alla Divinità, perché nel santo Sacrificio nostro Signore onora, loda, ama, serve e glorifi­ca la Trinità con tutte le forze della natura umana, come con tutta la potenza della sua natura divina. E lo fa in maniera tanto incomprensibile e sublime che questa lode e questa carità sor­passano da sole infinitamente gli omaggi degli angeli e le opere di tutti i santi. Alla luce di queste considerazioni, giudicate del­l'eccellenza del culto che i nostri sacerdoti rendono a Dio e fatevi un'idea dell'efficacia di una Messa, non solo per chi la celebra ma anche per chi l'ascolta.

    Utilità del santo Sacrificio, fonte di meriti

    Prima di terminare questo capitolo, insisterò ancora sul­l'utilità che ha per noi questo augusto Sacrificio e sugl'immensi meriti che possiamo acquistare. Gesù Cristo, durante la sua vita terrestre, ha raccolto, non per sé, ma per noi, un tesoro inestima­bile di grazie. Ha lavorato senza riposarsi come dice Egli stesso: "Il Padre mio non cessa dall'operare e anch'io opero". questa vita laboriosa, infinitamente meritoria, la rinnova ad ogui Sacrifi­cio, la riproduce davanti agli occhi di suo Padre per ottenere il perdono per noi, l'offre per pagare i nostri debiti ed in essa ci dà un mezzo per sfuggire ai castighi che ci minacciano.

    Siate dunque riconoscenti al vostro fedele amico che, al prezzo di tante fatiche, ha acquistato, per voi, un tesoro così ricco. Corrispondete all'intenzione di Gesù, che ogni giorno of­fre per voi, gratuitamente, i suoi meriti e non vi private, trascu­rando la santa Messa, del mezzo di ottenere, con poca fatica, un immenso guadagno.

    Ah! Se nell'ordine temporale poteste arricchirvi con tanta facilità come vi è dato farlo nell'ordine spirituale, non perdereste un istante, non risparmiereste nessuno sforzo. Come potete restare così indifferenti quando si tratta di ric­chezze eterne?

    CAPITOLO SETTIMO

    NELLA SANTA MESSA GESÙ RINNOVA LA SUA PREGHIERA


    San Giovanni, il discepolo prediletto dice: Abbiamo per avvocato presso il Padre, Gesù Cristo, il giusto per eccellen­za ed Egli è la vittima di propiziazione per i nostri peccati"'. Non è forse una preziosa assicurazione per la nostra salute che il Figlio di Dio, uguale in tutto al Padre, intervenga per noi e pa­trocini la nostra causa? Ma qui si presenta un'altra domanda: dove e quando nostro Signore compie quest'ufficio? La Chiesa insegna che non è soltanto nel Cielo, ma ancora sulla terra. "Ogni qualvolta si offre il santo Sacrificio - dice il sapiente Suarez - nostro Signore prega per colui che l'offre e per quelli secondo l'intenzione dei quali è offerto". Prega prima per il sacerdote, per gli assistenti e per tutti quelli che il sacerdote e gli assistenti hanno in mente di raccomandare. Ecco come san Lorenzo Giustiniani descrive questa preghiera: "Cristo immolato sull'al­tare grida verso suo Padre e gli mostra le sue sacratissime Pia­ghe, per intenerire il suo Cuore e per salvarci dalle pene eter­ne". Non si potrebbe esprimere meglio lo zelo che il Salvatore dimostra per il nostro interesse. questo zelo ce lo aveva già indi­rettamente rivelato san Luca: "Gesù sali la montagna - dice - e restò tutta la notte in preghiera davanti a Dio". questo non fu un fatto isolato perché lo stesso Evangelista dice altrove: "Du­rante il giorno insegnava nel tempio, la notte si ritirava sul mon­te degli Ulivi". E ancora: "Uscì verso sera e secondo la sua abitudine, andò sul monte degli Ulivi". Da questa testimonian­za si capisce che il Salvatore aveva l'abitudine di recarsi su quel monte per passarvi la notte in preghiera. E per chi pregava? Sant'Ambrogio ce lo dice: "Il Signore non pregò per sé, ma per la nostra redenzione ". È dunque per voi, per me, per tutti gli uomini che si è sottomesso a tante veglie. Prevedeva la perdita di molte anime, malgrado la morte crudele che era risoluto a sof­frire e questo spettacolo strappava lacrime ai suoi occhi e sospiri al suo cuore compassionevole.

    Gesù rinnova la sua immolazione offrendosi e pregan­do per noi

    Ad ogni Messa il Salvatore riepiloga e ripete queste ardenti preghiere, mostrando al Padre suo le lacrime che ha ver­sato, enumerando i sospiri che sono usciti dal suo cuore e ricor­dando le notti che ha passato vegliando. Senza dubbio offre tut­to questo per la salute del mondo intero, ma particolarmente per quelli che assistono alla Messa. quale non sarà l'efficacia di una tale intercessione sulle labbra del Santo dei Santi? quale vantaggio non ne devono sperare le anime, in favore delle quali essa sale verso Dio? La virtù di Gesù unita a quella del Sacrificio aumenta grandemente la potenza della sua preghiera. Mi spie­go: si legge nelle Rivelazioni di santa Geltrude che all'elevazione dell'Ostia, la santa vide nostro Signore alzare, con le sue proprie mani e sotto la forma di un calice d'oro, il suo Sacro Cuore che offri a Dio. Vide anche che Gesù si immolava per la Chiesa in una maniera che sorpassa la mente umana. Per confermare questa rivelazione nostro Signore disse a santa Matilde, sorella di santa Geltrude: "Io solo so e comprendo perfettamente come mi sacrifico sull'altare per la salute dei fedeli, cosa che né i Che­rubini né i Serafini, né alcuna potenza celeste possono concepi­re completamente.

    Notate inoltre che nostro Signore non si offre sull'altare con la maestà che ha in Cielo, ma con una incomparabile umiltà. Egli è presentato non solamente nell'Ostia intera, ma nella mini­ma particella e sotto questi veli sembra così poco degno di atten­zione e di rispetto, che è proprio il caso di applicargli le parole di David: "Non sono un uomo, ma un verme della terra oggetto di derisione per gli uomini". Ohimè! La profezia troppo spesso si compie alla lettera ad eterna vergogna dei cristiani. Gesù fra noi èdisprezzato; gli ricusiamo gli onori dovuti alla sua divinità e se facciamo un atto di fede e di adorazione al Sacramento del suo amore è soltanto per disimpegnarci dall'obbligo che ne abbiamo. E Gesù, pure umiliato nella forma eucaristica, grida verso il Cielo con una voce così potente che penetra le nuvole, squarcia il firma­mento e trionfa della giustizia divina.

    Quando Giona annunciò al re di Ninive che la sua ca­pitale sarebbe stata distrutta al termine di quaranta giorni, quel monarca lasciò gli abiti reali, si coprì di un sacco e ordinò al popolo di supplicare il Signore. Per mezzo della sua umiltà e della sua penitenza ottenne che fosse revocata la terribile sen­tenza e la città minacciata fu salvata dal meritato flagello.

    Se questo re pagano ottenne da Dio, per la sua umiltà, il perdono per una città intera, Gesù Cristo, che nella santa Messa si umilia infinitamente, non otterrà dunque ancora di più? Spogliato della sua maestà, rivestito come di un sacco grossolano nelle Specie sacramentali, sta davanti al trono del­l'Onnipotente e domanda grazia per il suo popolo dicendo: "O Padre mio, considera il mio abbassamento! Mi sono ridotto alla condizione di un verme della terra piuttosto che a quella di un uomo. I peccatori si sono sollevati contro dite ed io mi anniento al tuo cospetto. Ti hanno irritato con il loro orgoglio e io voglio disarmarti con la mia umiltà. Essi sono incorsi nella tua giusta vendetta, lasciati commuovere dalle mie preghiere. Padre mio, perdona loro per amor mio; non li castigare secondo i loro pec­cati, non li abbandonare al nemico, non permettere che si per­dano. Non posso accettare di vederli cadere nell'abisso, perché essi mi appartengono, sono miei, essendo stati riscattati al prez­zo delle mie sofferenze. Soprattutto, o Padre, ti prego per i pec­catori qui presenti, per loro offro in questo momento il mio San­gue e la mia vita. In virtù del mio Sangue, della mia morte, salvali dalla dannazione eterna".

    O Salvatore Gesù, dove hai mai attinto l'amore che ti tra­scina a compiere un tal mistero e a pregare con tanto fervore per noi? Noi non abbiamo altro mezzo per riconoscere questo amore all'infuori dell'assistere alla santa Messa. Chi dunque non si farà un dovere di essere fedele ad una pratica così vantaggiosa e nello stesso tempo così facile? È fuori dubbio che quando il Salvatore era appe­so alla Croce, raccomandò a Dio Padre i fedeli che stavano ai piedi di quel sacro albero e applicò loro i frutti della sua Passione in una maniera speciale. Non è però meno certo che nella santa Messa Gesù prega per quelli che vi assistono, soprattutto per quelli che implorano la sua mediazione. Prega così ardentemente per loro, come pregava dal suo patibolo d'infamia per i nemici che lo aveva­no inchiodato. Che cosa non opererà questa preghiera? quali gra­zie non ne raccoglieremo? quale sicura speranza di eterna felicità non farà nascere nel nostro cuore?

    Se la beata Vergine Maria discendesse dal Cielo e vi di­cesse: "Non temere, figlio mio, sono io che prendo a cuore i tuoi interessi; pregherò con insistenza il Figlio mio e non cesserò fino a che non mi avrà dato la certezza della tua eterna felicità". Se la beata Vergine Maria vi parlasse così, fuori di voi per la gioia, escla­mereste dal fondo dell'anima: "Non vi è dubbio, la mia salute èassicurata". Lodo la vostra confidenza in Maria, ma dovete aver­ne altrettanta e ancor di più nell'onnipotente intercessione del glorioso Figlio di Dio, che non solamente vi promette la sua pro­tezione, ma prega realmente per voi ad ogni Messa che ascoltate e vuole, controbilanciando la severità della giustizia, salvarvi dal castigo che avete meritato per i vostri peccati? Alla voce della pre­ghiera Gesù unisce quella delle sue lacrime, delle sue piaghe, del suo sangue, dei suoi sospiri, altrettante sorgenti inesauribili da dove sgorgano fiumi di grazie e di benedizioni.

    Nostra partecipazione all'immolazione di Gesù tProfittate di una dottrina così incoraggiante, siate fe­deli nell'assistere al santo Sacrificio. Spesso vi lamentate di non avere fervore, ma nostro Signore, pregando per voi, supplirà alle vostre omissioni. Vi invita affettuosamente: Venite a me, voi tutti che siete stanchi ed affaticati ed io vi solleverò"; e cioè: "Venite tutti a me, voi che non potete pregare devota­mente e pregherò per voi". queste parole, partendo dall'alta­re, sono più efficaci di quando ve le rivolgeva nei giorni della sua vita terrena. Perché, o anime povere, non vi arrendete ai desideri del Salvatore? Perché non accorrete alla santa Messa? quando siete nel bisogno vi rivolgete a chi può aiutarvi nella vostra miseria, chiedete il soccorso e le preghiere di persone alle quali non mancano i mezzi per consolarvi e avete fiducia riella loro intercessione. Come non confiderete voi nell'onni­potente mediazione di Gesù Cristo? Siete in uno stato di pri­vazione così grande che non potete esprimerla, ma la cosa più lerribile, nel vostro stato, è il pericolo sempre minaccioso della dannazione eterna.

    Voi domandate al Maestro: "Signore, chi potrà salvar­mi?". Gesù vi risponde: "Ciò che è impossibile agli uomini èpossibile a Dio". Poiché voi sapete dalla bocca del Salvatore che Egli ha il mezzo di assicurare la nostra eterna felicità, supplica­telo ogni giorno di faflo. Ma direte che una povera creatura come voi è indegna di pregare Gesù. Scacciate questo triste pen­siero e siate certi invece che se vi rivolgerete a lui, egli intercede­rà per voi. Dirò di più: è suo dovere, come afferma san Paolo: "Ogni Pontefice è eletto per il servizio delle anime, per offrire dei doni e dei sacrifici per i peccati del popolo e per tutto ciò che si riferisce a Dio". Gesù Cristo è Pontefice ed esercita il suo sa­cerdozio nella Messa e a lui, dunque, spetta pregare e offrire dei sacrifici per noi. Non solo Egli adempie a questa funzione per tutti in generale, ma per ciascuno in particolare, poiché Egli ha sofferto per tutti e si interessa di ciascun membro della Chiesa universale come della Chiesa universale stessa.

    Ora che comprendete la potenza e l'efficacia della pre­ghiera di Gesù al santo altare, unite ad essa le vostre suppliche che acquisteranno così una forza immensa. "Le preghiere che sono unite al santo Sacrificio - dice Fornero - sono molto più efficaci di tutte le altre, anche di quelle che durano lunghe ore, anche delle orazioni più ferventi, a causa dei meriti della Passione di Gesù Cristo che, nella celebrazione di questo augusto Sacrificio, si comunica agli altri con ammirabile effusione". il pio autore conferma la sua opi­nione con la seguente similitudine: "Come la testa sorpassa in di­gnità tutte le altre parti del corpo, così la preghiera del Salvatore, che è la nostra testa, ha un valore che la mette infinitamente al disopra delle preghiere di tutti i cristiani, che sono i membri del suo corpo mistico". Come una moneta di rame acquista pregio caden­do nell'oro in fusione, così la miserabile preghiera di una creatura, unita a quella di Gesù Cristo, riveste il carattere del più nobile dono. Una preghiera mediocre, recitata durante la Messa, vale più di una preghiera fervorosa fatta in casa. I chierici ed i laici agiscono inconsideratamente quando, potendo ascoltare la Messa, preferi­scono assistere ad altri esercizi di pietà. Recano molto danno a loro stessi, perché seguendo le azioni del sacerdote e ripetendo con lui le parole del Salvatore e offrendo per mezzo suo quell'olocausto su­blime, guadagnerebbero incomparabili tesori spirituali.

    CAPITOLO OTTAVO

    NELLA SANTA MESSA GESÙ CRISTO RINNOVA LA SUA PASSIONE


    Fra i misteri di Gesù, non ve n'è alcuno la cui memoria sia più efficace né più degna di ispetto quanto la dolorosa Pas­sione, per la quale ci ha riscattati. I santi Padri non si stancano di celebrarla e promettono, da parte di Dio, una grande ricom­pensa a quelli che onorano questo mistero.

    Benché i mezzi per onorare la Passione di Gesù Cristo siano numerosi, non penso che ne esista uno più perfetto della pia abitudine di ascoltare la santa Messa, perché sull'altare, ap­punto, si rinnova la Passione. E’ vero che non ci è dato di vedere coi nostri occhi la riproduzione delle sofferenze di Cristo,ma tutto ci ricorda quelle sofferenze, in tutto esse sono simboleggiate. Il più espressivo dei segni, quello della Croce, si ripete spes­sissimo. Lo troviamo inciso cinque volte sulla pietra sacra, lo vediamo al di sopra dell'altare, è disegnato sul messale nella pa­gina che precede il Canone, è ricamato sull'amitto, sul manipo­lo, sulla stola, sulla pianeta ed è cesellato sulla patena. Il Sacer­dote fa il segno della Croce sedici volte su di sé e ventinove volte sull'offerta. quale significativa rappresentazione! Benché nel­l'ultima Cena, nostro Signore abbia detto: "Fate questo in me­moria di me", il Sacrificio della Messa non è una semplice me­moria, ma una rinnovazione della Passione. Il sacro Concilio di Trento lo insegna in questi termini: "Se qualcuno dice che il Sacrificio della Messa è solo il ricordo del Sacrificio consumato sulla Croce, sia anatema!"' e ancora: "Nel divin Sacrificio è pre­sente e immolato in una maniera incruenta lo stesso Cristo che un tempo si offrì con effusione di sangue". Anche se non aves­simo altro che questa testimonianza, essa dovrebbe essere suffi­ciente, essendo noi obbligati a credere senza discussione, a quanto la Chiesa ci insegna.

    La S. Messa ci fa partecipi dei frutti della redenzione

    Il sacro Concilio aggiunge, per maggior chiarezza, le seguenti parole: "La vittima che si offre, attraverso il ministero del sacerdote, è la stessa che si offrì un giorno sull'altare della Croce; solamente la maniera in cui si compie il Sacrificio è dif­ferente". Sul Calvario Gesù è stato immolato dalle mani degli empi, mentre sull'altare si offre, in modo mistico, attraverso quelle del sacerdote. La Chiesa adopera spesso nel messale la parola immolare. Sant'Agostino si esprime in modo analogo: "Gesù Cri­sto - dice - non è stato immolato fisicamente che una sola volta, ma si immola sacramentalmente ogni giorno per il popolo". E da notare che questa parola si trova frequentemente nella Sacra Scrittura, per designare l'oblazione degli animali. Se la Chiesa ne fa uso a proposito della Messa è perché vuole mostrarci che il santo Sacrificio non consiste semplicemente nelle parole che il sacerdote pronuncia nel momento della consacrazione, né nel­l'elevazione delle specie sacramentali, ma in una immolazione vera, benché mistica, del divino Agnello.

    "La Passione di Cristo - dice san Cipriano - è il Sacri­ficio stesso che noi offriamo". questo vale a dire che noi rinno­viamo, celebrando la santa Messa, i fatti avvenuti durante la Passione del Salvatore. San Gregorio lo afferma ancor più chia­ramente: "Il Salvatore non muore più, - dice - tuttavia soffre ancora per noi nel santo Sacrificio, in una maniera misteriosa". Te o doreto non è meno esplicito: "Noi non offriamo altro Sacrificio che quello che è stato offerto sulla Croce

    Potrei moltiplicare le testimonianze, ma per abbrevia­re riferirò solo quella della Chiesa, che è infallibile. Leggiamo nella Segreta della IX domenica dopo la Pentecoste: "Permettici o Signore, te ne preghiamo, di celebrare degnamente questo Sacrificio, poiché quante volte si celebra, altrettante si compie l'opera della nostra Redenzione". qui sorge ancora una doman­da: che cos'è l'opera della nostra Redenzione? I bambini stessi potrebbero rispondere. Domandate loro da che cosa siamo stati riscattati e senza esitare diranno: "Dalla Passione di Gesù Cri­sto". Ed infatti la Chiesa afferma che l'opera della santa Messa si compie nella Passione; dunque possiamo concludere che nella Messa viene rinnovata la stessa Passione. La Chiesa, nella Se­greta dei martiri dice inoltre: "La tua benedizione discenda ab­bondantemente sopra i tuoi doni, affinché tu li riceva e ne faccia il sacramento di nostra Redenzione.

    Queste parole non significano che nella Messa siamo nuovamente riscattati, ma che partecipiamo alla virtù della Re­denzione, come insegna la Chiesa in un altro ufficio: "Per que­sto sacramento, applicateci l'effetto della Redenzione". "Che cos'è la santa Messa - domanda il p. Mansi - se non la rinnovazione della nostra Redenzione?". Il p. Molina aggiun­ge: "La santa Messa sorpassa in una maniera incommensurabile tutti gli altri sacrifici, perché non è una semplice rappresenta­zione, ma l'opera stessa della nostra Redenzione, piena di mi­steri e realmente compiuta". Confermerò queste testimonian­ze con qualche esempio.

    Mirabile fatto che dimostra l'immolazione reale di Gesù sull'altare

    Amerumné, capo dei saraceni, inviò il figlio di suo fra­tello ad Ampelon in Siria, dove c'era una chiesa magnifica dedi­cata a san Giorgio. Appena l'infedele vide la chiesa ordinò alle sue genti di condurvi i cammelli e di mettere il foraggio sull'alta­re. Mentre i servi si disponevano ad obbedire, i sacerdoti gli dis­sero con tutto il rispetto: "Signore, ricordatevi che questa casa èconsacrata a Dio e niente deve profanarla". Ciò nonostante il saraceno fece introdurre le bestie da soma in chiesa, ma appena gli animali furono entrati caddero colpiti a morte sotto i suoi occhi. Allora egli ordinò, tutto spaventato, di portare via le ca­rogne. Era un giorno solenne e molte persone assistevano alla Messa. Il sacerdote la cominciò pieno di inquietudine, perché temeva che il principe idolatra commettesse qualche grave irri­verenza davanti al SS. Sacramento. Il saraceno si mise vicino all'altare per rendersi conto del culto dei cristiani e quando, se­condo il rito greco, l'officiante con l'aiuto di un coltello speciale divise in quattro parti il pane consacrato, vide fra le sue mani un piccolo bambino le cui carni fatte in pezzi coprivano la patena e il cui sangue colava nel calice. Ne fu talmente indignato che avrebbe immediatamente ucciso il sacerdote, se non l'avesse trat­tenuto il desiderio di sapere ciò che stava accadendo. Alla Co­munione vide lo stesso sacerdote mangiare una parte del bam­bino e berne il sangue nel calice e che tutti quelli che si avvicina­vano alla santa Mensa partecipavano della carne del medesimo bambino. Pensò fra sé: "I cristiani sono dei barbari che immola­no un bambino nel loro culto e che, simili alle bestie, divorano la carne umana. Vendicherò di mia propria mano l'assassinio di quell'innocente, punirò con la morte quei feroci antropofagi". Dopo la Messa, il sacerdote benedisse il pane e distribuendolo al popolo, ne dette un pezzo al saraceno. questi domandò in ara­bo: "Che cos'è?". "È pane benedetto" rispose il sacerdote. "No, questo non è il pane che tu hai sacrificato, cane spudorato, bar­baro assassino! Ti ho visto io, con i miei propri occhi, immolare un bambino! Non ho io visto il suo sangue colare in una coppa e il suo corpo diviso in quattro parti, da te posato sopra un piat­to? Non ho io visto tutto questo, empio, immondo, abominevole omicida? Non ti ho io visto mangiare la carne di questo bambi­no, bere il suo sangue e darne ad altri?". Il sacerdote sorpreso gli rispose: "Sono un peccatore indegno di contemplare tali mi­steri e poiché voi li avete visti,io credo che voi siete grande da­vanti a Dio". Il saraceno continuò: "Non è forse un bambino quello che ho visto io?". Il sacerdote ribatté: "Certamente, ma io non vedo questo gran mistero perché sono un peccatore, io non vedo che il pane e il vino che, consacrati, diventano il Cor­po e nel Sangue del Salvatore". Il principe spaventato, ordinò ai servitori ed ai fedeli di uscire.

    Quando fu solo col sacerdote, gli prese le mani e gli disse: "Ora riconosco che la religione cristiana è grande: voglia­te dunque, o padre, istruirmi e battezzarmi". Il sacerdote si schermi dicendo: "Perdonatemi, signore, non posso farlo, per­ché se vostro zio lo sapesse mi metterebbe a morte e distrugge­rebbe questa chiesa. Ma se desiderate essere battezzato, andate dal vescovo che si trova sul monte Sinai e raccontategli quello che è successo. quando vi avrà istruito nella fede, vi darà il Bat­tesimo". Il saraceno si ritirò, ma al cadere della notte, ritornò dal sacerdote, lasciò gli abiti sontuosi, si rivestì d'un cilicio e fug­gì sul Sinai. Raccontò al vescovo i motivi della sua conversione, fu istruito, battezzato e si fece monaco sotto il nome di Pacomio. Dopo tre anni ritornò da suo zio, sperando di convertiflo. Fu imprigionato, tormentato in mille modi e morì lapidato. que­sta storia prova che Gesù Cristo è immolato realmente sull'alta­re. Notiamo, però, che la divisione in pezzi del Bambino, non fu una cosa reale, ma una visione miracolosa destinata a converti­re al cristianesimo il pagano del tutto ignaro della religione cristiana, prima con lo stupore, poi con il desiderio di ricerca della verità e infine per la luce che emanava dal fatto.

    Dio ha voluto che questo avvenimento fosse traman­dato per fortificare la nostra fede. Senza dubbio il modo col quale il Salvatore si immola nella Messa, non è né sanguinoso né do­loroso, tuttavia si mostra al Padre suo sotto l'aspetto di un soffe­rente, come al momento della flagellazione, dell'incoronazione di spine e della crocifissione ed in una maniera così viva, come se tutti quei crudeli supplizi si rinnovassero realmente.

    Il Lancizio dice a questo proposito: "La santa Messa èuna rappresentazione della Passione e della morte di Gesù Cri­sto, non a parole, come nelle tragedie, ma in verità. Per questa ragione i Padri la chiamano una ripetizione della Passione del Salvatore e dicono che in essa Gesù Cristo viene nuovamente messo a morte, in maniera spirituale"". Lasciate che citi ancora un nuovo esempio non meno importante del precedente.

    Nella Vita dei Padri del deserto si legge che un vecchio monaco solitario, semplice e ignorante, aveva dei dubbi sulla presenza reale di nostro Signore nell'Eucaristia e diceva a tutti quelli che andavano a trovarlo: "Il SS. Sacramento non contie­ne il Corpo del Salvatore, esso non è che un'immagine o un simulacro". Avendolo saputo, due altri monaci andarono a visi­tarlo e per convincerlo dell'errore gli parlarono così: "Padre, sembra che un certo incredulo affermi che il pane col quale ci comunichiamo non sia il Corpo di Cristo". L'eremita cadde nel tranello e rispose: "L'ho detto io". I due ripresero: "Padre non lo credete, ma credete, come noi, ciò che la santa Chiesa inse­gna". Gli spiegarono allora la dottrina cattolica e gliela dimo­strarono con numerosi passi della Sacra Scrittura. Il vecchio monaco replicò: "Voi siete più istruiti di me, ed è per questo che parlate bene. Ma non posso accettare la vostra dottrina, se non me ne persuade l'esperienza". Essi continuarono: "Ebbene, pre­gheremo Dio durante tutta questa settimana, con la ferma fidu­cia che vi illuminerà". Pregarono, tutti e tre, con gran fervore e la domenica seguente andarono insieme alla chiesa. Si inginoc­chiarono in una panca, davanti all'altare, continuando ad innal­zare a Dio la loro ardente invocazione. Appena il celebrante ebbe pronunciato le parole della Consacrazione, essi videro ri­posare, sul corporale, invece dell'Ostia, un grazioso bambino. Colmi di gioia e di stupore, lo contemplarono con delizia. quan­do il sacerdote stava per rompere l'Ostia, un Angelo discese dal Cielo e con un coltello parve tagliasse il bambino, il cui sangue colò nel calice. Furono presi da spavento, credendo che l'Ange­lo avesse realmente ucciso il bambino.

    Al momento della Comunione, il monaco si alzò co­sternato, si avvicinò all'altare e allorché gli venne presentato il Sacramento, non vide che carne sanguinolenta. Allora fu preso da tale spavento che non poté guardare l'Ostia, né avvicinarsi, e gridò al colmo dell'emozione: "O Signore Gesù, confesso il mio errore e rigetto la mia perfidia. Ora credo fermamente che il pane consacrato è realmente il tuo Corpo e che il tuo Sangue è nel calice. Comanda, o mio Dio, che questo sacro Corpo ri­prenda la sua forma sacramentale, affinché possa riceverlo per la salute dell'anima mia!". Il suo voto fu subito esaudito e si comunicò con grande devozione. Ringraziò Dio e i padri che l'avevano condotto alla verità e raccontò a tutti ciò che durante la santa Messa aveva visto ed imparato.

    Dio permise che quel solitario dubitasse anche per la nostra utilità, perché tutto quello che è avvenuto nei primi secoli della Chiesa è utile a noi, come fu utile ai cristiani di quel tem­po. Ma Dio, che con un mezzo così straordinario, si è degnato illuminare un uomo, non può rendere più ferma la nostra fede in modo più facile? E che cosa non hanno mai fatto i santi e i Dottori per raggiungere lo stesso fine? "La santa Messa - dice Marchant - non è solamente una rappresentazione, è anche una rinnovazione incruenta della Passione di nostro Signore. Come, durante la sua vita, prese sopra di sé tutti i peccati del mondo per cancellaili col suo sangue, così giornalmente il Salvatore as­sume le nostre colpe, come il vero Agnello di Dio incaricato di espiarle sull'altare"'. Comprenderemo molto meglio questa dottrina nelle pagine seguenti.

    Motivi che spingono nostro Signore a rinnovare la sua passione nella S. Messa

    Abbiamo dimostrato che nostro Signore rinnova vera­mente la sua Passione nella santa Messa. Ora paileremo dei motivi che l'ispirano. Il p. Segneri ci fornisce eccellenti conside­razioni su questo soggetto: "Cristo, durante la sua vita terrena - dice - in virtù della sua prescienza divina, vedeva già che milio­ni di peccatori si sarebbero dannati, nonostante la sua dolorosa Passione. La pietà che provò per la loro infelicità, fu tale che domandò al Padre suo di restare sospeso alla Croce fino all'ulti­mo giudizio, per potere con lacrime continue, con le sue pre­ghiere e con i suoi sospiri, placare la giusta collera di Dio, muo­vere la sua misericordia e procurare infine a questo immenso numero di anime, un mezzo per sfuggire all'abisso"

    San Bonaventura nelle sue meditazioni, il beato Avila nei suoi sermoni, il p. Gautier e il p. Andries mettono la stessa preghiera sulle labbra del Salvatore. Ma c e ancora di più: no­stro Signore ha manifestato molte volte che era pronto a soffri­re, per la salute di ogni individuo, tutto ciò che Egli ha sofferto per la redenzione del mondo.

    L'eterno Padre non acconsentì affatto a questo deside­rio. Rispose che un'agonia di tre ore era già mille volte di più di quanto era necessario e chi non avesse ricavato profitto dai me­riti della Passione avrebbe dovuto attribuire a se stesso la colpa della sua eterna dannazione.

    Non stanco di questo rifiuto, l'amore del Salvatore attinse da esso nuovo ardore: il divino Maestro fu maggiormen­te spinto dalla generosità del suo cuore a venire in aiuto dei pec­catori. Nella sua eterna sapienza trovò un altro mezzo per resta­re sopra la terra, dopo la morte, per continuare la sua Passione e pregare incessantemente per la nostra salute, come avrebbe fat­to sullo strumento del suo supplizio. questo ammirabile mezzo è il santo Sacrificio.

    I Bollandisti raccontano che santa Coletta ascoltava ogni giorno la Messa con grande devozione. Una volta assisteva a quella celebrata dal suo confessore, che arrivato alla Consacra­zione la sentì gridare: "O mio Dio, o Gesù! O Gesù! O voi ange­li e santi e voi, uomini peccatori, guardate e ascoltate!". queste esclamazioni ripetute per qualche momento commossero e sor­presero i presenti. Dopo la Messa il sacerdote domandò alla santa come mai aveva pianto e gridato in quel modo. Ella rispose: "Ho visto e sentito cose tanto ammirabili che se vi fosse stato concesso altrettanto avreste, forse, gridato più di me". "Che cosa avete visto, dunque?". "Nonostante che le meraviglie che ho ammirato siano così alte, così divine che nessuno possa descri­verle, vi dirò quello che di esse può comprendere la ragione umana. quando avete innalzato il santo Sacramento ho visto Cristo sospeso, con le sue ferite sanguinanti, alla Croce". In quel­l'atteggiamento supplicava Dio, dicendo: "Guarda, Padre mio, come sono stato sulla Croce, vedi in quale stato ho sofferto per il mondo. Considera le mie piaghe, l'effusione del mio sangue e lasciati commuovere dalla mia Passione e morte! Ho sopportato tutto questo per la salute dei peccatori; vuoi che il diavolo si impadronisca di loro? A che servono, allora, tutti i miei tormen­ti? Se gli uomini si perderanno non solo saranno ingrati, ma bestemmieranno il mio nome, invece se si salveranno mi bene­diranno per tutta l'eternità. Padre mio, ti prego, abbi pietà di loro per amor mio e salvali dall'inferno".

    Gesù mediatore nostro nel S. Sacrificio dell'altare

    Così durante la Messa, Gesù implora la divina miseri­cordia continuando la preghiera che fece sulla Croce: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno". Nel suo nuovo stato di vittima prega per tutti i peccatori, con la differenza che la sua voce ora non è debole, né stanca, ma forte e onnipotente. San Paolo dice: "Gesù Cristo morto e risorto è seduto alla de­stra di Dio e prega per noi Nel cielo prega, ma sull'altare più che mai, perché lì esercita veramente il suo ministero sacerdota­le. Ce lo insegna san Lorenzo Giustiniani: "Mentre Gesù Cristo viene offerto sull'altare - dice - grida verso suo Padre e gli mo­stra le sue piaghe, perché si degni di salvare gli uomini dalle pene eterne"'. Prega per tutti, ma specialmente per quelli che assistono al suo Sacrificio. quale salutare effetto hanno quelle grida di Gesù!

    Quante volte le nazioni e gli individui sarebbero stati precipitati in fondo all'abisso se nostro Signore non avesse pre­gato per loro! quante migliaia di quei beati che sono in Cielo sarebbero ora all'inferno se non li avesse salvati Gesù Cristo con le sue onnipotenti suppliche! Peccatori, andate dunque alla Messa, per partecipare agli effetti di questa preghiera divina, cioè per essere preservati dai mali temporali e spirituali ed otte­nere con questo mezzo tutto quello che vi sarebbe impossibile ottenere con le vostre proprie forze.

    Gesù applica a noi, nel sacrificio della S. Messa, i meriti della sua passione

    La ragione principale per la quale Gesù Cristo rinnova la sua Passione sull'altare è quella di pregare per noi e di com­muovere il Cuore del Padre suo. E inoltre Gesù con il Sacrificio della Messa ci applica i meriti del Sacrificio del Calvario.

    Per meglio comprendere questa verità bisogna sapere che il Signore, durante tutta la sua vita mortale e particolar­mente sulla Croce, ha acquistato un tesoro infinito di meriti, che allora ha dato soltanto ad un piccolo numero di persone e che oggi prodiga in una infinità di occasioni, e in particolar modo nella Messa. "quello che si è operato sulla Croce è un Sacrificio di Redenzione, - dice san Giovanni Damasceno - e la santa Messa è un Sacrificio di appropriazione, per il quale ogni uomo entra in possesso dei meriti e delle virtù del Sacrificio della Cro­ce'. In altre parole: se assistiamo alla Messa con le disposizioni richieste, sarà applicato, ad ognuno in particolare, il valore della Passione di Gesù Cristo.

    Le parole di nostro Signore a santa Matilde ci faranno comprendere meglio ancora questo mistero di grazie. "Ecco, ti do tutte le amarezze della mia Passione, affinché tu le consideri come tuo proprio bene e le offra al Padre mio"'. E per inse­gnarci che questa applicazione avviene proprio nella santa Mes­sa, nostro Signore aggiunge: "Colui che offrirà la mia Passione, della quale gli ho fatto dono, sarà ricompensato due volte e ciò tanto spesso quante volte l'offrirà e così, come ho detto nel mio Vangelo, riceverà il centuplo e possederà la vita eterna"'. qua­le felicità ricevere dalle mani del Salvatore un frutto così grande e che noi possiamo aumentare tanto facilmente! Se voi direte: "O Gesù mio, offro la tua dolorosa Passione, o mio Gesù, offro il tuo sangue prezioso". Gesù vi risponderà: "Figlio mio, te ne rendo due volte il valore". Così, tutte le volte che offrirete qualcuna delle sue sofferenze, altrettanto sarete ricambiati con la stessa liberalità. quale generosa mercede e quale facile prez­zo per arricchirvi!

    Ecco un'altra ragione della rinnovazione mistica della Passione. Poiché non tutti i fedeli poterono essere presenti al Sacrificio della Croce, coloro che non hanno avuto questa gra­zia divina saranno forse meno favoriti? No, il Salvatore ha volu­to che essi raccogliessero durante la Messa, purché vi assistano con devozione, gli stessi frutti come se fossero stati sul Calvario. La stessa cosa dice il Belei: "Vedete quanto è prezioso il nostro Sacramento! Non è un semplice memoriale del Sacrificio della Croce, ma è il Sacrificio stesso del quale produce tutti gli effet­ti"'. Ilp. Molina conferma queste belle parole, dicendo: "Con­forme all'istituzione di Gesù Cristo, la Chiesa offrirà sempre lo stesso Sacrificio che fu offerto sulla Croce, nello stesso modo reale, anche se in una maniera incruenta".

    La Messa è dunque una sorgente infinita di grazie. E evidente che i due Sacrifici sono uno stesso ed unico Sacrificio, poiché tanto la vittima che il sacerdote sono gli stessi, sono of­ferti allo stesso Dio ed hanno la stessa ragione di essere. Tutta la differenza consiste nel modo in cui si compiono. Sulla Croce Gesù Cristo era grondante di vivo sangue e vittima sofferente per gli atroci dolori, mentre oggi nella santa Messa si offre in modo incruento senza sofferenze. Pensate bene a queste energi­che parole, pensate all'inestimabile valore della santa Messa e convincetevi della sua efficacia, ricordatevi la decisione del Con­cilio di Trento che ho citato prima.

    Quindi è evidente che, con la vostra presenza ai piedi dell'altare, purché siate animati dai sentimenti richiesti, non pia­cerete meno al Salvatore e non meriterete meno di coloro che assistettero al Sacrificio del Calvario. Considerate l'inestimabile favore, che avete ogni giorno, di poter essere testimone della Passione di Gesù Cristo e di riceverne i frutti! Che felicità poter­ci stringere amorosamente alla Croce, vedere Gesù, pailargli, consolarlo, confidargli le nostre pene e attendere da Lui soccor­so e consolazione, come una volta hanno fatto Giovanni e Ma­ria Maddalena! O cristiani, stimate nel loro vero valore queste grazie ammirabili e ogni mattina andate a Messa per partecipa­re al tesoro che il Salvatore è sempre pronto a distribuirvi!

  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 1.222
    Sesso: Femminile
    00 07/09/2009 16:54
    CAPITOLO NONO

    GESÙ CRISTO NELLA SANTA MESSA RINNOVA LA SUA MORTE


    Nel XV capitolo di san Giovanni si leggono queste pa­role: "Nessuno è animato da amore più grande di colui che dà la vita per i suoi amici. Poiché nessuno ha niente di più prezio­so della vita o che ami tanto, un tal dono è certo il colmo della generosità. L'amore di Gesù Cristo per gli uomini ha superato questa misura, poiché Egli, non contento di dare la vita per i suoi amici, l'ha anche data per i suoi peggiori nemici. E quale vita è la sua! La più nobile, la più santa che sia mai esistita. Ma notiamo la singolare espressione della quale si serve. Egli non dice: "Io darò, Io ho dato", ma dice: "Io do la mia vita per le mie pecore", come se continuasse incessantemente a sacrificar­la. Espressione significativa e commovente, perché con la santa Messa, la sua immolazione è sempre attuale.

    Come realmente Gesù rinnova la sua morte nella S. Messa

    Spieghiamo questo mistero. In certi paesi si conserva l'uso di rappresentare la Passione come un dramma: legano un giovane ad una croce e lo lasciano sospeso fino a che sembra moribondo e senza movimenti, come un giustiziato che si spe­gne per l'eccesso delle torture, mentre coloro che assistono a questo spettacolo sono commossi fino alle lacrime. Nella santa Messa non è lo stesso perché nessuno rappresenta la Passione di Gesù Cristo morente, ma è lo stesso Salvatore che muore. Gesù non ha voluto che un Angelo o un santo si sacrificassero al suo posto, perché sapeva che nessuno era in grado di failo e perché voleva rimettere di continuo sotto gli occhi dell'eterno Padre, tutto l'orrore della sua morte, la quale, perciò si rinnova ad ogni Messa tal quale avvenne sul Calvario. Proverò questo, prima con un esempio, quindi con l'insegnamento dei teologi. Cesario di Heisterbach scrive: 'Avevamo nel nostro convento un eccle­siastico chiamato Godschalk di Volmentein. Nella notte di Na­tale di sei anni fa, mentre diceva la Messa ad un altare laterale, pregava con grande pietà spargendo molte lacrime. Nel momento della Consacrazione, invece delle specie sacramentali vide fra le sue mani un bambino così bello, che gli angeli stessi non si stan­cavano di contemplare. Lo prese, lo abbracciò e ne provò una gioia indicibile. E quando, passato un certo tempo, il bambino scomparve, quel sacerdote terminò la Messa con un fervore spe­ciale. Ma, subito dopo questo fatto, si ammalò gravemente e in punto di morte confidò la visione che aveva avuto al suo supe­riore che la raccontò al curato d. Adolfo di Deifern, il quale esclamò sospirando: "Perché Dio manifesta tali cose ai santi che sono già confermati nella fede? Dovrebbe riservare questa spe­cie di grazie ai peccatori come me che hanno spesso dei dubbi sulla presenza reale". qualche tempo dopo, questo sacerdote, uomo assai leggero, diceva la Messa. Arrivato all'Agnus Dei, quando stava per rompere l'Ostia vide in essa un bambino di una bellezza straordinaria che gli sorrideva affettuosamente. Si spaventò molto, ma poi si rincuorò e contemplò il bambino con gioia. Volle poi vedere che cosa ci fosse dall'altra parte dell'Ostia e, voltandola, vide Gesù Cristo in Croce, con la testa inclinata, quasi sul punto di spirare. Adolfo di Deifern ne fu talmente com­mosso che stava per cadere e versò lacrime di compassione. Aven­do davanti a sé lo spettacolo del Salvatore morente, non riusciva a decidere se dovesse interrompere o continuare la Messa, men­tre il popolo lo guardava con sorpresa, vivamente impressionato dal suo stato, stupito di una così lunga attesa, non comprenden­do nulla di quello che stava succedendo. Finalmente la figura di Gesù agonizzante scomparve, l'Ostia riprese il suo aspetto ordi­nario e il curato terminò il santo Sacrificio. Allora i fedeli domandarono spiegazioni per questo strano fatto e Adolfo salì sul pulpito per raccontare le apparizioni avute. Ma il suo cuore era così intenerito e dalla sua bocca uscivano tanti sospiri, che nes­sun suono comprensibile fu sentito dall'uditorio, per cui, sin­ghiozzando, si ritirò.In seguito, confidò le sue visioni a molte pie persone e non smise più di meditare la Passione di Gesù Cristo. Il ricordo di questa grazia restò fortemente impressa nel suo cuore per tutta la sua vita ed egli riformò i costumi, espiò le sue colpe, con grande edificazione dei suoi parrocchiani". questo raccon­to ci mostra vivamente in quale maniera Gesù, nella Messa, mette sotto gli occhi del Padre suo, dello Spirito Santo e di tutta la corte celeste, non per rattristarli, la sua morte crudele, cosa che sarebbe impossibile, ma per dimostrare ad essi il grande amore che l'ha spinto a soffrire per la salute del mondo. Oh! Se noi ricevessimo lo stesso favore come Adolfo di Deifern! Se ci fosse dato di contemplare, come lui, nella santa Ostia, nostro Signore agonizzante, con quale premura assisteremmo alla Messa. Ma se non lo vediamo con gli occhi del corpo, lo contemplano, e non con minore certezza, quelli della nostra anima, illuminati in modo soprannaturale! In questo modo rendiamo a Dio un omaggio più grande ed esercitando la virtù della fede, meritia­mo una maggiore ricompensa. Gesù Cristo stesso, nella manie­ra con la quale ha istituito l'Eucaristia, ci ha lasciato testimo­nianze certe che là vi è rinnovata la sua morte.

    Quando, nell'ultima Cena, Egli istitui questo Sacra­mento, non volle farlo né in una sola volta, né sotto una sola specie, ma in due volte e sotto due specie. Nel consacrare il pane, avrebbe potuto dire: "questo è il mio Corpo ed il mio Sangue", e il pane sarebbe veramente diventato il suo Corpo e il suo San­gue. Ma la consacrazione sotto una sola specie non sarebbe sta­ta una rappresentazione abbastanza fedele della sua morte, così Egli volle consacrare separatamente prima il pane, cambiandolo nel suo Corpo, poi il vino, cambiandolo nel suo Sangue, per fornire ai suoi discepoli un'immagine più viva del suo Sacrificio. D'altra parte, Egli ha rivelato alla Chiesa che nella Messa deve essere tale il rito della Consacrazione, poiché la separazione del sangue dalla carne dà un'idea più esatta della morte.

    Testimonianze dei teologi, dei padri e dei dottori

    Il Lancizio, a questo proposito, si esprime così: "Poiché nostro Signore voleva compiere il sanguinoso Sacrificio e mori­re, d'una morte naturale, sulla Croce, nel santo Sacrificio la sua morte è rappresentata dalla separazione del sangue dal corpo; perché solo il corpo è presente, in virtù delle parole sacramenta­li, sotto le specie del pane e solo il sangue è presente sotto le specie del vino. Come non riconoscervi il carattere di una vera immolazione?"

    Gervasio dichiara che nella santa Messa Gesù Cristo è la materia del Sacrificio e questo non sotto la forma che ha in cielo, ma sotto le specie del pane e del vino, dove resta come morto, essendo in uno stato che non gli permette di muovere ne i piedi, né le mani e che rende impossibile ogni azione delle membra, pur continuando ad esercitare le potenze della sua anima: l'intelligenza e la volontà. Tutti i Dottori espongono nel­la stessa maniera questi grandi misteri, ma per le persone poco istruite aggiungerò un'altra spiegazione. quando il sacerdote consacra, divenendo Gesù Cristo realmente presente, riceve una nuova vita. questa vita di Gesù nell'Ostia è sorgente di gioia ineffabile per la corte celeste e di grandi consolazioni per le ani­me del Purgatorio e utilissima a noi. Sotto questi veli misteriosi, il Salvatore prega per noi e disarma la collera del Padre suo, e per questo nostro Signore aspira a conservare questa vita. Ma, d'altra parte, egli è spinto a dimostrarci il suo amore con la sua morte e, dopo aver vissuto per noi, per noi ancora muore da­vanti agli uomini e davanti a Dio. Che cos'è infatti la Comunio­ne del sacerdote se non la distruzione della vita che la santa vittima aveva ricevuto nella Consacrazione? E perciò il sacerdo­te è obbligato non solamente a consacrare, ma anche a comuni­carsi.

    Nessuna lingua umana saprebbe esprimere quanto questa morte di Cristo intenerisce l'Onnipotente, tuttavia qual­che cosa se ne può comprendere e dire. quando nel santo Sa­crificio Gesù muore sotto gli occhi del Padre suo, gli obbedisce come gli obbedì sul Calvario. Senza dubbio in ogni cosa gli fu perfettamente sottomesso, ma in nessuna si mostrò tanto obbe­diente quanto nel lasciare la sua nobile vita, nonostante la natu­rale ripugnanza nel sopportare una morte così spaventosa. Ascol­tiamo san Paolo: "Cristo si umiliò, fattosi obbediente fino alla morte e alla morte di Croce". E affinché comprendessimo quan­to fu gradita a Dio quest'obbedienza e quale ricompensa meritò Gesù, l'apostolo aggiunge: 'A causa di questo, Dio l'ha innalza­to e gli ha dato un nome al di sopra di ogni nome". Ora, già l'ho detto, l'obbedienza del Salvatore morente sull'altare è la stessa che lo spinse a morire sulla Croce. Egli l'offre al Padre suo con le eroiche virtù che praticò durante il suo supplizio, soprattutto la perfetta innocenza, la pazienza incrollabile, l'amore ardente che ha portato a Dio e agli uomini, anche ai suoi nemici, anche a quelli che lo crocifissero e ai più ingrati peccatori.

    Gesù così ripresenta all'eterno suo Padre gli amari do­lori in mezzo ai quali spirò, la sua spaventosa agonia, le angosce che lo straziarono, lo scuotimento delle ossa, il colpo di lancia che trapassò il suo Sacro Cuore. Egli mostra tutte le sue soffe­renze in modo efficacissimo, risvegliando nel Cuore di Dio la commozione infinita che provò venti secoli or sono nel vedere il suo diletto Figlio immolarsi per amor suo e per la sua maggior gloria. Lo stesso Gesù che seppe allora disarmare la collera del­l'Altissimo, attirare la sua misericordia sui peccatori e riconcilia­re la terra col Cielo, ogni giorno, nella Messa, riprende questo affettuoso ineffabile ministero, per continuare l'opera della no­stra salute.

    Eccomi ora ai Padri e ai Dottori: "quale pegno di mi­sericordia! - esclama san Gregorio Magno. - La vittima che èofferta in questo Sacrificio è il glorioso Risorto, che vincitore in eterno della morte, soffre nuovamente per noi. Ogni volta che celebriamo la Messa, rinnoviamo la sua Passione, sorgente ine­sauribile di perdono".

    Assicurazione molto consolante per tutti quelli che, avendo coscienza dei propri peccati, temono l'inferno. San Gregorio insegna chiaramente che l'immolazione del Salvatore, riprodotta sull'altare, ha la virtù di preservare le anime dalla dannazione eterna. Volete dunque evitare questa suprema di­sgrazia? Ascoltate assiduamente la Messa, onorate la morte di Gesù e offritela a Dio Padre.

    "Il Figlio di Dio - dice il sapiente p. Mansi - si è offerto sull'altare della Croce come vittima cruenta. Nella santa Messa si offre nuovamente e perciò la celebrazione di una Messa non ha meno valore della morte del nostro Salvatore"

    Il cardinale Osio aveva detto prima di lui: "Benché nella Messa Gesù Cristo non si immoli una seconda volta fisicamen­te, i meriti della sua morte ci vengono applicati nello stesso modo, come se essa fosse avvenuta in quel momento e questa morte, per quanto mistica, produce gli stessi effetti della morte cruenta"6.

    Dopo queste belle parole, il cardinale insiste ancora in questi termini: "Sì, la morte di Cristo e i frutti ditale morte ci sono applicati come se Gesù morisse realmente".

    L'abate Ruperto da parte sua dice: "Come è vero che sulla Croce Cristo ci ottenne il perdono dei nostri peccati, così è vero che, sotto le specie sacramentali, ci procura la stessa grazia.

    Nel quindicesimo capitolo spiegheremo in quale ma­niera la santa Messa opera il perdono dei peccati. Ma già dalle parole di Ruperto abbiamo la consolazione di sapere che assi-stendo al santo Sacrificio possiamo espiare le nostre colpe e scon­tare le pene che abbiamo meritato commettendole.

    La S. Messa, sacrificio di espiazione e di amore, spar­ge su noi i tesori della passione

    Il padre Segneri aggiunge: "Il Sacrificio della Croce fu causa universale per dar morte al peccato, e il Sacrificio dell'al­tare è una causa particolare, la quale applica nuovamente, a questo e a quello, l'efficacia del sangue sparso da Gesù Cristo: la Passione accumulò il tesoro, la Messa lo elargisce quale migliore invito si potrebbe rivolgere a quelli che sono poveri di meriti?

    Ammirate - continua il p. Segneri - che cosa sia cele­brare e ascoltare la santa Messa! È come se quel Signore il quale è morto per tutti gli uomini, ora torni a morire per me e per voi in particolare, applicandoci i meriti della sua morte, come se ora, veramente, ritornasse a morire soltanto per noi".

    La santa Vergine, un giorno, disse ad un gran servo di Dio: "Il mio divin Figlio ama talmente quelli che assistono al santo Sacrificio che, se bisognasse, morirebbe per loro altrettan­te volte quanti sono i presenti: ma i meriti del Calvario suppli­scono a tutto".

    Queste parole sono tanto consolanti ed esprimono l'amore infinito del Salvatore, amore che lo spinge giornalmen­te non una volta, ma migliaia di volte a sacrificarsi per i poveri peccatori. Andate, dunque, ogni mattina alla Messa e abbiate gli stessi sentimenti che provereste accompagnando Gesù sul monte Calvario, per essere testimoni della sua Passione e della sua Morte. "quando celebrate il divin Sacrificio o vi assistete - dice il pio autore dell'Imitazione - deve sembrarvi così grande, così nuovo, così degno di amore, come se in quel giorno stesso il Salvatore discendesse dal Cielo per farsi uomo nel seno della santa Vergine, o come se, sospeso sulla Croce, soffrisse e morisse per la salute del mondo". O Dio! quale favore e quale amore! Gesù Cristo muore in una maniera incruenta per quelli che ascol­tano la Messa, come mori in una maniera cruenta per tutto il mondo! quale sorgente di grazie! quale mezzo di salute! Se voi aveste offerto a Dio, sul Calvario, la morte crudele del Figlio suo, dubitereste che vi avesse perdonato tutti i vostri peccati? Ah! Il Padre di misericordia, in considerazione del vostro penti­mento e soprattutto in virtù del Sacrificio di Cristo, vi avrebbe certamente accordato la remissione completa delle vostre colpe. Ebbene, accade lo stesso nella Messa, dove Gesù Cristo presen­te corporalmente, muore per noi in una maniera mistica.

    CAPITOLO DECIMO

    NELLA SANTA MESSA GESÙ CRISTO RINNOVA LO SPARGIMENTO DEL SUO SANGUE


    A proposito dell'uso in vigore, sotto l'antica legge, di aspergere il popolo con il sangue degli animali sacrificati, san Paolo dice: "Dopo aver letto davanti a tutto il popolo gli ordini della legge, Mosè prese del sangue di vitelli e di montoni e con acqua, lana scailatta e issopo, asperse il libro stesso e tutto il popolo dicendo: "questo è il sangue dell'alleanza che Dio ha fatto con noi". Col sangue asperse anche il tabernacolo e tutti i vasi che servivano al culto. Secondo la legge, con lo spargimen­to del sangue è quasi tutto purificato e senza spargimento di sangue non vi è remissione". questo spargimento e questa aspersione del sangue delle vittime erano altrettante immagini profetiche del sangue del Salvatore che doveva cancellare com­pletamente i nostri peccati. "Se il sangue dei montoni e dei tori, sparso su quelli che sono immondi, li santifica e procura la purificazione della loro carne, quanto più il Sangue di Gesù purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, per servire Dio".

    Qualcuno potrebbe obiettare che Gesù Cristo ha sparso il suo sangue nella Passione e ne ha asperso i fedeli viventi di allo­ra, ma noi, che non eravamo presenti, siamo stati privati di questa grazia. Consolatevi, cristiani, perché il prezioso Sangue del Sal­vatore fu sparso per voi, come per i giusti di quel tempo e Gesù Cristo ha trovato un altro mezzo per spargeilo tutti i giorni e per aspergere le vostre anime:la santa Messa. Ve lo dimostro.

    Il sangue preziosissimo di Gesù lavacro di purificazione

    Anzitutto ecco la testimonianza di sant'Agostino: "Nella Messa - dice il vescovo di Ippona - il sangue di Gesù Cristo èversato per i peccatori". queste parole sono così precise che non hanno bisogno di commenti, così chiare che nessuno sa­prebbe contestarne il senso. San Giovanni Crisostomo afferma le stesse cose con non minore efficacia: "L'Agnello di Dio si im­mola per noi e il suo sangue, attinto dal suo costato squarciato, si sparge in modo mistico sull'altare e si riversa nel calice per purificarci". Sembra che il padre Kesseli abbia voluto spiegare questo passo del santo Dottore affermando: "Gesù Cristo ha versato il suo sangue in una maniera visibile e dolorosa una vol­ta sola. Nella santa Messa, invece, questo spargimento si rinno­va ogni giorno in una maniera invisibile, come in una maniera invisibile sono forate le mani e i piedi del Salvatore ed è trapas­sato il suo cuore. Indubbiamente possiamo applicarci i suoi me­riti infiniti con i nostri ardenti desideri, con il pentimento, con la penitenza, con la santa Comunione, ma mai più efficacemente che per mezzo della santa Messa". Il sapiente religioso aggiun­ge: "Con le parole della Consacrazione il sacerdote attinge dal costato di Gesù il sangue divino onde versarlo per il perdono dei vostri peccati e per la vostra purificazione e salute".

    Potrei citare altri testi, ma mi contenterò di un'ultima testimonianza, quella di Pietro Noel: "Il sangue che è sgorgato dal costato del Salvatore - dice - è nel calice e c'è per essere offerto un'altra volta per la remissione dei nostri peccati, come risulta dalle parole stesse della Consacrazione

    Le parole alle quali si riferisce Pietro Noel sono le se­guenti: "questo è il Calice del mio Sangue che sarà sparso per voi e per molti per la remissione dei peccati". Il sacerdote le ripete, per ordine di Cristo, non come se volesse soltanto rac­contare ciò che Gesù ha detto sul calice, perché se fosse così, non avverrebbe la consacrazione, ma per produrre e conferma­re questo fatto per cui il vino diventa veramente il prezioso san­gue versato per la Redenzione degli uomini.

    Il sacerdote non si limita a dire: "questo è il calice del mio sangue", ma aggiunge: "... che sarà sparso per voi e per molti per la remissione dei peccati". Ora, siccome le prime pa­role sono state compiute letteralmente, altrettanto deve avveni­re per le ultime. "Per voi e per molti", cioè per voi che assistete alla santa Messa e per gli assenti che la fanno dire, per tutti quelli che se potessero l'ascolterebbero volentieri, ma che sono trat­tenuti dalle malattie o da altri affari importanti. Così, per espressa volontà del Salvatore, i meriti del prezioso Sangue saranno ap­plicati anche agli assenti, purché dalla loro dimora si uniscano al Sacrificio o almeno si facciano raccomandare. Che mistero incomparabile! quale inesprimibile amore per i peccatori! Gesù che ha sparso il suo Sangue fino all'ultima goccia, vuole versarlo nuovamente, con la stessa intenzione, ogni giorno ed ogni ora! quanti torrenti di grazie scaturiscono dalla santa Messa su co­loro che l'ascoltano devotamente, "perché - dice sant'Ambrogio

    - per gli uomini e per la remissione dei loro peccati il Salvatore sparge il suo Sangue". Per confermare una dottrina già così evi­dentemente dimostrata dalla Sacra Scrittura e dai santi Padri, riferirò qualche fatto miracoloso.

    Prodigi operati da nostro Signore per confermare le anime nella fede

    Cesario di Haiserbach racconta che verso l'anno 1420, nella diocesi di Colonia, c'era una donna che per vivere solita­ria, senza mai uscire di casa, se n'era fatta fabbricare una presso la chiesa. A quell'epoca non erano rare le persone che vivevano così.

    Questa donna si esercitava in atti eroici di penitenza ed aveva una devozione speciale alla santa Messa, che ascoltava dalla finestra della sua cella. Il nemico delle anime, non poten­do vincerla con nessun'altra tentazione, le insinuò nell'anima il dubbio che, dopo la consacrazione, nel calice non c'era il pre­zioso Sangue. questo dubbio fu così forte che la vergine non gli resistette e non contenta di questo, spandeva questo veleno nelle anime di coloro che andavano a visitarla. Ma Dio ebbe pietà della sua serva e la strappò alla rabbia del demonio con un lu­minoso miracolo.

    Un giorno, il parroco di quella chiesa, mentre celebra­va la santa Messa, urtò per disattenzione, o piuttosto per divina volontà, il calice consacrato. Spaventato per ciò che era succes­so, sentì aumentare il suo timore, allorché vide il liquido versato prendere il colore e l'apparenza del sangue. Le anime pie im­magineranno facilmente l'angoscia con la quale il povero sacer­dote continuò la Messa. quando l'ebbe terminata, lavò segreta­mente e a più riprese il corporale con del vino caldo, ma non riuscì a levare la macchia di sangue. I giorni seguenti, ripeté invano i suoi sforzi, impaurito, non tanto dalle pene ecclesiasti­che in cui credeva essere incorso, quanto dal castigo che si aspet­tava da Dio.

    Durante la settimana si adoperò con ogni mezzo per far sparire la macchia, pianse amaramente la sua colpa, suppli­cò nostro Signore di concedergli che il sangue sparisse, ma inu­tilmente. Arrivò la domenica, salì sul pulpito col corporale in mano e dopo aver raccontato la disgrazia, presentò al popolo, piangendo, il lino insanguinato. A quello spettacolo tutti rima­sero stupiti. Il sacerdote scongiurò i fedeli di unire le loro pre­ghiere alle sue, per ottenere da Dio la sparizione di quella mac­chia. Tutti pregarono e il parroco lavò, davanti a loro, il corpo­rale, ma fu tutta fatica inutile! Non riuscendo a comprendere il significato di quel fatto soprannaturale, andò a Colonia a con­sultare un teologo famoso, il dottor Rodolfo, al quale mostrò il corporale, raccontò che aveva urtato il calice e descrisse le prove infruttuose fatte per purificarlo. Alla vista del prezioso Sangue, il teologo si inginocchiò umilmente, baciò con devozione quel lino e restò qualche momento interdetto. Infine espose il suo parere: "Dio vuole certamente fortificare i deboli nella fede del SS. Sacramento. Nella vostra parrocchia, non c'è nessuno che rifiuti di credere a questo adorabile mistero?". Il parroco rispo­se: "C'è una solitaria che dubita della presenza reale del prezio­so Sangue e che insinua negli altri questo dubbio". "Non cer­chiamo altre spiegazioni, - rispose Rodolfo - Gesù ha reso visibile nel corporale le tracce del suo Sangue per illuminare questa donna. Andate dunque da lei, mostratele il corporale, racconta-tele quello che è successo, affinché non dubiti più". Il curato, lieto di questo consiglio, interrogò la donna circa la sua fede a proposito della presenza reale. Ella gli rispose francamente:

    "Credo che il Corpo del Salvatore è presente nella santa Ostia, ma non posso ammettere che il suo Sangue sia nel calice, non avendo Gesù il sangue fuori del corpo". Il curato le spiegò che il Sangue di nostro Signore è nel calice in virtù delle parole della Consacrazione, ma che questo Sangue, non potendo essere vivo, separato dal Corpo, è unito al Corpo.

    Sforzi inutili, perché l'infelice si ostinava nel suo erro­re. Allora il sacerdote si decise a mostrarie il corporale insangui­nato e le raccontò il miracolo. A quella vista, la donna si spaven­tò talmente che cadde a terra piangendo lacrime amarissime per la sua testardaggine e, domandato perdono a tutti i presenti, esclamò: "Credo fermamente che nel calice c'è il Sangue natu­rale e vero che il Salvatore ha versato per noi sulla Croce ed in questa fede voglio vivere e morire". Il sacerdote lavò subito il corporale e il sangue scomparve completamente.

    Il padre Pietro di Lavagnelas, dell'ordine di san Girolamo, fu lungamente e vivamente tormentato da un dub­bio. Si domandava se il sangue era anche nella santa Ostia. Un giorno, mentre celebrava la santa Messa, giunto alle parole che seguono la Consacrazione, "Supplices te rogamus... Vi suppli­chiamo umilmente Dio onnipotente, di far deporre questi doni, dalle mani del vostro santo Angelo, sul vostro sublime altare, in presenza della vostra divina maestà...", momento in cui, secon­do la rubrica del messale, il sacerdote si inchina profondamente, gli sembrò che una fitta nube circondasse l'altare e gli nascon­desse il calice e l'Ostia, per cui ne fu spaventatissimo, non com­prendendo né quello che significava, né come ciò sarebbe anda­to a finire. Dopo qualche momento la nube si dissipò, ma l'Ostia e il calice erano spariti. Il suo turbamento aumentò al pensiero che forse Dio non lo giudicava degno di dire la Messa e sentì nell'animo un sincero pentimento per i suoi peccati. Allora pre­gò con grande fervore nostro Signore perché lo soccorresse in quell'estremo bisogno. Dopo molte lacrime e sospiri fu esaudito e vide ritornare il calice contenente il prezioso Sangue. Ma, cir­costanza meravigliosa! L'Ostia rimase librata in alto. Allora la­crime di gioia inondarono i suoi occhi e, mentre considerava piamente la santa Eucaristia che si sosteneva da sé nello spazio, notò che ne stillavano tante gocce di sangue, quante di vino ne erano nel calice. Illuminato da questo miracolo, respinse i suoi dubbi e credette fermamente e per sempre alla presenza del pre­zioso Sangue sotto le specie del pane.

    questi due fatti ci provano che l'umanità del Salvato­re è contenuta tutta intera e nello stesso tempo sotto ciascuna specie, benché in virtù delle parole della Consacrazione, il Cor­po sia solo direttamente nell'Ostia e il Sangue sia solo diretta­mente nel calice.

    Il sangue di Gesù é sparso sull'altare a vantaggio delle nostre anime

    Riflettiamo sulla grandezza della grazia che ci è stata fatta, quando abbiamo davanti a noi, sull'altare, il Sangue di Gesù. Niente si può paragonare a questo sangue prezioso del quale una sola gocciolina, unita alla divinità, sorpassa in valore tutti i tesori della terra e del cielo. Si può dire di più. Il sangue di Gesu Cristo non è solamente presente, esso è nostra proprietà e ci appartiene come un dono appartiene a chi l'ha ricevuto. Ri­mane da spiegare in che cosa consiste questo spargimento di sangue.

    Se è certo che il sangue di Gesù Cristo è versato nel santo Sacrificio, è certo che è sparso, in maniera spirituale, so­pra tutti i presenti e sulle anime del purgatorio durante la cele­brazione della Messa. Nell'Antico Testamento abbiamo una bella immagine di questo mistero che san Paolo, nell'Epistola agli ebrei, esprime così: Mosè prese il sangue dei vitelli e dei montoni e ne asperse tutto il popolo dicendo: "questo è il sangue dell'allean­za che Dio ha fatto con noi""

    Nell'ultima Cena, nostro Signore pronunciò parole quasi identiche: "questo è il mio sangue, il sangue della nuova Alleanza". "Bisognava - aggiunge san Paolo - che quello che era figura delle cose celesti fosse purificato col sangue degli ani­mali e le stesse cose celesti fossero purificate con vittime più ec­cellenti delle prime". Il che vuol dire: la Sinagoga, che era un'im­magine della Chiesa, poteva essere purificata dal sangue dei montoni e dei tori, ma la Chiesa deve essere purificata dal san­gue dell'Agnello di Dio immacolato. Ora, niente può essere pu­rificato col sangue o con l'acqua senza che ne sia stato asperso. E poiché le nostre anime sono purificate nella santa Messa col sangue del Salvatore, ciò significa che questo sangue divino èsparso sopra di esse.

    Ascoltiamo san Giovanni Crisostomo: "Nel vedere il Signore immolato e giacente sull'altare, il sacerdote orante, chi­no sulla vittima e tutti i presenti coperti dal preziosissimo San­gue, potete credere di essere ancora quaggiù fra gli uomini?".

    Notate l'espressione del santo Dottore: il popolo è coperto dal Sangue di Gesù e per conseguenza questo sangue che sgorga dalle ferite è sparso sopra di noi. Marchant conferma questa verità: "Il Sangue prezioso è sparso nella Messa ed i fedeli ne sono aspersi in una maniera spirituale". San Giovanni si espri­me ancora più chiaramente: "Il Salvatore ci ha amato e ci ha lavato, con il suo sangue, dai nostri peccati". questa è anche la dottrina di san Paolo: "Vi siete avvicinati a Gesù, mediatore della nuova Alleanza e all'aspersione del suo sangue, più eloquente dello spargimento del sangue di Abele". Se vi domandassi:

    quando andiamo da Gesù mediatore? Voi rispondereste: nella santa Comunione. Certamente allora ci avviciniamo molto a lui, o meglio ancora, lo riceviamo nel nostro cuore. Ma nella Comunione più che una mediazione cerchiamo un nutrimento necessario alle nostre anime. Nella Messa, invece, ricorriamo proprio al mediatore, perché in essa Gesù compie il ministero del Sacerdote e con questo titolo prega ufficialmente per il po­polo. Per lo stesso fatto, accostandoci al mediatore, ci avvicinia­mo al Sangue prezioso che si sparge sull'altare spiritualmente e dall'altare sulle nostre anime. Anche nella Passione Gesù versò il suo divin sangue, ma allora quel sangue non cadde sui carne­fici, sulla roccia e sulla terra, mentre nella santa Messa è lo stes­so sangue che si sparge sulle anime dei presenti. E come il sacer­dote asperge il popolo cristiano con l'acqua benedetta, allo stes­so modo Mosè aspergeva i giudei col sangue delle vittime e il Salvatore asperge le anime col suo prezioso Sangue e questa mistica aspersione vale più dell'aspersione materiale. I soldati e i giudei che circondavano Gesù, ricevendo gli spruzzi del suo sangue sulle mani e sul viso, invece di esserne purificati e con­vertiti, ne furono più induriti nel male, ma se Gesù avesse asperso le loro anime, esse sarebbero state mutate e salvate. Avviene lo stesso nella santa Messa: se il nostro corpo fosse materialmente asperso col sangue di Gesù, ne trarremmo meno profitto dell'aspersione di questo stesso sangue ricevuto dalle nostre ani­me, perché quest'ultima aspersione le purifica, le abbellisce in una maniera incomparabile. Ascoltate che cosa dice a questo proposito santa Maria Maddalena de' Pazzi: "L?anima che rice­ve il sangue di Gesù Cristo diventa così risplendente come se fosse coperta di un abito prezioso, e tale è il suo splendore che se vi fosse dato vederla, la prendereste per lo stesso Dio, del quale èl'immagine"

    Beata la creatura che è circondata da tanta magnifi­cenza! Beato l'occhio degno di contemplarla! Andate dunque alla Messa, caro lettore, acquisterete anche voi, sotto la pioggia del sangue prezioso, una bellezza che vi renderà degno di com­parire davanti agli angeli e ai santi, per godere un'eternità di gloria.

    Altro strepitoso prodigio

    Nella storia del Papa Urbano IV si legge che nel 1263 a Bolsena, diocesi di Orvieto, c'era un sacerdote che, dopo aver pronunciato sul pane le parole della Consacrazione, fu spinto dal demonio a dubitare della transustanziazione. quel disgraziato pensava fra sé: "Non vedo niente, non sento niente, non avverto il minimo indizio di cambiamento. Non è dun­que vero che Gesù Cristo sia sotto queste apparenze, questo non è che un alimento ordinario". Non contento di nutrire tale dubbio, giunse perfino a negare assolutamente la pre­senza reale di Gesù Cristo, cadendo così in una vera eresia, eppure continuò a dire la Messa e a consacrare. Un giorno, mentre alzava l'Ostia, dopo la Consacrazione, il sangue co­minciò a gocciolare come una pioggia che cade dalle nuvole.

    A questo spettacolo, fu tale lo spavento che egli non sapeva più quello che doveva fare. Restò molto tempo senza muo­versi, tutto commosso, ma finalmente si accorse che quella pioggia misteriosa cadeva dall'Ostia. Il popolo gridava, inte­nerito, ad alta voce: "O Sangue prezioso! Che cosa significa questo miracolo? O Sangue divino! qual è la causa di questa effusione?". Altri gridavano: "Pioggia sacra, scendi sulle no­stre anime e purificaci dai nostri peccati! O Sangue prezioso, manda sopra di noi la misericordia divina!". Alcuni si batte­vano il petto, altri versavano cocenti lacrime. In mezzo ai clamori del popolo, il sacerdote ritornò in sé, abbassò la san­ta Ostia e la pose sul corporale, ma questo era talmente ba­gnato di sangue che, a stento, trovò un posto asciutto per posarvela. Davanti a una tale manifestazione ogni benda gli cadde dagli occhi dell'anima, riconobbe la sua colpa, si pentì amaramente della sua incredulità e continuò la celebrazione dei divini misteri con una tale copia di lacrime che più volte fu costretto ad interrompere l'azione. Dopo la Comunione piegò il corporale meglio che poté per tenere celato il prodi­gio, ma, finita la Messa, i fedeli si avvicinarono per assicurar­si che quanto avevano visto non era stato un gioco della loro fantasia. Allora il sacerdote mostrò il lino e a una tal vista i presenti si gettarono in ginocchio e si batterono il petto im­plorando la divina misericordia. questo straordinario avve­nimento attirò a Bolsena una moltitudine di fedeli.

    Lo stesso papa Urbano II che si trovava allora ad Orvieto, convocò il celebrante con l'ordine di portare anche il corporale. L'infelice ecclesiastico, in preda all'angoscia, si pro­strò davanti al papa domandando grazia. Il Sommo Pontefice, stupito, non sapendo cosa avesse commesso, lo interrogò ed egli raccontò allora i suoi dubbi e l'effusione del sangue prezioso e come prova ne mostrò le tracce sul corporale. Il papa cadde in ginocchio e pieno di commozione e di timore, baciò il sacro lino.

    Fece poi costruire una chiesa e ordinò che vi si conser­vasse quella miracolosa reliquia e che ogni anno, nel giorno an­niversario del prodigio, una processione percorresse le vie della città. questa fu una delle ragioni dell'istituzione della festa del SS. Sacramento. quello che successe a Bolsena qualche secolo fa, si rinnova ogni giorno in tutte le chiese dove si celebrano i divini misteri, quando il sacerdote alza l'Ostia e il calice. Il pre­zioso Sangue allora scorre, come la pioggia che cade dalle nuvo­le e sebbene non si spanda né sulla terra, né sulla testa degli uomini, scende sulle anime, sugli spiriti e sui cuori. Adorna e purifica i fedeli, li fa partecipi di tutti i suoi meriti, li solleva dalle loro debolezze, placa la violenza delle loro tentazioni e opera effetti proporzionati alle disposizioni di ciascuno, sforzandosi di rendere buoni i cattivi, di commuovere gli indifferenti, di con­vertire gli ostinati e offrendo a tutti i nemici del Salvatore la grazia e l'amicizia divina. Se il peccatore è talmente indurito da persistere nel suo smarrimento, quel Sangue grida per lui verso il Cielo e ne sospende il giusto sdegno.

    Dunque, riconoscete ancora una volta quanto è utile per tutti, senza eccezione, l'andare alla Messa. qui Gesù prepa­ra la giustificazione degli empi, trionfando poco a poco delle loro insistenze e qui riveste le anime devote di una bellezza indi­cibile. Ah! Se foste stati sul Calvario, nel momento della crocifis­sione, se aveste ricevuto il sangue abbondante che usciva dalle piaghe di Gesù, non riterreste ciò come uno speciale favore? Ebbene, non vi è dubbio che alla santa Messa, benché in un modo spirituale, siete veramente ai piedi della Croce, irrorati dallo stesso sangue. Eccitate dunque in voi i sentimenti che avreste avuto su quel santo monte e questa nuova aspersione non vi sarà meno salutare della prima. Fra le molte grazie che ricevia­mo nella Messa una delle principali è l'insistente intercessione del Sangue di Gesù Cristo che dal calice si eleva a Dio Padre in favore dei presenti. Se voi, peccatori, poteste comprendere quan­to è utile questa intercessione e quanto potentemente evita la celeste vendetta!

    Gesù intercessore e mediatore nostro nella Santa Messa

    Tutte le nostre quotidiane iniquità attirano sulle nostre anime la collera di Dio, come si rileva dalla Sacra Scrittura: "Il grido di Sodoma e di Gomorra aumenta ogni giorno di più e il peccato è giunto fino al colmo; per questo scenderò e vedrò se le opere degli uomini corrispondono a questo grido"'.

    Così il peccato grida verso Dio e provoca la sua ven­detta. "Il salario, del quale private gli operai che hanno mietuto i vostri campi, grida contro di voi - dice l'apostolo san Giacomo - e questo grido giunge fino all'orecchio del Dio degli eserci­ti"13. Dio, per bocca di Isaia chiama il peccato un grido: "Come una vigna piantata ho posto il mio popolo sopra una collina... ed ho aspettato che esercitasse la giustizia, ma ecco spargimento di sangue e grida di oppressi".

    Chi disarmerà la collera dell'Altissimo? Chi scongiure­rà la sua spaventosa vendetta? Nessuna potenza del Cielo, né sulla terra, all'infuori del Sangue prezioso. Per quanto il grido di tante prevaricazioni possa salire liberamente in alto fino alla volta del Cielo, molto più forte è il grido del Sangue di Gesù che non riempie soltanto l'aria, ma penetra i Cieli e giunge fino alle orec­chie del Padre. Sì, il clamore di tante ingiustizie può ben provo­care lo sdegno del Signore, ma la preghiera del Sangue prezioso è così commovente che scaccia dal suo cuore l'avversione e il disgusto e l'addolcisce tanto quanto la voce del peccato l'aveva inasprito.

    Ma, voi domanderete: come può il prezioso Sangue gridare verso il Cielo quando, invece, sulla terra tutto è silenzio? La risposta è in un passo della Genesi: "Dio disse a Caino: Il sangue di tuo fratello grida, dalla terra, verso di me. Il sangue di Abele, che pure era morto, gridava verso il cielo. questo grido non era materiale, ma spirituale, eppure aveva una voce così potente che la sua invocazione di vendetta contro il fratricida, saliva fino al Cielo. Anche la voce del Sangue prezioso, dunque, è tutta spirituale, eppure ha tanta forza da trionfare sulla collera di Dio costringendolo alla misericordia, come ci assicura san Paolo: "Vi siete avvicinati a Gesù Cristo mediatore e all'aspersione del suo Sangue, più eloquente di quello diAbele"'. Nella Messa andiamo a Gesù, come nostro mediatore, per esse­re aspersi dal suo Sangue e perciò quando riceviamo questa aspersione il suo Sangue grida verso Dio. Notate l'espressione di san Paolo. Il grande apostolo non dice che il sangue grida, ma paila dell'aspersione del Sangue di Gesù che non si fece sentire quando scorreva nelle sue membra, ma che nel tempo della sua dolorosa Passione invocò con voce onnipotente la divina miseri­cordia sui peccatori.

    E così, durante la santa Messa grida con una forza al­trettanto irresistibile: "Mio Dio, vedi con quanta prodigalità, con quanto amore io, Sangue del tuo unico Figlio, sono versato in mezzo a dolori e ad ignominie ineffabili. Considera la vergogna e la crudeltà con le quali sono stato mercanteggiato, maledetto, cal­pestato e come ho sopportato tutto questo con pazienza longanime, infinita, per purificare i peccatori e per assicurare loro la salute. Ma se tu, Dio severo, vuoi precipitarli all'inferno e condannaili eternamente, chi mi sarà grato di tanti obbrobri? I dannati no, certo, perché anzi essi mi maledirebbero con odio satanico, ma se mi fosse concesso salvarli mi colmerebbero di benedizioni. O Pa­dre, ascolta la mia preghiera; accorda, per amor mio, ai peccatori la grazia insigne di convertirsi e di emendarsi e ai giusti quella di crescere nella santità e di perseverare sino alla fine quando il Sangue prezioso grida con tanta forza, come è possibile che Dio resti sordo? Ah! Se la voce del sangue di

    Abele innocente si innalzò dalla terra al Cielo, per ottenere ven­detta, che cosa non otterrà il Sangue innocente del Salvatore? Infatti il sangue di Abele implora la misericordia. D'altronde, Dio è più inclinato alla pietà che alla severità, come canta la Chiesa: "O Dio, al quale propriamente appartiene di perdona­re e di risparmiare sempre, ecc.", e san Pietro dice: "Dio non vuole la morte di nessuno, ma il pentimento e la conversione di tutti". Il Sangue prezioso ha patrocinato per il mondo nella circoncisione, nel giardino degli ulivi, nella flagellazione, nella coronazione di spine e nella crocifissione del Salvatore ed ha ottenuto il nostro perdono, come ci insegna san Paolo: "Gesù Cristo ha riconciliato il mondo con Dio", ma nella santa Mes­sa questo Sangue divino non prega soltanto con una voce, ma con tante voci quante sono le gocce versate. E prega in modo penetrante e irresistibile, con tutta la forza della sua santa uma­nità e divinità, prega con tutte le ferite del Salvatore, prega con il Cuore di Gesù e con tutte le amarezze e tutte le commozioni che il Sacro Cuore racchiude, prega finalmente con la bocca di Gesù e con tutti i sospiri sfuggiti a quella bocca adorabile. Ora, è mai possibile che una preghiera che esce dal sangue, dalle feri­te, dall'anima, dal cuore e dalle labbra del Figlio di Dio, non intenerisca il Padre eterno, per quanto possa essere irritato dalla malizia dei nostri peccati? Anche quando Dio fosse risoluto nel ricusarci ogni misericordia, anche quando pensasse solo a pu­nirci, secondo il rigore della sua giustizia, il Sangue del Salvato­re avrebbe la virtù di commuovere tutto ciò che è in Cielo e sulla terra e la giustizia divina non potrebbe rigettare le sue suppli­che. Eccone una prova.

    Il sangue di Gesù placa la divina giustizia

    Nel 1330, a Walthurn, città situata nell'antico arcive­scovado di Mayence, il parroco, mentre diceva la Messa, rove­sciò per inavvertenza il calice consacrato. Il sangue prezioso si sparse sul corporale, sul quale apparve subito l'immagine di Cristo sospeso in Croce con intorno, tracciata undici volte con un'arte e una verità che nessun pittore avrebbe potuto raggiun­gere, la testa del Salvatore coronata di spine e tutta sanguinan­te,. Il parroco fu profondamente commosso alla vista di un tale prodigio e dopo che il popolo uscì di chiesa, nascose il corporale sotto l'altare. Ma da quel momento non ebbe più la coscienza tranquilla e quello stato di angoscia gli causò anche una malat­tia incurabile. Torturato nel corpo e nell'anima, quel poveretto credeva prossima la sua morte, ma contro ogni previsione le sue inspiegabili sofferenze si prolungavano senza che potesse né gua­rire, né morire, finché non gli venne in mente che quella doveva essere una punizione per la sua colpa. Sotto tale impressione fece chiamare un parroco dei dintorni, gli confidò il suo segreto e morì. Dopo la sua morte, il confratello cercò il corporale e trovatolo, lo baciò rispettosamente e lo mostrò al popolo nar­rando l'accaduto, che ben presto si divulgò dappertutto.

    I superiori ecclesiastici mandarono il sacerdote a Roma dal Papa Urbano II il quale informatosi dell'accaduto, accor­dò un'indulgenza a tutti quelli che avessero visitato la chiesa dove era avvenuto il miracolo. Ma, perché il Sangue sparso sul corporale vi disegnò un crocifisso circondato da undici teste? Fra le diverse ragioni, secondo me, si potrebbe ammet­tere anche questa: poiché il sangue sparso grida misericordia verso Dio, Egli volle che apparissero sul corporale undici te­ste e undici macchie, perché, probabilmente, le gocce di san­gue che vi erano cadute erano undici. questo fatto è autenti­co e dopo molti secoli le teste erano sempre visibili, e un gran numero di pellegrini andavano ancora a Walthurn per vene­rarle.

    Oltre la preghiera onnipotente, che penetra il cuore di Dio, il Sangue di Cristo ci procura un altro beneficio. Nell'anti­ca legge, si offriva al Signore un sacrificio quotidiano e Dio ave­va assicurato che l'odore delle carni della vittima consumata sull'altare sarebbe salita verso di Lui come un soave profumo. Che cosa produrrà, dunque, il Sangue di Gesù Cristo versato in olocausto sul Calvario e offerto all'Altissimo nella santa Messa?

    Nell'offerta del calice il sacerdote dice: "Ti offriamo, Signore, il calice della salute, domandando alla tua misericordia che si innalzi con soave odore in presenza della tua maestà, per la nostra salute e per quella del mondo intero". "Gesù Cristo ci ha amati - dice san Paolo - ed ha offerto se stesso al Signore, come una vittima di soave odore". In altri termini: quando l'olocausto del Salvatore fu consumato sulla Croce, ne usci un profumo la cui soavità dissipò le corrotte esalazioni che spande-vano i sacrifici idolatri e i peccati degli uomini, perché Dio fu più commosso della morte di Gesù e dello spargimento del suo Sangue di quanto fosse irritato per tutte le iniquità del mondo. E anche oggi quando l'Ostia purissima si immola sull'altare e si sparge il sangue divino, sale verso il Signore un odore soave a calmare la collera suscitata dai nostri delitti.

    quando il patriarca Isacco, ormai vecchio e cieco, ab­bracciò suo figlio Giacobbe rivestito degli abiti di Esaù e sentì, dice il Testo Sacro, l'odore dei suoi abiti, lo benedisse dicendo­gli: "Il profumo di mio figlio è simile a quello d'un campo pieno di fieno che il Signore ha benedetto" e gli augurò la prosperità in tutti i suoi beni temporali. Ma il profumo del Sangue prezio­so è mille volte più potente e perciò Dio colma, chi glielo offre, delle sue migliori benedizioni. Anche i santi se ne rallegrano, perché questo soave odore, sollevandosi dall'altare, si spande nell'immensità del paradiso e ne rapisce i fedeli abitatori. Ado­rate, dunque, il Sangue di Gesù, o anime cristiane! Invocatelo con tutto il vostro cuore e fatene con amore l'oblazione.


  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 1.222
    Sesso: Femminile
    00 07/09/2009 16:55
    CAPITOLO UNDICESIMO

    LA SANTA MESSA È L'OLOCAUSTO PER ECCELLENZA


    Nella legge antica vi erano quattro specie di sacrifici:

    l'olocausto o sacrificio di lode, per riconoscere la sovrana maestà di Dio e ringraziarlo dei suoi benefici; il sacnflcio di impetrazione, per implorare il suo soccorso; il sacrificio di espiazione, per la re­missione dei peccati ed il sacnftcio di propiziazione, per la remis­sione della pena. Ognuno di questi sacrifici aveva il suo rito particolare. Prima della venuta di Gesù Cristo gli olocausti che si offrivano sull'altare del Signore, tutti, per testimonianza del­lo Spirito Santo, a Lui graditi, erano innumerevoli, poiché i giudei per ordine di Mosè dovevano offrire ogni giorno due agnelli di un anno: uno la mattina e uno la sera, mentre il sabato il numero era doppio. Ad ogni luna nuova immolavano sette agnelli, due vitelli e un montone. La stessa regola valeva per i sette giorni che seguivano la Pasqua e per tutta l'ottava della Pentecoste. Nella festa dei Tabernacoli erano obbligati, per otto giorni consecutivi, ad offrire quattordici agnelli, tredi­ci vitelli, due castrati e un montone.

    Indipendentemente da queste offerte ufficiali ognuno presentava secondo la sua pietà: buoi, vitelli, pecore, agnelli, montoni, colombe, pane, vino, incenso, sale, focacce, olio e, per ogni dono, era differente il cerimoniale.

    Cito questi particolari per farvi notare quanto i sacrifi­ci imposti in quel tempo ai patriarchi e ai sacerdoti giudaici fos­sero dispendiosi, gravi e circondati di minuziose prescrizioni, nonostante che rendessero meno onore a Dio e meritassero una minore ricompensa. E nondimeno piacquero al Signore, perché annunciavano simbolicamente il Sacrificio cruento di Gesù Cri­sto. Invece il nostro nuovo olocausto è unico, poco costoso e facile a compiersi, eppure infinitamente più gradito alla divina Maestà, sorgente di gioia per il cielo, di salute per il mondo e di consolazione per il purgatorio.

    Supponiamo che un uomo abbia immolato di sua pro­pria mano tutte le vittime sacrificate dal principio del mondo fino a nostro Signore, e che le abbia bruciate e offerte a Dio. Certamente avrebbe reso all'Altissimo un grande omaggio ed un immensa soddisfazione. Eppure nulla sarebbe tutto questo, paragonato all'onore che rende alla Maestà divina un povero sacerdote che dice la Messa o un povero laico che la fa celebrare o che vi assiste. Per convincercene consideriamo in che cosa con­siste il nostro olocausto.

    Il Sacrificio è l'offerta di una cosa visibile, fatta a Dio da un ministro debitamente consacrato, per riconoscere la so­vranità del Signore sopra tutte le creature. "Con ciò - dice san Tommaso - confessiamo che Dio è l'autore di tutte le creature, l'oggetto supremo della beatitudine, il padrone assoluto di tutte le cose e noi gli offriamo, come prova della nostra sottomissione un Sacrificio visibile proporzionato alla sua alta Maestà"'. Ecco in poche parole il concetto dell'olocausto, concetto che potrà sembrare oscuro a chi manca di studi speciali su queste materie, ma che si chiarirà di mano in mano che procederemo nella spie­gazione.

    Dio ha riservato l'olocausto a sé solo, come ci ha fatto sapere per bocca di Isaia: "Io sono il Signore, tale è il mio nome e non cederò la mia gloria a nessuno"2. E perciò questo Sacrificio non può essere offerto ad un Angelo, né ad un santo e neppure alla stessa Madre di Dio, senza commettere un abo­minevole atto di idolatria. Possiamo lodare i santi, onorarli, inginocchiarci davanti a loro, bruciare l'incenso, accendere ceri e lampade in loro onore, insomma rendere loro un culto inte­riore ed esteriore, ma non possiamo fare di più, come chiaramente ci insegna il Concilio di Trento: "Benché la Chiesa usi dire la Messa in onore ed in memoria dei santi, non insegna però che il Sacrificio sia offerto a loro, ma soltanto a Dio che li ha coronati"3. Infatti il sacerdote non dice : "O san Pietro, o san Paolo, vi offro la santa Messa", ma con le parole della Chiesa rende grazie a Dio per le vittorie dei santi e implora il loro soccorso "affinché si degnino intercedere per noi nel Cie­lo, mentre celebriamo la loro memoria sulla terra". Potremo dunque dire che la Chiesa ordina di offrire la Messa ai santi? Intanto occorre spiegare la natura dell'olocausto dimostran­done l'eccellenza. Il cerimoniale giudaico esigeva che nell'olo­causto tutta la carne della vittima fosse consumata dal fuoco, mentre negli altri sacrifici ne era bruciata una parte soltanto ed il resto serviva ai sacerdoti ed agli offerenti, per confermare che tutto appartiene a Dio e tutto deve essere consacrato al suo culto. Di modo che, a rigor di giustizia, Dio potrebbe an­che esigere dall'uomo il sacrificio della sua vita, come fece, infatti, con Abramo, ordinandogli di immolargli il figlio Isacco, benché poi si contentasse solo della pronta obbedienza del patriarca. Nell'antica legge aveva prescritto di offrirgli tutti i primogeniti: "Saranno miei", pur permettendo alle madri di riscattarli nel giorno della loro presentazione al tempio.

    Benché nato da una creatura mortale, il Figlio unico di Dio non avrebbe dovuto essere portato al tempio, come gli altri, ma così volle che fosse fatto e Maria lo riscattò; tuttavia il Signo­re non fu contento di questo compenso: lo sentì la povera Ma­dre quando, angosciata dal dolore, vide il suo Gesù immolato sulla Croce per liberarci, con la sua preziosa morte, dalla neces­sità di morire: Gesù Cristo è morto per tutti - dice san Paolo - affinché coloro che vivono non vivano per loro". Ora, essendo la vita del Salvatore più nobile di quella di tutti gli uomini, an­che la sua morte fu più preziosa della morte di tutti gli uomini. Per conseguenza, nella Messa in cui si rinnova questa immola­zione, il Padre riceve più onore che se gli fosse sacrificato tutto il genere umano.

    Ascoltiamo un ascetico autore: "Il Sacrificio - dice Gervasio - è la più eccellente di tutte le opere di pietà". Ed infatti, nell'atto stesso del Sacrificio, più ancora che nelle parole che l'accompagnano, riconosciamo che Dio potrebbe esigere da ciascuno di noi il sacrificio della propria vita. Nell'Antico Testa­mento l'olocausto aveva precisamente questo significato. Il sacrificatore, nell'atto stesso di compierlo, sembrava dire:

    "Eccomi davanti a te, Signore, come una vittima; lo so, saresti in diritto di esigere la mia vita, ma nella tua misericordia ti conten­ti di quella dei miei animali, perché in grazia della loro morte mi presento davanti al tuo volto e attraverso l'offerta della loro vita ti offro la mia". "Nella santa Messa - scrive Sanchez - ren­diamo a Dio un tale omaggio che il mondo intero non gliene potrebbe rendere uno più grande. Perché offrendogli ciò che è incomparabilmente superiore al sangue degli animali, cioè l'augustissima Vita e il Sangue preziosissimo del Figlio suo, con­fermiamo l'infinita grandezza della sua Maestà e attestiamo che Egli è degno dei più grandi sacrifici".

    La S. Messa, doveroso e sublime olocausto

    "La Messa - dice Marchant - è un'ambasciata quoti­diana, inviata a Dio, per mettere ai suoi piedi un dono inestima­bile e riconoscerne la sovranità. La vita e la morte del Salvatore sono offerte, ogni giorno, all'Autore della vita e della morte. E questo tributo quotidiano che gli paga la Chiesa militante, con la cooperazione della Chiesa trionfante, è l'omaggio per il quale la sua sovrana potenza, la sua sapienza e la sua bontà sono ono­rate da tutte le creature"7. Che cosa può essere più gradito al suo cuore il vedere come il Cielo e la terra riconoscono il suo potere e la sua infinita grandezza?

    È tanto necessario considerare la santa Messa come un vero olocausto che il popolo non ne sarà mai istruito abbastanza e perciò sarà bene aggiungere qualche altra spiegazione.

    All'altare il Cielo e la terra si prestano mutuo soccorso per meglio esprimere a Dio i ringraziamenti e gli omaggi che gli sono dovuti. Infatti, mentre il sacerdote celebra, i santi angeli vanno a portare ed offrire il Sacrificio, come dimostra il fatto seguente, del quale si garantisce l'autenticità.

    Un giorno un sacerdote, nel momento della Consacra­zione, vide intorno all'altare una moltitudine di spiriti celesti che, prostrati, adoravano col più profondo rispetto. quando si inchi­nò, secondo la rubrica del messale, dicendo: "Dio onnipotente, ti preghiamo umilmente di comandare che questi doni vengano portati dalle mani del tuo santo Angelo al tuo sublime altare, alla presenza della tua divina Maestà", vide uno di quegli spiriti, piu bello degli altri, prendere l'Ostia consacrata e portarla davanti alla divina Maestà. I cori degli angeli si rallegravano con lui e tutta la corte celeste provava grande gioia per quell'offerta, come se l'avesse presentata essa stessa. Il sacerdote, con lo sguardo in alto come in estasi, contemplava stupito quel sublime spettacolo e dopo qualche istante, abbassando gli occhi sul corporale, vide l'Ostia di nuovo al suo posto e si meravigliò di un così rapido ritorno. Pieno di gioia terminò la Messa con sensibile consolazio­ne e grande fervore e più tardi raccontò il fatto a qualche amico, invitandolo a lodarne Dio. Possa questo fatto, che così bene espri­me la cooperazione degli angeli e dei santi nella Messa, aumenta­re il nostro fervore e renderci più ardenti nell'ascoltarla.

    È però da notare che il principale onore che questo olocausto procura all'Altissimo non proviene né dagli angeli né dagli uomini, ma dallo stesso Cristo, il quale è il solo che cono­sca l'infinita grandezza della Maestà del suo divin Padre, che sappia in quale modo si possa rendergli onore infinito e, quindi, l'unico capace di offrirglielo.

    E nonostante che gli angeli e gli uomini possano con­tribuire molto alla gloria di Dio, non si può stabilire, a questo proposito, un paragone fra Gesù Cristo e loro.

    Se gli infedeli invadessero il nostro paese intimandoci di rinnegare il cristianesimo per farci abbracciare la religione di Maometto, sotto la minaccia di essere bruciati vivi, noi ci lasce­remmo certamente torturare e mettere a morte, piuttosto che cedere alle loro insane pretese. Un'azione così eroica onorereb­be immensamente, non c'è dubbio, il Signore, ma questo onore sarebbe niente in confronto a quello che, durante la Messa, vie­ne reso alla divina Maestà. qui si abbassa lo stesso Figlio di Dio! qui il Figlio di Dio si rende spregevole come un verme della terra ed in questa estrema umiliazione rende omaggio al Padre suo! Oseremo noi paragonare un tale Sacrificio al sacrificio del­la nostra vita?

    I sacrifici giudaici erano costosi e difficili a compiersi, ma il nostro ha un valore incommensurabile e non ci costa nul­la; ci è dato da Gesù gratuitamente, perché l'offriamo alla SS. Trinità. Purtroppo, molti non vogliono né accettarlo, né presen­tailo al Signore. Compiangiamoli, poiché si addossano una gra­ve responsabilità e quanto a noi, sforziamoci di essere solleciti ad interrompere le nostre faccende per partecipare ogni giorno al santo Sacrificio.

    CAPITOLO DODICESIMO

    LA SANTA MESSA È IL PIÙ SUBLIME SACRIFICIO DI LODE


    Né gli angeli né gli uomini possono esprimere ciò che è Dio. La sua santità e la sua ricchezza sono infinite come la sua essenza. Egli è la giustizia più rigorosa, la misericordia più dol­ce, la tenerezza più amabile, la bellezza più meravigliosa. Ben­ché gli angeli e i santi lo amino con tutto il cuore, tremano da­vanti alla sua tremenda Maestà e lo adorano col volto inchinato nel più profondo rispetto, mentre lodano e benedicono, con tut­te le loro forze, le sue perfezioni, senza mai stancarsi o fermarsi. Dio vuole ricevere da loro questa lode, perché gli è dovuta. Pri­ma della creazione si lodava in eterno nella società delle tre divi­ne Persone. Il Padre lodava l'intima sapienza del Figlio, il Figlio lodava a sua volta la potenza e la sapienza del Padre e dello Spirito Santo. "Se tu vuoi lodarmi - diceva il Salvatore a santa Matilde - unisciti al Padre che mi glorifica, unisciti a me che, nella luce senza tramonto, onoro il Padre e lo Spirito Santo per tutti i secoli, unisciti finalmente allo Spirito Santo che incessan­temente riconosce nel Padre e nel Figlio il principio della sua inalterabile bontà".

    Tutte le creature devono glorificare Iddio

    Dio ha creato il cielo e la terra, gli angeli e gli uomini, gli esseri ragionevoli e gli irragionevoli perché lo lodino in eter­no, come chiaramente attestano le parole del Libro dei Proverbi: "Il Signore ha fatto tutte le cose per se stesso.

    Gli angeli lo lodano dalla loro creazione, continuano a lodarlo oggi e lo loderanno per l'eternità. Il sole, la luna, le stelle uniscono i loro omaggi a quelli di queste celesti intelligenze, come assicura lo Spirito Santo per bocca di Giobbe: "Dove eri tu quan­do gettavo i fondamenti della terra, quando gli astri del mattino mi lodavano tutti insieme e i figli di Dio trasalivano di allegrezza?".

    Questi figli di Dio sono gli angeli, che l'Onnipotente aveva chiamato alla vita, prima di trarre la terra dal nulla. Tutte le altre creature: gli animali domestici e le bestie selvagge, il gran­de albero e il cespuglio, la pietra e il fuoco, uniscono le loro voci a questo universale concerto e ognuno contribuisce, secondo la sua specie ed i suoi mezzi, a glorificare il Creatore.

    Nostro Signore un giorno disse a santa Matilde: "quando il sacerdote arriva a quelle parole della Messa: "Per il quale gli angeli lodano la tua Maestà..." e unisce così la sua lode a quella che la SS. Trinità rende a se stessa ed a quella che le rendono gli angeli ed i santi, tu recita un Pater con questa intenzione ed offrilo in unione con le lodi che ricevo dal Cielo, dalla terra e da tutte le creature

    È generalmente riconosciuto che tutti gli esseri hanno il dovere di lodare Iddio, ma l'uomo vi è obbligato in un modo speciale, perché egli è stato creato, per questo fine, con un' ani­ma ragionevole. David l'ha perfettamente compreso e nei canti entusiastici, nei quali esorta il suo popolo, se stesso e la natura intera ad esaltare l'Onnipotente, ci ha lasciato la più bella espres­sione della lode. In essi egli scongiura il Cielo e la terra, le crea­ture intelligenti e quelle che ubbidiscono al solo istinto di bene­dire con lui il suo e loro Signore e affinché non mancassero an­che alle future generazioni opportuni incitamenti, ha lasciato ai sacerdoti ed ai leviti i suoi ammirabili salmi, raccomandando loro di cantare ogni giorno la gloria del Dio d'Israele. E così i tre giovinetti della fornace, in mezzo alle fiamme, si conformarono a questi consigli invitando le creature a benedire Dio: "Benedite il Signore, opere tutte del Signore, lodatelo ed esaltatelo eterna­mente. Angeli del Signore, benedite il Signore; cieli, benedite il Signore, ecc.". Se i santi dell'Antico Testamento e gli ebrei hanno lodato con tanto zelo il sovrano padrone dell'universo, a mag­gior ragione siamo obbligati noi cristiani, figli di Dio, a lodare il Signore e perciò non dimentichiamo che, secondo l'espressione di san Paolo, "ci ha predestinati a diventare suoi figli a lode e gloria della sua grazia.

    Non possiamo sottrarci a questo dovere senza grave colpa

    In altri termini: Dio ci ha adottati perché lodassimo ed esaltassimo la sua grazia, obbligo rigoroso al quale non possia­mo sottrarci senza peccare gravemente. Da questo sentimento erano molto ben penetrati quei pii imperatori, quei santi re, quei zelanti principi che innalzarono templi magnifici e fondarono maestosi conventi, dove il Signore doveva essere onrato giorno e notte col canto delle Ore canoniche, seguendo in ciò lo spirito e l'insegnamento della Chiesa cattolica che impone al suo clero, dal suddiaconato alla morte, la recita quotidiana del breviario. questa legge si estende anche a quasi tutti gli Ordini religiosi compresi quelli delle donne votate alla vita contemplativa e tutti vi si conformano con gioia, con scrupolosa assiduità ed esem­plare devozione. "Portate in alto la gloria del Signore, - ha detto Gesù, figlio di Sirach - perché egli sarà sempre al disopra di tutto e la sua magnificenza non può essere ammirata abbastan­za. Voi che benedite il Signore, innalzate la sua grandezza quanto potete, perché Egli è maggiore di ogni lode". E David aveva esclamato: "Lodate il Signore nel suo santuario, lodatelo nell'incrollabile trono della sua potenza, lodatelo negli effetti del suo potere, lodatelo in tutta l'estensione della sua grandezza". Ma qual consiglio ci date, o profeta, per poter adempiere conve­nientemente questo dovere, se l'Essere di Dio, incomprensibile ed infinito, è al disopra di ogni intelligenza angelica e umana?

    Sacrificio di luce

    Gesù Cristo ha provveduto istituendo la santa Messa, il Sacrifcio di luce che la Chiesa offre all'Altissimo ogni giorno e a tutte le ore. Che inno quel Gloria, elevato da un'intera assem­blea al trono del Signore! Che magnifici accordi in quel Prefazio e in quel Sanctus! "Santo, Santo, Santo è il Signore Dio degli eserciti, i Cieli e la terra sono ripieni della vostra Maestà, Osanna! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. Osanna nel più alto dei Cieli".

    Questo triplice Sanctus che cantano i Serafini, questo Osanna che lo Spirito Santo ispirò ai fanciulli di Gerusalemme, questi cantici sublimi che fanno risuonare concordi il Cielo e la terra, sono ripetuti da milioni di voci in migliaia di chiese dalle labbra dei rappresentanti di Cristo! E poiché siamo stati creati per glorificare Dio, non in una maniera volgare ma in un modo infinito perché la sua Maestà è senza limiti, non potremmo cer­tamente trovare cantico adeguato, né creatura capace di com­porlo così perfetto da comprendere tutte le perfezioni divine esal­tandole secondo la loro eccellenza. Per questo noi dobbiamo essere infinitamente grati al Signore per averci fornito, nella santa Messa, un'azione di grazie che, supplendo alla nostra impoten­za, rende a Dio una lode degna di Lui.

    "Dio - dice san Lorenzo Giustiniani - non potrebbe essere lodato meglio che col santo Sacrificio dell'altare, a questo fine istituito dal Salvatore. Volete dunque degnamente onorar­lo? Offritegli questo Sacrificio". Il p. Molina spiega magnifica­mente questa dottrina: "Nella Messa il Figlio unico di Dio si offre al Padre, gli rende la stessa gloria che gli rendeva sulla ter­ra e per Lui il Signore riceve una lode infinita. Sì, Gesù Cristo sull'altare celebra la Divinità quanto merita di essere celebrata, cioè in modo tale che né gli angeli, né i santi e ancora meno gli uomini saprebbero fare. E perciò Dio trae da ciascuna Messa maggiore onore di quello che tutti gli angeli e tutti i santi po­trebbero procurargli".

    Sant'Ireneo racconta che una vergine, animata da un ardente desiderio di lodare Dio, diceva incessantemente sospi­rando: “Anche se avessi mille lingue non potrei lodare abbastan­za il Signore. Anche se avessi tutti gli uomini sotto la mia poten­za non potrei eccitare abbastanza il loro zelo. Ah! Perché non posso dare uno spirito e un cuore a tutte le creature? Perché non posso creare un nuovo Cielo e popolarlo di Serafini? O mio Dio! quanto sarei felice se io sola avessi nel corpo e nell'anima tanta forza da lodarti, esaltarti e adorarti degnamente”. Così la sua bell'anima era divorata dal desiderio e il suo cuore traboccava d'amore. Un giorno, in cui era più che mai infiammata dai suoi santi desideri, sentì una voce celeste dirle: "Sappi, mia cara fi­glia, che una sola Messa mi loda infinitamente di più di quanto tu vorresti.". Comprendete, anime pie, quale Sacrificio è la santa Messa.

    Supponete che si disponga una processione in onore della SS. Trinità e proceda alla testa la beata Vergine Maria, seguita dai nove cori degli angeli e dall'innumerevole turba dei santi che cantino con voce soave, accompagnati da armoniosi strumenti. Dio ne sarebbe infinitamente intenerito. Ebbene, se la Chiesa militante mandasse, al termine di questa processione, un solo sacerdote che offrisse il santo Sacrificio, la SS. Trinità ne ritrarrebbe una gloria mille volte maggiore, poiché quel povero sacerdote renderebbe all'Altissimo un omaggio infinitamente superiore.

    Dall'una all'altra c'è tanta distanza quanta dal Figlio di Dio alla creatura.

    Ringraziamo dunque ancora Gesù Cristo che ci ha dato un mezzo così facile per onorare la grandezza e la potenza divina. Tratteniamoci ancora su questa verità. Ecco come san Paolo ci richiama all'obbligo che abbiamo di lodare il nostro Creatore: "Dio ci ha predestinati per farci suoi figli adottivi, per mezzo di Gesù Cristo, affinché si celebri la gloria della sua gra­zia, che ci donò nel suo diletto Figlio". Ma questa lode non deve assolutamente rimanere sterile, bisogna che si manifesti con pubbliche testimonianze di riconoscenza, e dovendo pagare l'im­menso debito che abbiamo contratto verso la divina misericor­dia, non abbiamo altro mezzo che il Sacrificio della Messa.

    Infatti, per lodare un essere qualunque, è necessario, principalmente, conoscere quello che nella sua persona è degno di lode. È’ facile lodare chi si conosce bene. Ciò è particolarmen­te vero quando si tratta della lode a Dio. Gli angeli e i santi conoscono in una maniera inesprimibile, ma sempre incomple­ta, le divine perfezioni, benché contemplino Dio faccia a faccia. Anche se lo lodassero senza fine, le loro lodi resterebbero infini­tamente al di sotto di ciò che gli è dovuto. Solo il Verbo fatto carne conosce l'eccellenza della Divinità e perciò Egli solo può onorare degnamente il Padre suo.

    La S. Messa tributa all'eterno Padre omaggi di lode, di gloria e d'amore

    Questo onore, però, in nessun'altra cosa gli viene reso così perfetto come nella santa Messa. Osserviamo ancora che la lode di Gesù è offerta in nome di quanti vi assistono e dei quali Egli ripara sovrabbondantemente le omissioni, mentre essi, dal canto loro, sono invitati ad offrirla come un bene proprio. Per questo, chi, fedele a questa consolante dottrina, dicesse in cuor suo: "Mio Dio, ti offro la lode che il tuo Figliolo ti rende sull'altare", renderebbe all'Onnipotente un omaggio più alto di quel­lo degli angeli e dei santi.

    Che tale sia l'insegnamento proprio della Chiesa, lo prova p. Giovanni degli angeli, che scrive: "quando penso ai sublimi misteri della Messa, mi sembra che la gloria resa a Dio, per l'oblazione del suo Figliolo, sia così alta che né gli angeli, né i santi possono procurargliene una simile. Considerate che il sacerdote e quelli che ascoltano la Messa, presentando all'eterno Padre il Verbo fatto uomo e la lode di questa santa vittima, gli offrono un Dio, offerta che incontestabilmente ha un valore infinito". Leggiamo nelle Rivelazioni di santa Brigida che durante la Messa anche i Cieli lodano Dio. "Un giorno - dice questa santa - in cui assiste­vo al santo Sacrificio, dopo la consacrazione mi sembrò che il sole e la luna, tutte le stelle, tutti i pianeti, tutti i cieli nelle loro evolu­zioni, cantassero con la voce più dolce e più risonante. A loro si univa una moltitudine innumerevole di musici celesti, dagli accenti così melodiosi che non mi è possibile darne la minima idea. I cori degli angeli discendevano, contemplavano il sacerdote e si pro­stravano davanti a lui con rispetto, mentre i demoni fuggivano tremando di terrore. Erano presenti molte schiere di sante anime che lodavano Dio insieme a quei puri spiriti e rendevano all'Agnello divino l'onore che gli è dovuto".

    Gli angeli e i santi assistevano, dunque, alla Messa e univano le loro voci a quelle della natura intera; ma anche voi, anime pie, siete in mezzo ad essi e li aiutate ad esaltare il Signo­re. Non è questo omaggio, però, che dà alla Messa la sua infinita potenza: "questo Sacrificio è così maestoso, così gradito a Dio - dice san Lorenzo Giustiniani - che tutte le glorificazioni del Cielo e della terra non possono essergli paragonate. E poiché Gesù è la vittima e il sacerdote, ne consegue che la lode e la gloria che provengono da una tale sorgente sorpassano quelle di tutte le creature"'.

    Il padre Malobizk aggiunge: "Ogni volta che si celebra la Messa i sentimenti del santo amore, simili alle onde, si muo­vono nell'oceano della Divinità e vanno dal Figlio al Padre e dal Padre al Figlio"'.

    La santa Messa, dunque, serve come di contrappeso a tutti gli scandali che salgono ogni giorno verso Dio e senza di essa il mondo non sussisterebbe più. Isaia, infatti, ci insegna quanto i nostri delitti irritano il Signore: "Che farò più a lungo qui, dove il mio nome è incessantemente offeso?". Pare quasi che voglia dire: "Mi ritirerò da questo mondo nemico e lo abbandonerò, lo di­struggerò e lo precipiterò, con i suoi vizi, nell'inferno".

    Ohimè! Dio avrebbe troppi motivi per attuare le sue minacce, perché un solo peccato mortale, una sola bestemmia, sarebbe già più che sufficiente per meritarsi tale castigo. Perché dunque questa pazienza? Che cos'è che trattiene il Signore? Non esito a rispondere che ci salva unicamente il santo Sacrificio, perché se la divina Maestà viene insultata incessantemente da­gli empi, però, è continuamente onorata dal Salvatore in una maniera degna di Lei. L'omaggio di Cristo e dei suoi sacerdoti supera tutte le sozzure e copre tutti i delitti.

    Sii, dunque, benedetto eternamente, o buon Gesù, per questo immenso beneficio! Ma come provarti la nostra gratitu­dine se non assistendo con assiduità alla tua mistica immolazio­ne e rendendo a te stesso il dono perfetto che da te abbiamo ricevuto? Oh! Se potessi persuadervene, o cristiani! Ma tu, Gesù, vieni in nostro aiuto, ispira a tutti i cuori una devozione sincera, affinché si accresca sempre più il nostro zelo e ogni giorno pos­siamo offrire questo divin Sacrificio o assistervi con fervente pietà.

    CAPITOLO TREDICESIMO

    LA SANTA MESSA È IL PIÙ GRAN SACRIFICIO DI AZIONI DI GRAZIE


    I benefici che riceviamo dalla mano di Dio sono così numerosi, così grandi che non potremmo né contarli, né apprez­zarli. Dio, non solo ci ha creati provvisti di sensi e di membra, dotati di un'anima fatta a sua immagine, ma ha poi santificato quest'anima col Battesimo, se l'è scelta per sposa, l'ha affidata alla custodia di uno dei suoi angeli e continua a prendersi cura di noi, come un padre dei suoi figli. Nella Penitenza ci perdona i peccati, nell'Eucaristia ci nutre della sua carne e del suo sangue, sopporta con pazienza le nostre aberrazioni aspettando sempre la nostra conversione. Ci manda ispirazioni salutari, ci previene con la sua grazia, ci istruisce col ministero dei predicatori, ci preserva da mille mali, esaudisce le nostre umili preghiere, ci consola nelle pene, ci fortifica contro la tentazione, accetta le nostre buone ope­re e ci colma di una quantità di altri benefici.

    Come se queste grazie non bastassero, ne aggiunge una che le supera tutte, adottandoci per figli. San Giovanni celebra così questo insigne favore: "L'amore che ci ha dimostrato Dio Padre è così grande che ci ha chiamati e siamo veramente suoi figli"1. San Paolo aggiunge: "Poiché siamo figli di Dio siamo anche noi eredi".

    Vedere creature miserabili come noi diventare figli ed eredi legittimi del Signore onnipotente, non vi sembra incredibile?

    Ma l'elenco dei benefici divini non termina qui: ce ne sono altri ancora più preziosi. Eravamo caduti in potere del de­monio e Dio ci ha liberati per mezzo del Figlio suo: "Dio ha tanto amato il mondo - dice Gesù Cristo - che gli ha dato il suo unico Figlio". E lo ha dato non soltanto rivestendolo della na­tura umana, ma abbandonandolo per noi alla morte più dolo­rosa. E per di più, Dio non ha messo questo inestimabile bene­ficio solamente a disposizione dei suoi amici, ma anche dei suoi nemici. Tale è la teologia di san Paolo: "Ciò che fa maggior­mente risplendere l'amore di Dio per noi - esclama il grande apostolo - è che allora che eravamo peccatori, Gesù Cristo è morto per noi". Se Dio, oltre a questo, non ci avesse concesso altro dono, non potremmo ringraziarlo abbastanza e ricompen­sarlo equamente. Ma per noi Egli si è assoggettato ad una vita di miserie, terminata con la più crudele e ignominiosa morte. Che debito infinito!

    Osorio dice: "Se foste beneficato grandemente da qual­cuno, dovreste, per evitare di esser tacciato di ingratitudine, ren­dergli l'equivalente". Ora essendo stati colmati da Dio con in­numerevoli benefici, non possiamo fare a meno di domandarci con David: "Che cosa renderò io al Signore per tutto ciò che mi ha dato?", e col profeta Michea: "Che cosa posso offrire all'Al­tissimo che sia degno di lui?", o ancora col giovane Tobia: "Che gli daremo che eguagli i suoi servizi?".

    Ascoltate la risposta di David: "Immolate al vostro Dio un sacrificio di lode e presentate i vostri voti all'Altissimo".

    Qual è questo sacrificio di lode se non la santa Messa? E come ringrazierete il vostro benefattore, se non assistendo devotamente al santo Sacrificio? "Il divin Sacrificio - dice sant'Ireneo - è stato istituito per fornirci il mezzo di attestare la nostra riconoscenza a Dio". Il santo Dottore vuole dire che, non avendo noi una cosa conveniente da offrire al Cielo, Gesù Cristo nella sua mistica immolazione ci ha lasciato un tesoro proporzionato al nostro debito.

    La Santa Messa, sacrificio di ringraziamento

    Le parole del messale sono un'altra prova che la Messa è un Sacrificio di ringraziamento. Infatti al Gloria il sacerdote dice: "Noi vi lodiamo, vi benediciamo, vi adoriamo, vi glorifichiamo, vi rendiamo grazie a causa della vostra gloria infinita, Signore Dio, Re del Cielo, Dio Padre onnipotente". Al Prefazio canta: "Ringra­ziamo il Signore Dio nostro... E’ veramente cosa degna, giusta e salutare, Signore santo, Padre onnipotente, Dio eterno, ringraziar­vi sempre ed in tutti i luoghi per Gesù Cristo nostro Signore, ecc.". La lode che esprimono queste parole è così perfetta che sulle nostre labbra non potrebbe risuonarne una più magnifica.

    Notate, infine, le parole che precedono immediatamente la formula della Consacrazione: "Egli prese il pane, fra le sue sante e venerabili mani e alzando gli occhi al Cielo, rese grazie. O amabile elevazione degli occhi del mio Gesù, preziosa e in­comparabile testimonianza di riconoscenza! Come supplire a tutti i ringraziamenti, dei quali siamo incapaci? Ogni giorno, nella Messa, nostro Signore rinnova ciò che fece il Giovedì san­to e quest'azione di grazie di una persona divina non può essere che infinita: basta dire che Dio ne prova un immensa soddisfa­zione. In quanto a voi, ogni volta che ascoltate la Messa, unite il vostro cuore e la vostra volontà alla volontà e al Cuore di Gesù Cristo, ringraziando Dio con tutte le forze e affinché la vostra riconoscenza sia più degna, offrite, invece dei vostri, i sentimen­ti della vittima divina.

    Da tutte queste dimostrazioni, tiriamo ora delle conse­guenze veramente ammirabili. Se, dalla vostra infanzia ad oggi aveste continuamente ringraziato Dio per tutti i benefici dei quali vi ha colmato, avreste fatto meno che se aveste piamente assistito ad una sola Messa. Oso dire di più: se aveste invitato tutte le anime pie ad unirsi a voi e se, durante l'intera vita, queste anime avessero ringra­ziato Dio in nome vostro, ciò non equivarrebbe alla celebrazione di una sola Messa al suo semplice ascolto. Anzi, la stessa riconoscen­za di tutto l'esercito celeste resterebbe infinitamente al disotto. Vo­lete conoscere la ragione di questa inferiorità? Ricordatevi del cele­bre assioma: l'infinito non ha nessuna proporzione col finito, ma sorpassa il finito di una distanza infinita.

    O Dio, se potessimo comprendere quale tesoro ci hai donato, quanto ci considereremmo felici! San Paolo, indirizzan­dosi ai Corinti e indirettamente a tutti gli uomini, diceva: "Rin­grazio continuamente il mio Dio per voi, a causa della grazia che vi è stata data in Gesù Cristo, perché in Lui siete divenuti ricchi di ogni dono di parola e di scienza""

    Per la santa Messa, dunque, abbiamo acquistato questo tesoro immenso, perché in essa attingiamo tutti i benefici del Cielo.

    Non posso finire meglio questo capitolo che con le pa­role di p. Segneri: "Considera, o pio Cristiano, quanto dobbia­mo essere riconoscenti a Gesù Cristo per aver istituito la Messa, poiché essa ci dà il mezzo di sdebitarci verso Dio. Nel santo Sacrificio il Salvatore diventa nostra proprietà e ci lascia i suoi meriti infiniti, affinché possiamo offrirli a Dio in unione con Lui e pagare il debito che ci opprime".

    Sii dunque lodato, o buon Gesù, per me e per tutte le creature! Ti offro e per mezzo tuo offro alla SS. Trinità, le lodi e i ringraziamenti che ricevi oggi sull'altare e quelli che riceverai fino alla fine del mondo, e prego i cori celesti ed i beati di accor­dare le loro voci alle nostre in un inno di riconoscenza per esal­tarti e benedirti eternamente.

  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 1.222
    Sesso: Femminile
    00 07/09/2009 16:59
    CAPITOLO QUATTORDICESIMO

    LA SANTA MESSA E IL PIÙ EFFICACE SACRIFICIO DI IMPETRAZIONE


    Dio, sotto la legge mosaica, non aveva ordinato ai giudei di offrirgli soltanto olocausti per glorificarlo, ma anche sacrifici di pace, il cui fine era di ottenere beni temporali e di allontanare i mali. Questi sacrifici di pace o di preghiera erano di grande efficacia e per mezzo di essi Israele riceveva abbondanti benedi­zioni e grazie di preservazione non meno preziose.

    Nella Sacra Scrittura si legge che gli israeliti, minacciati di sterminio dai filistei, domandarono a Samuele di pregare per loro. questi immolò un agnello e implorò il soccorso del Signore e subito il nemico fu preso dallo spavento, messo in fuga e disfatto. Quando Dio colpì il popolo d'Israele con la peste, David offrì un sacrificio di pace e il flagello scomparve. Nella Sacra Scrittura troviamo molti esempi di preghiere esaudite in virtù dei sacrifici. Ora, se Dio ha dato ai giudei, gente dal cuore duro, un mezzo così potente, come dubitare che i cristiani non ne abbiano ricevuto uno ancora più potente, per ottenere i beni materiali e spirituali e per sfuggire alle calamità temporali ed eterne? Questo mezzo è la santa Messa. Dio che si è mostrato così generoso verso coloro che gli offrivano un agnello, potrà rifiutarci qualche cosa quando gli offriamo sull'altare l'Agnello celeste, vittima senza macchia, immolata per noi?

    E così la Chiesa è trattata molto meglio della Sinago­ga, poiché, mentre nell'antica legge, a causa della loro imperfe­zione, i sacrifici erano molteplici e ciascuno di essi era celebrato con un rito particolare, la Chiesa, che ne ha uno solo, l'offre in tutte le circostanze e ottiene, nonostante la sua apparente po­vertà, grazie più abbondanti di quelle che ottenevano, con tutte le loro risorse, i giudei.

    Fini per i quali può essere offerta la S. Messa

    Il Concilio di Trento ci insegna che si può offrire la santa Messa con differenti intenzioni: "Se qualcuno dice che il Sacrificio della Messa è solo un sacrificio di lode o di ringrazia­mento, o una semplice rappresentazione del Sacrificio compiu­to sulla Croce e non Sacrificio di propiziazione, o se dice che non serve ad altri che a colui che si comunica e non può essere offerto per i vivi e per i morti, per la soddisfazione dei peccati, per la remissione delle pene e per le altre necessità, sia anate­ma!". Queste parole sono un articolo di fede e perciò senza dubbio la Messa può essere detta a più fini e per essa otteniamo mille favori differenti. Possiamo ascoltarla o farla celebrare per la maggior gloria di Dio, per la più grande gioia della santissima Vergine, in onore degli angeli e dei santi, per la nostra salute eterna, per conservare o recuperare la salute fisica, per essere preservati dal male, per ottenere il perdono dei peccati, l'emendazione della vita e la grazia di una buona morte. E tutto questo possiamo domandarlo per i nostri parenti ed amici, per il mondo intero, nonché per la liberazione delle anime del purga­torio.

    La S. Messa, sacrificio di impetrazione

    I Dottori della Chiesa ci insegnano quale valore ha questo Sacrificio per impetrare una grazia: "E’ veramente effi­cace - dice Marchant - a causa della dignità della vittima, poiché il principale sacrificatore è infinitamente gradito alla divina Maestà. I meriti offerti da Lui sono inesauribili e la sua passio­ne, il suo sangue, le sue piaghe hanno una virtù senza limiti, perciò Dio non ricusa niente, qualunque sia il numero di quelli che implorano Gesù.". San Lorenzo Giustiniani conferma la stessa dottrina dicendo: "Nessun sacrificio è così utile, così gran­de, così gradito al Signore come il santo Sacrificio della Messa, nella quale gli sono nuovamente offerti i meriti del nostro me­diatore e se il sacerdote che dice la Messa e il popolo che l'ascol­ta pongono davanti ai suoi occhi questa Passione e questa morte dolorosa, le loro preghiere saranno infallibilmente esaudite".

    Sotto l'antica legge Dio proibiva ai giudici di accettare regali: "Tu non guarderai alle persone, né riceverai doni, per­ché i doni accecano gli occhi dei sapienti ed alterano le parole dei giusti". Proibizione prudentissima: infatti è impossibile che un ricco dono non influisca sulla rettitudine del giudizio, né c'è cuore abbastanza fermo che resti indifferente, come non c'è bi­lancia che non penda dal lato dove grava una somma d'argento. Se è così nelle cose umane, credete forse che non sia altrettanto nell'ordine divino? Oh! Dio non ha un cuore di pietra, ma un cuore sensibile e perciò riceverà con gioia un dono, qual è la santa Messa e modificherà la sua sentenza. Fra Dio e l'uomo c'è questo divario: se i doni, al dire della Scrittura, accecano l'uo­mo, non possono oscurare gli occhi della Sapienza infinita e con la pienezza dei suoi lumi Dio mitiga la sua sentenza, allorché gli offriamo questo divino Sacrificio, di modo che siamo certi che nel momento in cui lo riceve dalle nostre mani, la sua giustizia si unisce alla sua misericordia per compiere le nostre speranze.

    "Nella Messa - dice Kisseli - non imploriamo soltanto la misericordia, ma ci indirizziamo anche alla giustizia. Infatti noi offriamo l'umanità di Cristo, che per l'unione ipostatica è stata nobilitata al più alto grado e che per la gloria del Padre suo e per la nostra salute, è stata flagellata, coronata di spine, croci­fissa. Offriamo le sue ferite, le sue lacrime, il suo sangue prezio­so. Tutto questo è nostro in maniera che comperiamo ad un altissimo prezzo le grazie che domandiamo".

    Con l'oblazione del santo Sacrificio diamo anche più di quello che possiamo ricevere e perciò non c'è motivo di teme­re che una preghiera così ragionevole possa essere rigettata. Noi infatti chiediamo cose terrene e offriamo una vittima divina.

    Non saremo, dunque, esauditi da un Dio liberalissimo, che non lascia senza ricompensa neppure il bicchiere d'acqua dato in suo nome, quando gli presentiamo con fervore il calice pieno del Sangue del suo Figliolo, sangue divino che domanda grazia per noi, ed invoca ad alte grida la misericordia?

    "Qualunque cosa domanderete al Padre, nel nome mio, egli ve la concederà"

    Nell'ultima Cena il Salvatore ha promesso che tutte le richieste fatte al Padre suo, in suo nome, saranno accolte favore­volmente. Ora, troveremo noi una migliore occasione della Messa, della Messa dico, dove Gesù immolato per noi è posto davanti agli occhi del Padre suo, per presentare queste richieste? Consideriamo un'altra causa di questa efficacia: "Quando un principe è prigioniero - dice san Bonaventura - non gli si rende la libertà se non a condizione di pagare una forte taglia. Così noi non dobbiamo lasciar partire il Salvatore, che nella santa Messa si è fatto nostro prigioniero, prima che ci abbia promesso il Cielo". Sembra che il sacerdote si ispiri a questi sentimenti, quando alza l'Ostia consacrata, come se volesse dire al popolo: "Vedete? Colui che il mondo non può contenere è in nostro possesso e non lo lasceremo partire prima di avere ottenuto ciò che desideriamo". È il caso di ripetere le parole di Giacobbe all'Angelo che teneva fra le sue mani vittoriose: "Non ti lascerò andare via assolutamente, se prima non mi avrai benedetto". Dimostrerò quanto si può ottenere in questa maniera con degli esempi.

    Nella cronaca dei Cappuccini si legge che nel 1582 c'era a Spello una pia donna maltrattata continuamente dal marito che, dopo qualche anno di questa triste esistenza, era ridotta alla disperazione. Un giorno due cappuccini, i frati Lattanzio e Francesco de Murci, andarono a chiederle l'elemosina. La po­vera donna, piangendo, espose loro la sua misera condizione e i religiosi cercarono di consolarla. Poi le consigliarono di ascolta­re la Messa ogni giorno e di unire le sue afflizioni a quelle del Salvatore immolato per lei, assicurandola che il suo carnefice avrebbe finito con l'emendarsi. La donna li ringraziò, promise di dare ascolto a quel consiglio, fece loro l'elemosina e i frati continuarono il loro giro. Ma l'implacabile marito non permise alla pia moglie di andare in chiesa nei giorni feriali ed essa si affliggeva molto di non poter seguire il consiglio dei suoi caritatevoli visitatori. Dopo qualche tempo, però, il marito in­traprese un lungo viaggio, durante il quale la donna ebbe la libertà di assistere regolarmente al santo Sacrificio, cosa che ella fece con sentimenti di grande pietà, raccomandando se stessa e suo marito alla misericordia divina e scongiurando il Signore di cambiare quel cuore indurito. Una mattina il marito ritornò al­l'improvviso: "Dov'è mia moglie?", domandò subito. “Alla Messa, come fa ogni mattina”, rispose la cameriera. A questa notizia il miserabile, pieno di furore contro l'assente, lanciando contro di lei tremende invettive, minacciò di ammazzarla e dalle parole passando ai fatti, appena la moglie rientrò in casa, la pre­se per il collo tentando di strangolarla. In tale estremo l'infelice implorò il soccorso del Cielo per i meriti della santa Messa e all'istante il Signore colpì il forsennato paralizzandolo, di modo che non poté né consumare il delitto, né staccare le mani dal collo della vittima. Questa impotenza lo irritò maggiormente, credendola effetto di una magia e gli fece raddoppiare le imprecazioni. Ma poiché le sue membra diventavano sempre più rigide dovette ben presto persuadersi che quanto gli accade­va era una punizione del Cielo. Si pentì allora dei suoi peccati e promise a sua moglie di correggersi se gli otteneva la liberazio­ne. Dapprima la donna, stimando meglio avere in casa un para­litico che un crudele carnefice, diffidò della sua sincerità, ma finalmente persuasa, unì le sue preghiere a quelle del marito, fino a che Dio non l'esaudì. Questo castigo giovò al peccatore, perché egli cambiò vita, divenne migliore con sua moglie e in seguito andò con lei alla santa Messa. "Per i meriti di una tale offerta - scrive il Molina - l'uomo può ottenere da Dio tutto ciò di cui ha bisogno per la sua salute, non essendoci altro mezzo così efficace". Ed io credo di aver sufficientemente provato que­sto nel presente capitolo.

    Infatti alla Messa non preghiamo da soli, ma con noi e per noi pregano il sacerdote, gli angeli ed il Salvatore stesso. E non contenti di questo, offriamo a Dio, insieme alle nostre pre­ghiere, un dono infinito. Se non siamo esauditi in queste condi­zioni, dove e quando potremo essere esauditi?

    Confidenza in Dio e fiducia nella preghiera

    Ciò nonostante, osserverete voi, Dio non ascolta sem­pre quelli che gli offrono il divino Sacrificio. Il padre Hobat ri­sponde: "Benché possiamo essere esauditi più facilmente da Dio per il santo Sacrificio della Messa, che per qualunque altro mez­zo, l'infallibilità dell'effetto è spesso subordinata a certe leggi, che poche persone sanno adempiere". Il Cardinal Bona si espri­me più chiaramente: "E’ nell'essenza della preghiera - dice egli - lasciar libero Colui che si prega di accordare o di rifiutare. Esponiamo, è vero, un motivo capace di commuovere Iddio, ma Dio non è obbligato ad ascoltarci. La Messa sarà per questo priva dei suoi effetti? Sicuramente no e se non riceviamo quello che domandiamo, riceviamo in compenso altri vantaggi più uti­li". D'altra parte è un errore immaginarsi che si possa contare sulla garanzia di essere esauditi dopo una volta. Come in ogni cosa, anche nella Messa è necessaria la perseveranza.

    Un giorno santa Geltrude domandava al Salvatore: "Da che cosa dipende che la mia preghiera è così raramente effica­ce?". Gesù le rispose: "Se non ti ascolto sempre, secondo i tuoi desideri, io che sono la Sapienza, è perché ho sempre in vista il tuo bene. Accecata come sei dall'umana debolezza, non puoi discernere il vero". Questo vale come se nostro Signore avesse detto: "Tu non sai quello che è più utile a te e agli altri e perciò non esaudisco, talvolta, le tue richieste, per concederti, in cam­bio, quello che giudico migliore per la tua salute e per quella del tuo prossimo". Un'altra volta la stessa santa domandava al Sal­vatore: "Perché pregare per i miei amici, se non ne ricevono alcun vantaggio?". Gesù le rispose: "Non ti stupire perché non vedi gli effetti della tua preghiera, perché io li dispongo con una imperscrutabile saggezza; tuttavia assicurati che più uno pre­gherà per una persona, più questa persona sarà felice, perché nessuna preghiera sincera resterà senza frutto e la via della gra­zia è un cammino nascosto". Risposta consolante! Se è vero, infatti, come il Salvatore afferma, che nessuna preghiera ferven­te è sterile, a maggior ragione non sarà sterile la Messa che è la migliore di tutte le preghiere. Ma notate l'espressione di Gesù Cristo: "Nessuna preghiera sincera". La preghiera sincera è quella che è accompagnata dalla confidenza e quindi colui che prega senza confidenza riceverà poco o niente, come vedremo nel seguente esempio.

    Il Surio riporta che nei dintorni del Castello di Coculles un invasione di cavallette stava causando gravi danni ai raccolti e agli alberi. Il popolo corse in tutta fretta presso il santo sacerdote Saturnino e lo supplicò di intercedere presso Dio per ottenere la cessazione del flagello. Il monaco, compas­sionevole, radunò tutta la gente in una chiesa e la esortò alla preghiera con una predica che terminava così: "Non conoscen­do mezzo più sicuro del santo Sacrificio, l'offro secondo la vo­stra intenzione. Offritelo voi stessi con me e mettete nell'offerta tutta la vostra confidenza". Il popolo seguì il consiglio ad ecce­zione di un solo individuo che disse agli altri: "Poveri insensati! Anche se sentiste tutte le Messe del mondo esse non farebbero sparire una sola cavalletta". A queste parole lasciò l'assemblea per andare a riprendere il suo lavoro, mentre gli altri rimasero in chiesa, uniti piamente al sacerdote per supplicare il buon Dio di liberarli dal flagello.

    Finita la Messa, si affrettarono a ritornare nei campi e videro, miracolo, tutte le cavallette librarsi in aria e sparire. L'in­credulo, al colmo della sorpresa, riconobbe il suo errore, non sapendo che, per lui, il castigo era preparato. Mentre quei fedeli cristiani ringraziavano Dio, la nube devastatrice si abbatté sul suo campo. Allora con cuore desolato, vedendo imminente la sua miseria invocò il Cielo, ma il Cielo restò sordo ai suoi voti e i terribili insetti se ne andarono dopo che ebbero divorato tutto ciò che c'era nei suoi campi

    Questo racconto ci mostra due cose: la potenza della santa Messa e la confusione riservata a coloro che la disprezza­no o la deridono. Lungi dall'imitare l'incredulo di Coculles, pren­diamo esempio dal popolo buono ed accostiamoci con assoluta confidenza al santo Sacrificio. Ascoltate la pressante esortazio­ne di san Paolo: “Andiamo con confidenza davanti al trono del­la grazia per ricevere misericordia e per trovare soccorso nei nostri bisogni”. Qual'è questo trono di grazia? Non il Cielo, perché non possiamo arrivarci, non l'Arca dell'Alleanza, che era una semplice figura, ma l'altare sul quale l'Agnello di Dio si immola, dove offre la sua vita per ottenerci misericordia. Sì, andiamo ogni giorno, con fiduciosa devozione, a questo trono della grazia a cercare i soccorsi che ci mancano, ricordiamoci che è la sede della misericordia e non quella della giustizia. Di­ciamo a Dio: "Eccomi, Padre infinitamente buono! Vengo, du­rante il santo Sacrificio, al trono della tua grazia, per implorare perdono e assistenza. Su questo santo olocausto io fondo la mia speranza, perché il valore di esso è infinito, come la vittima. Così sei costretto ad accordarmi la grazia che domando, che, d'altra parte, desidero sia in armonia con la tua gloria e con la mia eterna salute".

    CAPITOLO QUINDICESIMO

    LA SANTA MESSA È IL PIÙ POTENTE SACRIFICIO ESPIATORIO


    La ragione, indicandoci la malizia della natura umana incline al peccato, ci dimostra che noi siamo obbligati ad offrire sacrifici espiatori. I patriarchi avevano riconosciuto questa veri­tà molto tempo prima della legge di Mosè. Nella Bibbia si legge che ogni settimana Giobbe chiamava a sé i suoi dieci figli e li purificava offrendo per loro degli olocausti. "Chi sa - diceva egli - che non abbiano commesso qualche colpa, che non ab­biano, in cuor loro, offeso Dio?"'. Sotto la legge mosaica il Si­gnore aveva fatto di questo sacrificio l'oggetto di una istituzione speciale: "Se qualcuno ha peccato faccia penitenza e offra un agnello e il sacerdote preghi per lui per cancellare il suo peccato. Ma se non ha il mezzo di offrire un capo del suo gregge, offrirà al Signore due tortorelle o due piccoli colombi, l'uno per il pec­cato, l'altro per l'olocausto. Il sacerdote pregherà per quest'uo­mo affinché sia perdonato e gli sia cancellato il peccato".

    La S. Messa é il più potente sacrificio espiatorio

    Se l'Antico Testamento, che è l'ombra del Nuovo, pos­sedeva un tal sacrificio, a maggior ragione conveniva che la Chiesa avesse il suo e che questo superasse quelli di Israele, come il cristianesimo supera il giudaismo. Senza dubbio il Sacrificio cruento della Croce ha una potenza infinita di espiazione ed è come una sorgente di perdono aperta in mezzo al mondo e nella pienezza dei tempi. Ma perché ognuno potesse bene attingervi, o meglio, perché ognuno la possedesse in proprio, il Signore ha stabilito un nuovo Sacrificio, come ci insegna chiaramente il Concilio di Trento: "Benché sull'altare della Croce Gesù Cristo dovesse offrirsi a Dio suo Padre per operare la redenzione di tutti i secoli con la morte subita una sola volta, considerato che questa morte non poteva affatto estinguere il suo sacerdozio, nell'ultima Cena e nella notte stessa in cui fu tradito, volendo lasciare alla Chiesa un Sacrificio visibile... il quale rappresen­tasse il Sacrificio cruento che doveva offrire una sola volta sulla Croce e ne perpetuasse il ricordo fino alla consumazione dei secoli, applicandone la virtù salutare alla remissione dei peccati che noi commettiamo quotidianamente, dichiarando che egli era costituito sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedech, offrì a Dio Padre, sotto le specie del pane e del vino, il suo corpo e il suo sangue e sotto i simboli di questi stessi alimenti lo dette a mangiare ai suoi apostoli che costituì allora sacerdoti della nuova Alleanza e ordinò a loro e ai loro successo­ri nel sacerdozio, di fare la stessa oblazione con queste parole:

    "Fate questo in memoria di me", come ha inteso sempre e inse­gnato la Chiesa cattolica". Il sacro Concilio esprime il motivo che ha determinato nostro Signore a lasciare alla Chiesa, sua Sposa, un Sacrificio visibile per mezzo del quale essa, continuan­do l'oblazione della Croce, potesse ottenere all'uomo il perdono delle colpe quotidiane. E infatti osserviamo come la preghiera e gli atti del celebrante siano una nuova testimonianza della virtù espiatoria della Messa. Il sacerdote, all'inizio della Messa, recita il Confiteor; durante il quale si batte il petto tre volte e dopo che il servente, che rappresenta il popolo, a nome di tutti recita la stessa preghiera e compie la stessa simbolica cerimonia, indiriz­za la parola ai presenti, dicendo: “Iddio onnipotente vi usi mise­ricordia, perdoni i vostri peccati e vi conduca alla vita eterna” Fattosi il segno della croce continua: "Che Dio onnipotente e misericordioso ci accordi il perdono, l'assoluzione e la remissio­ne dei nostri peccati". Poco dopo implora nuovamente la divina misericordia recitando il Kyrie eleison, umile e pia invocazione che arriva fino al trono di Dio e commuove il suo cuore. Molte volte, allo stesso modo, nella Colletta, nella Segreta e nel Post-communio, il sacerdote scongiura Iddio giusto di volerci perdonare i peccati e per tre volte, ad alta voce, ripete l'Agnus Dei, cioè ”Agnello di Dio che togliete i peccati del mondo, ab­biate pietà di noi”. Che cosa provano queste grida supplichevoli se non che la santa Messa è un Sacrificio di riconciliazione? E poiché nostro Signore Gesù Cristo si è caricato dei peccati del mondo intero, “noi posiamo sopra di Lui - secondo la bella fra­se del Marchant - come sopra una vittima condotta all'immola­zione, il peso delle nostre colpe, affinché voglia espiarle in vece nostra”.

    Per questo il sacerdote, all'inizio della Messa, si pre­senta all'eterno Padre nell'umile atteggiamento di chi viene a rispondere di tutti i debiti degli uomini. Profondamente in­chinato ai piedi dell'altare, rappresenta Gesù Cristo, schiac­ciato sotto il peso dei nostri peccati, nel giardino degli Ulivi, prostrato con la faccia a terra, bagnato di un sudore di san­gue e implorante perdono per noi. Il sacerdote intercede così in vece di Cristo, ma a differenza del Salvatore, domandan­do grazia per i nostri peccati, prega anche per la remissione dei suoi.

    Medita queste parole, o peccatore, soprattutto durante la Messa, dove le tue iniquità sono espiate col sangue del tuo Dio.

    Linguaggio dei santi


    Ed ora lasciamo parlare i santi. L'apostolo san Giaco­mo, nella liturgia che porta il suo nome, fa recitare al sacerdote la seguente preghiera: "Vi offriamo, Signore, questo Sacrificio incruento per i nostri peccati e per l'ignoranza del popolo". Queste ultime parole ci avvertono che noi commettiamo molte colpe che la debolezza del nostro spirito ci impedisce di cono­scere e di confessare ma che dovremo pur scontare. Anche David lo accenna quando esclama: "Non ricordate più, o mio Dio, i peccati e l'ignoranza della mia gioventù". E altrove: "Chi co­nosce le proprie colpe? Purificatemi da quelle che ignoro e pre­servate il vostro servo dai peccati di malizia.

    Quindi, se vogliamo risparmiarci la dolorosa sorpresa di comparire davanti a Dio coperti di mille debiti, è necessario ascoltare la Messa! Tale è la dottrina di Marchant: "La santa Messa - dice questo Dottore - ci incita soprattutto al pentimen­to dei nostri peccati sconosciuti". "Il giusto - scrive san Gregorio - non teme a causa dei peccati conosciuti, perché li ha confessati ed espiati". Ciò che lo fa tremare è il mistero di quelle colpe ignorate delle quali parla san Paolo ai Corinti: "La mia coscien­za non mi rimprovera niente, ma non sono per questo giustifica­to perché il mio giudice è il Signore, che rivelerà ciò che è nascosto nelle tenebre e metterà in luce i pensieri segreti dei cuori".

    Questo rigore del giudizio possiamo mitigarlo col san­to Sacrificio in cui, confessando a Dio, col sacerdote, le infedeltà che per ignoranza non abbiamo potuto confessare sacramental­mente, ne otteniamo il perdono. "Per la virtù del santo Sacrifi­cio - scrive il papa sant'Alessandro - il Signore perdona i nostri innumerevoli peccati". "Tutte le nostre offese sono cancellate con la Messa", continua il papa san Giulio. "L'oblazione del Sacrificio incruento - aggiunge sant'Atanasio - è il perdono delle nostre colpe". Riempirei un intero libro, se dovessi citare tutto ciò che dicono i santi Padri a questo proposito, ma non posso dispensarmi dal mettervi sotto gli occhi l'insegnamento autenti­co della Chiesa: "Il Sacrificio della Messa è veramente un Sacri­ficio propiziatorio per mezzo del quale, se noi ci rivolgiamo a Dio con cuore retto e fede sincera, con timore e rispetto, con contrizione e pentimento, otterremo misericordia e riceveremo i soccorsi di cui abbiamo bisogno. Placato, infatti, da questa oblazione, il Signore accorda la grazia e il dono della penitenza e nmette anche i delitti più gravi".

    Forse voi direte: a che serve un Sacrificio di riconcilia­zione, quando abbiamo già, nella sincerità del pentimento, il mezzo di disarmare la collera di Dio? Non nego che noi possia­mo placare il Signore con la contrizione, ma da dove viene que­sto vero e profondo dolore? Al peccatore è impossibile provarlo, come è impossibile ad un morto risuscitare con le sue sole forze. Se una predica eloquente o una buona lettura possono com­muovere l'anima, questo interno sentimento di compunzione è una tale grazia che Dio sdegnato accorda al peccatore solo in forza di speciali preghiere. Ma nessuna preghiera in cielo o in terra riesce a commuovere la divina misericordia quanto il san­to Sacrificio dell'altare e ciò si comprende facilmente meditan­do le parole di nostro Signore a santa Geltrude. Era la Settima­na santa e si cantava l'antifona: “È stato offerto, perché ha voluto” a questo punto il divin Maestro disse alla sua fedele serva:

    "Se tu credi che sono stato offerto sulla Croce, perché l'ho volu­to, credi altresì che tutti i giorni chiedo di essere offerto per ogni peccatore con lo stesso amore che mi spinse a sacrificarmi sulla Croce, per la salute del mondo intero. Così non c’è uomo che, per quanti delitti abbia commesso, non possa recuperare la gra­zia santificante, offrendo a Dio, mio Padre, la mia passione e la mia morte, a condizione di avere fede nell'efficacia di questa pratica".

    Anima peccatrice, rispondi fiduciosa ai desideri del Salvatore, e offri ogni giorno a Dio Padre la passione e la morte del suo Figliolo: non vi è mezzo migliore per commuovere il suo cuore. Quest'offerta può farsi indubbiamente anche fuori della Messa, col pensiero e con le labbra, ma compiuta realmente sull'altare, ha un'efficacia molto maggiore. Infatti sull'altare non si offre nostro Signore Gesù Cristo con una semplice formula, ma si offre veramente, realmente e corporalmente per le mani del sacerdote, la cui offerta, fatta a nome di tutti i fedeli, è una cosa stessa con la nostra, cioè il vero Corpo e il vero Sangue di Gesù, come ci viene confermato dalla preghiera che segue im­mediatamente la Consacrazione: "Noi che siamo tuoi servi e il tuo popolo santo, facciamo memoria della beata Passione di Gesù Cristo nostro Signore, della sua Risurrezione, della sua gloriosa Ascensione, offriamo alla tua Maestà i doni che ci hai dato, l'Ostia + pura, l'Ostia + santa, l'Ostia + senza macchia, il vero Pane della vita eterna e il Calice + della eterna salute".

    Continuiamo a meditare le parole di Gesù. Un giorno nostro Signore disse a santa Matilde: "Nella santa Messa vengo con una tale dolcezza che sopporto pazientemente la presenza di tutti i peccatori, qualunque sia il numero dei loro delitti e perdono con gioia tutte le loro iniquità". Quanto sono inco­raggianti queste parole! Gesù Cristo, lungi dal rigettare il suo nemico, lo guarda affettuosamente con le braccia aperte per abbracciarlo. Appena lo sente emettere un solo sospiro di di­spiacere è felice di rimettergli le sue colpe.

    La bontà misericordiosa di Dio si rivela attraverso il Sacrificio

    Un episodio della vita degli antichi Padri ci offre un esempio bellissimo di questa verità. San Paolo eremita aveva ricevuto da Dio la grazia di conoscere i segreti pensieri degli uomini. Nell'ora della Messa, mentre entrava il popolo, egli si metteva alla porta della chiesa e se vedeva qualcuno in peccato, gli svelava il suo stato e lo esortava alla penitenza. Un giorno in cui occupava il solito posto, vide un uomo con il corpo e il volto tutto nero, accompagnato da diversi demoni che, tenendolo in­catenato, lo trascinavano ora da un lato ora dall'altro. Il suo Angelo Custode lo seguiva lentamente da lontano. A questo spa­ventoso spettacolo, Paolo si mise a piangere amaramente, pieno della più viva compassione per l'infelice del quale gli era stato rivelato lo stato miserevole e per quanto i fedeli lo pregassero di entrare con loro, egli restò presso la porta continuando a pian­gere. Quando fu terminata la funzione, guardò attentamente il peccatore e notò che aveva il viso rasserenato e che il suo Angelo Custode, tutto giulivo, camminava al suo lato. "O divina inesprimibile misericordia, - gridò in estasi - o bontà infinita!". Dopo aver detto queste parole salì sopra una scala e si rivolse ai fedeli dicendo: "Venite, fratelli miei, ammirate la bontà di Dio, ascoltate e comprendete quello che è successo. Ecco un uomo che, al suo ingresso in chiesa, ho veduto tutto nero e circondato da demoni. Guardatelo ora: è bello ed è accompagnato dal suo angelo". Poi rivolto al forestiero: "Rendi gloria a Dio e racconta la tua storia". L'uomo rispose: "Sono un gran peccatore: ho vis­suto lungo tempo nella lussuria. Quando nell'Epistola, oggi, ho sentito dire le parole del profeta Isaia: "Lavatevi, siate puri, da­vanti ai miei occhi levate la malizia dai vostri pensieri, cessate di fare il male... Quand'anche i vostri peccati fossero come lo scar­latto diventerebbero più bianchi della neve", ho detto a Dio so­spirando: "O Tu che sei venuto nel mondo per salvare i pecca­tori, liberami, salvami, compi sopra di me le tue promesse". Questi e simili pensieri ho meditato durante il resto della fun­zione e ho lasciato la chiesa dopo aver preso la risoluzione di emendarmi". Tutto il popolo gridò: "Come sono grandi le tue opere, o Signore! Tu agisci in tutto con una incomparabile sa­pienza!". Possiamo esclamare anche noi: "O santa Messa, quan­to è grande la tua potenza! Quanti peccatori induriti sfuggono, convertiti da te, all'eterna dannazione. Quale riconoscenza ti dobbiamo, o dolce Salvatore, per aver voluto lasciarci un così efficace Sacrificio! Quanto erano imperfetti quelli dell'antica legge a paragone di questo! Non potevano purificare l'anima dalla minima sozzura perché "è impossibile - secondo san Pao­lo - che il sangue dei tori e dei capri cancelli i peccati". Gesù Cristo, istituendo la santa Messa ci ha dato un mezzo di espia­zione infinitamente più efficace.

    La nostra negligenza nel profittarne sarebbe veramen­te inescusabile. Che avremmo fatto, dunque, prima della venuta del Salvatore?

    La S. Messa, mezzo di conversione

    Diciamo ora in quale modo la Messa opera la conver­sione dei peccatori induriti. San Tommaso e tutta la Scuola insegnano che la Pas­sione di Gesù Cristo ci riconcilia con Dio: "Effetto proprio di questo Sacrificio - dice - è di riconciliarci con Dio". E aggiunge: "L'uomo non rimette l'offesa che ha ricevuto, se l'offensore non gli rende conveniente ossequio". Così Dio ci perdonerà, per l'onore che gli rendiamo ascoltando la Messa e per il dono eccellente che gli facciamo con l'oblazione del Corpo e del San­gue di nostro Signore Gesù Cristo. Questa dottrina è pienamente d'accordo con la Sacra Scrittura.

    Giacobbe dopo aver tolto ad Esaù, con la benedizione paterna, il diritto di primogenitura, temendo la vendetta del fra­tello adirato, pensò: "Gli invierò dei doni e spero di trovare gra­zia davanti a lui". Infatti gli inviò dei cammelli, degli asini, dei buoi, delle vacche e delle pecore e così disarmò il suo risenti­mento. Se alla Messa, o cristiano, offriste a Dio, giustamente irato, le virtù, i meriti, la passione e la morte del Figlio suo, non trionfereste del suo cuore più infinitamente di quanto trionfò Giacobbe sul cuore di suo fratello? Questi preziosi doni non sor­passano in valore tutte le cose create? Se i vostri peccati gridano vendetta, il sangue di Gesù non grida forse misericordia? La sua voce non è forse più forte di quella dei vostri peccati? "Tutta la collera e l'indignazione di Dio - dice Alberto il Grande - cade davanti a quest'offerta".

    Ma prima di andare avanti, rispondo ad una domanda che nasce spontanea. I peccati possono essere perdonati senza il soccorso della confessione? Cioè: una persona in stato di inimi­cizia con Dio che ascoltasse la Messa o la facesse celebrare, po­trebbe, solamente per questo fatto, recuperare la grazia perdu­ta? No, perché l'innocenza perduta si ripara solo per mezzo di un sincero pentimento unito alla confessione. Ma, chiederete voi, a che cosa serve allora il santo Sacrificio per il peccatore? Rispondo che sebbene manchino al peccatore, a causa del suo stato di colpa, le necessarie disposizioni a conseguire un merito soprannaturale, il santo Sacrificio della Messa gli sarà utilissi­mo, perché attirerà sopra di lui celesti benedizioni, lo preservera da molti mali e gli otterrà larga copia di beni sia nell'ordine spirituale che in quello temporale, poiché Dio, che non dimen­tica un bicchiere d'acqua dato in suo nome, non potrà certa­mente lasciare senza ricompensa l'oblazione del suo Figlio di­letto. La santa Messa gli sarà infinitamente più utile nell'ordine spirituale, ma nell'ordine temporale potranno venire accordati al peccatore, per bontà divina, molti favori, come ad esempio la buona riuscita delle sue imprese e la liberazione dai mali che lo sovrastano.

    Insegnamento dei teologi

    I teologi insegnano che la santa Messa provoca imme­diatamente il dono di una grazia, per mezzo della quale il pec­catore può conoscere e detestare le sue colpe mortali, benché secondo l'osservazione del padre da Rodi questa grazia non agi­sca in tutti con la stessa efficacia. Se colui che assiste al santo Sacrificio o lo fa celebrare, non è interamente indurito nel male, arriverà molto presto alla contrizione, mentre chi si ostina nel peccato, pur ottenendo sempre quel soccorso che altrimenti gli sarebbe venuto, si carica per partito preso, disprezzando le gra­zie del Cielo, di una nuova responsabilità. Ma il fatto che il pec­catore, abusando della sua libertà, resiste alla grazia, non impe­disce che la Messa sia in se stessa un Sacrificio propiziatorio, ossia di riconciliazione: "Se qualcuno dice che il Sacrificio della Messa non è propiziatorio, sia anatema''.

    La Messa è detta Sacrificio di riconciliazione, perché in virtù dei meriti di nostro Signore Gesù Cristo, aiuta il pecca­tore a riconoscere i suoi peccati e a pentirsene. Questo aiuto l'ottiene chi ascolta la santa Messa, la cui potenza, in favore di chi l'ascolta, è maggiore di qualsiasi altra opera buona offerta da una pia persona per la salute di un peccatore. Se la santa Messa non converte improvvisamente, toglie almeno gli ostacoli alla conversione, simile ai mezzi che impiega il medico per cu­rare il malato e che, senza rendergli istantaneamente la salute, a poco a poco lo guariscono. Cristo ci ha preparato con le sue sofferenze sulla Croce, con le sue lacrime, con il suo Sangue, questo prezioso rimedio, balsamo salutare con cui si curano e si guariscono le nostre mortali ferite. E che l'effetto immediato del santo Sacrificio non è necessariamente la santificazione del pec­catore lo prova anche il fatto che ai piedi stessi della Croce non ci fu che un piccolo numero di convertiti. Pochi si sentirono com­mossi, pochi si batterono il petto, pochi esclamarono: "Quest'uo­mo era veramente il Figlio di Dio", mentre gli altri, ostinati nel­la loro malizia, resistettero alla misericordia. Soltanto nel gior­no della Pentecoste il loro cuore, cambiato dalla predicazione di san Pietro, fu pronto a ricevere la grazia e ben tremila persone abbracciarono la fede. La santa Messa non opera queste con­versioni in massa, ma agisce sopra ciascuna anima e con tanta maggior potenza quanti meno ostacoli essa vi frappone.

    L'onore di questa azione ritorna sempre al santo Sacri­ficio, sia che il peccatore vi abbia assistito, sia che sia stato cele­brato per lui. "La Messa - scrive Marchant - ci eccita al penti­mento o ne suscita il desiderio nel nostro cuore. Questo succede talvolta durante la celebrazione stessa dei santi Misteri o qual­che volta più tardi, di modo che certi peccatori si ravvedono per una grazia speciale, senza rendersi conto che la devono alla vir­tù del Sacrificio dell'altare. E se altri restano impenitenti, in se­guito alla loro ostinazione nel rigettare questa stessa grazia, però tutti la ricevono

    Che sorgente di meditazione è una tale dottrina! Che bella speranza offre alle anime scoraggiate! Ecco il compimento della profezia di Gesù, figlio di Sirach: "Il sacrificio del giusto (o del peccatore pentito, che per questo stesso ridiviene giusto) ar­ricchisce l'altare e sale come un profumo soave davanti l'Altissi­mo". Come pure si avvera la parola dei Proverbi: "Il regalo se­greto estingue la collera e il dono messo nel seno placa la più viva irritazione". Questo regalo segreto non è altra cosa che il Corpo e il Sangue del Salvatore sotto le specie sacramentali, e il dono messo nel seno è Gesù Cristo nel ventre verginale di Ma­ria, dono incomparabile, regalo misterioso e infinito per il quale molti peccatori hanno ottenuto il beneficio della conversione.

    Voi direte: non è forse scritto che "la preghiera di colui che chiude l'orecchio alla legge è abominevole agli occhi di Dio"? A che serve dunque il Sacrificio per le anime indurite? Rispondo secondo la dottrina dell'angelico Dottore: "Benché la Sacra Scrittura ci avverta più volte che la preghiera di una per­sona in stato di peccato mortale non piace a Dio, nondimeno Dio non respinge quella che si eleva da un cuore sincero, perché odia il peccatore solo in quanto tale, ma non sdegna per questo di ricevere dalle sue mani il santo Sacrificio".

    Il S. Sacrificio offerto per la conversione dei peccatori

    Piuttosto il dubbio potrebbe venire sotto un'altra for­ma. Spesso la Messa viene offerta secondo l'intenzione di un peccatore: qual è, per lui, il frutto del santo Sacrificio? Le Rivela­zioni di santa Geltrude racchiudono, a questo proposito, una sto­ria istruttiva. La santa, un giorno, pregava il Salvatore per la salute dei peccatori, domandandogli di prevenirli con la sua gra­zia o di attendere l'ora della loro conversione. Intercedeva poi con maggior istanza per i peccatori più scellerati, per i quali sentiva una grande compassione, pur temendo di non essere ascoltata. Il Signore le disse: "Il dono del mio Corpo immacola­to e del mio Sangue prezioso non merita forse di ricondurre ad una vita migliore quegli stessi che sono nella via della perdizio­ne?". Geltrude meravigliata di queste consolanti parole escla­mò: "O buon Salvatore, in presenza del vostro Corpo purissimo e del vostro adorabile Sangue, vi scongiuro di effondere la vo­stra divina grazia su quelle anime che sono in pericolo di dan­narsi. Affinché sia esaudita la mia preghiera vi offro, e per mez­zo vostro offro alla SS. Trinità, tutto ciò che compite sull'altare per la salute del mondo". Dio gradì la preghiera della sua ser­va fedele e le promise di far grazia agli infelici per i quali si rivol­geva a Lui.

    La S. Messa cancella i peccati veniali

    Altro frutto del Sacrificio è l'espiazione dei peccati ve­niali che offendono Dio più di quanto generalmente si creda, come dimostra il seguente racconto. Un uomo aveva un figlio che lo amareggiava incessantemente. Era pigro, giocatore, dissi­patore del denaro di suo padre e noncurante delle sue ammonì­zioni. Il padre si lagnava della sua leggerezza, ma il giovane ri­deva dei suoi rimproveri e diceva: "Di che ti lagni, padre mio? Ti ho forse bastonato? Ho attentato forse alla tua vita?". Questo è ciò che accade fra Dio e noi. Noi non attentiamo all'esistenza del Padre nostro, cioè non commettiamo colpe mortali, eppure quanti motivi di malcontento gli diamo ogni giorno e con quan­ta ostinazione provochiamo la sua collera! Benché queste innu­merevoli ed incessanti infedeltà siano colpe veniali, bisogna espiarle, altrimenti Dio ci caccerebbe dalla sua casa come figli indegni. Per scongiurare questo pericolo Dio ci ha preparato un Sacrificio propiziatorio efficacissimo: la santa Messa.

    Il Concilio di Trento lo dice espressamente: "Gesù Cri­sto nell'ultima Cena ha istituito la santa Messa affinché, la virtù di questo Sacrificio salutare fosse applicata al perdono delle no­stre colpe quotidiane". Queste parole non hanno bisogno di commenti. Il sacro Concilio evidentemente parla dei peccati veniali. San Pasquale aveva già esplicitamente insegnato la stes­sa dottrina: "Il Sacrificio è rinnovato ogni giorno - dice - per­ché ogni giorno pecchiamo, non potendo per la nostra fragilità vivere senza peccati. Il Signore ci ha dato, è vero, molti rimedi contro queste ripetute offese, come le preghiere, l'elemosina, le benedizioni della Chiesa, ecc., ma nessuno è così potente come la santa Messa". Questa è anche l'opinione del Suarez: "Si può credere - dice questo grande teologo - che quelli che offro­no il santo Sacrificio per ottenere la remissione dei loro peccati veniali sono esauditi infallibilmente". Il padre Gobat è ancora più chiaro: "Quelli che assistono alla Messa anche con altra inten­zione che quella di acquistare il perdono, se ne tornano intera­mente perdonati, purché abbiano la contrizione e il fermo pro­posito di non peccare più". "Per la virtù del santo Sacrificio -dice Osorio - i peccati veniali sono cancellati e i debiti pagati". “Si - continua il p. Giacomo Strazio - l'efficacia della Messa è tale che ci comunica le incommensurabili ricchezze dei meriti e della soddisfazione di Gesù Cristo. I peccati veniali spariscono davanti all'altare come cera al fuoco e la maggior parte delle pene, per essi meritate, ci viene rimessa”. L'espressione del santo religioso è giustissima: i peccati veniali sono distrutti dal fuoco dell'amore divino e le pene che dovrebbero seguirli sono annul­late. Dunque, dite a Dio all'inizio della Messa: "O Dio giusto, depongo sul santo altare, con ferma confidenza e con cuore pentito tutte le colpe della mia cattiva vita, perché siano consu­mate dal tuo divino amore, lavate nel sangue di Gesù Cristo e affinché per i meriti del mio Salvatore il mio debito sia comple­tamente estinto".

    "Si - aggiunge infine Marchant - la Messa cancella i peccati veniali, perché, in conseguenza del peccato originale la nostra natura è portata al male incessantemente e Gesù Cristo vedendo e sapendo ciò, ci ha preparato un mezzo di salute in questo quotidiano Sacrificio". Per questo non potremo mai ringraziare abbastanza il nostro Salvatore. Ah! Se non avessimo questo divin Sacrificio, o se non potesse applicarsi all'espiazione delle colpe giornaliere, qual peso porteremmo davanti alla divi­na giustizia! Quante pene da soffrire nell'altro mondo! David parla dei peccati veniali quando dice: "Le mie iniquità mi han­no tutto avvolto. Per la loro moltitudine hanno sorpassato il nu­mero dei capelli della mia testa", "Chi conosce i propri pecca­ti?". Ahimè! Ce ne sono molti che noi ignoriamo e che, per conseguenza, non possiamo né detestare, né confessare, né espia­re con la penitenza. Come ne sarebbero liberate le nostre anime senza il Sacrificio propiziatorio della Messa? Ma che cosa si deve fare per ottenere questo prezioso perdono? Seguire l'esempio di santa Geltrude che offriva in unione col sacerdote, la vittima divina da lui immolata. Dio Padre guardava con favore questa oblazione e riceveva sul suo cuore l'anima pia che gliela presen­tava. Santa Geltrude otteneva certamente la remissione dei pec­cati veniali poiché nella sua vita non aveva mai commesso un peccato mortale. E nel momento dell'Elevazione soleva dire: "Padre santissimo, vi offro questa beata Ostia per ottenere la remissione di tutte le mie infedeltà". Parole che non soltanto le meritavano un assoluto perdono, ma la rendevano degna di es­sere ricevuta nel seno di Dio. Anche voi, come l'illustre vergine benedettina, nel momento dell'Elevazione dell'Ostia dite con tutta la pietà e tutto il fervore possibile: "Padre celeste, ti offro per le mani del sacerdote, il Sacrificio venerabile del Corpo e del Sangue del tuo Figliolo, per essere liberato dalle mie sozzure, tanto mortali che veniali. O Padre, pieno di bontà, lasciati com­muovere da una vittima così santa e rimettimi tutto il debito che la malizia o la debolezza umana mi ha fatto contrarre verso di te". Più sarete fedeli a questa pratica, più diventerete puri. Il santo Sacrificio cancella dall'anima nostra non solamente le colpe veniali, ma fa sparire le minime macchie del peccato. Ce lo inse­gna san Giovanni Damasceno: "Il Sacrificio purissimo e incruento della Messa - dice - è la riparazione di tutte le offese e la purificazione da tutte le sozzure".

    Il Signore stesso aveva detto per bocca del profeta Ezechiele: "Verserò sopra di voi un ac­qua pura e tutte le vostre macchie saranno cancellate". questa purificazione è simboleggiata dall'acqua che, per il colpo di lancia di Longino, sgorgò dal Cuore di Gesù e in questo bisogna vedere l'opera non del caso, ma di una Provvidenza attenta e vigilante. Dopo la sua morte Gesù volle ricevere una ferita che restasse sempre aperta, simile ad una sorgente sempre zampil­lante perché si compisse la profezia di Zaccaria: "Sarà aperta una fontana nella casa di David, per lavare le sozzure del pecca­tore". Da questa sorgente sgorgano i rivi del prezioso Sangue e dell'acqua misteriosa che sono aperti ad ogni Messa, con libe­ro accesso a tutti, di modo che ciascuno può venire ad estin­guervi la sua sete e purificarsi. quale felicità che questa sorgen­te sia inesauribile ed abbondante e che, come aveva annunciato Isaia, non ne siano mai chiusi gli accessi ai peccatori: “Attingerete con allegrezza alla fontana della salute”. Tutti vi sono invitati dall'Apocalisse: "Venite, voi che avete sete e bevete; e pure voi che non avete denari, venite a dissetarvi come gli altri". Peccatori, rispondete ad un così potente invito! Il profeta e l'apostolo san­no quanto quest'acqua è salutare e con quale facilità le anime che vi si bagnano recuperano la grazia: acqua veramente mera­vigliosa, mille volte superiore al vino più squisito e di cui una sola goccia ha più valore di un regno!

  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 1.222
    Sesso: Femminile
    00 07/09/2009 17:01
    CAPITOLO SEDICESIMO

    LA SANTA MESSA È IL PIÙ GRANDE SACRIFICIO DI SODDISFAZIONE


    Per comprendere ciò che dirò bisogna prima sapere che in ogni peccato c'è un doppio male: quello della colpa e quello della pena.

    La colpa che ci toglie la grazia di Dio ci è perdonata nel sacramento della Penitenza, ma la pena, mentre viene cancellata interamente nel Battesimo, non è rimessa che par­zialmente nella confessione. Dio ha voluto che il sacramento della riconciliazione ci salvasse dalla pena eterna, ma che ci restasse da subire una pena temporale, maggiore o minore a seconda dell'estensione del nostro pentimento, dell'ardore del nostro buon proposito e della misura della nostra soddisfa­zione. Ora avviene che, ordinariamente, noi andiamo al sa­cro Tribunale di penitenza con una contrizione molto im­perfetta e le nostre opere offerte in soddisfazione dei nostri peccati sono insufficienti, così che ci viene fatta remissione solamente di una piccola parte del nostro debito. Per non dover finire di espiare le nostre colpe in purgatorio bisogna supplire con preghiere, vigilie, digiuni, elemosine, con nuove Confessioni e sante Comunioni, con l'assistenza alla Messa e con l'acquisto di indulgenze. Ma poiché le penitenze sono contrarie alla natura e molte persone non sanno praticarle, una gran parte di cristiani, per tali insufficienti disposizioni, sono costretti a subire gravissime pene nell'altra vita, per evi­tare le quali imitiamo il debitore di cui parla il Vangelo: "Il regno dei Cieli - disse Gesù Cristo - è simile a quel re che volle regolare i conti con i suoi servi. Uno gli doveva diecimila talenti e siccome quell'infelice era insolvente, ordinò fosse ven­duto con la moglie, i figli e tutto ciò che possedeva. Il servo si gettò ai suoi piedi e lo supplicò dicendo: ”Accordami una dilazione e ti pagherò interamente”. A prima vista ci mera­vigliamo di vedere quell'uomo chiedere del tempo, invece di sollecitare la remissione o la diminuzione del suo debito, poi­ché è evidente che non avrebbe mai potuto procurarsi una somma così considerevole, neppure se avesse avuto duecento anni a disposizione. Questo racconto non è un fatto storico, ma una parabola. quel debitore rappresenta il peccatore ca­rico di delitti. O cristiano, di te parla qui Gesù Cristo: "Tu non sai quanto sei infelice, miserabile, povero, cieco e nudo!". E perciò, come puoi tu, con le tue sole buone opere, pagare diecimila talenti, tu che in tutta la vita non sapresti guada­gnare un soldo? Un solo peccato mortale trascina dietro di sé una pena così grande che se tu dovessi sdebitartene con le tue risorse personali, non ti basterebbe l'eternità. Eppure c'è un mezzo facilissimo per liberartene: come l'uomo del Van­gelo, gettati ai piedi del tuo creditore e digli: “Signore, sii paziente con me, accordami ancora un po' di tempo ed io ti renderò tutto per mezzo della santa Messa che ascolterò o che farò dire”.

    La S. Messa e il più grande sacrificio di soddisfazione

    Il Sanchez ci dà lo stesso consiglio dicendo: "quando ascoltate la santa Messa, ricordatevi che essa è vostra", e il sa­cerdote ce lo conferma quando, voltandosi verso i fedeli, dice loro: "Pregate fratelli, perché il mio Sacrificio che è anche il vostro, sia gradito a Dio Padre onnipotente". Abbiate dunque una santa audacia e domandate al vostro tremendo Padrone: "quanto ti devo, o Signore? Riconosco il tuo credito e sono pronto a pagarlo non da me stesso, ma per i meriti del tuo Fi­gliolo presente su questo altare e perciò ti offro il tesoro che tu stesso mi hai dato". Che pensiero consolante è questo per i pec­catori! I teologi convengono circa questa efficacia: "Il Sacrificio della Messa - dice il Fornero - solo perché è offerto, ha la virtù ammirabile ex opere operato, di rimettere la pena dovuta ai pecca­ti". Ed i Dottori insegnano ciò di comune accordo, dichiaran­do in termini chiari che la Messa cancella il debito del celebran­te, di chi la fa dire e di quelli che l'ascoltano, purché abbiano i necessari sentimenti di contrizione. Non sarà inutile spiegare il valore dell'espressione ex opere operato. La Scuola vuol dire, con questa espressione, che il santo Sacrificio trae dalla propria eccellenza tutta la sua efficacia, che non può essere accresciuta né dalla pietà del ministro, né diminuita dalla sua indegnità e questo si avvera ugualmente per gli altri Sa­cramenti. La virtù del Battesimo, per esempio, purché siano osser­vati i riti e le parole essenziali di questo Sacramento, è identica per chi lo riceve, tanto se il ministro è un sacerdote pio, quanto se è cattivo. In altri termini: il Sacramento opera unicamente per la sua stessa applicazione. Che consolazione per i peccatori! E’ chiaro pe­raltro che per ottenere questo salutare effetto non basta assistere alla Messa con la sola presenza corporale, ma si richiedono anche le disposizioni dell'anima, non come sorgente di perdono, ma come condizioni necessarie all'azione del santo Sacrificio.

    La S. Messa, inestimabile tesoro che ci permette di pagare il debito delle nostre colpe

    Cercherò di spiegare ancora meglio questa verità. Gesù Cristo, con la sua vita, passione e morte sulla croce, ha ammassato un così ricco tesoro di meriti che, se li distribuisse a tutti i peccatori passati, presenti e futuri, donando a ciascuno tutto ciò che gli sarebbe necessario per liberarsi, resterebbe ancora di che riscattare innumerevoli mondi. questo tesoro, il Salvatore ce l'ha aperto molte volte: prima al Battesimo, poi al tribunale del­la Penitenza e alla Mensa eucaristica, ma giammai ce ne fa così generosamente partecipare come nella santa Messa, perché se­condo la dottrina del Concilio di Trento "I frutti del Sacrificio cruento ci sono applicati con la più grande abbondanza dal Sa­crificio incruento".

    Immaginate, dunque, Gesù che discendendo dall'alta­re, si accosta ai fedeli presenti in chiesa e a ciascuno distribuisce quest'oro celeste, come ricompensa della loro pietà. Nessuno è escluso dalla distribuzione, eccettuati quelli che sono in stato di peccato mortale, o che chiacchierano, ridono, scherzano, si guar­dano attorno indiscretamente, danno noia al loro prossimo. Tutti gli altri ricevono grazie, benché in una misura differente e se­condo la loro devozione. I poveri peccatori, dunque, dopo le ricadute, si affrettino a recarsi in chiesa, per offrire la santa Messa a Dio Padre, perché si sentiranno il cuore intenerito, lo spirito cambiato e otterranno più facilmente la grazia del perdono.

    O quanto saremmo edificati se potessimo conoscere tutti quelli che sono ritornati sulla retta via! Ma non ci è dato di sco­prire tanto da vicino le benedette vie per le quali Dio scende in soccorso del peccatore. A noi basti, fra tante tenebre, uno spira­glio di luce che ci mostri la via del Cielo.

    La S. Messa sollievo per le anime purganti

    Parlerò ora della Messa offerta per il sollievo delle ani­me del purgatorio. Non è possibile definire in quali proporzioni soffrono queste anime, perché ignoriamo l'estensione della pena fissata da Dio. Quel che sappiamo è che l'espiazione, nella vita futura, sarà molto più lunga di quanto, secondo le nostre idee incom­plete, ce la immaginiamo comunemente. E’ certo anche che so­pra la terra, fra tutte le opere fatte per essere offerte a Dio a sollievo di quei nostri poveri fratelli sofferenti, non ce n’è una più adatta del Sacrificio incruento del Salvatore. E se è già una consolazione per loro vedere quelli che hanno lasciato nel mon­do, volgersi, in loro favore, con pio slancio al Padre celeste, una Messa celebrata o ascoltata per il loro sollievo, apporta loro un grande conforto. Ma poiché la Chiesa purgante non si trova nelle stesse condizioni della Chiesa militante, ne consegue che ai membri della prima possiamo applicare i frutti del santo Sa­crificio solo a titolo di suffragio, senza che ci sia possibile deter­minare di quanto tempo la loro prova ne venga abbreviata. Questo dipende dalla divina misericordia, che resta interamen­te libera. Piuttosto, finché siamo in terra, approfittiamo in tutti i modi del tesoro messo a nostra disposizione e risparmieremo così, anche a noi stessi, una pena che ci sarebbe poi tanto più amara, quanto più grave fosse stata la nostra negligenza.

    Se per un grave delitto voi foste stato condannato ad una lunga prigionia e se col solo assistere ad una Messa poteste liberarvene, non correreste ad ascoltarla? Ma che dico? Non una sola Messa, ma cento ne ascoltereste. Eppure i mali della vita presente non rendono neanche l'idea di quelli che ci atten­dono nell'altra vita nelle fiamme divoratrici del purgatorio, che operando sulle anime, come il fuoco sull'oro, le purificano e le adornano di nuovo splendore.

    Se desiderate una dottrina più precisa e domandate quale sia precisamente l'efficacia di una Messa, sappiate che chi fa celebrare il santo Sacrificio ottiene molto più per l'espiazione delle sue colpe di chi si contenta di assistervi, perché al primo spetta per diritto una parte considerevole dell'oblazione. Ma ri­spetto alla quantità esatta della pena rimessa, non possiamo de­terminarla, perché Dio non ce l'ha rivelato. Se poi, alla devozio­ne di far dire la Messa aggiungerete quella di ascoltarla e segui­rete con raccoglimento gli atti del sacerdote che parla, prega e immola particolarmente secondo la vostra intenzione, il vostro guadagno aumenterà. "Colui - dice il Marchant - che non con­tento di far celebrare la santa Messa, si prende cura anche di assistervi, ne trae un vantaggio molto più grande, perché per la sola applicazione della santa Messa riceve solo i frutti applicati dal sacerdote, mentre gli altri meriti gli sfuggono".

    Una conseguenza importante e generalmente molto tra­scurata, si ricava dalla dottrina esposta sopra. quando fate cele­brare una Messa, o per onorare un santo, o per ottenere una grazia di solito dite: "Mi propongo di onorare la santa Vergine, di ottenere questa guarigione, di scongiurare questo pericolo, ecc.". Ma vi fermate a determinare una parte dei benefici che desiderate e forse neppure pensate a chi si dovrà applicare la virtù soddisfattoria del Sacrificio. D'ora innanzi non dimentica­te di riservarla per voi e ne trarrete così doppio profitto, perché non sarete meno esaudito se ciò che domandate è utile alla vo­stra salute.

    Soprattutto dovrebbero assistere alla Messa quelli che hanno commesso molte colpe gravi e non ne hanno fatto anco­ra penitenza, poiché è certo che Dio non lascerà impunita alcu­na infedeltà secondo il proverbio: "Aut poenitendum aut ardendum: o espiare o bruciare", ed è molto meglio soddisfare su questa terra che cadere, carico di debiti, nelle mani del Som­mo giudice. Profittate, dunque, di tutte le occasioni per ascolta­re la santa Messa, supplendo in tal modo alle rudi mortificazioni di cui si spaventa la vostra debolezza.

    CAPITOLO DICIASSETTESIMO

    LA S. MESSA È L'OPERA PIÙ ECCELLENTE DELLO SPIRITO SANTO


    Ho già parlato della Messa e dei suoi rapporti con Dio Padre e con Dio Figlio. Ora, in questo capitolo, tratterò della cooperazione dello Spirito Santo.

    I beni che ci vengono dalla terza Persona divina sono innumerevoli e ci è impossibile comprenderli ed esprimerli. Lo Spirito Santo è amore e misericordia, addolcisce continuamente i rigori della Giustizia e preserva i poveri peccatori dall'eterna dannazione, poiché Egli ha cominciato, continuato e termina­to l'opera della nostra salute. L'ha cominciata nel seno imma­colato di Maria, formando il corpo di Gesù Cristo col sangue purissimo della santa Vergine; l'ha continuata nel Battesimo dell'Uomo Dio, nelle acque del Giordano; l'ha terminata nel giorno della Pentecoste, comunicandosi agli apostoli e ai di­scepoli che riscaldò con fiamme ardenti, di modo che le anime indurite, che fino a quel giorno non erano state toccate dalle piaghe e dalla passione del Salvatore, furono convertite dal­l'effusione del suo Spirito. Lo Spirito Santo abita nei cuori dei fedeli cristiani e non si allontana mai nemmeno da quelli che lo respingono, restando alla porta del loro cuore e bussando incessantemente per entrare.

    È’ certo e lo insegnano universalmente i teologi, che Egli ha avuto una parte speciale nella Redenzione e così anche la Messa è l'opera sua per eccellenza. Secondo la teologia il mi­stero dell'Incarnazione, dove la divinità e l'umanità sono unite in una sola persona, è la più grande meraviglia uscita dalla mano onnipotente di Dio ed è opera dello Spirito Santo, come confes­sa la Chiesa nel terzo articolo del Credo: "Il quale fu concepito di Spirito Santo". Tuttavia, oso dirlo, il miracolo che si compie sull'altare sorpassa il primo essendosi l'Uomo-Dio rimpicciolito fino al punto di trovare posto nella più umile particella della santa Ostia.

    Di questa cooperazione dello Spirito Santo nella Messa, abbiamo la testimonianza della liturgia alla quale san Giacomo ha dato il suo nome. Immediatamente dopo la formula della Con­sacrazione, si leggono queste parole: "Ti preghiamo, Signore, di inviare il tuo Spirito, affinché si degni, per la sua gloriosa presen­za, di santificare i nostri doni, transustanziare il pane nel tuo Cor­po e il vino di questo calice nel tuo Sangue prezioso". La stessa preghiera, in termini quasi identici, si ritrova nella liturgia di san Clemente, papa e martire, che dice: "Ti preghiamo, Signore, di inviare il tuo Spirito, affinché di questo pane e del vino contenuto nel calice, faccia il Corpo e il Sangue del tuo Cristo". Nei primi Eucologi (libri che contenevano l'ufficio delle domeniche e delle feste) e nei primi messali, la transustanziazione della materia eucaristica non è attribuita a nostro Signore Gesù Cristo, ma allo Spirito Santo e in essi è invocata, per compiere quest'opera, la terza Persona divina che ha compiuto l'opera dell'Incarnazione, secondo le parole dell'Arcangelo Gabriele a Maria: "Lo Spirito Santo scenderà sopra di te e la virtù dell'Altissimo ti coprirà della sua ombra". E nella liturgia latina il sacerdote manifesta la stessa verità quando, facendo il segno della croce sul pane e sul vino, supplica lo Spirito Santo di discendere dal Cielo per benedire questi doni e dice: “Vieni, santificatore onnipotente, Dio eterno e benedici questo Sacrificio preparato in onore del tuo santo nome”. Sant'Ambrogio adopera precisamente gli stessi termini: "Fa, o Signore, che discenda l'invisibile maestà del tuo Santo Spirito, come discese sulle vittime dei nostri padri".

    In che modo lo Spirito Santo opera la transustan­ziazione

    Ora vedremo in qual maniera lo Spirito Santo opera la transustanziazione. Santa Ildegarda ce ne dà un'immagine sor­ prendente: "Mentre il sacerdote, rivestito degli abiti sacerdotali, si avanzava per celebrare, vidi venire dal cielo una gran luce che circondò l'altare per tutto il tempo della Messa. Al Sanctus cad­de una fiamma celeste sul pane e sul vino penetrandoli, come la luce penetra il vetro e lo attraversa coi suoi raggi. Nello stesso tempo, essa alzò le sacre specie verso il cielo, per riportarle subi­to sul corporale. Nonostante che in apparenza non fosse cam­biato nulla, da allora non si vide altro che della vera Carne e del vero Sangue. Considerando questo spettacolo, mi apparvero come in uno specchio, l'incarnazione, la nascita, la passione e la morte di nostro Signore Gesù Cristo, esattamente come si erano compiute sulla terra". Ad ogni Messa si rinnova la meraviglia di cui, per grazia speciale, la santa fu testimone, benché ai nostri occhi resti invisibile.

    Due belle immagini di questo mistero ce le aveva già offerte l'Antico Testamento. La prima è il sacrificio di Aronne: "La gloria del Signore - dice l'autore del Levitico - apparve a tutto il popolo e il fuoco scese per consumare l'olocausto che riposava sull'altare. A tale vista il popolo cadde col viso a terra e lodò il Signore. Alla consacrazione del tempio successe un fatto simile: "quando Salomone terminò la sua preghiera, il fuoco del cielo bruciò le vittime e la Maestà divina riempì il sacro recinto. Tutti i figli d'Israele videro il fuoco discendere dal cielo e nel tempio contemplarono la Maestà di Dio. Caddero con la faccia per ter­ra e lodarono il Signore". Meravigliose figure, queste, del santo Sacrificio della Messa, nel quale il fuoco dello Spirito Santo vie­ne dal cielo a bruciare il pane e il vino, cambiandoli nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo. Benché i nostri sguardi impuri non contemplino questo fuoco, esso non è meno reale e più d'una volta è stato visto quaggiù dagli occhi degli uomini.

    Documentazione di fatti

    Lo storico Simeone, il Metafraste, riporta il seguente fatto nella vita di san Clemente papa e martire. Questo santo pontefice era stato mandato in esilio nell'isola di Rodi. Il vesco­vo del luogo lo pregò, al suo arrivo, di dire la Messa e il papa acconsentì. Appena pronunciate le parole della Consacrazione, il pane apparve cambiato in carbone ardente. Innumerevoli schie­re di angeli discesero dal cielo e portarono in aria la santa Ostia con vive testimonianze di amore e di gioia. I presenti, incapaci di sopportare questo ammirabile splendore, si prostrarono umil­mente e restarono così fino alla Comunione, quando il SS. Sa­cramento, ripresa la forma ordinaria, fu consumato da san Cle­mente. Il Baronio racconta che quando sant'Ignazio, patriarca di Costantinopoli, diceva la Messa, il pane consacrato talvolta sembrava trasformarsi in un carbone ardente dal celeste splen­dore.

    Questi racconti ci rivelano, sotto una forma che ne dà un'impressione viva, la parte che lo Spirito Santo ha nella Con­sacrazione. Infatti il fuoco ci richiama alla mente la Persona di­vina che si manifestò, sotto l'apparenza di questo elemento, nel giorno della Pentecoste: emblema dell'amore eterno che unisce il Figlio al Padre.

    San Giuseppe da Copertino, nel momento della Con­sacrazione, provava una tale angoscia che poteva appena arti­colare le parole sacramentali, ma passato quel momento il suo turbamento si dissipava e parlava normalmente. Un giorno il superiore del convento gli domandò come mai provasse tanta difficoltà a pronunciare quella formula. Il santo gli rispose: "Sulle mie labbra queste venerabili parole sono come carboni accesi e pronunciandole mi accade ciò che succederebbe ad una perso­na che avendo preso un alimento che scotta non può inghiottir­lo se non dopo averlo rigirato più volte in bocca".

    La verità è che la formula della Consacrazione contie­ne in se stessa il fuoco del Cielo: essa opera con tutta la divina potenza, e per la sua efficacia il Creatore si incarna nuovamente fra le mani della creatura.

    Se è stato potente il Fiat che trasse dal nulla il sole, molto più potente è la parola che dà al Creatore stesso un nuovo modo d'esistere.

    Per stabilire ancora più chiaramente la parte che lo Spirito Santo ha nell'atto della transustanziazione, riporterò un secondo racconto del Baronio. Nell'anno 536, a Formello, poco distante da Roma, c'era un vescovo che adempiva con molto zelo al suo ministero e soprattutto era solito dire la Messa con molta pietà. Tuttavia fu denunciato al papa Agapito sotto l'ac­cusa di mangiare nei vasi sacri. Il pontefice ne fu turbato viva­mente e inviò a Formello due ecclesiastici col mandato di cattu­rare l'accusato e di condurlo a Roma, per metterlo in prigione.

    All'alba del terzo giorno che era domenica, un misterio­so personaggio apparve in sogno al papa e gli disse: "Oggi né tu né altri, all'infuori del vescovo che hai imprigionato, deve dire la Messa". Agapito si svegliò, rifletté sulla visione avuta e si doman­dò se un uomo accusato d'un tale delitto potesse salire all'altare. Riaddormentatosi, sentì di nuovo la stessa voce: "Ti ho detto che soltanto il prigioniero deve celebrare". Il papa esitava ancora e la voce rinnovò, una terza volta, l'ordine. A quest'ultima intimazio­ne il papa spaventato fece venire il vescovo di Formello e gli do­mandò: "qual è la vita che hai condotto fin qui?". "Sono un pec­catore". "Non hai dunque mangiato nei vasi sacri?". "Sono un peccatore". Siccome non riusciva a strappare dalle sue labbra al­tra confessione, Agapito decise che nello stesso giorno celebrasse in sua presenza. L'umile prelato si schermi, ma dovette inchinarsi davanti alla formale volontà di Agapito, che insisteva: "Sì, oggi canterai la Messa". Il vescovo di Formello salì all'altare circonda­to da numeroso clero e cominciò il Sacrificio. Arrivato al primo segno di croce che si fa sul pane e sul calice, disse, secondo la prescrizione del messale: "Vieni, santificatore onnipotente, Dio eterno e benedici questo Sacrificio preparato in onore del tuo nome". Ripeté tre volte questa preghiera,come se non riuscisse ad andare oltre e questo dispiacque ai presenti. Allora Agapito gli domandò la causa della sua esitazione. Il vescovo rispose: "Perdo­natemi, ma ripeto questa preghiera perché ancora non vedo lo Spirito Santo discendere sul Sacrificio. Intanto, prego Vostra San­tità di ordinare al diacono che mi sta vicino di ritirarsi, perché io non oso mandarlo via". Il papa acconsentì al suo desiderio e subi­to vide, come lo vedeva il celebrante stesso, discendere lo Spirito Santo. E’ inutile aggiungere che Agapito riconobbe l'innocenza del santo vescovo. Ad ogni Messa, quando il sacerdote pronuncia la preghiera che abbiamo citato, si riproduce la meraviglia della quale fu testimone, con i suoi occhi corporali, il vescovo di Formello. Lo Spirito Santo non opera soltanto la transustanziazione, ma benedice il Sacrificio. "Il Sacrificio incruento è così santo e vene­rabile - dice padre Mansi - che lo Spirito Santo si unisce agli angeli per benediflo". Quanto è grande, dunque, la santità della Messa! Quanto è grande il prezzo di questo pane celeste, opera di una Persona divina, preparata al fuoco della carità sustanziale!

    Lo Spirito Santo prega per noi nel S. Sacrificio della Messa

    Nuovo mistero! Lo Spirito Santo fa ben di più che pre­parare la materia eucaristica che deve diventare il nutrimento delle anime, poiché ha di mira particolarmente il Sacrificio, quell'opera sublime che Egli ordina a vantaggio dei nostri inte­ressi temporali ed eterni. "Lo Spirito Santo viene in aiuto della nostra debolezza, - dice san Paolo - perché da noi stessi non sappiamo domandare nulla come si deve. Lo Spirito stesso, con ineffabili gemiti, domanda per noi; lo scrutatore dei cuori sa ciò che lo Spirito desidera, poiché questi secondo Dio intercede per i santi". Certamente una persona divina non può pregare le altre, non essendoci nella SS. Trinità né superiorità, né inferio­rità, ma essendo la Giustizia attribuita più specialmente al Pa­dre, la Sapienza al Figlio e la Misericordia allo Spirito Santo, si dice che questi prega il Padre di risparmiare i peccatori e di salvarli. Tale è il pensiero di san Paolo. Ma lo Spirito Santo quan­do pregherà per noi? Benché non cessi mai, è certo che lo fa soprattutto nella santa Messa. "Nel tempo della santa Messa - dice san Giovanni Crisostomo - non siamo soli a domandare: gli angeli piegano le ginocchia, gli arcangeli uniscono le loro voci alle nostre, testimoniando così che il Sacrificio è per loro, come per noi, l'ora della preghiera.

    E perciò, al momento in cui le piaghe o il sangue del Salvatore invocano il perdono sulle nostre teste, lo Spirito San­to, dal canto suo, si sforza in maniera particolare di vincere la divina giustizia. Quanto è grande la bontà di questo misericor­dioso Spirito che, con gemiti ed insistenti suppliche, si adopera per salvarci! Affidatevi con amore ad un amico così fedele, ma poiché lo Spirito Santo prega per noi soprattutto nella santa Messa, ascoltatela qualche volta in azione di grazie per i suoi benefici e per onorarlo personalmente.

    CAPITOLO DICIOTTESIMO

    LA S. MESSA È LA GIOIA DELLA CORTE CELESTE


    La regina Ester non provò mai tanta gioia come quan­do fu scelta da Assuero, fra tutte le giovani del suo vasto impero, per farla sedere sul suo trono. E così la più grande gioia della Madre di Dio sembra essere stata quella di essere chiamata dal suo Figliolo alla celeste gloria, innalzata al disopra di tutti i cori degli angeli e coronata regina del Cielo e della terra. Noi non possiamo farci un'idea della purezza e dell'elevatezza di una tale felicità, perché in questa vita terrestre siamo estranei ai senti­ménti puramente soprannaturali e non riusciamo a concepirli.

    La S. Messa é la più dolce gioia della Madonna e dei Santi

    Come provare il senso della mia frase: la santa Messa è la più dolce gioia di Maria e dei santi? Ve lo spiegherò attraverso le parole del beato Alano, che lo aveva appreso grazie ad una rivelazione. Gli fu detto: "Nella stessa maniera che la divina Sapienza ha scelto una vergine fra tutte, dalla quale doveva na­scere il Salvatore del mondo, ugualmente il Salvatore ha istitui­to il sacerdozio per distribuire al mondo, in qualsiasi momento, i tesori della Redenzione, attraverso il santo Sacrificio della Messa e per mezzo dei sacramenti. Ecco la più grande gioia della Ma­dre di Dio, la delizia dei beati, il più sicuro soccorso dei vivi e la migliore consolazione delle anime del purgatorio".

    La Madre di Dio, come tutti i santi, gioisce per una doppia beatitudine: la beatitudine essenziale e la beatitudine accidentale.

    La prima consiste nella visione e nel possesso di Dio, secondo il grado di gloria nel quale essi sono stati fissati nel momento della loro entrata in cielo. Questa beatitudine essen­ziale non può né diminuire né aumentare.

    La beatitudine accidentale consiste negli onori parti­colari che Dio, gli altri santi o gli uomini rendono ai beati. Noi possiamo credere, per esempio, che quando noi celebriamo la loro festa sulla terra, essi ricevono degli onori particolari in cielo e che tutte le nostre preghiere e le buone opere compiute in loro onore sono a loro presentate dai nostri angeli come un mazzo di fiori dal profumo delizioso.

    Le Rive1azioni di santa Geltrude confermano questa credenza e il Vangelo la indica chiaramente attraverso queste parole di nostro Signore: "Vi dico, in verità, c'è una grande gioia nel cielo quando un peccatore fa penitenza". questa gio­ia, per il Buon Pastore, per gli angeli e per i santi, si rinnova ad ogni ritorno di una pecorella smarrita, ma cessa quando il pec­catore lascia di nuovo l'ovile per una ricaduta nel peccato. Questo breve chiarimento vi farà comprendere perché la san­ta Messa è la più grande gioia di Maria: è la sua più grande gioia accidentale che sorpassa tutte le altre felicità di quest'or­dine.

    Se in onore della Regina del Cielo voi recitate il rosa­rio, l'ufficio, le litanie o cantate degl'inni, mentre un altro sente piamente la santa Messa, quest'ultimo avrà compiuto un atto di religione molto superiore e in più avrà causato un piacere infini­tamente più grande alla santa Vergine, rinnovando sotto i suoi occhi la presenza del suo dolcissimo Figlio.

    Quello che rende ancora la santa Messa molto cara alla santa Vergine è il suo zelo per la gloria di Dio, che la Maestà divina fa soprattutto consistere nella salvezza delle anime. At­traverso il santo Sacrificio dell'altare noi rendiamo all'augusta Trinità il solo omaggio degno di essa e glielo offriamo nello stes­so tempo al prezzo della Redenzione del genere umano. Ancora una volta quale piacere così gradevole, così soave, così perfetto per Maria di vederci attorno all'Altare dove il suo figlio amatissimo è adorato, dove noi piangiamo i nostri peccati, dove noi contempliamo la dolorosa passione e dove il Preziosissimo Sangue è sparso sulle nostre anime.

    Da tutto questo comprendete facilmente con quale be­nevolenza la santa Vergine accoglie la preghiera dei cristiani de­voti al santo Sacrificio della Messa. Ciò è confermato da un rac­conto del Baronio. Nel 998, Roberto, re di Francia, assediava il castello di St. Germain. Gli assediati si difendevano eroicamente e l'armata del re non riusciva a penetrare nel castello. Al sesto giorno, Roberto esasperato comandò l'assalto, ma c'era molto da temere. Spaventati, gli assediati si rivolsero al beato Gisleberto, monaco dell'ordine di san Benedetto, che li esortò a confidare in Maria. Egli stesso celebrò la santa Messa in onore della beata Vergine e le truppe vi assistettero con grande devozione. Mentre tutti erano in preghiera, una nebbia fitta avvolse la fortezza ed i suoi dintorni. L'attacco diventava impossibile, mentre dall'alto delle torri, la guarnigione seguiva tutti i movimenti degli assalitori e infliggeva loro delle notevoli perdite. Roberto, vedendo la sua ar­mata così indebolita, levò l'assedio e si allontanò rapidamente. Senza dubbio, Maria non risponde sempre con dei miracoli eclatanti alle nostre grida di disperazione, ma giammai la invo­chiamo invano e siccome Lei è, per la sua dignità di Madre di Dio, incomparabilmente più vicina all'adorabile Trinità degli al­tri santi, la sua intercessione è più potente della loro.

    Maria ha del resto rivelato l'efficacia della sua preghie­ra al beato Alano. Ecco che cosa dice il santo religioso:

    1) Tutto ciò che Maria domanda a Dio le è accordato.

    2) Dio ha deciso di essere misericordioso verso tutti quelli per i quali Lei prega.

    3) La sua intercessione ha una grande influenza sul destino degli uominì.

    4) Lei ama i peccatori più di quanto un uomo ne possa amare un altro.

    5) Lei desidera talmente la loro salvezza che sarebbe pronta, se Dio lo permettesse, a dare soddisfazione per ciascuno di essi per mezzo di tutte le pene possibili.

    6) Il minimo atto, fatto in suo onore, vale più del culto di tutti gli altri santi.

    7) Una sola “Ave Maria” recitata piamente è accolta da Lei come un dono molto prezioso.

    8) Come il cielo intero vince in splendore una stella, così la misericordia di Maria sorpassa quella degli altri santi.

    9) Come il sole è più utile alla terra di tutti gli altri astri, così l'intercessione di Maria è più efficace di quella degli altri santi.

    10) L'omaggio che rendiamo a Maria rende felici tut­ti i santi.

    11) L'omaggio che si rende ai santi è simile all'argento, quello che rendiamo a Maria è come l'oro, quello reso a Gesù Cristo è paragonabile alle pietre preziose, mentre quello che ren­diamo alla SS. Trinità brilla come le stelle del cielo.

    12) Maria libera ogni giorno qualche anima dal purgatorio.

    Questi dodici privilegi sono come la corona delle dodi­ci stelle che san Giovanni ha intravisto sulla testa di Maria. Chiun­que la contempla con attenzione si sente irresistibilmente attrat­to verso il culto della Madonna. In effetti, chi non la saluterebbe con la gioia di un'Ave Maria sapendo che questa breve preghie­ra le è infinitamente preziosa? Chi non si costituirebbe suo ser­vo poiché il servizio che a Lei si rende sorpassa tutti quelli che si possono rendere ai santi? Mettete quindi tutto il vostro zelo per rallegrare ed onorare la santissima Vergine, soprattutto per mezzo dell'assistenza alla santa Messa. Ricordatevi che ad ogni Messa, Gesù rinnova la sua nascita, in modo che la dignità materna di Maria rifulga di un nuovo splendore.

    Resta ancora da esporre quale vantaggio è la santa Messa per i santi.

    Noi rendiamo omaggi ai santi, essi sono gli amici di Dio che è il primo ad onorarli: "Essi seguono il Cristo con dei vestiti bianchi, perché ne sono degni", ed è di essi che nostro Signore dice: "Chi vi glorifica, mi glorifica". Durante la loro vita essi sono fuggiti dagli onori e si sono loro stessi mortificati; hanno sofferto pazientemente le umiliazioni, gli insulti, le per­secuzioni dei cattivi. Per questo Dio fa splendere la loro inno­cenza e la loro virtù e vuole che essi siano riveriti da tutta la cristianità.

    La storia di Mardocheo ne è l'esempio. Il pio servitore di Dio fu crudelmente perseguitato dall'orgoglioso Aman, ma l'Altissimo si prese gioco delle intenzioni perverse del favorito di Assuero e glorificò Mardocheo davanti a tutto il popolo. Quan­do il re domandò ad Aman: "Che cosa si deve fare per onorare colui che il re desidera colmare d'onore?", Aman pensando che si trattasse di lui rispose: "Bisogna che l'uomo che il re vuole onorare sia vestito con abiti regali, che monti lo stesso cavallo che il re ha l'abitudine di montare, che abbia il diadema regale sulla sua testa e che il primo dei principi e dei grandi della corte tenga il suo cavallo e marciando per le vie della città gridi che è così che deve essere onorato colui che il re vuole onorare". Il re gli rispose: "Sbrigatevi, prendete un vestito e un cavallo e tratta­te come avete detto il giudeo Mardocheo che è davanti alla por­ta del palazzo. Fate attenzione di non dimenticare nulla di tutto quello che dovete dire". Se questo re pagano ha così esaltato il servizio di un uomo, quale gloria Dio riserverà ai suoi fedeli servitori? Di quale magnificenza non li circonderà nel giorno del loro beato ingresso nel cielo, nel giorno nel quale la Chiesa celebra la loro festa sulla terra? Sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, la Chiesa esprime la sua ammirazione per i suoi figli vit­toriosi, attraverso gli offici propri del breviario, dei canti, delle preghiere, delle prediche, delle processioni, dei pellegrinaggi, ma principalmente attraverso il santo Sacrificio della Messa. "Così sarà onorato colui che piacerà al re del cielo di onorare". In verità, l'onore più eccellente, lo si rende ai santi attraverso il Sacrificio dell'altare, se vi si assiste o se lo si fa celebrare con l'intenzione di aumentare la loro felicità accidentale. Per onora­re un principe si dà spesso qualche rappresentazione teatrale ed egli ne prova piacere anche se nell'opera non si parla di lui. Allo stesso modo, quantunque la Messa non rappresenti che la vita e la passione del Signore, i santi provano una grande gioia e delle singolari delizie, quando questo spettacolo ha luogo in loro ono­re e il cielo intero ne è rallegrato.

    Quando il sacerdote pronuncia il loro nome, il loro cuore si commuove, poiché rimarca san Crisostomo: "Volendo il popolo esaltare le prodezze del re che ha riportato la vittoria, loderà anche i compagni d'armi dell'eroe che hanno validamente respinto il nemico. Nello stesso tempo è un grande onore per i santi essere nominati alla presenza del loro Signore, di cui si celebra trionfalmente la passione e la morte e di ascoltare le lodi delle imprese che essi hanno compiuto contro il demonio". Molina scrive sullo stesso soggetto: "Non potrebbe essere cosa più gradita ai santi dell'offerta del santo Sacrificio, a loro nome, alla SS. Trinità, per esprimere la riconoscenza per le grazie che essi hanno ricevuto e in ricordo dei meriti che hanno acquista­to". Santa Geltrude osservava questa pratica e la insegnava alle sue religiose e per questo nostro Signore le accordava spesso di constatarne l'efficacia. Nelle Rivelazioni si legge: "Il giorno di san Michele durante la Messa, ella offrì a Dio Padre il sacra­mento del Corpo e del Sangue del Salvatore, invocando i principi del cielo e rallegrandosi della loro gloria e della loro beatitudine eterna. Nostro Signore, attirando a sé in maniera ineffabile il SS. Sacramento, provocò nei cori angelici delle gioie così ab­bondanti e così piene che essi ne facevano la loro sola beatitudi­ne. Allora tutti gli angeli piegarono le ginocchia, in maniera molto rispettosa, davanti a santa Geltrude, per testimoniarle quanto stimassero il beneficio che ella aveva loro procurato e per rassi­curaila che avrebbero messo tutto l'impegno possibile per cu­stodiria e conservaila e per renderla degna di apparire davanti al suo Sposo con tutti gli ornamenti che egli ama".

    Notate che santa Geltrude offre il santo Sacramento, non a san Michele o ad altri angeli, ma a Dio Padre e voi non troverete scritto in nessuna parte di questo libro che il santo Sa­crificio possa essere offerto a Maria, agli angeli o ai beati. E’ spesso offerto in onore della SS. Trinità e il nome dei santi viene solamente menzionato, poiché, dice sant'Agostino: "Noi non innalziamo altari ai martiri, ma offriamo il sacrificio in loro memoria . quale sacerdote ha mai detto all'altare dove riposa­no le reliquie dei santi: "Noi vi offriamo il sacrificio, o san Pietro o san Paolo o san Cipriano?". Il Concilio di Trento si serve qua­si degli stessi termini: "quantunque la Chiesa abbia la consue­tudine di celebrare la Messa in onore dei santi, essa non intende offrirla a loro, ma a Dio che li ha incoronati". Così il sacerdote non dice: "Io vi offro questo sacrificio o san Pietro o san Paolo", ma ringraziando Dio della vittoria accordata a tali santi, egli domanda a quelli di cui celebriamo la festa sulla terra, di inter­cedere per noi in cielo. La Chiesa continua: "Se qualcuno dice che è illecito celebrare la Messa in onore dei santi per ottenere la loro intercessione presso Dio, sia anatema".

    Usate dunque il vostro sbalorditivo potere per aumen­tare la bontà accidentale degli eletti, offrendo il santo Sacrificio, in loro onore, alla SS. Trinità e all'elevazione dite a Dio: "Vi offro il Vostro caro Figlio, per la più grande gloria e per la più grande gioia del beato N.". Prima di andare in chiesa, abbiate cura di consultare il calendario, senza mai dimenticare il vostro santo patrono, e nell'ora della morte, benedirete il giorno in cui avete abbracciato questa salutare pratica.

  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 1.222
    Sesso: Femminile
    00 07/09/2009 17:03
    CAPITOLO DICIANNOVESIMO

    LA S. MESSA È’ IL PIÙ GRAN BENE DEI FEDELI

    TESTIMONIANZE DEI SANTI PADRI


    Il materiale a disposizione su questo argomento è va­stissimo, quindi mi limiterò alla citazione di alcune affermazio­ni di autori spirituali e dei santi Padri che abbondantemente hanno scritto su questo soggetto, poiché sarebbe impossibile rias­sumerle tutte.

    San Lorenzo Giustiniani dice: "Nessuna lingua umana potrebbe elencare i favori dei quali è sorgente il santo Sacrifi­cio". Poi aggiunge: "Con l'offerta della Messa il peccatore sì riconcilia con Dio, il giusto diviene più giusto, le colpe sono can­cellate, i vizi annientati, le virtù e i meriti aumentati, le astuzie del demonio sono confuse".

    Il p. Molina, certosino spagnolo, ci ha lasciato sulla Messa scritti capaci di accendere in tutti i cuori il più ardente amore per questo augusto Sacrificio. "Niente - egli scrive – è così necessario all'uomo pellegrino, né così utile alle anime del purgatorio come la santa Messa. La sua eccellenza è tale che tutte le buone opere e tutte le più grandi virtù, paragonate ad essa, non hanno quasi alcun valore". Questa dottrina confonde l'intelligenza. Come si può ammettere che tutte le buone opere del mondo, compiute con vera devozione, ferma attenzione, profonda umiltà e irreprensibile purezza d'intenzione, restino al di sotto di una sola Messa? Ma cesserà la vostra meraviglia se riflettete sulle verità esposte nel capitolo precedente. D'altra parte, ecco le testimonianze dei Dottori. "Colui - scrive il Fornero - che non avendo peccati mortali sulla coscienza, assiste devotamente alla Messa, acquista più meriti che se, per amor di Dio, compisse le opere più penose, perché traendo gli atti di religione il proprio valore e la propria dignità dal loro oggetto, non può esservene più nobile, più prezioso di questo augusto Sacrificio. Tutti quelli, dunque, che cercano il loro profitto spirituale non hanno niente di meglio da fare che offrire al Signore quest'ope­ra incomparabile". In altri termini: per una sola Messa ascolta­ta in stato di grazia, otteniamo da Dio più che se compissimo, per amor suo, i più lontani e penosi pellegrinaggi, nonché gli atti più eroici. Chi non cercherà di acquistare così grandi meriti e di procurare all'Onnipotente un tale onore? A parer mio un uomo che, per recarsi ad un lontano santuario, lasciasse la Mes­sa, agirebbe inconsideratamente, non potendo, i meriti del viag­gio, compensare quelli perduti con tale omissione.

    Utilità del S. Sacrificio

    Anche Marchant ha parlato dell'utilità del santo Sacri­ficio: "La Chiesa cattolica - dice - non può fare niente che sia migliore, più santo, più degno di Dio, più gradito a Gesù, a Maria, agli angeli, ai santi, più profittevole ai giusti ed ai peccatori e più salutare alle anime del purgatorio, che offrire la santa Messa". Come potete capire da queste parole, i Dottori non esitano nel definire la grandezza della Messa. Ma ascoltate ancora. Nel Prefazio della Messa, la Chiesa, volendo dare ai sacerdoti un'al­ta idea di questo olocausto, li assicura che, per una sola oblazione, si rende a Dio onnipotente un omaggio molto più grande che acquistando ogni genere di meriti e sopportando ogni sofferen­za. Parole ammirabili che esprimono perfettamente l'infinito valore del santo Sacrificio! Ma forse vi stupisce questo insegna­mento, o cristiani, e pensate che sia necessaria una spiegazione che soddisfi il vostro spirito. Volete dunque sapere perché la santa Messa è al di sopra degli atti più eroici e anche del martirio? Perché il Salvatore, sull'altare, esercita tutte le virtù e offre al Padre suo la totalità dei suoi meriti; perché l'espressione di lode, di amore, di adorazione, di riconoscenza che deriva da questo Sacrificio sorpassa infinitamente tutte le opere degli angeli e dei santi a tal punto che se qualcuno presentasse alla SS. Trinità tutte le penitenze, tutte le preghiere, tutte le virtù degli apostoli, dei martiri, dei confessori, delle vergini e di tutti i beati, vedreb­be la sua offerta meno gradita di quella di una sola Messa cele­brata dal più umile dei sacerdoti.

    Come ultima prova aggiungo la testimonianza della Chiesa formulata nel Concilio di Trento il 17 settembre 1562: "Dobbiamo necessariamente confessare che i cristiani non pos­sono compiere un'opera così santa, così divina, quanto questo tremendo mistero, in cui il sacerdote ogni giorno immola sul­l'altare quella vittima vivificante che ci riconcilia con Dio Pa­dre".

    Se non avessimo altre autorevoli testimonianze, questa dovrebbe bastare per indurci ad ascoltare quotidianamente la santa Messa. Meditate, o cristiani, l'insegnamento della Chiesa, ma non pensate che essa voglia insinuarvi nella mente di trascu­rare ogni altra opera buona.

    Essa vuole insegnarci che i sacerdoti non possono fare niente di più divino che dire la Messa e i fedeli non possono fare niente di più santo che ascoltarla, servirla, recitarne le preghie­re, farla celebrare, offrirla in unione con il sacerdote.

    Aprite dunque gli occhi e le orecchie, o fedeli, ma apri­te soprattutto il cuore e ascoltate la dottrina della madre vostra, la Chiesa.

    Il S. Sacrificio della Messa supera tutte le nostre opere meritorie

    Per la maggior gloria di Dio e dei santi potete compie­re innumerevoli ed eccellenti azioni, ma non potete offrire loro niente di più gradito del santo Sacrificio. Potete compiere molte opere buone, ma non potete fare niente di così salutare, di così utile come l'assistere devotamente alla santa Messa. Come il sole splende più di tutte le stelle e, da solo, benefica la terra più di tutti gli astri, così l'ascoltare con devozione la Messa supera tut­te le altre opere meritorie della giornata.

    Come un piccolo frammento d'oro è più pregevole di un grosso pezzo di piombo, così la pia assistenza alla Messa, vale infinitamente più di tutte le preghiere e di tutte le opere di penitenza. Che penseremo, allora, della nostra negligenza, del­le nostre omissioni, dei frivoli pretesti che ci servono di scusa per non assistere alla Messa? San Francesco di Sales teneva in così alta considerazione l'udire la Messa che la preferiva anche alla meditazione, esercizio che tutti i maestri di spirito mettono al di sopra delle altre preghiere.

    A santa Giovanna Francesca Fremiot di Chantal, sua figlia spirituale, mandata a fondare un convento, scriveva così:

    "Mia cara figlia, vi prego prima di tutto di erigere una cappella, affinché ogni giorno possiate ascoltare la Messa, ma se non po­tete farlo, non mancate mai di recarvi, con modestia, alla chiesa più vicina, per assistere a questo divin Sacrificio: l'anima, du­rante il giorno, è molto confortata se la mattina è stata accanto al suo Salvatore, realmente presente nei santi Misteri". La san­ta domandò al suo padre spirituale: "Durante la settimana, devo sacrificare l'orazione mentale per ascoltare la Messa, o trala­sciare la Messa per darmi all'orazione?". Il santo rispose: "Vi è molto più utile assistere ogni giorno al santo Sacrificio che omet­terlo per restare in casa a pregare. La presenza corporale del­l'umanità del Salvatore non può essere sostituita dalla sua pre­senza spirituale e perciò la Chiesa incoraggia i fedeli ad ascolta­re ogni giorno la Messa".

    Come il santo Vescovo di Ginevra, il Fornero preferi­sce la Messa all'orazione anche quando questa ha per oggetto la vita e la passione di Gesù Cristo: "La preghiera del cristiano che ascolta devotamente la Messa, supera - dice - le preghiere più lunghe e anche la contemplazione celeste. Causa di questa su­premazia sono i meriti della passione di nostro Signore Gesù Cristo, sorgente di innumerevoli grazie, veri torrenti di beni so­prannaturali.

    Se vi piace meditare la vita e la passione di Gesù Cristo scegliete, per fare questo, il tempo della santa Messa, in cui ave­te davanti agli occhi questi augusti misteri. Vi piace immaginar­vi Gesù sulla terra e intrattenervi con lui? Pensate che sull'altare è realmente presente nella sua divinità e nella sua umanità. La vista del sacerdote non può certamente nuocere al vostro racco­glimento, perché il seguire i suoi atti e stare attenti al significato delle cerimonie che compie, anziché una distrazione è piuttosto un'applicazione dello spirito".

    Episodio che dimostra quale fonte di bene sia per l'ani­ma il S. Sacrificio

    Come conclusione di questo capitolo, riporterò un fat­to che racconta Luca Pinelli. Un povero operaio aveva una par­ticolare devozione alla santa Messa e quando poteva, non man­cava mai di assistervi. Un giorno si alzò di buon mattino, per recarsi sulla piazza del mercato, dove, secondo l'uso del tempo, gli operai aspettavano qualcuno che venisse ad offrirgli un lavo­ro. Mentre aspettava, sentì suonare le campane della chiesa e allora egli lasciò i suoi compagni e andò immediatamente in chiesa per assistere al santo Sacrificio con vero fervore e, dopo la celebrazione, restò ancora qualche momento in chiesa, do­mandando a Dio di accordargli il nutrimento quotidiano. Al suo ritorno in piazza tutti gli operai erano partiti per il lavoro. Dopo aver aspettato a lungo si incamminò verso casa, ma poco dopo incontrò un ricco signore che, saputa la causa del suo di­spiacere, gli disse: "Invece di desolarti, vai ad ascoltare un'altra Messa secondo la mia intenzione ed io ti pagherò la giornata". L'operaio ritornò in chiesa, ascoltò tutte le Messe che vi si cele­bravano e poi si recò a casa del signore che gli offrì un buon pasto e una moneta d'argento. Ben rifocillato e ben pagato, rin­graziò con effusione e, questa volta tutto giulivo, riprese la stra­da di casa. Ad un tratto gli si presentò davanti un viaggiatore dall'aspetto nobile e simpatico e gli domandò il motivo della sua gaiezza. L'operaio raccontò la sua storia, lodando molto la ge­nerosità del benefattore, ma il suo interlocutore non fu dello stesso parere. "questo ricco - disse - ti ha dato poco per tante Messe; vai ad avvertirlo che se non fa di più per te se ne pentirà".

    L'operaio ubbidì e riferì fedelmente al suo benefattore la conversazione avuta con lo sconosciuto del quale gli descrisse l'affabilità e l'aria imponente. Il signore, immaginando che lo sconosciuto fosse un santo, diede cinque scudi al povero uomo e gli raccomandò di pregare per lui. Il buon operaio, appena usci­to, incontrò di nuovo il misterioso personaggio che gli doman­dò: "quanto hai ricevuto?". L'operaio elogiò di nuovo la gene­rosità del ricco signore e mostrò l'offerta ricevuta.

    "Ritorna da quel signore e digli che se non ti dà cento scudi, domani non sarà più in vita". Al brav'uomo ripugnava tornare a chiedere altri denari, ma fu tale e tanta l'insistenza di quel forestiero che alla fine obbedì. Il ricco che era un gran pec­catore e non si era mai confessato si impaurì tanto nel sentire una tale predizione che preferì dare cento scudi, anziché esporsi ad una morte così vicina.

    La notte seguente Gesù Cristo gli apparve in sogno e gli disse: "Sono stato io che ho fatto ritornare per due volte da te quell'operaio. L'ho fatto perché il demonio domandava vendet­ta alla mia severa giustizia contro di te, per certi peccati gravi che non hai mai confessato e che gli davano potere sull'anima tua. Fortunatamente per te, quest'uomo ha ascoltato la Messa secondo la tua intenzione, con tal fervore che ho sospeso la sen­tenza per lasciarti il tempo di pentirti. Confessa i tuoi delitti, migliora la tua vita e sii generoso verso colui che ti ha salvato con le sue preghiere". Il ricco signore obbedì e da allora assistet­te assiduamente alla santa Messa, Sacrificio augusto, che gli fu più utile di tutte le sue ricchezze, perché esso riscattò dalla morte il corpo e l’anima.

    Sorge spontanea una domanda: dunque si può stabili­re un prezzo per la celebrazione della Messa? No, sarebbe rin­novare l'azione di Giuda che vendette il suo Salvatore. Allora, perché i sacerdoti accettano il denaro? Lo possono accettare perché san Paolo ha detto: "Chi serve l'altare deve vivere del­l'altare". I sacerdoti ricevono gli onorari come ricompensa del­la loro fatica, non come prezzo del Sacrificio, cosa che costitui­rebbe peccato di simonia. Per esempio: una povera donna dice ad una pia signora: "Oggi ho ascoltato la Messa e me ne sono applicati i frutti, ma se mi fate l'elemosina ve li lascio". Questa povera agirebbe malissimo, perché cercherebbe di cambiare le cose spirituali con un bene temporale, cambio d'altra parte im­possibile, essendo i meriti della Messa applicati nel momento che si celebra, sia ai presenti, sia a quelli per i quali è stata detta. Se voi non l'ascoltate né per voi né per il prossimo, il merito è versato nel tesoro della Chiesa, del quale nessuno di noi possie­de la chiave. Potete disporre prima dei frutti del santo Sacrificio, designando la persona per la quale lo fate celebrare o l'intenzio­ne per cui vi assistete. Per esempio: un mendicante dice ad un ricco: "Datemi un pezzo di pane ed io ascolterò la Messa per voi". Questo linguaggio è irreprensibile, come insegna padre Gobat, volendo significare questo: voglio privarmi, a vostro pro­fitto, della mia ricompensa. In questa specie di contratto chi ri­nuncia ai benefici della Messa cede infinitamente più di quel che guadagna, per quanto magnifica possa essere la retribuzio­ne che ne ottiene, poiché ascoltando la Messa ha diritto, ex opere operato, in virtù dell'efficacia propria del Sacrificio, ad una parte dei meriti di Gesù Cristo. Se, in cambio di qualche centesimo, vi si lascia questo ricco tesoro, fate un cambio tale che non potre­ste concluderne uno più vantaggioso.

    CAPITOLO VENTESIMO

    LA SANTA MESSA È IL MEZZO PIÙ SICURO PER AUMENTARE IN NOI LA GRAZIA DIVINA E LA GLORIA CELESTE


    Nella città dove si usa fare il mercato, si mette in vendi­ta una grande quantità di oggetti. Anche la Chiesa e il Cielo hanno il loro mercato per vendere la grazia divina e la gloria celeste. Ma queste sono cose rare e preziose e quindi dove pos­siamo noi trovare il denaro sufficiente per comperarle? State tranquilli, si possono acquistare senza denaro contante.

    Il profeta Isaia ci invita a prendere parte a questo mer­cato, quando dice: "Voi, che non avete denaro, affrettatevi, comperate e mangiate, venite, comperate senza denaro e senz'altra permuta". Anche il salmista dice che queste celesti mercanzie si danno gratuitamente: "Il Signore donerà la gloria e la grazia". E’ vero che le dona spesso, ma raramente le dispen­sa con tale abbondanza come nella santa Messa. Per compren­dere questo è necessario, prima, spiegare che cos'è la grazia san­tificante. La grazia santificante è un dono soprannaturale che rende l'uomo gradito a Dio e degno della vita eterna. La grazia si unisce all'anima e resta sempre con essa, se non ne è scacciata dal peccato mortale. Si distinguono due specie di grazie: quella che, riportando l'anima dalla morte alla vita fa del peccatore un giusto e quella che, per le buone opere, fa crescere il giusto nella santità. San Tommaso ci insegna quanto è preziosa la grazia: "La più piccola grazia - dice - vale più di tutto l'oro del mon­do". Verità sorprendente, ma certissima, poiché l'uomo che pos­siede la grazia santificante, anche nel suo grado più basso, è amico del suo Creatore e se muore in questo stato ha diritto alle ricchezze celesti e al possesso di Dio, secondo la celebre promes­sa fatta ad Abramo: "Io sono il tuo protettore e la tua sovrab­bondante ricompensa". Ma poiché tutti i tesori del cielo e della terra si riuniscono in Dio e l'Essere di Dio ha più valore di tutto ciò che è nel cielo e sulla terra, ne consegue che l'uomo in stato di grazia è infinitamente più ricco che se avesse guadagnato l'uni­verso.

    La Santa Messa accresce la bellezza di un 'anima in grazia

    Aumentiamo questa fortuna incomparabile, non sol­tanto con le buone opere e con quelle eroiche, ma con tutte quelle che hanno un merito soprannaturale, come i buoni pen­sieri, i santi desideri, le giaculatorie, che raddoppiano, centuplicano quaggiù, in noi, la grazia e che dopo la morte ac­cresceranno la nostra beatitudine. Tale è la testimonianza del Salvatore: "Un bicchiere d'acqua dato in nome mio, non reste­rà senza ricompensa". Il che significa che Dio, per quella picco­la carità si comunica di più all'anima, si fa meglio conoscere da lei, perché essa possa perfettamente godere di Lui e amarlo con più ardore. Cerchiamo di approfondire questo argomento. La grazia riveste l'anima di una tale bellezza che al suo confronto lo splendore del sole e delle stelle non resiste e l'incanto dei fiori sparisce. Dirò di più: se vi fosse concesso di contemplare una volta soltanto questo meraviglioso spettacolo, tutte le magnifi­cenze della creazione non varrebbero più niente ai vostri occhi. Questo effetto ammirabile è prodotto dalla natura propria della grazia, a seconda che essa sia più o meno abbondante.

    La grazia è il vincolo della carità, se non la carità stes­sa, e per essa Dio e la creatura si amano e diventano confidenti e amici. Quando l'anima santa si lascia accendere dall'amore di Dio, è da Dio stesso talmente riamata ed Egli preferisce la sua compagnia a tutti gli splendori del cielo. E benché sia come feri­to dalla tiepidezza, non può decidersi a ritirarsi dall'anima e malgrado tutte le indelicatezze che gli rendono penosa una tale dimora, vi resta fino alla venuta del peccato mortale. Ma nean­che allora si allontana del tutto e sta davanti alla porta chiusa, bussa dolcemente e chiede di rientrare: "Vedete, sono alla porta e busso e se qualcuno mi apre, entrerò da lui". In virtù di que­st'amicizia Dio comunica all'anima tutti i suoi beni: il fervore, le consolazioni, i buoni desideri e la gioia interna, la protegge e la fortifica, la governa e la dirige e finalmente si unisce strettamen­te a lei, secondo le parole di san Pietro: "Ci ha dato i grandissimi e preziosissimi beni che aveva promesso per farci così partecipi della natura divina". Ah! Noi che stimiamo tanto i doni del mondo, quanto più dovremmo sospirare la grazia che ci arric­chisce infinitamente! L' anima santificata, divenuta figlia di Dio è resa anche infinitamente nobile. Che incomparabile onore per il figlio di un mendicante essere adottato da un re! Ma quale onore mille volte più grande essere adottato dal Re dei re! San Giovanni è come rapito a questo pensiero: "Guardate l'amore che Dio ci ha dimostrato: ci chiama figli suoi e lo siamo in real­tà". E san Paolo conclude: "Se noi siamo i figli di Dio, siamo anche i suoi eredi". Essere eredi di Dio! Che avvenire e nello stesso tempo che gloria incomparabile! Perché se ci è impossibi­le comprendere l'Essere divino ci è altrettanto impossibile misu­rare la dignità alla quale ci eleva l'adoziòne divina. Da questo potete considerare quanto la grazia meriti le nostre aspirazioni ed i nostri sforzi. Abbiamo già detto che ad ogni aspirazione la grazia cresce nell'anima pura o che è stata purificata dal penti­mento e che, quanto migliore è l'opera, tanto più ricco diviene il tesoro. quale valore avrà dunque la santa Messa che è l'opera per eccellenza?

    "Non soltanto il sacerdote - dice un teologo - ma quelli che fan dire la Messa o che vi assistono hanno diritto, a titolo di giustizia, de condigno come parla la Scuola, ad un accrescimento di grazia e di gloria e questo vantaggio è assicurato loro ex opere operato, cioè in virtù del santo Sacrificio al quale cooperano". Il primo frutto lo riceve il sacerdote, che se non sempre ottiene tutto ciò che domanda, però è sempre, più o meno, esaudito secondo la vivezza della sua fede, l'ardore della sua devozione e l'esattezza nell'osservanza delle cerimonie.

    Quanto più perfette sono queste condizioni, tanto mag­giore è il profitto. Se esse in parte mancano, il merito è minore e sarebbe nullo se il sacerdote, invece di edificare i fedeli, li offen­desse nei loro sentimenti di pietà con una visibile disattenzione, con troppa fretta nel celebrare, oppure con un contegno poco rispettoso, ciò che purtroppo sarebbe segno manifesto della mancanza di buone disposizioni interiori. Dopo il sacerdote ri­cevono un aumento di grazia, purché non siano in stato di pec­cato mortale, coloro che fanno dire la Messa per sé o per altri. I presenti hanno la loro parte, non solamente in ragione della pietà che li ha condotti ai piedi dell'altare, ma anche in ricompensa delle virtù speciali che vi praticano. Essi, al ricordo dei loro pec­cati, eccitano nei loro cuori un nuovo pentimento ogni volta che si battono il petto, esercitano la loro fede considerando nell'Ostia santa Gesù Cristo presente che si offre al Padre per loro, il che è uno degli articoli fondamentali della fede cattolica. E se è stretto obbligo per noi testimoniare a nostro Signore tali sentimenti, non è però meno grande il piacere che prova il divin Salvatore nel riceverne l'omaggio.

    A questa sorgente attingerete anche con maggior ab­bondanza se, nel momento dell'elevazione dell'Ostia e del Cali- ce, deposto ogni pensiero terreno, con lo spirito levato al Cielo, offrirete all'eterno Padre il Corpo e il Sangue del suo Figliolo e se all'esercizio della carità riguardo a Dio, unirete l'esercizio della carità riguardo al prossimo, pregando il Signore di applicare i meriti del santo Sacrificio ai vostri fratelli vivi'o morti, soprat­tutto a quelli verso i quali avete obblighi speciali e infine se fare­te la comunione sacramentale, o almeno spirituale, insieme al sacerdote.

    Il Concilio di Trento formula la dottrina della Chiesa: "Dobbiamo necessariamente riconoscere che i cristiani non pos­sono compiere opera più santa, né più divina". Aggiungo che tanto più è gradito a Dio il vederci assistere con fervore all'augusto Sacrificio, quanto è maggiore il disprezzo che ne hanno gli ere­tici, dai quali è considerato come un'idolatria. Per quest'atto di riparazione, come attestano i santi Padri, saremo ricompensati con una generosità speciale.

    Il Signore ricompensa con doni spirituali le anime che assistono al S. Sacrificio

    San Cirillo afferma: "I doni spirituali saranno ricca­mente dispensati a quelli che assistono alla santa Messa con le convenienti disposizioni". San Cipriano dice ancora: "Il pane soprannaturale e il calice consacrato contribuiscono alla salute e alla vita di tutto l'uomo

    Il papa Innocenzo III afferma che "per l'efficacia del santo Sacrificio sono aumentate,in noi,tutte le virtù e ci sono largamente dispensati i frutti della grazia". San Massimo non è meno esplicito: "I cristiani non devono trascurare mai la Mes­sa, perché, durante la celebrazione del santo Sacrificio, le grazie dello Spirito Santo sono effuse sui presenti".

    "Nella santa Messa - dice il Fornero - in virtù della quale riceviamo veri torrenti di beni celesti, ci sono applicati abbondantemente i meriti della passione". Termino con la te­stimonianza di Osorio: "Se un padre consegna a suo figlio diecimila talenti per farli fruttare, questi, con un po' di zelo, ac­cumula una grossa fortuna. Ora il Padre celeste nella Messa vi dà un immenso capitale, affinché, simile all'evangelico mercan­te di perle, diveniate ricchissimi. Vi dà l'unico Figlio suo, nel quale, unita all'umanità, risiede la pienezza della divinità in cui sono accumulati tutti i tesori della divina Sapienza". San Pao­lo dice: "Non ci ha Egli donato tutto nel darci il suo Figliolo?". Non ci ha Egli dato tutte le ricchezze, tutti i meriti, tutte le sod­disfazioni di questo adorabile Salvatore? Non ci ha Egli dato la sua Carne, il suo Corpo e la sua Anima? Quanti benefici, quan­ta felicità e che immenso tesoro può accumulare chi abbia sol­tanto un poco di zelo! Se a queste grazie aggiungete i frutti dei quali abbiamo parlato al capitolo terzo, non vi sarà difficile com­prendere che nessun'altra opera del mondo potrebbe rivaleg­giare con questa.

    La santa Messa aumenta anche la nostra gloria nel Cielo e la gloria celeste è un bene inestimabile, il più degno dei nostri sforzi e dei nostri desideri. Tanto è vero che il più piccolo grado di essa è così prezioso da fare esclamare a san Paolo: "Né occhio umano ha mai visto, né orecchio ha mai udito ciò che Dio riser­va a coloro che lo amano". Chi potrà dunque descrivere la feli­cità di quelle anime che la possiedono in grado eminente? La Chiesa insegna che le buone opere aumentano in noi la grazia aumentando, in pari tempo, la causa della gloria celeste, ma non ce ne fa conoscere l'abbondanza.

    Basta dire "che il cristiano accumula meriti per la vita eterna ogni volta che assiste con devozione alla Messa". Tali sono le parole del Salvatore a santa Geltrude, parole che servo­no di luminoso commento al testo di san Luca: "Una misura giusta, pigiata, scossa e traboccante sarà versata nel vostro seno".

    L'assistenza alla S. Messa ci merita un nuovo grado di gloria

    Sì, è certo che nella Messa meritiamo un nuovo grado di gloria. La Messa è come una scala celeste: ogni volta che un'anima pia l'ascolta sale due gradi e quella che è più fervorosa ne sale tre e ancora più. In questa misteriosa ascensione più uno si avvicina a Dio e più lo conosce, lo ama e si unisce a Lui. Ad ogni grado di gloria si diventa più belli, più risplendenti, più piacevoli agli occhi dei santi. Quando assistete al santo Sacrifi­cio, la vostra azione è scritta nel Cielo e vi preparate lassù una sicura ricompensa, che potete perdere, è vero, col peccato mor­tale, ma che potete riprendere integralmente con un sincero pentimento. Che beatitudine, che ricchezze vi spettano dunque nell'eternità se sarete stati fedeli, durante la vostra vita, a questa pratica!

    Ascoltate san Paolo: "La tribolazione presente, che è leggera e momentanea, ci vale una gloria eterna sublime, smi­surata. Meditate questo dogma consolatore: un momento di sofferenza, retribuito con una eternità felice! Che dolce e pro­fondo mistero è questo, eppure, agli amanti della santa Messa, è promessa una gloria maggiore!

    Talvolta per recarvi in chiesa, specialmente se abitate lontano, dovete fare il sacrificio di passare per vie cattive e peri­colose, inasprite nell'inverno dai rigori della stagione, oppure dovete rimandare qualche lavoro necessario, rinunciare a qual­che guadagno, vincere la svogliatezza, sopportare il peso di una funzione eccessivamente prolungata, ma tutte queste prove, se saranno da voi sopportate per il servizio di Dio, saranno altret­tante sorgenti di gloria imperitura!

    Un esempio vi farà comprendere meglio questa verità. Pelbarto, frate francescano, narra che un contadino assisteva tutti i giorni alla Messa con fervore edificante. Sia che lavorasse nei campi o nel bosco, quando sentiva la campana, abbandonava il lavoro per correre in chiesa. Aveva preso fin da giovane questa pia abitudine e l'aveva conservata fino alla vecchiaia. Un giorno, come al solito, si recava in chiesa per assistere alla Messa, ma il cattivo tempo aveva reso impraticabile la strada. Il contadino pensò: "Ora che sono vecchio non posso far più come nella mia giovinezza. Non credo di dispiacere a Dio se, per l'avvenire, mi asterrò da queste fatiche. Quando mi troverò a casa andrò alla Messa, ma quando sarò nei campi l'offrirò continuando il mio lavoro". Men­tre fantasticava sentì che qualcuno si avvicinava e voltandosi vide il suo angelo custode, carico di una quantità di rose appena sboc­ciate. L'angelo era così bello che egli lo prese per lo stesso Dio e cadendo in ginocchio disse: "O Dio, perché appari a me, povero peccatore?". Lo spirito celeste gli rispose: "Non sono il Signore, ma il tuo angelo custode". "O caro protettore, che cosa significa questa apparizione?". "Dio mi ha ordinato di seguirti ogui volta che tu lasci i campi per andare alla Messa". "Perché?". "Perché ad ogni passo che tu fai, sotto i tuoi piedi sboccia una rosa ed io raccolgo questi fiori per portarli in Cielo. queste sono quelle che oggi ho trovato sul tuo cammino e perciò ti prego di desistere dalla tua decisione. Continua ad andare in chiesa, perché, se sarai perseverante fino alla fine dei tuoi giorni, nell'ora della tua morte ti coronerò di rose e con gli stessi fiori adornerò il tuo trono cele­ste". A queste parole l'angelo scomparve e il contadino, con gli occhi pieni di lacrime, baciò il terreno dove egli aveva cammina­to, ringraziando Dio di quell'insigne ed indimenticabile favore. La bellezza del celeste spirito e il profumo delle rose l'infiamma­rono di tanto amore per le cose celesti che d'allora in poi provò disgusto per tutte le cose della terra e quando poco dopo morì, parve consumato più dal desiderio del cielo che dalla malattia e ora gode gli splendori della gloria eterna.

    Se la fatica che gli costava l'andare fino alla chiesa era già tanto gradita a Dio, che cosa egli non avrà meritato e otte­nuto con l'ascoltare la Messa? Non ci è possibile ora misurare la grandezza della sua ricompensa, ma ne saremo testimoni un giorno e ne parteciperemo con lui, se, come lui, saremo fedeli e devoti alla santa Messa.

    Questi vantaggi poi appariranno tanto maggiori se con­sidereremo che, essendo la Comunione un mezzo fecondo di grazia e per conseguenza di gloria, la Messa ci offre un' occasio­ne naturale di comunicarci almeno spiritualmente.

    Vantaggi della comunione spirituale

    La maggior parte delle guarigioni furono, senza dub­bio, operate da Gesù Cristo durante la sua vita mortale, con l'imposizione delle mani o con qualche altro segno esteriore. Ma, pur senza entrare nelle loro case, risanò anche molti infer­mi, come ad esempio la figlia della Cananea e il servo del Centurione. Così se egli ricolma di favori quelli che frequentano la santa Messa e si comunicano sacramentalmente, si mostra generosissimo anche verso quelli che sospirano la sua visita.

    "Io sono il pane di vita - dice Gesù - colui che viene a me non avrà più fame e colui che crede in me non avrà mai sete". In altri termini, questo vuol dire che anche la comunio­ne spirituale ha la virtù di nutrire e dissetare le anime, poiché comunicarsi spiritualmente è andare a Gesù con la fede, con la speranza e con l'amore. Il Salvatore non ha legato la sua grazia al SS. Sacramento, in maniera tale che non possa più comuni­carla in altro modo, ma a certe anime, piene di ardenti desideri, accorda più grazie nella comunione spirituale che ad altre che si accostano tiepidamente alla comunione sacramentale, perché le grazie della comunione sacramentale o spirituale sono in rap­porto diretto col fervore.

    Ma, come si deve fare questa comunione? Rispondo con le parole del Fornero: "Tutti quelli che ascoltano la Messa in spirito di fede partecipano in una maniera mistica al Corpo di Cristo. La virtù della santa Messa è infatti così grande che, per riceverne i frutti, basta unirsi con l'intenzione al sacerdo­te". Insegnamento pratico e pieno di consolazione. Se voi desiderate fare la comunione spirituale e non sapete come, con­tentatevi, secondo quanto dice questo santo vescovo, di dire internamente: unisco la mia intenzione a quella del celebrante e desidero comunicarmi con lui, per prendere parte al santo Sacrificio. "Come le nostre membra - aggiunge il citato auto­re - si nutrono per mezzo della bocca, così le persone che assi­stono alla Messa, benché non si comunichino, si nutrono spiri­tualmente unendosi al sacerdote, poiché è conveniente che colui che, alla Mensa del Signore, si unisce spiritualmente con il sa­cerdote, sia con lui spiritualmente nutrito. E se non è ammissi­bile che l'invitato di un re non esca sazio dalla sala del ban­chetto, nemmeno si può ammettere che non riceva alcun ali­mento chi assiste alla santa Messa". Questo paragone prova abbastanza bene come tutti quelli che ascoltano piamente la santa Messa si comunichino spiritualmente. Ma Fornero con­tinua: "Come il vino nuovo riempie di odore la cantina fino ad inebriare coloro che vi si trovano, così la grazia, che emana dalla santa Messa, si diffonde sui presenti e li riempie di celesti dolcezze".

    Per confermare queste parole, desidero citare un esem­pio riportato da Piner. Nei dintorni di Norimberga abitava un contadino che conduceva una vita cristiana e lavorava onesta­mente per guadagnarsi il pane. Di tutti gli esercizi di pietà, pre­feriva la santa Messa e non la lasciava mai, se non per una vera necessità. Ne seguiva ogni parte attentamente, meditando, nella semplicità del suo cuore, la passione del Salvatore. Quando il sacerdote si comunicava egli sentiva un gran desiderio di nutrir­si con lui del divino alimento, ma siccome nel paese era in uso di accostarsi alla sacra Mensa soltanto due volte l'anno, sospiran­do egli pensava: "Che miseria non potersi comunicare ed essere così privo di tante grazie! O dolce Gesù, tu sai con quanta gioia ti riceverei, ma poiché mi è vietato di mangiare questo pane celeste ti prego almeno di saziarmene spiritualmente". Pensan­do questo e mille cose simili, con desiderio ardentissimo, mentre il sacerdote si comunicava, apriva le labbra e metteva fuori la lingua, come se dovesse ricevere le sacre Specie. Un giorno, mentre era assorto in questi pensieri, sentì sulla lingua una par­ticella d'Ostia e senza domandarsi come fosse venuta, si comu­nicò rispettosamente, provando in cuore una singolare dolcez­za. Da quel momento i suoi pii desideri non fecero che crescere e ogni mattina ricevette la stessa grazia. Ma una volta, tentato dalla curiosità, volle assicurarsi, toccandola con le dita, che quel che aveva sulla lingua fosse veramente una particella d'Ostia. Spaventatissimo, poi, della sua audacia, si affrettò ad inghiottire l'Ostia consacrata, ma ben presto si pentì di quel temerario ar­dimento, perché Dio gli ritirò immediatamente quell'insigne fa­vore, benché la sua anima continuasse ad essere fortificata ogni giorno con la comunione spirituale. questo desiderio, per mezzo del quale l'uomo può ot­tenere tante grazie, è santo e salutare, come afferma la Chiesa: "quelli che con il desiderio si nutrono del pane celeste posto loro davanti, ne sentono il frutto e l'utilità, in virtù di quella viva fede che feconda la carità". In altri termini, nella comunione spirituale si partecipa, come alla sacra Mensa, ai vantaggi di cui l'Eucaristia è la sorgente, anche se in una misura generalmente inferiore.

  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 1.222
    Sesso: Femminile
    00 07/09/2009 17:06
    CAPITOLO VENTUNESIMO

    LA S. MESSA È LA SPERANZA DEI MORIBONDI


    Soltanto chi ha sofferto la morte può sapere quanto è amara e noi possiamo farcene solo un'idea quando assistiamo un moribondo e siamo testimoni delle sue angosce e dei suoi sospiri. "Fra tutte le cose orribili - dice Aristotele - non ce n'è una più spaventosa della morte". questo è vero, non solamente perché la morte è la separazione dell'anima dal corpo, ma so­prattutto, cosa alla quale Aristotele non pensava abbastanza, perché è la porta dell'eternità e ci mette davanti alla severa giu­stizia di Dio. La viva rappresentazione di queste due cose che met­tono terrore, causano al moribondo una tale angoscia che il suo cuore trema e la fronte si copre di sudore freddo. Che fare in tal frangente? Come salvarsi dalla disperazione? Dove prendere la forza per resistere ai desolanti pensieri suggeriti dal demonio? E’ necessario che l'agonizzante si getti nel seno dell'infinita miseri­cordia divina e ci si attacchi fortemente. San Gregorio lo dice chiaramente: “Chi è stato fedele deve confidare nella misericor­dia di Dio, perché non l'abbandonerà; al contrario chi si è mostrato infedele non potrà contare su di essa.” Ma quante anime rispondono sempre alla grazia? Ne troviamo una su mille. Tutti noi che siamo nel mondo avremmo potuto, se l'avessimo fermamente voluto, fare meglio di quello che in realtà abbiamo fatto. Nell'ultima ora che cosa potrà rassi­curare il morente? quasi tutte le sue speranze sarebbero vane, all'infuori della Messa, se in vita l'ha amata e l'ha ascoltata con devozione. Lo provano le parole di David: "Offrite il sacrificio di giustizia e sperate nel Signore". Che cos'è il sacrificio di giu­stizia, se non la Messa, che cancella la colpa e ci permette di pagare in tutto o in parte il nostro debito? Gli olocausti dell'an­tica legge non avevano questa efficacia e perciò non potevano propriamente chiamarsi, "Sacrifici di giustizia". Fornero nota nel suo Commentario, che l'ultimo versetto del Miserere: "Offrite un sacrificio di giustizia e sperate nel Signore", è rivolto a tutti i cristiani, ma soprattutto ai sacerdoti che celebrano la Messa, per placare lo sdegno di Dio e cancellare la pena dovuta al pec­cato. Ascoltiamo quest'altro versetto tratto dai salmi: "Si sono arricchiti col frutto del frumento, col vino e con l'olio". I sacer­doti, unti con l'olio santo nella loro ordinazione, offrono all'al­tare i frutti del frumento e della vite che per la transustanziazione sono cambiati in una vittima infinitamente gradita all'Altissimo e per questa oblazione aumentano i loro meriti. David dice an­cora: "Io dormirò e riposerò in pace, o Signore, perché voi mi avete, in un modo speciale, confermato nella speranza!". Parla così in nome del cristiano morente e ci rivela su che cosa possia­mo contare di più nell'ora estrema. E la Chiesa, interpretando queste parole del salmista, le ripete tanto spesso nell'Ufficio dei morti: In pace requiescam, riposerò in pace; Requiescant in pace! La Chiesa formula lo stesso voto estendendolo a tutti i fedeli: Requiescant in pace! Signore, accordate loro il riposo.

    Il sacrificio di giustizia ci rende propizio l'eterno giu­dice

    L'uomo che durante la vita ha praticato il consiglio di David, offrendo giornalmente a Dio, col sacerdote, il Sacrificio di giustizia, può dunque sperare fermamente nella misericordia di Dio e ripetere col profeta re: "Mi addormenterò in pace, ri­poserò nella tomba fino all'ultimo giorno del giudizio, non temerò la morte eterna, perché tu, o Signore, mi hai confermato fortemente nella speranza. No, non posso credere che io cam­mini verso la dannazione, perché ti ho offerto così spesso il Sa­crificio di giustizia, il più gradito di tutti gli olocausti. Con que­sto ti ho procurato una felicità infinita, un onore immenso, ti ho reso un culto degno di Te, ho cancellato interamente la pena meritata per i miei peccati. Ecco il fondamento della mia confi­denza e mi addormenterò senza timore e non avrò paura di comparire davanti al tuo inesorabile tribunale".

    Ogni moribondo può così fortificarsi contro la dispera­zione, però è assolutamente necessario vivere secondo gli inse­gnamenti e gli esempi di Colui che si è immolato per noi sulla Croce. Non è difficile, specialmente nelle città, assistere ogni mattina al santo Sacrificio in unione al Sacerdote, perché ivi, d'ordinario, il clero si occupa con diligenza di ogni classe di fedeli.

    Allo spuntar del giorno si dice la Messa per chi deve andare al lavoro o a scuola, mentre, durante la giornata, tutti hanno la possibilità di assistervi, di modo che ognuno potrebbe, con poca fatica, procurarsi una fine felice, un giudizio favorevo­le, un'inestimabile ricompensa nel Cielo.

    Quelli che, contro la loro buona volontà, sono costretti a rimanere a casa, cerchino di riservarsi, se è possibile, in mezzo alle loro occupazioni, almeno un quarto d'ora per leggere le preghiere liturgiche.

    La fede ci insegna che i migliori motivi della speranza cristiana sono i meriti della passione e della morte del Salvatore, meriti che, alla Messa, si applicano a tutti quelli che vi assistono in stato di grazia. Perciò non potremmo trovare in nessuna cosa più giusto motivo di confidenza come nel santo Sacrificio. Ma, voi mi chiederete: i meriti di Gesù Cristo non ci vengono appli­cati nella Confessione e nella Comunione? Rispondo che c'è molta differenza fra colui che riceve i Sacramenti e colui che ascolta la Messa, perché il primo deve presentarsi con vero pen­timento e conveniente fervore, sotto pena di commettere un nuovo peccato, mentre al secondo non è necessaria la santità,e se, ascoltando la Messa, il giusto vi ottiene un accrescimento di favori, di meriti e la remissione di una parte della pena, il pecca­tore vi riceve grazie per giungere alla conversione.

    Voi obietterete che chiunque muore può contare sui meriti di Gesù Cristo che ha soddisfatto per tutti i nostri peccati e ci ha preservati dal fuoco eterno. E’ vero: ma bisogna ancora che la virtù della passione e della morte del Salvatore sia appli­cata all'anima nostra, senza di che la nostra speranza sarebbe vana. Ora la Chiesa insegna che: "I frutti del Sacrificio cruento della Croce sono applicati nella maniera più abbondante per il Sacrificio incruento". Altrove dice: "Il Sacrificio visibile è stato istituito affinché la virtù del Sacrificio della Croce fosse applica­ta alla remissione delle nostre colpe quotidiane". Un uomo, dunque, che durante la vita abbia ascoltato la Messa frequente­mente e con devozione, nell'ora della morte deve sentirsi pieno di singolare conforto.

    È’ possibile pensare che Dio sia adirato con me, se così spesso gli ho reso il più grande di tutti gli omaggi e fatto il più ricco di tutti i doni? È’ possibile che ricordi ancora quei peccati dei quali, ogni giorno, gli ho chiesto umilmente perdono? Non mi rimetterà dunque quelle pene in soddisfazione delle quali gli ho offerto i meriti del Figlio suo? È’ possibile che non abbia ascol­tato le mie preghiere, quando Gesù ha pregato con me a tante Messe e per me ha rinnovato tante volte l'effusione del suo San­gue? Il cristiano che ha questa speranza non confida né su di sé, né sui propri meriti, ma conta su Gesù Cristo, Figlio di Dio e sugli infiniti meriti di Lui, dei quali è fatto partecipe per mezzo dei divini Misteri. Conta sui preziosi doni offerti dalla mano del sacerdote alla divina bontà e sulla preghiera fatta, per la sua salute, dal Verbo. Noi possiamo, vogliamo e dobbiamo conside­rare questi commoventi motivi come i fondamenti della nostra speranza; speranza che potremmo prendere per una chimera se non ci fosse la rivelazione divina che ne allontana i dubbi. Infat­ti, come si potrebbe ammettere, con la sola luce della ragione, che Dio abbia stabilito, in favore del genere umano, una tale sorgente di misericordia? Così parlano quei Padri che con que­sto mezzo si sono preparati alla morte.

    San Teodoro Studite, fervente difensore della fede cat­tolica del IX secolo, fu colpito da una malattia mortale. Sul punto di spirare domandò a Dio, come grazia suprema, di permetter­gli di celebrare un'altra volta i santi Misteri, per armarsi contro gli ultimi assalti del demonio. Il male diminuì, il santo si alzò e disse la Messa con tanta pietà da commuovere tutti gli astanti che versavano lacrime. Fu questa la sua preparazione, perché, finita la Messa, si rimise a letto e si addormentò dolcemente nel Signore.

    Citiamo ancora san Tarasio, patriarca di Costantino­poli, che, nonostante fosse in stato di grandissimo deperimento, non cessò mai di celebrare la santa Messa con ardente amore verso Dio. Incapace di tenersi in piedi, si appoggiava col petto all'altare e continuò così fino all'ultimo giorno della sua vita.

    La migliore preparazione alla morte

    Molti santi sacerdoti anche oggi hanno la stessa devo­zione, non conoscendo migliore preparazione alla morte che la Messa quotidiana. I secolari, che ne abbiano la facoltà, la fanno dire nel loro oratorio privato o anche nella loro camera, quando vi sono trattenuti da una malattia. Felici quelli che persevere­ranno sino alla fine in una pratica così lodevole, perché dalla virtù soprannaturale di questo ineffabile Sacrificio saranno for­tificati contro gli attacchi del nemico. Il papa san Gregorio assi­cura che "il Sacrificio della Messa salva le anime dall'inferno". "L'elemosina - disse l'Arcangelo Raffaele al giovane Tobia - libera dalla morte, purifica l'anima e fa trovare la misericordia e la vita eterna". A maggior ragione questo versetto si potrebbe applicare ai santi Misteri! Ascoltate la parola di nostro Signore a santa Matilde: "Nell'ora della morte soccorrerò colui che avrà assistito al Sacrificio con assiduità e devozione e manderò ad accompagnarlo in quel tremendo viaggio tanti miei santi, quan­te Messe avrà ascoltato". O Gesù, se ti degnerai di compiere in me questa promessa, ripeterò morendo le parole di David: "Il Signore è il protettore della mia vita, di che avrò paura?". Sì, se manderai in mio soccorso tanti santi quante Messe avrò ascol­tate, metterò in fuga l'intera armata del demonio, perché basta un solo santo per cacciare via tutti gli spiriti infernali. Sii dun­que fedele, o Gesù e non permettere che la mia speranza sia delusa!

    Consolata dal ricordo del santo Sacrificio, l'anima che ha lasciato questo mondo, giunge, piena di confidenza, al tribu­nale di Dio. E sapete da chi è circondata quando si presenta davanti al Signore? Non posso descriverlo meglio che citando un fatto narrato da san Bonifacio, arcivescovo di Magonza, in una lettera ad Edelburge, sua sorella in Cristo.

    Nell'anno 716, nel monastero dell'abbadessa Milburge, un monaco risuscitato raccontò al santo vescovo che, chiamato al giudizio di Dio, tutti i peccati che aveva commesso gli vennero davanti, uno dopo l'altro, come se fossero esseri viventi. Uno gli diceva: "Sono la vanagloria per la quale hai cercato di innalzarti sul tuo prossimo"; un altro: "Sono la men­zogna nella quale sei caduto"; altri ancora: "Siamo le parole inutili che hai detto, siamo gli sguardi che hai rivolto sopra oggetti proibiti, siamo le distrazioni alle quali ti sei abbando­nato in chiesa e altrove". Tutti questi fantasmi lo accusavano con grida spaventose. Anche i demoni deponevano contro di lui e precisavano i tempi e i luoghi in cui si era reso colpevole. Si fecero poi sentire anche le poche opere buone che aveva compiuto: "Sono l'obbedienza che hai avuto verso i superiori, siamo i digiuni coi quali hai castigato il tuo corpo, siamo le preghiere che hai recitato". Tutte queste voci lo consolavano, mentre gli angeli, dal canto loro, prendevano le sue difese rendendo noto il bene che aveva fatto.

    Quanto è successo a questo religioso succederà a voi e a me. I nostri peccati si drizzeranno davanti ai nostri occhi in modo pauroso, ma le nostre buone opere ci rassicureranno e se avremo ascoltato un gran numero di Messe ci appariranno in forma di dolci e meravigliose vergini e per salvarci da ogni spa­vento ci diranno: "Siamo le Messe che hai ascoltato e veniamo ad accompagnarti davanti al giudizio di Dio, per essere tuoi av­vocati e fare da testimoni della tua pietà: diremo quanti peccati hai cancellato, quanti debiti hai pagato. Coraggio, dunque, per­ché ti otterremo grazia". Che consolazione per la nostra anima tremante trovare tanti intercessori!

    Ecco ciò che, secondo Rinaldi, successe nel 1241 al pio Nantier; vescovo di Breslau. questo prelato aveva una tale de­vozione per la Messa, che assisteva a tutte quelle celebrate nella cattedrale. Al momento della sua morte una pia donna sentì un dolce canto angelico che credette essere in paradiso. Desideran­do conoscere il significato di quel miracolo, una voce celeste le disse: "L'anima del vescovo Nantier è sul punto di separarsi dal suo corpo per essere portata in Cielo dagli angeli". La donna domandò come avesse meritato questo favore. "Per la sua devo­zione al santo Sacrificio", aggiunse la voce. Quale incoraggia­mento! Il pio sacerdote è arrivato al Cielo, ricolmo di onori, senza aver provato le sofferenze del purgatorio, in grazia del suo amore per la santa Messa. Anche voi potete procurarvi gli stessi vantaggi seguendo il suo esempio e, se non vi è possibile ascolta­re molte Messe, abbiatene almeno il desiderio. E quando, per vostra fortuna, vi assistete, cercate di imitare il suo fervore e Dio, commosso dal vostro buon volere, vi accorderà una fine felice.

    CAPITOLO VENTIDUESIMO

    LA SANTA MESSA È LA PIÙ GRANDE CONSOLAZIONE DEI DEFUNTI


    Soltanto l'esperienza potrà farci capire quel che soffro­no le anime del purgatorio. Uno dei più geniali Padri della Chie­sa, sant'Agostino, espone la sua dottrina,dicendo: "Per essere purificato e ammesso nel numero degli eletti, il condannato è sottoposto ad un fuoco, la cui azione è più penetrante di tutto ciò che si può vedere, sentire e immaginare sulla terra".

    Anche se non avessimo altra testimonianza, questa ba­sterebbe per spaventarci. Il santo Dottore si spiega più chiara­mente ancora: "Benché questo fuoco debba salvare coloro che lo subiranno, ciò nonostante è certo che sarà, per loro, più terri­bile di tutte le pene che un uomo possa soffrire quaggiù, non esclusi gli orribili supplizi che hanno sopportato i martiri". Leg­gete nella vita dei santi la descrizione delle torture inflitte ai con­fessori della fede e poi meditate questi due testi.

    San Cirillo di Alessandria continua: "Sarebbe meglio soffrire tutti i tormenti possibili fino alla fine del mondo che passare un sol giorno in purgatorio". San Tommaso aggiunge: "Il minimo contatto con questo fuoco è più crudele di tutti i mali della vita". Parole spaventose e quasi incredibili. Come faremo se saremo precipitati in quelle fiamme ardenti? Eppure non ce ne diamo pensiero, perché invece di renderci perfetti per evitarle, viviamo pieni di cattivi desideri e coperti di innumere­voli sozzure.

    Potrei citare altri passi dei Padri, ma mi limiterò all'au­torità di san Bernardo e di santa Maddalena de' Pazzi. "Tra il fuoco naturale e quello del purgatorio - dice l'abate di Chiaravalle - esiste la stessa differenza che passa tra l'immagine del fuoco e il fuoco naturale". Santa Maddalena de' Pazzi che aveva visto in visione il purgatorio, dove aveva trovato suo fra­tello, assicura che "il fuoco terrestre, in confronto a quello del purgatorio, è un ameno giardino". Non ho trovato in nessun'al­tra parte paragoni più atti a far risaltare la necessità di espiare i nostri peccati in questo mondo, se vogliamo sfuggire all'espia­zione infinitamente più terribile nell'altro! Queste verità sono molto adatte per svegliare in noi una compassione sincera per quelli che ci hanno preceduti in quella prigione, ma compren­deremmo ancora meglio l'intensità dei loro dolori, se riflettessi­mo che sono le anime che soffrono, perché la sofferenza del­l'anima è infinitamente più viva di quella del corpo. Il fuoco che agisce sul corpo brucia dall'esterno all'interno, mentre quello del purgatorio, invece, ha il suo focolare nell'anima stessa, la brucia in una maniera spirituale e continua.

    La S. Messa é il mezzo più salutare per lenire le pene del purgatorio

    Ci sono molti mezzi per venire in aiuto delle anime che si trovano nel purgatorio, ma il più salutare di tutti è il santo Sacrificio della Messa, come afferma la Chiesa per mezzo del Concilio di Trento: "Le anime del purgatorio sono soccorse dal suffragio dei fedeli, ma soprattutto dal prezioso Sacrificio del­l'altare". Trecento anni prima il Dottore angelico aveva inse­gnato la stessa dottrina: "questo Sacrificio - scriveva - è il miglior mezzo per liberare presto le anime sofferenti". Alla Mes­sa, il sacerdote e i fedeli, non solo domandano a Dio la grazia per quelle anime, ma gli offrono un riscatto di immenso valore. Quando un debitore non potendo pagare è incarcerato per or­dine del giudice, il rimborso del suo debito, fatto in suo nome da un amico generoso per strapparlo alla severità della legge, sarà mille volte più efficace di tutte le sue raccomandazioni. Le ani­me del purgatorio non sono affatto ribelli a Dio, al quale le ha riconciliate la penitenza e restano in quel luogo di afflizione per purificarsi dalle loro macchie. Se dunque, per compassione, pre­gate per loro e lasciate loro i meriti vostri, soddisfate per loro e abbreviate il loro spaventoso supplizio: "Badate - dice Gesù - di non farvi gettare in prigione, perché non ne uscirete finché non avrete pagato anche l'ultimo centesimo". Notate quanto è se­vero il decreto del Salvatore: rifiuta di rimettere anche un cente­simo all'anima che gli deve mille talenti, ma se ascoltate la Mes­sa per le infelici anime, prigioniere del purgatorio, voi pagate una gran parte del loro debito.

    Non si sa in quale misura sono rimesse, dal santo Sa­crificio, le pene del purgatorio: Dio non l'ha rivelato, ma è certo che una Messa, detta per voi finché vivete o ascoltata da voi personalmente, ha più virtù che se venga offerta per voi dopo la vostra morte. E la dottrina di sant'Ambrogio: "Una Messa ascol­tata da una persona in vita vale più, per lei, di molte altre dette dopo la sua morte. "Siete in stato di grazia? Vi preparate un aumento di gloria nel Cielo. Siete reo di peccato mortale? C'è motivo di sperare che Dio vi accordi il beneficio di un sincero pentimento e poiché la vostra ora è decretata e il Signore sa che, se non cambia il suo decreto, cadrete nell'inferno, Egli, per quella Messa forse anticiperà o ritarderà, il momento decisivo, in modo da non chiamarvi al suo Tribunale che riconciliato per mezzo della penitenza.

    Le Messe che ascoltate o che fate dire voi stessi, sono preziose anche perché vi accompagneranno davanti al sovrano Giudice, domandando grazia per voi e se non vi preserveranno interamente dal purgatorio, ve ne attenueranno almeno le pene e la durata. Uguali vantaggi però non potranno avere quelle che saranno applicate per voi dopo la vostra morte, perché i meriti di Gesù Cristo riservati allora a quelli che assistono al santo Sa­crificio non sono più applicati direttamente ai defunti, perché l'applicazione in loro favore avviene per via d'intercessione o di suffragio.

    L'elemosina, per mezzo della quale fate offrire il santo Sacrificio, è un nuovo titolo davanti alla generosità del Signore: vi private del vostro denaro, lo togliete ai vostri piaceri o ai vo­stri bisogni, mentre dopo la morte incomodate i vostri eredi e si può, dunque, temere che ciò sia gradito a Dio in una misura limitata.

    Notate, infine, che il tempo della vita presente è quello della misericordia, mentre il tempo della vita futura è quello della giustizia e quindi potete concludere che una sola Messa ascoltata da voi sulla terra è più efficace di molte ascoltate dagli altri per il riposo dell'anima vostra.

    "Come una pagliuzza d'oro ha più valore di una verga di piombo - dice san Bonaventura - così una piccola penitenza volontariamente compiuta in questo mondo è, agli occhi di Dio, preferibile a una grande penitenza imposta dagli altri". Non per questo è meno vero che la santa Messa, detta dopo la vostra morte, ci addolcisce la terribile prova del purgatorio. Soltanto non avendo nessun dato preciso, nessuna rivelazione espressa, non possiamo definire niente. Tutto ciò che sappiamo è che il tempo della purificazione è abbreviato dal santo Sacrificio.

    L'amore ai nostri cari defunti trovi la sua manifesta­zione nell'assistenza alla S. Messa

    Se la sola possibilità di dare sollievo ai nostri defunti ci spinge ad approfittare di tutti i mezzi messi a nostra disposizio­ne, la certezza di soccorrerli in maggior misura, con la Messa, non deve spingerci a farla applicare alle loro anime, o almeno ad ascoltarla ogni giorno? Chi, dunque, potrebbe dire di amare il prossimo trascurando le anime del purgatorio? D'altra parte chi non ha la carità per gli uomini, non la può avere per Iddio. La vostra non sarebbe vera pietà se trascuraste un'occasione così facile e così frequente di aiutare quelle anime penanti! Eppure la vostra carità per loro non sarà mai troppa! Ecco un fatto, narrato nelle Effemeridi Domenicane, che vi dimostrerà quanto quel­le povere anime hanno bisogno dei vostri assidui suffragi. Il pa­dre di san Luigi, Bertrando, si propose di conservare il celibato e di entrare nei certosini. Ma san Bruno e san Vincenzo gli appar­vero due volte e gli ordinarono di sposarsi. Obbedì e da quel matrimonio nacque Luigi che appena diciassettenne si consa­crò a Dio nell'ordine di san Domenico, contro la volontà dei suoi genitori. Qualche anno dopo suo padre si ammalò grave­mente e il santo si recò al suo capezzale, lo preparò alla morte e considerate le sue ammirabili disposizioni, poté sperare che egli sarebbe andato subito in Cielo. Ma quale fu la sua pena, quan­do, in spirito, lo vide nel purgatorio implorante il suo soccorso! Lo spettacolo compassionevole del caro genitore non si dilegua­va mai dal suo sguardo, né poteva dimenticare il suono dei suoi lamenti, per cui ne fu così afflitto che alla fine si ammalò. Bramando di dare sollievo a quell'anima si impose aspre peni­tenze, digiunando ogni giorno a pane ed acqua e flagellando tutte le notti la sua carne. Celebrava la santa Messa con la mag­gior frequenza possibile e associava i confratelli alle sue preghie­re, manifestando loro le sue angosce filiali e invocava col cuore incessantemente il buon Dio, la cui giustizia non riusciva a di­sarmare. Dopo circa otto anni di sofferenze l'anima del padre, finalmente liberata, apparve di nuovo al figlio per ringraziarlo del bene che gli aveva fatto e gli dichiarò che senza il suo soccor­so avrebbe sofferto ancora lunghi anni. Questa storia di un uomo virtuosissimo, favorito da celesti apparizioni, così lungamente tormentato in purgatorio e destinato, senza le preghiere e le mortificazioni del figlio a restarci ancora di più, deve spaventar­ci per l'avvenire che ci attende. Ma ci deve anche incitare all'ar­dente e continua preghiera per i nostri defunti, allontanando da noi l'illusione che essi siano già nel Cielo. Se non potete far cele­brare la Messa, almeno ascoltatela ed esortate i vostri amici ad ascoltarla per loro. Ecco il consiglio che dette Tamberino ad una povera vedova che si lamentava di non poter far dire una Messa per suo marito: “Ascoltatene molte ed offritele a Dio, per­ché il vostro sposo riceverà forse più sollievo da una Messa ascol­tata da voi che da una fatta celebrare a vostra richiesta e alla quale non foste intervenuta”. Il Gobat approva questo consiglio che anche a me sembra buono e perciò lo do a tutte le persone che sono in strettezze finanziarie, come quella povera donna. Certo quando fate dire la Messa disponete di un maggior tesoro di grazie di quando vi assistete semplicemente, ma non è meno vero che con una fervorosa preghiera fatta durante il santo Sa­crificio, voi potete ottenere molto e procurare ai vostri cari mor­ti un grande sollievo. Oh! Se potessimo contemplare l'immenso torrente di grazie che scaturisce dall'altare, ne resteremmo alta­mente meravigliati! E se si aprissero ai nostri sguardi le tenebro­se volte del purgatorio, mentre si riversano sulle anime in pena quelle acque refrigeranti, comprenderemmo quanto le consola il nostro zelo e forse le vedremmo uscire dal luogo del supplizio per avviarsi alla felicità eterna.

    O voi tutti che dite o ascoltate la Messa per quelle pie anime, fatelo con tutto il cuore, con tutta la vostra pietà, poi­ché i vostri meriti sono gli unici benefici che potete procurare loro.

    Apriamo le porte del purgatorio

    Ricordatevi che la misura del vostro fervore o della vostra tiepidezza, può aumentare o diminuire il soccorso atteso impazientemente da quelle anime in mezzo alle fiamme.

    Il Sangue prezioso, offerto per loro durante la santa Messa, è il miglior mezzo per sollevarle. Il libro del Levitico ci dà una commovente prova di questa verità: "Vi ho dato questo san­gue - dice il Signore - affinché vi serva sull'altare per l'espiazio­ne delle anime e sia rimedio per l'anima vostra". Scrive san Tommaso: "qui il profeta annuncia che il Sacrificio dell'Euca­ristia servirà alle anime del purgatorio. Infatti se Dio aveva dato ai giudei il sangue degli animali per offrirlo sull'altare in espia­zione dei loro peccati, è evidente che il sangue di Gesù Cristo ci è stato dato per lo stesso fine; e se il sangue degli animali purifi­cava le anime, quanta maggiore efficacia deve avere quello del Salvatore, dal quale, perciò, possiamo aspettarci grandi vantag­gi per i nostri fratelli".

    Queste sacre onde, nella loro prima effusione hanno liberato tutti gli schiavi, come insegna Zaccaria: "Hai aperto le porte delle oscure prigioni mediante il sangue della tua allean­za", e questa benefica azione continua, ogni giorno, nella Messa. Insisto, dicendo che il malato divorato da una febbre ardente non sarà mai tanto refrigerato da un bicchiere d'acqua quanto le anime sulle quali scorre, in una maniera mistica, il prezioso Sangue di Gesù Cristo.

    Quando il beato Enrico Susone, sacerdote dell'ordine dei padri predicatori, studiava a Colonia, fece un patto con un suo amico religioso, stabilendo che chi dei due fosse sopravvis­suto all'altro avrebbe detto una Messa per il defunto, il lunedì e il venerdì di ogni settimana. Essendo morto prima il suo amico, frate Enrico adempì da principio al suo impegno, ma poi lo tra­scurò. L'amico gli apparve molte volte e gemendo gli rimprove­rò di non aver mantenuto la promessa. Frate Enrico allora l'as­sicurò che non l'avrebbe dimenticato mai nelle sue preghiere. "questo non basta - soggiunse il morto - sono le Messe che mi servono. Soltanto il Sangue di Gesù Cristo può estinguere le fiamme che mi divorano". Il beato gli promise nuovamente di celebrare per lui. Infatti lo fece e quell'anima tornò a ringra­ziarlo per averla liberata dal purgatorio. Se le preghiere del beato Enrico furono insufficienti per liberare quell'anima che diremo delle nostre che sono così aride e così distratte? Nel san­to Sacrificio le nostre preghiere, unite a quelle del sacerdote, acquisteranno una potenza considerevole.

    Prima di chiudere questo capitolo seguiamo le parole della liturgia di san Giacomo che ci incoraggiano ad essere ze­lanti: "Le anime del purgatorio non soffrono nel tempo in cui il santo Sacrificio è offerto per loro". San Gregorio dice la stessa cosa: "Le pene dei defunti sono sospese o diminuite durante il tempo della Messa applicata per loro o quando il celebrante le raccomanda particolarmente".

    Che ammirabile insegnamento è questo! Dottrina con­solante che ci mostra come il Sangue di Gesù Cristo temperi l'ardore delle fiamme divoratrici, quando non preserva total­mente, le anime per le quali è offerto, dal loro supplizio.

    CAPITOLO VENTITREESIMO

    LE PREGHIERE DEL SACERDOTE PER QUELLI CHE ASCOLTANO LA MESSA


    Spesso vi lamentate della mancanza di fervore e di essere costantemente distratti da pensieri estranei. Non saprei darvi miglior consiglio che di andare alla Messa e unire le vo­stre deboli preghiere a quelle del Salvatore e del sacerdote. Perché, come il rame guadagna in valore se fuso con l'oro, così la vostra preghiera, volgare e comune per se stessa, acquisterà in questo modo una nobiltà ed un valore inestimabile. «La preghiera fatta durante la santa Messa in unione col sacerdote - dice Fornero - è più eccellente di tutte le altre per quanto lunghe e fervorose». questa è la commovente verità che io esporrò in questo capitolo.

    Significato e valore dell'assistenza liturgica alla Mes­sa

    Il sacerdote all'altare non può sottrarsi all'obbligo di pregare per tutti i presenti, poiché le formule delle quali si serve sono nel messale e nessun pretesto può autorizzarlo ad ometter­le. Così ad esempio, l'orazione all'inizio della Messa e le altre chiamate Collette, quella recitata a voce bassa detta Segreta e l'ul­tima, il Postcommunio, sono recitate per coloro che assistono al santo Sacrificio e ciascuno ottiene tante grazie come se fosse solo in chiesa con il sacerdote.

    Per farvi comprendere meglio il significato delle pre­ghiere della Messa spiegherò brevemente il loro contenuto.

    All'inizio della Messa, dopo che il chierico, a nome dei fedeli, ha recitato il Confiteor, il sacerdote pronuncia una preghie­ra di assoluzione: «Che Iddio onnipotente abbia pietà di voi e, perdonati i vostri peccati, vi conduca alla vita eterna!». Il chieri­co risponde: «Così sia». Il sacerdote prosegue: «Che il Signore onnipotente e misericordioso ci conceda il perdono, l'assoluzio­ne e la remissione dei nostri peccati». «Così sia», risponde un'al­tra volta il chierico. Salendo l'altare il sacerdote prega per sé e per le persone presenti: «Noi vi supplichiamo, o Signore, di can­cellare e distruggere le nostre iniquità, affinché ci accostiamo al Santo dei Santi con il cuore e la mente interamente puri».

    Al Kyrie eleison, che è un grido d'impetrazione verso il Cielo, al Gloria in excelsis, come alla prima orazione, parla in nome suo e vostro. Il Dominus vobiscum, pio saluto che una volta si scam­biavano gli angeli e gli uomini, come si legge nella storia di Ruth e di Giuditta, è rivolto ai fedeli riuniti intorno all'altare; il sacer­dote augura al popolo di stare con Dio e il popolo gli risponde con lo stesso voto: Et cum spiritu tuo. Il sacerdote ed i fedeli sono così uniti in Dio ed è naturale che il primo preghi per i secondi tutte le volte che ripete il Dominus vobiscum.

    Come rappresentante dei fedeli, al Credo fa professio­ne della fede cattolica, nella quale tutti desideriamo vivere e morire.

    All'oblazione del pane dice: «Ricevi, o Padre santo, Dio eterno ed onnipotente, quest'Ostia senza macchia la quale, in­degno di tale ministero, io offro a Te, Dio vivo e vero, in espia­zione dei miei peccati, delle mie offese, delle mie innumerevoli negligenze: io Te l'offro ugualmente per tutti i presenti ed anche per tutti i fedeli cristiani, vivi e morti, affinché serva ad essi e a me per la salute eterna. Così sia».

    Nel mettere il vino e l'acqua nel calice dice: «O Dio, che per mirabile effetto della tua potenza, hai creato l'uomo perfetto in sommo grado e che per un prodigio di bontà anche più stupendo ti sei degnato di riformarne la natura, concedici di partecipare per il mistero di questa acqua e di questo vino alla divinità di Gesù Cristo, tuo Figliolo, il quale si è degnato rive­stirsi della nostra umanità e che essendo Dio, vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Così sia».

    All'oblazione del calice: «Noi ti offriamo, o Signore, il ca­lice della salute, scongiurando la tua bontà di farlo giungere quale profumo di gradito odore sino al trono della tua divina maestà, per la nostra salvezza e quella di tutto il mondo. Così sia».

    Dopo il Lavabo si inchina in mezzo all'altare e dice: «Ricevi, o Santa Trinità, l'oblazione che noi ti presentiamo in memoria della Passione, della Resurrezione e dell'Ascensione di Gesù Cristo nostro Signore ed in onore della beata Maria Ver­gine, di san Giovanni Battista, degli apostoli san Pietro e san Paolo, dei santi dei quali si trovano qui le reliquie e di tutti gli altri santi, affinché sia ad essi di gloria e a noi di salvezza e che quelli dei quali onoriamo la memoria sulla terra si degnino in­tercedere per noi nel Cielo. Per lo stesso Gesù Cristo nostro Si­gnore. Così sia!». Viene poi la Segreta, orazione misteriosa che il sacerdote dice, per il popolo, a bassa voce. Nelle ferie, nelle feste di rito semplice o semidoppio, ce ne sono tre, qualche volta cin­que, mentre nelle feste di rito doppio ce n'è una sola. Al Prefazio, che cambia secondo i tempi e le solennità, il sacerdote loda Dio, a voce alta, a nome suo e del popolo. Questo canto esprime la più sublime lode che voce umana possa mai far sentire, unita ad una musica grave e maestosa. Ecco il testo ordinario: «Il Signo­re sia con voi. E con il tuo spirito. Elevate i vostri cuori. Li innal­ziamo verso il Signore. Rendiamo grazie al Signore nostro Id­dio. È’ giusto e degno farlo. E’ veramente degno e giusto, conve­niente e salutare, rendere grazie, in tutti i tempi ed in tutti i luoghi, al Signore santo, Padre onnipotente, Dio eterno, per Gesù Cristo nostro Signore, mediante il quale gli angeli lodano la tua Maestà suprema, le Dominazioni l'adorano e le Potestà la te­mono e la rispettano e i Cieli, le Virtù celesti e le beate schiere dei Serafini uniti nell'esultanza la celebrano. Concedi, o Signo­re, che le nostre voci si uniscano a quelle degli spiriti beati, per cantare con essi dinanzi a te prostrati: Santo, Santo, Santo è il Signore, Dio degli eserciti. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna nel più alto dei cieli. Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. Osanna nel più alto dei cieli».

    A questo punto comincia il Canone, parte della Messa che si dice a voce bassa e della quale citerò soltanto quelle paro­le designate sotto il nome di Memento dei vivi: «Ricordati, o Si­gnore, dei tuoi servi e delle tue serve N. N. (qui il sacerdote rac­comanda a Dio coloro per i quali vuole pregare particolarmen­te) e di tutti coloro che sono qui presenti, di cui conosci la fede e la pietà, a favore dei quali noi ti offriamo questo Sacrificio di lode, o che essi stessi te l'offrono per loro medesimi o per quelli che ad essi appartengono, per la Redenzione delle loro anime, per la speranza della loro salute e della loro incolumità e per tributarti i loro voti come al Dio eterno, vivo e vero».

    «Imparate da queste parole - dice un pio autore - a non desolarvi se siete troppo povero per far celebrare una Mes­sa, perché quella che ascoltate è offerta dal sacerdote secondo la vostra intenzione. Il sacerdote applica i meriti del suo Sacrificio a voi e ai vostri, secondo la grandezza della vostra fede e dei vostri desideri».

    Dopo il Memento il sacerdote aggiunge: «Essendo uniti in comunione con tutta la tua Chiesa, noi onoriamo la memo­ria innanzitutto della gloriosa Vergine Maria, Madre del no­stro Dio e Signore Gesù Cristo, e quindi dei beati apostoli e martiri Pietro, Paolo ecc., per i meriti e le preghiere dei quali noi ti supplichiamo di concederci in tutte le cose il sussidio della tua protezione. Per lo stesso Gesù Cristo nostro Signore. Così sia».

    Con le mani distese sull'Ostia dice: «Noi ti supplichia­mo, dunque, o Signore, di accogliere favorevolmente l'omaggio della nostra servitù, che ti rendiamo con questa offerta, che è ugualmente l'offerta di tutta la Chiesa: donaci, durante questa vita mortale, la pace che viene da te, salvaci dall'eterna danna­zione e mettici nel numero dei tuoi eletti. Per Gesù Cristo Si­gnore nostro. Così sia».

    Dopo l'elevazione del calice: «Perciò, o Signore, noi tuoi servi e con noi il santo tuo popolo, in memoria della Passio­ne del tuo Figliolo Gesù Cristo nostro Signore, della sua glorio­sa Risurrezione, della sua Ascensione al Cielo, offriamo alla tua incomparabile maestà questo dono, il quale è io stesso che ab­biamo da Te ricevuto, l'Ostia + pura, l'Ostia + santa, l'Ostia + senza macchia, il pane + sacro della vita che non avrà mai fine ed il calice + di salute perpetua. Degnati, o Signore, di guardare con occhio benigno l'offerta che ti facciamo di questo Sacrificio, di questa Ostia senza macchia. Degnati accettarla nel modo stesso con cui accogliesti i doni del tuo giusto servo Abele, il sacrificio del tuo patriarca Abramo e quello di Melchisedech, tuo gran sacerdote».

    Poi, profondamente inchinato dice: «Noi ti supplichia­mo, o Dio onnipotente, di ordinare che questi doni vengano dal tuo santo Angelo portati al tuo sublime altare in presenza della tua divina maestà, affinché, partecipando a questo altare, rice­veremo il + Corpo santissimo e il + Sangue del tuo Figlio e veniamo ricolmati di tutte le benedizioni e di tutte le grazie del cielo. Per Gesù Cristo nostro Signore. Così sia».

    Al Memento dei morti prega per le anime per le quali dice la Messa e per tutte quelle che sono state raccomandate partico­larmente alle sue preghiere. Poi continua: «Anche noi peccato­ri, che speriamo nella tua misericordia infinita, degnati di chia­mare ugualmente a parte della celeste eredità, con i tuoi santi apostoli e martiri e con tutti i tuoi santi. Degnati ammetterci nella loro società, non avendo riguardo ai nostri meriti, ma usan­do, per la nostra salvezza, l'incomparabile tua indulgenza. Per Gesù Cristo nostro Signore».

    Dice allora il Pater noster per sé e per tutti i cristiani e aggiunge: «Liberaci, o Signore, da tutti i mali passati, presenti e futuri e per l'intercessione della beata Maria sempre Vergine, Madre di Dio, e dei beati apostoli Pietro, Paolo, Andrea e di tutti i santi, degnati di farci godere la pace durante il corso della nostra vita mortale, affinché sorretti dal soccorso della divina misericordia, non siamo mai soggetti al peccato, né agitati da alcun turbamento d'animo. Per lo stesso Gesù Cristo nostro Si­gnore».

    Dice tre volte l'Agnus Dei: «Agnello di Dio che cancelli i peccati del mondo abbi pietà di noi». Fa per sé la preghiera che segue, ma recita l'orazione che accompagna le abluzioni per sé e per l'intera assemblea dei fedeli e termina dicendo: «Accogli favorevolmente, o Santissima Trinità, l'omaggio e la confessio­ne della mia perfetta dipendenza; degnati di accettare, quan­tunque ne fossi indegno, il Sacrificio che ho offerto alla tua divi­na Maestà e per la tua misericordia, fa che esso sia di beneficio a me e a tutti coloro per i quali l'ho offerto. Per Gesù Cristo nostro Signore». Benedice i fedeli e alla fine legge il Vangelo secondo san Giovanni.

    Efficacia della nostra preghiera in unione col sacerdote

    Queste preghiere hanno una grande efficacia perché sono state ispirate dallo Spirito Santo e quindi, assistendo alla santa Messa, vi assicurate un gran bene per le vostre anime. Il sacerdote non le dice in suo nome, ma in nome del Salvatore e in rappresentanza di tutta la Chiesa. La Chiesa, lo manda all'al­tare come suo deputato, l'incarica di presentare le sue suppliche a Dio e di intercedere presso di Lui per i nostri interessi spiritua­li e temporali, per la salute di tutti gli uomini e per la liberazione delle anime del purgatorio.

    Quando il sacerdote è all'altare non è più, agli occhi di Dio, un peccatore, ma un potente ambasciatore della sua Chie­sa, dotato dei poteri del suo caro Figlio, del quale fa le veci, del quale porta gli indumenti e in nome del quale pronuncia le pa­role della Consacrazione: «Questo è il mio Corpo, questo è il calice del mio Sangue». Agli occhi di Dio la sua preghiera con­tinua ha lo stesso valore che avrebbe se uscisse dalle labbra del Salvatore stesso e il dono che offre è un gioiello di un valore infinito, il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, per cui l'eterno Padre non può respingere un'offerta così preziosa, né rifiutarsi di esaudire il donatore. Dunque il mezzo migliore per aumenta­re la dignità e la nobiltà della vostra preghiera è di unirla a quel­la del sacerdote, con l'aiuto del quale voi otterrete quanto con il solo vostro fervore non avreste mai conseguito. Il sacerdote non solamente prega per voi, ma sopra di voi, cioè tutte le sue pre­ghiere contengono in se stesse la potenza della benedizione.

    Se la benedizione, per sua natura, ha tanta forza, quanta di più ne acquisterà unita al santo Sacrificio? Molte orazioni e due passi del Vangelo sono detti per voi. Alla fine della Messa, il sacerdote alza la mano per benedirvi un'ultima volta, perché la sua benedizione vi preservi da ogni male e nel corso della gior­nata vi siano concesse le grazie del Cielo.

    A questo punto sorge spontanea una domanda: le Messe sono tutte buone lo stesso? Prima di rispondere è necessario di­stinguere fra il Sacrificio e la pietà del sacrificatore. Se doman­date se il Sacrificio offerto da un buono o da un cattivo sacerdo­te è ugualmente buono, rispondo di sì. Così è ugualmente buo­no il Battesimo conferito da un peccatore o da un giusto, da un fedele o da un infedele, da un eretico o da un cattolico, purché la forma sia applicata alla materia e il ministro abbia l'intenzio­ne di fare quello che fa la Chiesa. Il Sacrificio dell'altare è sem­pre ugualmente salutare quando il sacerdote osserva le parole e le cerimonie essenziali. Se avete un'intenzione da applicare non c'è da esitare sulla scelta del celebrante, perché tutti offriranno lo stesso Sacrificio ugualmente santo ed ugualmente efficace e la Messa del più virtuoso sacerdote non è migliore di quella del più indegno, come ho affermato più sopra servendomi del­l'espressione latina: ex opere operato.

    Se domandate, invece, se l'oblazione del Sacrificio è sempre ugualmente pia, ugualmente edificante, rispondo di no. Il ministro del santo Sacrificio sa, per esperienza, che una volta è raccolto, un'altra volta distratto, un giorno fervoroso e arden­te, l'indomani freddo e perciò esorta spesso se stesso alla pietà e dopo l'Offertorio, quando si è lavato le mani per manifestare il desiderio che ha di essere interamente puro, si rivolge al popolo con questa preghiera supplichevole: Orate ftatres... «O miei fra­telli - sembra dire - ho da compiere un'opera così grande che sento di non aver forza sufficiente. Vi scongiuro di non distrarvi e di aiutarmi tutti ad offrire questo Sacrificio che è mio, come vostro. Se il mio ministero sarà adempiuto convenientemente, il vostro profitto sarà maggiore, perché sarà più viva la vostra pie­tà, ma se al contrario sarà adempiuto male, ne ritrarrete minor vantaggio». Con ragione pertanto si assiste più volentieri alla Messa di un sacerdote pio anziché a quella di uno che dice Mes­sa con distrazione.

    Vi rammento, però, che facendo certe distinzioni si può peccare di giudizio temerario e offendendo la carità, tanto necessa­ria, privarsi di una parte del frutto del santo Sacrificio. Del resto in questa eccessiva ricercavi affatichereste invano: il sacerdote più pio non è del tutto libero dalle distrazioni e perciò bisognerebbe sce­gliere non soltanto fra gli uomini, ma anche fra i giorni e le ore.

    Un parroco era stato per lunghi anni l'edificazione dei suoi parrocchiani per la devozione con la quale celebrava la Messa, dove gustava dolcezze e consolazioni ineffabili. Un gior­no avvenne che il gregge di un suo vicino danneggiò il suo rac­colto. Dapprima egli pregò amichevolmente il padrone di vigi­lare meglio il gregge, ma non avendo ottenuto nulla, uccise uno dei dannosi animali e lo tenne a titolo d'indennizzo. Considerò questo un compenso per il danno sofferto e non pensava di aver commesso un'ingiustizia. Così, senza scrupolo, salì all'altare, ma, cosa strana, non si sentiva più lo stesso: si sentiva freddo, insen­sibile, come morto alla pietà. Una pia persona privilegiata da Dio, con grazie speciali, durante la Messa di questo parroco, notò il cambiamento che si era operato in lui e provò in sé la stessa indifferenza, lo stesso stordimento, la stessa freddezza. Ne fu turbata e recatasi da lui confidò la sua pena. Il parroco com­prese allora che la sua condotta era la causa della sospensione delle solite grazie e si riconciliò col suo nemico.

    Come vedete, dunque, le Messe celebrate anche da sa­cerdoti fervorosi sono talora differenti le une dalle altre. Così insegna il papa Alessandro: «Più i sacerdoti sono degni e più sono ascoltate le loro preghiere». Dal canto suo san Bonaventura dice: «Tutte le Messe sono ugualmente buone per ciò che con­cerne il Salvatore, ma per ciò che concerne il celebrante posso­no essere migliori e meno buone. Quindi, per la propria devo­zione è meglio ascoltare la Messa di un sacerdote virtuoso che quella di uno cattivo». Il cardinal Bona va ancora più oltre di­cendo: «Quanto più il sacerdote è santo e gradito a Dio, tanto più favorevolmente sono ricevute le sue preghiere e il suo Sacri­ficio». In una parola avviene della Messa come delle altre opere buone: è tanto più meritoria quanto più si celebra con fervore e zelo.

    Partecipazione degli angeli al Santo Sacrificio

    Per farvi conoscere un'altra sorgente di grazie, vi dirò che alle preghiere del sacerdote per voi si uniscono anche le preghiere degli angeli, perché è certo che anche essi sono pre­senti alla Messa. Il salmista ce lo fa intendere nel seguente ver­setto: «Ha comandato ai suoi angeli di custodirti in tutte le tue vie». Questi celesti spiriti che non ci lasciano mai, come potreb­bero permettere che andassimo soli al santo Sacrificio? Oh! Non solamente ci accompagnano, ma si rallegrano delle nostre fer­venti disposizioni e fanno di tutto per preservarci dalle sugge­stioni del demonio che ruggisce intorno a noi per distrarci. E poiché alla Messa ci sono per lo meno tanti angeli quante sono le persone che vi assistono, perché ognuno ha il suo, pregate il vostro di prendere parte con voi e per voi ai santi Misteri, di adorare il Salvatore e di supplicarlo in vostro favore. Commosso dalla sua preghiera, Gesù stesso supplirà alla vostra deficienza.

    Gli angeli sono disposti attorno all'altare e a questo al­ludono le parole del sacerdote dopo la Consacrazione: «Ti sup­plichiamo, o Dio onnipotente, di ordinare che questa offerta sia portata davanti alla tua sublime Maestà, per le mani del tuo santo angelo». Quando il Re degli angeli è presente personal­mente e compie sull'altare l'opera più alta della sua potenza è naturale che anche i suoi ministri siano presenti per rendergli onore.

    A conferma di questo ascoltiamo le parole di san Pao­lo: «Vi siete avvicinati alla montagna di Sion... alla turba innu­merevole degli angeli... e a Gesù, mediatore della nuova Alle­anza». Questo testo è ben appropriato alla santa Messa nella quale il Salvatore compie la più alta funzione del suo ministero di mediatore. Dunque potete dire con David: «In presenza degli angeli, o mio Dio, canterò le tue lodi, ti adorerò nel tuo tempio ed esalterò il tuo santo Nome». Inginocchiatevi in mezzo a questi puri spiriti che vi circondano, ascoltano la Messa con voi e pre­gano ardentemente per voi. Pensate che siete in mezzo ai Che­rubini e ai Serafini e fate che il vostro contegno, lungi dal rattri­starli, sia per loro causa di gaudio.

    San Giovanni Crisostomo insegna chiaramente che gli angeli pregano per noi: «Quando il sacerdote celebra il sublime e augusto Sacrificio della Messa, gli angeli stanno vicino a lui e il coro degli spiriti celesti intona un cantico di lode in onore di Colui che si immola». E altrove: «In quel momento, non sol­tanto gli uomini sono prostrati in ginocchio davanti a Dio, ma anche gli angeli e gli arcangeli. È il tempo per noi propizio: il santo Sacrificio è a disposizione di quelle intelligenze celesti, esse lo sanno e intercedono per noi. Signore, esclamano, ti preghia­mo per coloro che il tuo Figliolo ha tanto amato da morire in Croce per loro e ai quali ha dato il suo Corpo e il suo Sangue». Ardenti d'amore per quel Dio che contemplano faccia a faccia, la loro preghiera è più efficace della nostra ed ottengono mille volte più di noi. Se durante la Messa unite le vostre suppliche alle loro, sarete esauditi più sicuramente che se avrete pregato da solo in casa vostra. Attorno all'altare gli angeli non solo sono presenti, ma offrono anche il Sacrificio e le nostre preghiere a Dio onnipotente. Ne abbiamo una prova in queste parole di san Giovanni: «Un angelo stava vicino all'altare del tempio, con un turibolo d'oro in mano. Gli fu data una grande quantità di pro­fumi affinché offrisse le preghiere di tutti i santi sull'altare che è davanti al trono di Dio». Gli angeli raccolgono dunque le vo­stre preghiere per offrirle al Signore, come un soave profumo. Infatti, per qual ragione l'angelo starebbe vicino all'altare se non vi fosse immolata la vittima? Perché poserebbe su di esso le pre­ghiere dei santi se non per offrirle contemporaneamente alla Messa?

    Concludo: la preghiera fatta durante la Messa è più efficace di tutte le altre. Di conseguenza, fate il possibile per assistere ogni giorno a questo adorabile Sacrificio: unitevi agli angeli, incaricateli di supplire, con il loro fervore alla vostra in­differenza ed essi porteranno i vostri voti fino al Cielo.

  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 1.222
    Sesso: Femminile
    00 07/09/2009 17:08
    CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO

    LA SANTA MESSA, LUNGI DAL NUOCERE AL LAVORO, LO FAVORISCE


    In generale, gli uomini ritengono che le ore non impie­gate nel lavoro siano perdute. Ma soprattutto giudicano perso il tempo consacrato ad ascoltare la Messa o a compiere qualun­que altro atto di religione. Cercherò di mostrare loro quanto si ingannano e quanto questo errore li danneggi. Se, recandovi al lavoro quotidiano, incontrate un amico, vi fermate volentieri a parlare con lui, gli raccontate le novità che vi sono successe e per una mezz'ora, se non più, dimenticate tutto. Invece se si tratta di ascoltare la Messa, vi tormenta il pensiero, dieci volte per lo meno, che i vostri affari ne soffrono. Satanica illusione! La Messa non nuoce affatto al lavoro, ma lo fa prosperare pro­curando grandi beni. È’ opportuno ripetere qui le parole del Salvatore: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in più". I commentatori della Sacra Scrittura spiegano che in questo testo è come se Gesù Cristo avesse voluto dire: "Non vi preoccupate del nutrimento del cor­po e prima di rivolgervi agli affari temporali, cominciate con l'ascoltare devotamente la santa Messa. Glorificherete così il vostro Dio che in cambio provvederà ai vostri bisogni". Se ren­dete un servizio ad una persona ragguardevole, forse non atten­dete una ricompensa? Assistendo al santo Sacrificio, rendete a Dio un omaggio infinito, gli procurate un piacere immenso, gli offrite un dono che sorpassa in valore il cielo intero. Potrà Egli lasciare senza retribuzione un' offerta così ricca? No, il sovrano Signore dell'universo, che ricompensa le più piccole opere buo­ne, non dimenticherà certamente questa. Se la dimenticasse noi potremmo, nel giorno del giudizio, dirgli così:" Signore, ho ascol­tato la Messa e non ne avete tenuto conto e invece di guadagna­re servendovi, ho perso". Ma Dio non permetterà mai che gli si possa rivolgere il rimprovero di averci trascurato e benché ai suoi occhi i beni terrestri siano ben poca cosa, spesso favorisce visibilmente chi è assiduo nell'assistere al santo Sacrificio.

    "Cercate prima il Regno di Dio..."

    Per chiarire quanto ho detto citerò qualche esempio. San Giovanni l'Elemosiniere racconta la seguente storia. In una via di Alessandria abitavano due calzolai: l'uno, sposato e padre di famiglia, assisteva ogni giorno alla Messa e ben presto dalla povertà passò ad una felice agiatezza. L'altro, anch'egli sposato, dia senza figli, non metteva piede in chiesa durante la settimana e lavorava giorno e notte senza poter uscire dal suo tormentoso stato. Un giorno andò a trovare il suo vicino e gli disse: "Come mai tu che hai famiglia e che lavori meno di me, fai fortuna, mentre io che pure non ho figli e non mi prendo mai un mo­mento di riposo, resto povero?". L'altro rispose: "Ho trovato un tesoro, dove vado ogni mattina ad attingere ricchezze: questo è il segreto della mia prosperità". "Mostrami questo tesoro e per­metti che anch'io possa ricorrervi". "Volentieri. domani vieni con me e ti ci condurrò di nascosto, perché si tratta di un tesoro immenso e vi si potrebbe arricchire l'intera città".

    Il giorno seguente, all'alba, il povero calzolaio, fu pun­tuale all'appuntamento. Il compagno gli disse: "Cominciamo con l'ascoltare la Messa, ci recheremo poi al luogo convenuto. Ma, terminato il santo Sacrificio, disse che nel luogo del tesoro sarebbero andati il giorno dopo. Il giorno seguente la stessa pro­posta, la stessa dilazione. Il terzo giorno, il calzolaio povero, di pessimo umore, disse alla sua pretesa guida: "Da tre giorni ven­go in chiesa ed ascolto la Messa, ma fai male a riderti di me". L'onesto operaio replicò: "Non ti inquietare, non ho avuto nes­suna intenzione di beffarmi di te e ti ho indicato realmente il luogo del tesoro: questo luogo è la chiesa, questo tesoro è la Messa. Qui io cerco l'agiatezza che tu mi invidi. Fai come me e riceverai da Dio gli stessi favori. A prova della verità delle mie parole senti il consiglio del Salvatore: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e il resto vi sarà dato in sovrappiù". Fin dai primi tempi del mio matrimonio ho cercato il suo regno con l'udire quotidianamente la santa Messa ed ho ottenuto quello che mi è necessario nelle cose temporali. Tu al contrario hai imparato a tue spese quanto sia pericolosa una malintesa solle­citudine, poiché con tutto il tuo lavoro hai guadagnato una mi­seria". Commosso da questo discorso, il calzolaio prese la deci­sione di assistere ogni mattina al santo Sacrificio e fu anch'egli benedetto da Dio.

    Il nome dell'autore che narra questo aneddoto è per se stesso una prova sufficiente della sua autenticità. Il pio operaio paragonò la Messa a un tesoro, essendo essa un valore inestima­bile, tanto che le si possono applicare le parole del Savio: "È’ un tesoro infinito per gli uomini e quelli che ne usano fanno parte all' amicizia di Dio". È’ una miniera dalla quale si ricava l'oro celeste e l'oro terrestre. Colui che vi assiste in stato di grazia riceve la benedizione dell'eterno Padre, benedizione molto più preziosa di quella data da Isacco a Giacobbe. Questa non aveva per oggetto "che la rugiada del cielo, il grasso della terra e l'ab­bondanza del grano e del vino", ed era perciò completamente terrestre, mentre l'altra è, ad un tempo, spirituale e temporale. Infatti dopo la consacrazione il sacerdote dice: "Ti supplichia­mo, Dio onnipotente, che questi doni siano portati per le mani del tuo santo Angelo al tuo sublime altare, affinché tutti quanti siamo presenti a questo Sacrificio, avendo ricevuto il Corpo san­tissimo e il Sangue del Figlio tuo, siamo ricolmi di tutte le bene­dizioni e di tutte le grazie del Cielo". In virtù di questa preghie­ra e per l'efficacia dei divini misteri, siamo benedetti nel corpo e nell'anima, nei nostri lavori e nei nostri affari, nelle cose del tempo come in quelle dell'eternità. I Libri santi dicono: "Siete bene­detto nella città e nel vostro campo e sono benedetti tutti i lavori delle vostre mani

    Condizione essenziale per la fecondità dei nostri lavori

    Secondo un proverbio, del quale gli operai ed i conta­dini conoscono la giustezza, non vi è profitto senza la benedizio­ne di Dio. Per quanto il vostro lavoro possa essere attivo, non fruttificherà se Iddio non lo feconda. Sulla terra non vi è mezzo migliore per ottenere questo favore che ascoltare la santa Mes­sa. In essa non è soltanto il prete che benedice, ma Gesù Cristo stesso, come constatò con i suoi propri occhi santa Brigida. Que­sta grande santa, all'elevazione dell'Ostia, vide nostro Signore fare con la mano il segno della croce sul popolo e nello stesso tempo sentì pronunciare queste parole: "Benedico voi tutti che credete in me". Benedicendo le persone, Gesù benedice anche i loro lavori e i loro affari.

    Enea Silvio narra che nell'Istria c'era un tempo un gen­tiluomo che, senza condurre una vita cattiva, trascurava com­pletamente la Messa ed in conseguenza di questo finì col cadere in miseria. Non potendo, in città, mantenersi nel suo grado, andò a stabilirsi in campagna, ma non riuscendo a sopportare pa­zientemente la prova, a poco a poco, dallo scoraggiamento pas­sò alla disperazione. In questo stato d'animo il demonio gli ispi­rò il detestabile pensiero di sottrarsi ai suoi mali col suicidio. La tentazione era così violenta che non aveva la forza di resistergli. Si consigliò con ecclesiastici ed altre persone ed invano provò ogni mezzo, quando due sacerdoti, con i quali si era confidato, gli suggerirono di assistere ogni giorno alla Messa, assicurando­lo che non vi era miglior aiuto contro gli assalti dello spirito del male, né miglior pratica per attirarsi le benedizioni divine. Il gentiluomo dette retta ai loro consigli e con suo grande vantag­gio, recuperò la pace e nella sua casa ritornò la prosperità. Riso­luto, pertanto, di assistere ogni giorno al santo Sacrificio, del quale aveva provato i salutari effetti, chiamò un sacerdote che potesse dirgli regolarmente la Messa nel suo oratorio privato e non si possono descrivere i frutti spirituali e temporali che rac­colse da questa devozione. Dopo un anno di questa vita, un gior­no di festa il parroco lo pregò di cedergli il suo cappellano per dire la Messa nella chiesa parrocchiale. Acconsentì con dispia­cere e solo a patto che si aspettasse il suo arrivo per cominciare la Messa cantata. Si alzò presto, montò a cavallo e si avviò verso la chiesa situata sulla vicina montagna, ma ecco che per la stra­da gli consegnarono una lettera che riguardava un affare urgen­te, la cui risposta non poteva essere differita senza grave danno. Ritornò dunque a casa, regolò la questione e poi riprese in tutta fretta la strada del villaggio. Arrivato sulla montagna trovò un contadino: "Da dove venite?", gli domandò. "Dalla chiesa, dove ho ascoltato la Messa cantata". "È finita?". "Sì", rispose il con­tadino. Il ritardatario sembrò così sconcertato da questa notizia e si lamentò così amaramente che il contadino si mise a ridere e gli disse: "La vostra disperazione mi meraviglia, io ho lasciato più di una Messa nella mia vita senza mai inquietarmi per que­sto". "Non contate, dunque, sulla santa Messa?". "Sì, ma non bisogna esagerare; per esempio, che cosa ho guadagnato ascol­tando quella di oggi? Sono diventato più ricco?". "Io, al contra­rio, la tengo in così alta stima che, se volete lasciarmi i meriti che avete acquistato, vi darò il mio mantello". Il contadino accettò la proposta e i due uomini si separarono felicissimi del cambio reciprocamente fatto. Quando il gentiluomo arrivò al villaggio si lamentò con il parroco, che si scusò assicurando che aveva insistette: "Ti assicuro, che ho visto accanto a te due altri lavo­ranti che sono scomparsi mentre mi avvicinavo". "Dio mi è te­stimone - disse Isidoro - che ho chiamato soltanto Lui in mio soccorso". A queste parole il padrone capì che i due sconosciuti erano angeli e si rallegrò di avere al suo servizio un uomo così virtuoso.

    Un altro esempio ci conferma l'importanza di assistere alla Messa. In Spagna c'era un cavaliere che si chiamava Fernando Antolino, così devòto al santo Sacrificio che non man­cava un solo giorno di assistervi, anche quando era sovraccarico di affari. I mussulmani, allora padroni della più gran parte della penisola, opprimevano spietatamente gli abitanti. Nel 982, Fernando fu messo a capo dell'esercito cristiano e inflisse ai ne­mici considerevoli perdite. Ma questi, informati dalle loro spie che il generale ascoltava la Messa tutte le mattine, senza mai lasciarla, approfittarono di quel momento per attaccare le sue truppe. Gli ufficiali lo fecero subito avvertire del pericolo e lo pregarono di venire immediatamente. Nonostante fosse spaven­tato da una notizia così grave, il nobile spagnolo rispose che non poteva andare prima del termine della Messa. Gli ufficiali lo informarono delle perdite già subite e gli dissero che se non fos­se venuto in loro soccorso, l'esercito era perduto. Egli disse loro: "Non lascerò questo luogo finché non sia terminato il santo Sa­crificio. Non temete, Dio, di cui sono servo, vi proteggerà". Gli ufficiali se ne andarono credendo che tutto fosse perduto. Ma, al loro arrivo al campo di battaglia videro, con stupore, Fernando in sella ad uno dei suoi cavalli e rivestito delle sue armi, che passava davanti alle truppe e le esortava energicamente.

    Il cavaliere penetrò in mezzo alla massa avversaria, colpì a destra e a sinistra ed uccise molti nemici. I soldati cristiani, seguendo il loro intrepido duce, schiacciarono i mussulmani ed in pochi istanti riportarono una splendida vittoria. L'intero eser­cito voleva onorare Fernando e attestargli la sua riconoscenza, ma egli, intanto, era sparito. Pensando che fosse ritornato in chiesa a rendere grazie a Dio per la vittoria conquistata, anda­rono lì a cercarlo e lo trovarono mentre stava uscendo dalla chie­sa. Lo acclamarono e vantarono il suo eroismo, ma egli chiese spiegazioni ai suoi ufficiali dicendo di non comprendere queste dimostrazioni. "Noi siamo stati testimoni della vostra bravura. Non è giusto onorarvi dopo che avete riportato da solo una vit­toria così grande? L'esercito intero sarebbe stato massacrato se la vostra presenza non avesse cambiato le sorti del combatti­mento". Fernando sembrava ignorare il trionfo e disse: "Credetemi, non ho dato nemmeno un colpo di spada. Non ho lasciato la chiesa che alla fine della Messa per venire a combattere". "Ma vi abbiamo visto con i nostri occhi mettere in fuga i mussulmani". Fernando, pieno di meraviglia, rispose: "Se dite il vero non dovete ringraziare me, ma Dio". A questo punto arrivò un soldato col cavallo del gene­rale, trovato nel campo senza cavaliere. Alla vista dell'animale ansante, coperto di schiuma, che portava ancora attaccate le armi del generale, grondanti sangue, tutti restarono stupiti. "Giu­ro - gridò Fernando - che oggi non mi sono servito del mio cavallo e certamente il mio angelo custode, mentre ascoltavo la santa Messa e pregavo per voi, ha combattuto per me.Vedete quanto è gradita a Dio questa grande opera e quali benefici procura agli uomini. Se avessi lasciato la chiesa, come voi desi­deravate, l'angelo non sarebbe venuto e non avremmo conquistato la vittoria. Con l'illustre generale riconoscete anche voi che l'as­sistenza al santo Sacrificio, lungi dal nuocere ai nostri affari, attira sulle cose temporali, come sulle spirituali, la benedizione divina.

    CAPITOLO VENTICINQUESIMO

    DEL MODO DI OFFRIRE LA SANTA MESSA E DEL VALORE DELL'OBLAZIONE


    Anime devote che leggete questo capitolo, imprimete­velo bene nella mente: le norme che contiene vi saranno di gran­de profitto spirituale. Anzitutto ricordate che la Messa è il Sacri­ficio unico del cristianesimo e che l'offriamo all'eterno Dio.

    "La Messa - dice il padre Gobat - è la sola preghiera, il solo atto di adorazione, la sola offerta degna di Dio, poiché la vitti­ma che vi è immolata è divina. Cristo è il vero Pontefice, il vero celebrante; dopo di Lui viene il sacerdote, che è suo strumento, quindi i fedeli. Tutti i fedeli che sono presenti hanno, infatti, il pote­re di offrire il santo Sacrificio: alcuni laici lo fanno con l'anima an­che più pura di quella del sacerdote. Metto in quarta linea quelli che contribuiscono agli onorari e che procurano gli oggetti del cul­to, quali il calice, la pianeta, ecc. e infine tutti quelli che, impediti dalle loro occupazioni di venire personalmente, stanno in spirito ai piedi dell'altare. Tutti partecipano ai frutti del mistero".

    Meditate queste parole che racchiudono una bella e consolante dottrina.

    Fra le innumerevoli grazie che Dio ha concesso al mon­do, una delle più strepitose è certamente quella di aver accorda­to, non soltanto ai sacerdoti, ma ai laici, alle donne, ai bambini, di offrire alla sua sublime Maestà questo Sacrificio augustissimo. I giudei erano meno privilegiati, poiché nella legge antica l'im­molazione delle vittime e l'offerta dell'incenso erano riservate ai sacerdoti. Il popolo doveva portare l'incenso per gli olocausti ed i sacrifici di pace, ma gli era proibito di bruciarlo. Chiunque trasgrediva queste prescrizioni era reo di grave peccato.

    A questo proposito la Sacra Scrittura narra che dei sacer­doti resistettero alle temerarie pretese del re Ozia. "Non tocca a voi, o re, - gli dissero - bruciare l'incenso, tocca ai figli di Aronne, consacrati per questo ministero. Uscite, dunque, dal santuario e non disprezzate il nostro consiglio, perché questa azione non vi sarà imputata a gloria dal Signore Iddio". A queste parole Ozia, infu­riato, prese il turibolo, ma Dio lo colpì all'istante con la lebbra.

    Gente Santa, regale sacerdozio

    Sotto la legge della grazia siamo trattati differentemente. I laici toccano i turiboli e sono anche invitati ad offrire l'olocausto. Ascoltate come san Pietro proclama la dignità del cristiano: "Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo conquistato per rendere note le grandezze di Colui che vi ha chia­mato dalle tenebre alla luce ammirabile". Alla Messa, secondo il principe degli apostoli, tutti i fedeli esercitano una specie di sacer­dozio. Che inestimabile favore, per noi cristiani, poter offrire a Dio il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo. Profittate spesso di questo dirit­to, siate fedeli a quest'oblazione ed ammasserete un'immensa for­tuna. Dirò anche che facendo diversamente non potrete ascoltare la santa Messa come si deve. Un pio autore infatti dice: “Ascoltare la santa Messa non vuol dire soltanto fare atto di presenza, ma offrire il Sacrificio unendosi all'intenzione del celebrante”.

    Sono dello stesso parere: per ascoltare la Messa è indi­spensabile offrirla a Dio col sacerdote. Questa necessità è inerente alla stessa natura del Sacrificio. Di conseguenza ne risulta che i fedeli che si contentano di pregare soddisfano al precetto ecclesia­stico, ma non partecipano alle grazie proprie dell'oblazione. Un paragone farà meglio risaltare il mio pensiero.

    Una persona recita molti rosari e li offre a Gesù Cristo e alla sua santa Madre, mentre un'altra ascolta e offre una sola Messa. Qual è quella che dà di più? Quale sarà più ricompensa­ta? Certamente la seconda. La prima offre una preghiera santa, ma che trae il suo valore dalla pietà di chi la fa; mentre l'altra ha nelle mani un dono assolutamente divino. Ciò che essa offre è la carne del Cristo, sono le lacrime, la morte, i meriti del Cristo.

    Voi direte che la prima dona ciò che le appartiene, mentre della seconda non si può dire altrettanto, poiché il meri­to del Sacrificio è di Gesù Cristo. Ve lo ripeto: "Colui che offre la santa Messa, dona il suo proprio bene, giacché è realmente proprietario dei meriti del Salvatore". Sì, all'altare ci appropria­mo di tutto ciò che Gesù ha meritato con la sua passione, con lo spargimento del suo Sangue prezioso e con la sua morte. Se non volete credere a queste consolanti parole, credete almeno a quelle che dice la Chiesa per mezzo del Concilio di Trento: "Il Sacrifi­cio incruento è il mezzo per il quale riceviamo i frutti del Sacri­ficio cruento". Quello che acquisterete nella Messa è realmen­te vostro, come quello che acquisterete mediante i vostri sforzi personali e quindi durante il santo Sacrificio avete diritto di of­frire a Dio i meriti di Gesù Cristo come vostra vera proprietà. Considerate, dunque, che grazia straordinaria vi fa il Salvatore quando, costituendovi sacerdote in una maniera spirituale, vi conferisce il potere di offrire questo sublime Sacrificio a Dio, come conviene ad un sacerdote, cioè non solamente per voi stessi, ma altresì per gli altri. "Il celebrante - dice Fornero - non im­mola da solo la vittima eucaristica. Voi vi associate alla sua azio­ne e tutti i cristiani si associano con voi. Questo è anche il signi­ficato delle parole che la Chiesa, dopo il Sanctus, mette sulle labbra del suo ministro: "Ricordati, Signore, dei tuoi servi e del­le tue serve e di tutti i fedeli qui presenti, per i quali ti offriamo o che ti offrono essi stessi, questo Sacrificio di lode per sé e per tutti quelli che appartengono a loro".

    La cooperazione dei presenti si rileva ancora dalla pre­ghiera che il sacerdote recita prima della Segreta: "Pregate, fra­telli, perché il mio Sacrificio che è anche vostro, sia gradito a Dio Padre onnipotente". Rivolge questa preghiera a tutti i presenti, come volesse dire loro: "Quest'opera è mia quanto vostra, di conseguenza dovete aiutarmi ad offrirla".

    Dopo l'elevazione del calice dice: "O Signore, noi tuoi servi e con noi il tuo santo popolo, offriamo alla tua sublime maestà un'Ostia pura, un'Ostia santa, un'Ostia senza macchia".

    L'assistenza alla S. Messa ci fa partecipi dei meriti di Gesù Cristo

    Così il sacerdote fa conoscere la parte che hanno i fedeli nell'oblazione della Messa. Se non vi uniste a lui né con la voce, né col cuore, ingannereste la sua aspettativa e rechereste a voi stessi un grave danno. "State dunque attento - conclude Fornero - a non perdere tanto bene, non dimenticate di esercitare, per voi e per i vostri, il vostro mistico sacerdozio". Sublime prerogativa alla quale rinunciano le persone che non assistono alla Messa, quelle che l'ascoltano senza attenzione o recitando in quel tempo altre preghiere. L'offerta che vi ho descritta è, dunque, incompa­rabilmente migliore di tutte le pratiche pie e più si rinnova, più Dio se ne compiace e noi espiamo maggiormente le nostre colpe preparandoci una maggior ricompensa in cielo. Dire a Dio: "Ti offro", significa: "Ti pago, pago il riscatto dei miei peccati e l'ac­quisto dei beni celesti; pago la liberazione delle anime del purga­torio". In ogni momento e con profitto anche fuori della Messa, si può dire: "Signore, Ti offro il tuo caro Figliolo, la sua passione e la sua morte; Ti offro le sue virtù, i suoi meriti". Ma questa oblazione è spirituale, mentre quella della quale parlo è reale, poiché essendo Gesù sull'altare, con Lui sono pure le sue virtù e i suoi meriti. Li rinnova la sua passione e la sua morte, da lì a noi si dona e ci comunica i suoi tesori per offrirli al suo celeste Padre. Se l'offerta fatta fuori della Messa, con semplici parole, è tanto effi­cace fino al punto da far dire da Gesù alla sua serva santa Geltrude: "Per quanto colpevole possa essere un uomo, per sperare il per­dono basta che egli offra al Padre mio le mie immeritate sofferen­ze", quanto sarà più efficace quando avrà per oggetto i meriti del Salvatore divenuti realmente nostra proprietà?

    Una volta Gesù, durante il santo Sacrificio parlò così a santa Matilde: "Ti do il mio Corpo divino, la mia dolorosa pas­sione, affinché tu possa presentarmeli come cosa tua. Offrimeli ed io te li restituirò, poi tu me li offrirai di nuovo e si moltipliche­rà il tuo merito ad ogni offerta, perché tutto il bene che l'uomo fa sulla terra gli sarà valutato al centuplo nell'eternità".

    Non soltanto a santa Matilde, ma a noi tutti nostro Si­gnore dona i suoi meriti. Dunque, le parole di Gesù sono anche per noi: adoperiamoci per profittarne. E’ necessario, ora, dire una parola sul valore dell'oblazione. Fra tutte le preghiere della Messa nessuna è così consolante come quella che il sacerdote dice dopo l'elevazione del calice: "Signore, noi tuoi servi e tuo santo popolo, offriamo alla tua sublime Maestà un'Ostia pura, un'Ostia santa, un'Ostia senza macchia ecc.". Il popolo santo sono i fedeli che ascoltano la santa Messa, santificati secondo le parole di Gesù: "Mi santifico per loro affinché siano santificati nella verità". Sono santificati "per l'aspersione del divin Sangue", dice san Paolo.

    Preziosità del dono eucaristico

    Quanto è preziosa l'Ostia santa! Essa è la carne purissi­ma, l'anima santissima, il sangue immacolato di Gesù Cristo! L'ho detto più volte: è più pregevole dell'oro e delle pietre preziose. Se qualcuno possedesse la terra intera e magari anche il cielo e tutti i suoi abitanti e ne facesse omaggio all'Altissimo, il suo dono re­sterebbe infinitamente al di sotto del valore di un'Ostia. Infatti che cosa offrite a Dio? Un dono incomparabile, l'unico che sia perfettamente degno della sua sublime Maestà, non essendoci nulla che superi la Divinità. Quante conseguenze derivano da questo principio! Se date un pezzo di pane ad un povero, il vostro atto, se ispirato dalla carità, ha un valore consi­derevole, ma un principe che distribuisca tutti i suoi tesori, non merita forse più di voi? Che diremo, dunque, del sacerdote e del popolo che offrono all'Onnipotente il Figlio suo con la sua uma­nità? Mi spiego meglio con l'aiuto di un paragone.

    I cittadini di un grande paese fanno fare una coppa ce­sellata artisticamente con l'oro più puro e, per mezzo di un loro rappresentante, la mandano al principe come testimonianza del loro amore. Il principe accetta di gran cuore questo oggetto, ma se nella coppa vi fosse stato incastonato un gioiello del valore di un regno, i suoi sentimenti sarebbero stati mille volte piu vivi.

    Nella Messa offriamo a Dio l'umanità del Cristo, cioè la creatura più nobile, più perfetta che sia uscita, o che possa uscire, dalle sue mani: ecco la coppa preziosa. Noi l'offriamo quando, dopo la Consacrazione, con gli occhi levati al cielo, diciamo: "O mio Dio, ti offro l'umanità del tuo caro Figlio immolato su questo altare". Un tale dono è già abbastanza magnifico, ma non è tutto; noi poniamo nel vaso d'oro un gioiello il cui valore non è raggiun­to che dall'Infinito: la divinità del Cristo "che abita la sua umani­tà", secondo l'espressione di san Paolo.

    Precisamente l'umanità del Cristo, indubbiamente, for­ma l'oggetto del Sacrificio, ma le due nature, essendo così stret­tamente unite da non potere essere più separate, vengono ne­cessariamente offerte l'una con l'altra.

    L'umanità è la coppa, la divinità il gioiello. Che letizia prova il Padre celeste nel ricevere questo dono senza pari, nel vedere Gesù del quale ha detto: "Ecco il mio Figlio diletto nel quale ho riposto ogni mia compiacenza!". Quante colpe cancellate e quanti debiti pagati come ricompensa per questo dono! Questo prezioso dono non è un prestito, ma nostra proprietà. L'abbiamo ricevuto dal Cielo e ad ogni Messa ridiventa nostro, come risulta dalle paro­le già citate, secondo le quali il Sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo appartiene veramente al sacerdote e al popolo.

    Ripetiamolo dunque: che tesoro senza prezzo è mai questo! Il padre Sanchez dice: "Se l'uomo sa ascoltare la santa Messa diventa più ricco con essa che mediante il possesso di tutti i beni creati". Inutile aggiungere che per il Sanchez, come per tutti i Dottori, ascoltare la Messa vuol dire offrire all'eterno Padre il suo diletto Figlio.

    Sublime partecipazione nell'offerta della vittima divi­na all'Altissimo

    Questa pratica vi sarà facile se pensate che siete associa­to col celebrante e che per mezzo suo la vittima è gradita all'Altis­simo. Dite dunque: "O mio Dio, io non sono degno di salire al­l'altare, di prendere Gesù nelle mie mani profane, ma in spirito mi avvicino al tuo ministro e l'aiuto ad alzare l'Ostia ed il Calice". Il Rinaldi racconta che Enrico I, re d'Inghilterra, che ascoltava ogni giorno tre Messe, aveva l'abitudine di inginocchiarsi accanto all'altare ed era, per lui, una grande consolazione sostenere le braccia del prete che alzava le sante Specie. Se questo santo uso fosse ancora oggi praticato non lascereste certamente a nessuno l'onore del quale era così geloso il pio monarca. Ebbene: Dio tie­ne conto del vostro desiderio, ditegli soltanto dal fondo del cuore:

    "Signore, ti offro, per le mani del Sacerdote, il tuo diletto Figlio". L'eterno Padre comprenderà il senso delle vostre parole e si con­tenterà della vostra intenzione. All'offerta della santa Ostia ag­giungerete quella del prezioso Sangue, non essendovi niente di più efficace per disarmare la collera celeste. Lo rivelò un giorno nostro Signore a santa Maddalena de' Pazzi. Da quel momento l'illustre santa offrì fino a cinquantaquattro volte al giorno questo Sangue prezioso, per i vivi e per i morti. Gesù Cristo, dal canto suo, le mostrò le anime che aveva convertito con quel mezzo, ot­tenendo loro anche la vita eterna.

    "È da temere molto - ripeteva spesso la santa - che l'impenitenza dei peccatori sia in ragione della nostra pigrizia. Oh! Se noi offrissimo, per la loro conversione, il Sangue di Gesù Cristo, Dio si riconcilierebbe con loro e li preserverebbe dalle pene eterne".

    L'ho già detto, l'offerta del prezioso Sangue può farsi in tutti i tempi e in tutti i luoghi, ma mai con tanto frutto come nella Messa, poiché qui è reale. Colui che dice durante la Mes­sa: "Signore, ti offro questo Sangue divino per le mani del sacer­dote", offre talmente il prezioso Sangue che il sacerdote ha nel calice e quest'offerta gli è mille volte più vantaggiosa che se si contentasse di pronunciare queste parole fuori del Sacrificio.

    "Se un uomo - aggiunge santa Maddalena de' Pazzi - offre il Sangue di Gesù Cristo a Dio Padre, gli fa un dòno al di sopra di ogni altro, un dono così grande che Dio, ricevendolo, si riconosce debitore della sua creatura". La santa forse esagera? No, poiché ad eccezione di Dio, che è infinito, nel Cielo e sulla terra non vi è nulla che eguagli il valore di questo Sangue e il prezzo di una sola goccia di esso è più alto di un oceano di sangue versato dai martiri. San Tommaso afferma: "Una goccia del san­gue di questi beati confessori della fede basterebbe per purificare il mondo da tutti i peccati". Cosicché, se Iddio per ricompensarvi vi accordasse la remissione dei vostri peccati e vi desse anche il cielo, la sua munificenza sarebbe infinitamente inferiore alla vo­stra offerta. Ai piedi dell'altare fate quello che avreste fatto ai pie­di della Croce; raccogliete il Sangue che scorre dalle piaghe di Gesù per offrirlo a Dio. Solo Dio sarebbe in grado di rivelarci con quali tesori di grazie e di perdono risponderà alla vostra oblazione.

    CAPITOLO VENTISEIESIMO

    QUANTO SIA UTILE IL RACCOMANDARSI IN MOLTE MESSE


    Per prevenire qualunque falsa interpretazione, rispon­derò ad una difficoltà. Come ci si deve regolare in una chiesa dove si celebra contemporaneamente a più altari? Alcune per­sone immaginano che, in questo caso, esse acquistino tanti me­riti come se assistessero successivamente allo stesso numero di Messe, ma sono in errore. Sant'Alfonso de' Liguori, san Tommaso, il Laymann e tutti i Dottori richiedono due cose per il compimento del secondo precetto della Chiesa: 1) Che uno si sdebiti materialmente dell'opera prescritta; 2) Che lo spirito si applichi, almeno virtualmente, sia a Dio, sia ai miste­ri del Sacrificio, sia infine alle parole e agli atti del celebrante. Dunque è assolutamente impossibile ascoltare o seguire più Messe insieme. Come si può prestare attenzione a due o tre cose nello stesso tempo, quando una sola deve assorbire tutte le nostre facoltà? Chi entra in una chiesa dove due sacerdoti offrono il santo Sacrificio e il primo è al Pater mentre l'altro è all'inizio, non soddisfa l'obbligo se non resta alla Messa del secondo fino alla fine. Senza questa condizione fa un atto me­ritorio e quei pochi istanti che dà a Dio saranno scritti a lettere d'oro nel libro della vita, ma non ascolta la Messa, perché il Sacrificio è indivisibile.

    I teologi insegnano che non si può ascoltare la Messa per frazioni. In questo caso, l'assioma che due mezzi valgono un intero non può essere ammesso.

    Risolta questa questione, forse vi chiederete se non è meglio assistere a molte Messe contemporaneamente piuttosto che ad una sola. Dal punto di vista del culto reso a Dio la cosa è indifferente, poiché sapete che non si può offrire che un Sacrifi­cio alla volta. Invece dal punto di vista del vostro vantaggio, non esito a rispondere affermativamente, poiché ogni sacerdote ap­plica i meriti del divino mediatore.

    Tuttavia è necessario non essere distratti dal rumore, troppo naturale in queste circostanze. Se siete, però, di natura tale che il minimo movimento straordinario distrae il vostro spi­rito, scegliete di preferenza una chiesa dove non si dica che una sola Messa. Mi spiego in poche parole. Come abbiamo dimo­strato nel XXIII capitolo, tutti i sacerdoti pregano e offrono il santo Sacrificio secondo l'intenzione di quelli che vi assistono. Dunque, se c’è un sacerdote all'altare avete una sola preghiera e una sola applicazione dei meriti di Gesù, se, invece, ce ne sono tre o più, il vostro profitto spirituale è accresciuto.

    Vantaggi che derivano dalla partecipazione a più Messe

    Gli angeli presenti a tutte le Messe pregano pure per voi e perciò più numerose sono le Messe, più numerosi sono i vostri intercessori.

    Infine nostro Signore Gesù Cristo, il principale Sacer­dote, immolandosi sempre per il mondo intero, offre se stesso per ciascuno dei presenti. Di conseguenza, se assistete ad una sola Messa, Gesù Cristo prega per voi sopra un solo altare, se siete presente a molte, Gesù prega per voi su ogni altare.

    Egli fa di più che pregare per voi: vi dà i suoi meriti, aumenta in voi la grazia e vi accorda mille preziosi favori, tanto più abbondanti quante più Messe ascoltate.

    Un fatto meraviglioso, tratto dalla vita di sant'Elisabet­ta regina di Portogallo, prova con quanta generosità Dio ricom­pensi questa devozione. Un signore di quella corte, morendo disse al figlio: "Parto da questo mondo pieno di speranza nella divina misericordia e ti lascio erede di tutti i miei beni, ma in­nanzi tutto ti raccomando di ascoltare ogni giorno la santa Mes­sa. Se poi mi succederai nel grado a corte, ricordati di servire fedelmente il tuo re". Dopo la morte del padre, il giovane fu destinato al servizio della regina che, testimone della sua pietà, gli portava molto affetto dandogli buoni consigli e spesso gli af­fidava la distribuzione delle sue elemosine. Questa principessa aveva un altro paggio che, a causa dei suoi cattivi costumi, le recava dispiacere. Questi, accecato dalla gelosia, odiava profon­damente il suo compagno e non contento di questo, per allonta­nare ad ogni costo il virtuoso giovane, lo accusò presso il re di avere una colpevole relazione con la regina e che restava fre­quentemente solo con lei, nella sua camera. Il re Dionigi non volle credergli, sapendo bene chi era sua moglie. Il calunniatore, allora, lo condusse in un luogo da dove gli mostrò il paggio che usciva dall'appartamento della regina. Questo odioso piano riu­scì e lo sposo, indignato, decise di vendicarsi. Un giorno, si recò nei dintorni della città,in una fornace dove si produceva la cal­ce, chiamò il padrone e gli disse: "Domani mattina ti manderò un messaggero che ti domanderà se tu hai eseguito i miei ordini: prendilo e qualunque cosa dica, gettalo nel forno, altrimenti vi farò gettare te al suo posto". Il fornaciaio promise di eseguire il crudele ordine. Il giorno seguente il re chiamò il paggio e gli disse: "Vai in fretta alla fornace di calce e domanda se la mia volontà e stata eseguita". Il giovane partì subito molto afflitto, perché non aveva ancora assistito alla Messa e temeva di non potervi più assistere per quel giorno. Passando da una chiesa sentì suonare l'Elevazione, entrò, adorò il Salvatore e l'offrì a Dio per la sua salute temporale ed eterna. Soddisfatta la sua pietà, riprese tutto giulivo la sua strada, ma passando davanti ad un'altra chiesa sentì lo stesso suono di campane ed entrò, ma temendo di far troppo tardi, uscì quasi subito. Continuò a cam­minare per la sua strada ma, per la terza volta, sentì una campa­na annunziare l'Elevazione e di nuovo obbedì a quell'invito. La sua gioia interna era così grande che restò in chiesa sino al ter­mine della Messa. Intanto il re, che sentiva un gran desiderio di veder compiuta la sua vendetta, mandò l'altro paggio dal fornaciaio. Il messaggero, che comprendeva il significato della sua missione, si affrettò tanto che giunse per primò. "È’ stato obbedito il re?", domandò con precipitazione. "Non ancora, ma lo sarà", rispose il fornaciaio. L'infelice venne subito spogliato dei suoi abiti, legato per le mani e per i piedi e malgrado le sue prote­ste fu gettato nella fornace. Poco dopo arrivò il vero condannato. "Se foste arrivato un po' più presto - gli disse il fornaciaio - avre­ste assistito al supplizio del vostro compagno, quantunque mi as­sicurasse che eravate voi quello che doveva essere bruciato vivo per ordine del re". Il paggio tornò al palazzo spaventatissimo, non capendo che cosa gli avesse tirato addosso la collera del suo signore. “Avete eseguito i miei ordini?”, gli domandò il re, molto sorpreso di rivederlo. A queste parole il giovane cadde ai piedi del suo re e gli narrò la promessa fatta al padre morente. Presentatasi l'occasione di ascoltare tre Messe, ne aveva profittato e era, quin­di, arrivato in ritardo alla fornace e questa era stata la causa della sua salvezza. Il re lo condusse, allora, da sua moglie e seppe da lei che qualche volta gli permetteva di andare nel suo appartamento per prendere le elemosine che doveva poi distribuire ai poveri di Lisbona. Il re, pentito, riconobbe l'innocenza del paggio. Imitate un così commovente esempio rendendo, anche voi, al Salvatore gli omaggi ai quali ha diritto ma intanto imparate la maniera di pregare durante la Messa, notando quanto sia vantaggiosa la fe­deltà a questa pratica.

    Partecipazione spirituale alla Messa

    Qualche autore sostiene che si partecipa ai frutti di tut­te le Messe nelle quali ci raccomandiamo, mentre secondo altri non si può trarre beneficio da un Sacrificio al quale non si par­tecipa, perché se è sufficiente soltanto la raccomandazione a che serve assistere alla Messa nei giorni feriali?

    Comprendo facilmente che non ascolterete che una sola Messa alla volta, anche quando se ne dicessero cento nella stes­sa chiesa, ma niente vi impedisce di offrirle tutte, né di conse­guenza di partecipare spiritualmente a tutte. In questo modo, mentre offrite il santo Sacrificio con un sacerdote, tutti gli altri che dicono la Messa nello stesso tempo, pregheranno per voi; io non vi raccomanderò mai abbastanza di chiedere un memento a tutti quei sacerdoti ai quali vi trovate vicino. Per gli ecclesiastici celebranti nella stessa chiesa è uso antico di raccomandarsi gli uni agli altri. Voi che non avete la fortuna di essere così vicini a Dio, fate altrettanto, quantunque assistiate assiduamente al san­to Sacrificio.

    In alcuni paesi, quando un sacerdote esce dalla sagre­stia per andare all'altare, prega i confratelli di benedirlo, dicen­do: Benedicite, e gli altri rispondono: Deus benedicat e aggiungono: Commendo me ad tua sacra, mi raccomando al tuo santo Sacrificio. Prendete questa pia abitudine: siate presenti o assenti, ne ritrar­rete grandi vantaggi, perché così esprimete il desiderio di assi­stere ai santi Misteri e Dio ne terrà conto. Santa Geltrude dice: “Con questo mezzo così facile si acquistano tanti tesori”.

    Se voi sapete che ad una data ora in qualche chiesa si offre il santo Sacrificio, unitevi spiritualmente alla preghiera, poiché il sacerdote prega con chi assiste alla Messa e voi sarete di quel bel numero se sarete presenti in maniera spirituale,.

    È’ questo un motivo di grande consolazione per chi vive in clausura e non può ascoltare tutte le Messe che desidera, per le persone del mondo che ne ascoltano una soltanto quando ne hanno la possibilità e infine per i malati e per i prigionieri.

    Se non avete la possibilità di andare in chiesa, leggete almeno le preghiere liturgiche e unendovi in spirito a tutti i sa­cerdoti che celebrano in quel momento, esprimete l'intenzione di offrire Gesù in tutti gli altari dove è presente.

    Vi domanderete perché vi chiedo di raccomandarvi a delle Messe delle quali non sapete né l'ora, né il luogo. Non sarebbe più facile raccomandarvi, in generale, a tutte quelle che sono o che verranno celebrate sulla terra? L'idea è bellissima, ma non pratica, poiché per partecipare ai frutti del Sacrificio bisogna cooperare realmente. Ora non potreste essere presenti nello stesso tempo in tutte le chiese della terra, nemmeno col più veloce pensiero.

    Ecco una dottrina non meno consolante: poiché il sa­cerdote è un ministro, il frutto principale di ogni Messa si ag­giunge al tesoro della Chiesa cattolica e ne mantiene ed aumen­ta la vita. Ora voi alimentate la vostra vita spirituale dalla vita stessa della Chiesa e per conseguenza dai meriti della santa Messa. Tuttavia è molto meglio essere presenti di persona, poi­ché non potendo, in questo caso, offrire che una sola Messa, avete il vantaggio di unirvi a tutti i sacerdoti che celebrano, par­tecipando alle loro preghiere per i fedeli che ascoltano la Messa.

  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 1.222
    Sesso: Femminile
    00 07/09/2009 17:10
    CAPITOLO VENTISETTESIMO

    URGENTI ESORTAZIONI PER ASCOLTARE OGNI GIORNO LA SANTA MESSA


    Se avete letto attentamente questo libro e se l'avete un po' meditato, dovete sentire in voi un gran fervore per la Messa e ormai non avete più bisogno di essere esortati ad ascoltarla ogni giorno. Ciò nonostante aggiungerò qualche nuova consi­derazione adatta a fortificare il vostro zelo.

    La S. Messa ravviva le nostre opere e le impreziosisce

    Prima di tutto, l'ora più preziosa della giornata è quel­la impiegata nell'assistere ai santi Misteri, essendo veramente un'ora privilegiata, durante la quale tutto ciò che fate diviene, per voi, un tesoro. Le altre ore, paragonate a questa, sono come un vile metallo vicino all'oro più puro, avendo i beni temporali un valore infinitamente minore delle ricchezze spirituali.

    Ma, qualcuno obietterà che il lavoro è necessario al man­tenimento della vita ed è più importante dell'ascoltare la Messa. Rispondo che senza ascoltare la Messa voi non potreste essere real­mente felici e perciò è più importante del lavoro. Ma lungi da me il pensiero di distogliervi dal lavoro, soltanto sostengo che se potrete ogni giorno sottrarre una mezz'ora alle vostre occupazioni, per darla al Signore, il vostro lavoro, fecondato dalla benedizione del Cielo, sarà più proficuo. Se, invece, non assistete alla Messa per negligen­za o in vista di un bene temporale, cambiate l'ora d'oro in ora di piombo e vi pregiudicate, anche grandemente, la prosperità tem­porale: inoltre rinunciate ad un guadagno mille volte più conside­revole di quello che potreste fare in tutta una lunga giornata di lavoro. A sostegno di questo cito, come prova, le parole del Mae­stro: "Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero se perde l'anima sua?". Oh! Se consideraste queste parole, vi si vedrebbe più assidui al santo Sacrificio. Che guadagna in una mezz 'ora l'operaia che tira l'ago, il contadino che coltiva il campo? Appena qualche centesimo. Insensati! Con una sola Messa si arricchirebbero tanto da comperare il Cielo e sacrificano questa fortuna per un lavoro pagato con due o tre monete di rame. Dico di più: sarebbe tutto guadagno, perché Dio nella sua liberalità compenserebbe quella mezz 'ora rendendo più proficuo il lavoro da farsi.

    Ecco una riflessione che farà capire ancora meglio quan­to questa negligenza è contraria alla ragione. Se dalle nuvole piovesse l'oro non lascereste da parte le vostre occupazioni? Non vi precipitereste per raccoglierlo? Ebbene, ad ogni Messa cade dal Cielo un oro prezioso che aumenta la grazia divina, la virtù, i meriti, la gloria celeste; è la consolazione e la pietà, è la bene­dizione divina, è il perdono dei peccati, è la remissione della pena, è la partecipazione ai meriti di Gesù Cristo. Quest'oro è la felicità, la grazia, la misericordia, tutte cose di infinito valore e voi avete la possibilità di appropriarvene. Se per risparmiarvi, invece, un leggero incomodo, per non perdere un miserabile guadagno, trascurate di ascoltare la Messa durante la settima­na, sorpassate in stoltezza l'uomo che invece di raccogliere la pioggia d'oro continua a lavorare.

    Ascoltiamo Eligio: "La santa Messa ha la priorità su tutte le devozioni e colui che l'abbandona, inaridisce in se stes­so le sorgenti della pietà. Come il sole vivifica tutte le piante, così il santo Sacrificio ravviva tutte le opere. E come il sole, da solo, è più risplendente, più ardente e più utile alla terra di tutti i pianeti, così la Messa è più gradita a Dio, più fruttuosa per voi, più salutare per il mondo, più di soccorso alle anime del purgatorio, di tutti gli altri meriti della giornata. Infatti, nel santo Sacrificio rendete al Signore un omaggio degno di lui e gli procurate una gioia incomparabile". Che aggiungere ancora? Se con le buone opere voi aumentate la felicità degli angeli e dei santi, con la Messa li colmate di gioia; se con le vostre buone opere acquistate una fortuna, con la Messa vi preparate una ricompensa infinita. Spieghiamo questa verità con l'aiuto di un paragone.

    Due operai sono impiegati a dissodare un vigneto: uno di loro trova un tesoro, l'altro nulla. Quest'ultimo lavora, col sudore della sua fronte, fino a sera e venuta l'ora della paga, riceve il solito salario. Il primo, dopo la preziosa scoperta, si è riposato ed ha passato il resto del giorno nell'ozio. Eppure, ad onta di tutto questo, ha guadagnato cento volte di più del suo compagno. Così le opere, anche se compiute con la più grande pietà, non sono degne che di un compenso ordinario, mentre la Messa è un tesoro.

    Nella S. Messa é il segreto della salvezza

    Quali altre considerazioni dovrei sottoporvi, per con­vincervi a non tralasciare mai di assistere alla santa Messa? Voi siete stati creati da Dio per servirlo, ma la Messa è l'intima espres­sione del culto divino. Siete obbligato a ringraziarlo di tanti be­nefici temporali e spirituali e la Messa è il più prezioso di tutti i sacrifici di azione di grazie. Siete sulla terra per lodare la Mae­stà divina, ma la Messa è il più degno Sacrificio di lode. Siete debitore al Signore, ma la Messa è il più completo Sacrificio di espiazione. Correte incessantemente il pericolo di cadere nel peccato, la Messa è il più completo Sacrificio espiatorio. La morte e il demonio vi insidiano per strapparvi la vita e precipitarvi nell'abisso e la Messa è un riparo contro tutti i mali. Infine, nella vostra ultima ora avrete un gran bisogno della protezione dei santi che non potete ottenere più sicuramente che con questo mezzo. Nostro Signore ha detto a santa Matilde che nell'ora della nostra morte manderà tanti santi quante Messe avremo ascoltato.

    Se la vostra condizione non vi permette di frequentare assiduamente la chiesa, almeno fate celebrare qualche volta la santa Messa, per supplire alla vostra trascuratezza nel servizio di Dio e per pagare il debito dei vostri peccati. Siete povero? Eccovi un utile consiglio. Un uomo, una donna, una famiglia sono nel bisogno: durante le ore di riposo aiutateli nel lavoro e dopo averli serviti dite loro: “Ascoltate per me la santa Messa, alla quale non posso assistere quotidianamente a causa delle mie occupazioni”. Esaudiranno certamente il vostro desiderio, op­pure manderanno i loro bambini. Così vi procurerete la felicità di avere dei rappresentanti vicino all'altare, mentre attendete ai vostri affari. Non posso dirvi abbastanza quanto sia vantaggiosa questa pratica, ricordatevi solamente l'esempio che ho citato alla fine del XIX capitolo.

    Ma, voi obietterete: si può assistere, per un altro, al santo Sacrificio? Indubbiamente, perché ascoltare la Messa non è come ricevere la comunione. Comunicarsi per un altro è, in un certo modo, mangiare per un altro. Ora, come dare ad altri il nutri­mento che si prende? E’ vero, però, che questo non impedisce che le vostre comunioni siano utilissime, sotto altri aspetti, ai vostri fratelli. Per esempio, se voi dite: "Offro questa comunione per le anime del purgatorio", è come se diceste: "Partecipando al santo Sacramento mi sono innalzato dinanzi a Dio ad un gra­do di grazia tutto particolare. Ne approfitto per pregare con più ardore e confidenza per i fedeli della Chiesa purgante". Tale è il vero senso di queste espressioni. Per la Messa è differente: il san­to Sacrificio non è stato istituito soltanto per colui che vi assiste o che l'offre. Gesù Cristo può essere immolato per gli assenti, sia dal celebrante che dal popolo.

    Infatti, come dice il sacerdote al Memento dei vivi, coloro che ascoltano la Messa l'offrono per loro stessi e per i loro parenti. In più possono ancora applicare una parte dei meriti che acquistano o delle ricchezze soddisfattorie che vi attingono ad un'altra persona. E sotto questo aspetto considero più van­taggioso ascoltare la Messa per un altro che comunicarsi per il medesimo. Se non avete chi voglia rendervi questo servizio, rac­comandatevi spiritualmente, come ho spiegato più sopra, ad un sacerdote o ad un assistente, durante una Messa della quale sa­pete l'ora e il luogo. In questa maniera l'ultimo povero può par­tecipare al santo Sacrificio. Ma poiché, secondo il noto prover­bio Verba movent, exempla trahunt, le parole commuovono ma gli esempi trascinano, se non bastano le mie parole a persuadervi della bontà di questa pia pratica, seguite gli esempi dei santi che, nonostante le loro numerose occupazioni, non tralasciano mai di assistere alla Messa.

    Luminosi esempi

    Il Papa Leone III non conosceva soccorso migliore del­l'offerta della santa Messa e la celebrava con gran pietà, non solamente una o due volte al giorno, ma sette e qualche volta nove volte al giorno.

    Il santo Vescovo Ulrico aveva l'abitudine di cantare la Messa tre volte al giorno, salvo che non fosse impedito da ma­lattia o da un qualche affare importante. Nei primi tempi della Chiesa, i sacerdoti celebravano ogni giorno tante Messe quante gliene richiedeva la loro devozione personale e la pietà dei fedeli. Il Papa Alessandro Il dichiarò che bastava dirne una, avendo Cristo riscattato il mondo intero con una sola Passione. Aggiunse che il sacerdote che ne celebrava di più spinto da motivi di cupidità o di vana compiacenza, riguardo ai secolari, peccava gravemente. Innocenzo III decise in questo senso: «Ad eccezione della Natività del Signo­re, o a meno di un caso di necessità è sufficiente dire la Messa una volta al giorno». La disciplina attualmente in vigore è precisissima. All'infuori del giorno di Natale in cui, secondo un uso da tempo immemorabile i sacerdoti celebrano tre messe, il dirne due è autorizzato in certe circostanze sottoposte all'approvazione del Vescovo. Oggi per concessione di Benedetto XV si possono celebrare tre Messe anche nel giorno dei morti. (n. d. t.)

    Santa Edvige, duchessa di Polonia, tutte le mattine ascoltava più Messe e se nella cappella non c'erano abbastanza sacerdoti, ne faceva chiamare altri che compensava adeguata­mente. Rainaldi narra che san Luigi, re di Francia, assisteva sem­pre a due e spesso a quattro Messe. I suoi servi mormoravano: "Non conviene che un re stia tutta la mattina in chiesa, come un monaco. Il nostro re farebbe meglio ad occuparsi degli affari del regno e lasciare la Messa ai sacerdoti". Avendolo saputo, il re disse loro: "Mi meraviglio delle vostre lamentele. Nessuno di voi mi rimprovererebbe se io dedicassi un tempo anche maggiore al gioco della caccia". Eccellente risposta che non si applica sol­tanto ai servi di Luigi IX, ma a tutti noi. Infatti, se ascoltiamo una o due Messe in un giorno feriale, pensiamo subito di perde­re tempo e guadagno, ma se consacriamo lunghe ore a chiac­chierare, a giocare, a dormire, non proviamo nessuno scrupolo. Che fatale accecamento!

    Secondo quello che narra lo stesso Rainaldi, Enrico I, re di Inghilterra, assisteva tre volte al giorno al santo Sacrificio, benché gli affari di Stato non gli lasciassero tregua. Il re di Fran­cia andò a fargli visita e fra le altre cose gli disse: "Non bisogna andare alla Messa tanto spesso come alla predica". Enrico ri­spose: "Non so, ma a me farebbe più piacere contemplare i line­amenti del mio amico che ascoltarne le lodi". Anch'io sono del­lo stesso parere del principe ed a quelli che mi domandano se è meglio ascoltare una Messa o un'istruzione, rispondo sempre che preferisco ascoltare la Messa.

    Nessuna devozione era più cara di questa al beato fra Antonio di Stroncone. Serviva all'altare con tale fervore e sen­tiva una tale consolazione che dimenticava il mangiare e il bere. Se fossero state celebrate Messe dall'alba alla sera, non sareb­be mai uscito di chiesa e divenuto vecchio, così che si muoveva a stento, non lasciava mai di assistere ai santi Misteri e anche nel momento della morte volle alzarsi per recarvisi. Gli altri religiosi, nel timore che questo sforzo esaurisse le sue energie, lo pregavano di restare a letto, ma egli rispose loro: “Se sapeste che beneficio riceve l'anima nella Messa, non parlereste così”. Secondo il Baronio, l'imperatore Lotario ascoltava tre Messe al giorno anche al campo e il Surio riferisce che Carlo V non la tralasciò che una sola volta. Il Breviario romano ricorda l'emozione estatica che provava san Casimiro nell'assistere alla santa Messa. Nella vita di san Venceslao leggiamo che l'impera­tore Ottone convocò i principi ed i signori a Worms, per parte­cipare al Concilio, ordinando loro di trovarsi al Palazzo di buon mattino. Il duca di Boemia, invece, si recò a Messa. L'imperato­re e i principi erano impazienti per il suo ritardo ed infine Otto­ne, esasperato, disse loro: "Se arriva Venceslao, nessuno si alzi per fargli posto". Ma quando Venceslao arrivò, l'imperatore, mancando egli stesso all'ordine che aveva impartito prima, con grande meraviglia di tutti scese subito dal trono, andò incontro al duca e lo strinse fra le braccia. Egli si scusò dicendo che non aveva potuto fare a meno di rendere onore a Venceslao, perché aveva visto che era accompagnato da due angeli.

    Il celebre maresciallo Tilly era fedele alla stessa devo­zione, a costo dei più grandi pericoli. Un fatto conosciuto da tutti i suoi contemporanei e che ci è stato conservato dal p. Gobat, mostra quanto piaceva a Dio questa sua assiduità.

    Durante la campagna del 1623, Tilly ascoltava la Mes­sa che il p. Giovanni Pierson, suo confessore, celebrava in una capanna, quando il barone Lindela venne a dirgli che il duca Cristiano di Brunswick avanzava verso il campo imperiale. "Mio caro Lindela, - rispose il maresciallo - lo vedete, sono trattenuto da un affare urgente. Affrettatevi a ritornare al campo, ordinate le truppe e appena finita la Messa vi raggiungerò". Il barone obbedì, ma arrivato al campo, credette che il maresciallo avesse cambiato idea, perché lo vide a cavallo, a capo dell'armata, sti­molare l'ardore dei soldati e lanciarsi contro gli eretici. In poco tempo la cavalleria nemica fu battuta e trentamila fanti furono uccisi o fatti prigionieri. Dopo la Messa, Tilly che non aveva lasciato la chiesa, montò a cavallo e si lanciò sul campo di batta­glia, dove constatò, con sorpresa, la vittoria dei suoi. Dopo la divisione del bottino, domandò a Lindela a chi dovesse attribu­ire quel glorioso trionfo. L'ufficiale gli rispose: "La vostra pre­senza ha incoraggiato i soldati, siete penetrato nelle file nemiche ed i vostri cavalieri vi hanno seguito!". Tilly, che sapeva bene di non essere arrivato che alla fine del combattimento, riconobbe in questo fatto l'assistenza del Cielo, ma per tenere nascosto il prodigio con il quale era stato favorito, mantenne il più rigoroso silenzio. Il p. Pierson rivelò che il maresciallo aveva ascoltato la Messa fino alla fine e tutti seppero che l'angelo custode del ma­resciallo austriaco aveva combattuto, come aveva fatto un'altra volta, contro i mussulmani, il celeste protettore di un generale spagnolo.

    Se molti re, o grandi personaggi ai quali gli affari pub­blici non hanno dato tregua tutti i giorni della loro vita, hanno ascoltato non una ma più Messe durante il giorno, noi che ab­biamo occupazioni di poco conto, come ci scuseremo presso Dio per essercene astenuti? Temo che il Giudice supremo dica con tutta giustizia: "Prendete questo servo inutile, legategli le mani e i piedi e gettatelo nelle tenebre eterne, là dove ci sarà pianto e stridore di denti". Ma, domanderete voi: se ascoltare la Messa nei giorni ordinari è facoltativo, come può Dio dannarci per averla tralasciata? Certamente Dio non vi dannerà espressamente a causa delle vostre omissioni, ma vi punirà di aver trascurato il suo servizio e di non aver fatto fruttificare il talento che vi è stato affidato. Il servitore pigro che fu gettato nelle tenebre non aveva dissipato, né perduto al gioco il deposito del suo padrone e glielo aveva reso tale e quale, ma il suo torto fu di non averlo farlo fruttificare.

    Mancanza di zelo

    Tralasciando l'ascolto della Messa dobbiamo conside­rare non solo il nostro danno, ma quello recato a Dio e ai santi. Ecco come si esprime a questo proposito il Pedagogo Cristiano: "Il sacerdote che, in stato di grazia ed in buone disposizioni si astie­ne, per una negligenza inescusabile, dal dire la Messa, per quanto dipende da lui, sottrae alla Santissima Trinità la lode e la gloria, agli angeli la gioia, ai peccatori il perdono, ai giusti il soccorso, alle anime del purgatorio il sollievo, alla Chiesa un gran bene spirituale e priva se stesso di un rimedio salutare. Il torto causa­to dal cristiano, che lascia la Messa senza una ragione sufficien­te è, fatta la proporzione, paragonabile a quella del sacerdote". Ah! Se un vostro servo vi arrecasse ogni giorno un danno come quello che voi fate a Dio con le vostre omissioni, vi affrettereste a mandailo via. Temete, dunque, che Dio non respinga anche voi, perché non lo avete servito come dovevate. Spesso Egli pu­nisce questa mancanza di zelo con un'estrema severità. Un fatto narrato da Agostino Manni ed avvenuto in Umbria nell'inverno del 1570, ci servirà da esempio. Tre mercanti di Gubbio si reca­rono un giorno alla fiera annuale che si faceva in un borgo, chia­mato Cisterno. Dopo aver venduto le loro merci, due di loro cominciarono a parlare del ritorno a casa e decisero di porsi in cammino al primo albeggiare dell'indomani, per trovarsi la sera nel proprio paese. Il terzo disapprovò il loro disegno e dichiarò che, essendo l'indomani giorno di domenica, non si sarebbe posto in viaggio prima di aver ascoltato la santa Messa. Cercò per persuadere i compagni a fare altrettanto, ma tutto fu inutile. Essi gli dissero decisamente di avere ormai fissato la loro parten­za allo spuntar del giorno e che Dio li avrebbe perdonati se per una volta tralasciavano di udire la Messa. All'alba del giorno seguente, montarono in sella e cavalcarono verso il loro paese. In breve tempo giunsero al fiume Corfruone che, a causa di un uragano avvenuto la notte precedente, era straordinariamente gonfio d'acqua ed aveva reso pericolante il ponte di legno che portava alla riva opposta. Senza punto badarvi, i due cavalieri salirono a briglia sciolta sul ponte malfermo, ma giunti appena a metà un violento urto delle onde abbatté le travi centrali e i due infelici precipitarono nel fiume coi loro cavalli. Alle grida dei naufraghi, che chiedevano aiuto, accorsero solleciti alcuni contadini, ma non riuscirono a fare altro che tirarne i cadaveri sulla spiaggia, dove furono lasciati esposti finché non venissero riconosciuti. Poco dopo giunse in riva al fiume anche il terzo mercante che, per soddisfare al precetto della Chiesa si era trat­tenuto a Cisterno e vide là distesi i due cadaveri. Al primo sguardo riconobbe i suoi sventurati compagni di viaggio ed appena sen­tito dai circostanti i particolari dell'infausto incidente, levò al cielo le mani, rese grazie all'Altissimo per averlo preservato da una morte così terribile. Possa questo castigo convincervi che non bisogna mai, per un interesse temporale, lasciare la Messa nei giorni d'obbligo, come fanno molti commercianti, senza pre­occuparsi troppo del peccato mortale che commettono. I com­pratori, dal canto loro, sappiano che non sono scusabili se van­no a fare delle compere in luoghi dove è a loro impossibile il compimento del precetto. Sappiano che, con la mercanzia, ac­quistano le pene dell'inferno, salvo che non si tratti di una cosa assolutamente indispensabile. Se i genitori impediscono ai figli di assistere al santo Sacrificio è un dovere per quest'ultimi di seguire l'esempio di santa Genoveffa. Sua madre Geronzia vo­leva trattenerla a casa in giorno di festa, senza una ragione suf­ficiente. Con una fermezza superiore alla sua età, la giovane santa le disse: "Cara madre, in coscienza oggi non posso trala­sciare la Messa. È’ meglio scontentare voi che dispiacere a Dio". Geronzia si incollerì al punto di schiaffeggiare sua figlia, rim­proverandole acerbamente questa sua opposizione. Il castigo non si fece aspettare e Dio rese cieca all'istante quella madre snatu­rata, la quale non guarì che due anni dopo, per le preghiere di Genoveffa.

    Un padre ed una madre di famiglia che distolgono i loro figli e i loro servi dall'ascoltare la Messa, o gliela lasciano omettere, commettono una gravissima colpa.

    Ascoltate il linguaggio di san Paolo: "Se qualcuno non ha cura dei suoi, soprattutto di quelli che abitano con lui, rinne­ga la sua fede ed è peggiore di un infedele". San Giovanni Crisostomo commenta con queste parole: "Con la parola cura, san Paolo non intende solamente la conservazione del corpo, ma anche quella dell'anima". Infatti, se un padre di famiglia che trascura di dare ai figlioli e alle persone di casa sua il nutri­mento e il vestito, è, agli occhi di Dio, peggiore di un infedele, quanto sarà giudicato più severamente colui che non cerca di procurare loro i mezzi per conquistare la salute eterna!

    Secondo mons. Sperelli, vescovo di Gubbio, essendo la Messa quotidiana una delle opere più potenti per assicurare la salute eterna, tutti i capi di famiglia dovrebbero imporre ai loro sottoposti l'obbligo di assistervi tante volte quante è loro possibi­le. Le persone che vivono in campagna, a causa della loro lon­tananza dalle chiese, vi sono obbligate meno severamente degli abitanti della città, dove risiedono dei religiosi che, ordinaria­mente, celebrano di buon mattino.

    L'uomo che impedisce al proprio figlio o al servo di ascoltare la Messa è come se dicesse loro: "Non devi servire a Dio, perché non è Dio che ti paga, ma io e quindi lavorerai tutta la settimana solo per me". Se questo linguaggio non esce dalle labbra, risulta evidentemente dalla condotta e tali cristiani sono al di sotto dei pagani e dei rinnegati. Nell'ora della morte sa­pranno quanto hanno offeso Dio.

    CAPITOLO VENTOTTESIMO

    ESORTAZIONI ALLA PIETÀ DURANTE LA SANTA MESSA


    Quanto è triste vedere, in generale, i cattolici assi­stere con poca devozione alla santa Messa! La maggior parte non si occupano che di quanto succede intorno a loro, guar­dano chi va e chi viene, pregano soltanto con le labbra senza che un solo pensiero venga dal cuore! Sono distratti, restano seduti tutto il tempo, come se non avessero nessuna idea del­l'opera che si compie sull'altare, mostrando così che la fede è in loro profondamente sepolta sotto la consuetudine giorna­liera. Spettacolo deplorevole, che pare impossibile possa av­venire in mezzo a coloro che si dicono cristiani! Perciò è mio dovere esporre i mezzi più adatti per togliere le anime da questa inerzia.

    Rispetto con cui dobbiamo assistere alla S. Messa

    La Chiesa, per mezzo del Concilio di Trento, ci indica con che rispetto dobbiamo assistere al santo Sacrificio. "Rico­noscere - dice - che i cristiani non possono compiere un'opera più santa, più divina di quella di questo augusto mistero, nel quale è offerta quotidianamente dal sacerdote sull'altare la vitti­ma vivificante che ci riconcilia con Dio, è riconoscere, contem­poraneamente, che grande deve essere la nostra cura e la nostra diligenza per assistervi con la maggiore purezza di cuore, purità di intenzione, devoto contegno ed edificante pietà!". Per questo non vi si domanda una devozione sensibile, ma che abbiate almeno la ferma volontà di assistere al Sacrificio con una conve­niente attenzione, come vi farà comprendere il seguente fatto.

    Il padre Giovanni Schenau, priore di Grùnenthal, nar­ra che un giorno tre religiose ascoltavano con fervore la Messa e dietro a loro si trovava una pia matrona. Dopo la consacrazio­ne, la signora vide Gesù bambino scendere dall'altare e la prima delle tre religiose prenderlo amorosamente fra le braccia per baciarlo. Gesù andò poi verso la seconda e alzando il velo le sorrise affettuosamente. Infine arrivò davanti alla terza, la guar­dò con occhio severo come se avesse voluto rimproverarla, le dette uno schiaffo e poi risalì sull'altare e scomparve. La signora restò molto sorpresa e fu tentata di giudicare come una pecca­trice la religiosa maltrattata.

    Non potendo comprendere da sola il significato della visione, pregò Dio di rivelarglielo e nostro Signore allora le dis­se: "La prima Vergine con la quale mi sono mostrato così buono è debolissima nella sua devozione e molto incostante verso di me. Se non la prevenissi con le mie carezze, forse cederebbe al desiderio di ritornare nel mondo. La seconda ha buone disposi­zioni, purché le accordi qualche consolazione spirituale. Ma la terza è mia sposa amatissima, che mi resta fedele in ogni tempo, anche se le mando delle amarezze e delle persecuzioni". La pia donna riconobbe così il suo errore e comprese la natura della vera devozione.

    Persuadetevi, dunque, che la pietà è un fervore spiri­tuale e non una dolcezza sensibile. Essa consiste nel servire Dio, nel restare costantemente alla sua presenza, anche quando non comunica nessuna soavità interna.

    Vi basti sapere che non dovete scoraggiarvi né per le distrazioni involontarie, né per i sentimenti di freddezza che provate ogni tanto. Ma ricordatevi sempre della vostra indegni­tà e continuate ad ascoltare fedelmente la Messa. Nonostante la vostra insensibilità Dio vi benedirà ugualmente, purché vi sfor­ziate di uscire dalla vostra apatia. Non facendolo vi privereste di un grande merito, come dimostra la storia seguente.

    Un giorno santa Matilde, mentre ascoltava la Messa, vide Gesù Cristo seduto sopra un trono di cristallo, da dove partivano due limpidi ruscelli. Si meravigliò fortemente di que­sto spettacolo, quando le fu rivelato che uno dei ruscelli raffi­gurava il perdono dei peccati, l'altro le consolazioni spirituali e che queste grazie sono comunicate, in virtù della presenza di nostro Signore, specialmente a quelli che assistono al santo Sacrificio.

    “All'Elevazione dell'Ostia - scrive la santa - Gesù prese il suo Cuore e tenendolo fra le mani, lo alzò. Quel Cuore divino era come trasparente e intorno diffondeva costante­mente il balsamo di cui era ripieno. I cuori di tutte le persone che erano presenti si libravano nello spazio insieme a quello del Salvatore e qualcuno, ripieno del balsamo del divin Cuo­re, spandeva un vivo chiarore, mentre altri invece restavano opachi e pesanti e ricadevano al suolo”. Matilde seppe allora che i primi appartenevano a quelli che ascoltavano la Messa con devozione e i secondi a quelli che languivano in una col­pevole inerzia.

    Vi prego di notare la differenza fra i cuori zelanti e i cuori tiepidi, contrassegnata dalla veggente: i primi, animati dal desiderio di onorare Gesù Cristo sono ripieni del balsamo che spande il Cuore del Salvatore e sono bruciati dal fuoco del divi­no amore, mentre i secondi, volti verso terra, distratti dai pen­sieri mondani, non contengono nemmeno una goccia dell'olio della devozione.

    Dio condanna in loro non tanto la mancanza di fer­vore, quanto la volontaria negligenza di elevarsi nella pietà. Ohimè! quanti cristiani meritano questo rimprovero! quan­ti per una inesauribile freddezza si privano di ogni gioia spi­rituale!

    Il S. Cuore di Gesù supplisce alle nostre deficienze

    Ma che cosa dobbiamo fare, chiederete, se con tutti i nostri sforzi, restiamo senza devozione? Seguite il consiglio dato da nostro Signore a santa Geltrude. Un giorno questa santa si trovava in coro a cantare la Messa e per quanto cercasse di stare raccolta, la fragilità umana non glielo permetteva. “A che serve questa preghiera incostante? È molto meglio smettere”, disse fra sé, disponendosi ad uscire. Gesù allora le apparve col Cuore in mano e le disse: "Vedi, metto il mio Cuore a tua disposizione, affinché tu gli ordini di compiere ciò che non puoi fare con le tue forze. I miei occhi non troveranno così nulla da rimproverare". Sorpresa, le sembrò cosa quasi sconveniente che un Cuore così nobile dovesse supplire alla sua incapacità, ma Gesù le fece questo paragone: "Se tu avessi una bella voce e ti piacesse molto cantare, non ti rincrescerebbe che una delle tue compagne che avesse una voce stonata volesse farsi sentire al tuo posto? Così il mio divin Cuore desidera che tu riversi in esso i doveri che non puoi convenientemente disimpegnare".

    Che splendida lezione! Siete distratti alla Messa? Non avete nessuna devozione? Dite a Gesù: "Mi dispiace di sentirmi tanto poco raccolto e prego il tuo divin Cuore di supplire alla deficienza del mio". questa pia supplica non vi impedirà, però, di ricorrere ad altri mezzi che dipendono da voi. Prima di recar­vi alla Messa riflettete a ciò che andate a fare. Non entrate nel tempio per pregare col fariseo, né col pubblicano, ma entrateci con David, per offrire il Sacrificio dicendo: "Ti sacrificherò volentieri" e “O Signore, sono il tuo servo, perciò ti offrirò un sacrificio di lode ed invocherò il tuo santo nome”.

    Infatti, voi andate a rendere a Dio l'omaggio più per­fetto, offrendogli un Sacrificio il cui prezzo è infinito. Ascoltate il padre Gobat: “Ascoltare la Messa non è propriamente una preghiera: è un atto di adorazione, è l'offerta di un Sacrificio divino, offerta che i fedeli, se sono convenientemente disposti, fanno col sacerdote”. Lo stesso autore spiega in seguito la natu­ra del Sacrificio: "Sacrificare è compiere l'azione più eccellente, è esercitare tutte le virtù. Sacrificando riconosciamo il sovrano diritto di Dio di essere onorato e glorificato infinitamente. Sa­crificando confessiamo la nostra assoluta dipendenza come cre­ature e perciò il Sacrificio, fra tutti gli atti di religione è il più gradito all'Altissimo e il più utile all'uomo".

    Ma ecco che siete in chiesa e il sacerdote sale all'altare: esprimete subito l'intenzione di ascoltare attentamente la Mes­sa. Avete qualche preghiera preferita? Fatela fino alla consacra­zione, unendovi al sacerdote con una continua attenzione. Da questo momento dedicatevi esclusivamente ad adorare nostro Signore ed offrirlo col celebrante.

    Ma non dovremmo farci scrupolo, chiederete, di ri­nunciare alle nostre preghiere abituali? Rassicuratevi. Parago­nate al santo Sacrificio queste preghiere: esse sono ciò che il rame è rispetto all'oro. Niente vi impedisce di recitare queste preghiere in un altro momento, mentre potete recitare quelle della Messa soltanto ai piedi dell'altare, dove s'immola il Sal­vatore e dove potete ottenere i frutti più abbondanti. Se, per caso, un giorno siete costretti a lasciare i vostri esercizi di pie­tà, questa omissione vi recherà meno danno del tralasciare la Messa. Al Confiteor, battetevi, in spirito di penitenza, tre volte il petto, svegliate in voi un sincero pentimento delle vostre colpe. A questo fine, rappresentatevi Gesù Cristo prostrato nel giar­dino degli Ulivi, piangente sul vostro stato. Quindi, seguite gli atti del sacerdote e al momento dell'oblazione del pane e del vino, fate la vostra offerta con fervore ed umiltà, riflettendo sulla vostra indegnità che non dovrebbe permettervi neanche di comparire davanti a Dio.

    Al Sanctus inchinatevi profondamente per adorare la SS. Trinità,in unione coi Serafini che cantano nel Cielo questa su­blime preghiera.

    Dopo il Sanctus viene il Canone: il sacerdote lo recita a voce bassa, per non esporre alla profanazione gli augusti misteri che contiene. 'A questo punto - ci dice l'apostolo san Giacomo nella sua liturgia - ognuno deve tacere, tremare di timore e di­menticare le cose terrestri, perché il Re dei re e il Signore dei signori viene ad immolarsi e a darsi in nutrimento agli uomini. Gli angeli camminano davanti a Lui e si coprono il volto ed intonano dei cantici in mezzo a trasporti di felicità".

    A proposito di questi cantici, santa Brigida scrive le ri­ghe seguenti, già citate al XII capitolo: "Un giorno in cui assi­stevo al santo Sacrificio, dopo la consacrazione, mi sembrò che il sole, la luna, tutte le stelle, tutti i pianeti e tutti i cieli, in tutte le loro evoluzioni, cantassero con la voce più dolce e più melodio­sa. Ad essi si aggiungeva un immensa turba di musici celesti, che eseguivano melodie così soavi che non mi è possibile darne una minima idea. I cori degli angeli scendevano contemplando il sacerdote, inchinati verso di lui con una rispettosa tenerezza, mentre i demoni fuggivano spaventati".

    Il cielo intero concorre a compiere solennemente il più grande dei miracoli, mentre noi, poveri peccatori, vi assistiamo senza rispetto, senza fede, come ad una cerimonia ordinaria! Oh! Se Dio ci aprisse gli occhi, di quali ammirabili spettacoli saremmo testimoni! Vedremmo la celeste assemblea attenta al rinnovarsi della vita, della passione, della morte del Salvatore. Vedremmo il sole, la luna e le stelle rischiarare questi misteri, i pianeti celebrarli con le loro evoluzioni e i cori angelici glorifi­caili con i loro canti e penetrati dal pio timore che descrive san Giacomo, dimenticheremmo tutte le cose della terra.

    La transustanziazione

    Fino ad ora ho parlato delle cerimonie che precedono la consacrazione, ora dirò qualche cosa sulla transustanziazione stessa. Nel momento in cui vengono pronunciate le parole sa­cramentali, si aprono i Cieli ed il Figlio di Dio in persona di­scende in tutta la sua Maestà.

    A santa Matilde Egli si è degnato di rivelare in quale maniera opera questo atto ineffabile. “Vengo con una tale umil­tà - le disse - che non vi è anima, per spregevole che sia, verso la quale non mi abbassi, purché lo voglia. Vengo con tale dolcezza che mi fa sopportare i nemici più acerrimi e non aspetto che un loro desiderio per riconciliarmi e rimettere i loro debiti. Vengo con tale liberalità che chiunque, per quanto indigente, può esse­re ricolmato di ricchezze. Vengo con un nutrimento così eccel­lente che ne sono saziati i più famelici e abbeverati i più assetati. Vengo con una luce meravigliosa che illumina ogni cieco. Ven­go infine con una pienezza di grazie sufficiente per vincere qua­lunque resistenza e scuotere il torpore delle anime più lente e più pigre”.

    Non vi stancate di ammirare nostro Signore che scen­de sull'altare. Considerate quanto desidera rialzare i peccatori, perdonare i suoi nemici, arricchire gli indigenti, nutrire gli affa­mati, illuminare i ciechi, eccitare gli indifferenti. Si compie alla lettera la parola evangelica: "Il Figliolo dell'uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto". "Dio non ha dato al mondo il suo Figliolo per giudicarlo, ma per salvarlo". No, Egli non viene per condannare e punire, ma per rendere ai colpevoli la sua grazia. Nessuno deve dunque temere di comparirgli da­vanti. O peccatori, non è un giudice, ma è un mediatore che s'avanza. Presentandovi davanti al suo sguardo non commettete alcuna colpa, come potrebbe farvene dubitare la coscienza del vostro triste stato, ma preparate la vostra giustificazione. Non peccate nemmeno se, per fragilità, siete distratti e indifferenti, purché siate venuti con buona volontà.

    Cerchiamo ora di capire ciò che può provare l'umanità di Cristo riprodotta, in virtù delle sacre parole, sotto le specie sacramentali. Gesù non si contempla nell'Ostia come un uomo che si rimira allo specchio, nel quale scorge la sua immagine; il Salvatore, invece, ha sotto gli occhi la sua reale presenza, si ri­trova in tutti i luoghi dove si compie la consacrazione e davanti a questo ineffabile spettacolo la sua felicità accidentale si accre­sce. L'umano intelletto non può approfondire un tale mistero, nessun cuore mortale può gustare una tale soavità.

    Ecco come parla della transustanziazione santa Brigida: “Appena il sacerdote ebbe pronunciato le parole sacramentali, il pane divenne un piccolo agnello che aveva il volto umano cir­condato da una fiamma ardente. Tutti gli angeli che erano pre­senti, lo adoravano e lo servivano ed erano così numerosi come i pulviscoli dell'aria. Inoltre c'era una moltitudine tale di beati che la mia vista non poteva misurare lo spazio occupato da quel­l'immensa turba”. O Dio, che magnifica solennità! Nessuno era in più, nessuno inutile, nessuno disoccupato. Che facevano dun­que? Ce lo dice santa Brigida: “Adoravano l'Agnello e lo servi­vano”, ma in qual modo non lo spiega. Mi immagino alcuni che portano le torce, altri magnifici turiboli, gli uni che cantano so­avi cantici, altri che traggono suoni melodiosi da angelici stru­menti. Ah! Che angoscia proveremmo, se ci fosse concesso sol­tanto una volta di vedere quello che accade alla consacrazione! “Allorché il Figlio di Dio vivente appare sull'altare, fra le mani del sacerdote, l'uomo deve tremare, - scrive san Francesco di Sales - il mondo fremere, tutto il Cielo commuoversi! O ammirabile grandezza! O dignità annichilita! Il Verbo, il Padro­ne di tutte le creature, per la salute dell'uomo si umilia al punto di nascondersi sotto la figura del pane”.

    Ma noi non pensiamo a Gesù Cristo, perché non lo vediamo con gli occhi del corpo, mentre gli angeli che lo con­templano "tremano alla sua presenza", secondo il testo del pro­feta e i demoni fuggono spaventati, come l'ha rivelato Egli stes­so a santa Brigida: "Come a queste sole parole: "Sono io!", i miei nemici furono rovesciati, così alle parole della consacrazio­ne: "questo è il mio corpo", i demoni fuggono". Ad esempio degli angeli e dei santi, facciamo quanto è in nostro potere per servire il Salvatore e partecipare a questo adorabile Sacrificio e applichiàmo ad esso tutte le nostre facoltà, affinché, celebrato con la dignità richiesta, apporti i frutti più abbondanti. La ra­gione, allora, ci comanda di lasciare tutte le altre preghiere, di alzare i nostri sguardi verso l'altare, di eccitare vivamente la nostra fede, di adorare umilmente l'Agnello divino, di offrirlo al Padre celeste e di perseverare in questi esercizi tanto quanto Gesù resta presente. Ohimè! Come sono rari gli uomini che ascol­tano la Messa così! La maggior parte continuano le solite prati­che di pietà senza occuparsi di nostro Signore.

    Nostre indelicatezze verso la vittima divina

    Un paragone dimostrerà meglio la sconvenienza di questa condotta. Un amico vi ha spesso pregato, nelle sue lette­re, di fargli visita. Voi andate e al vostro arrivo non vi dà il ben­venuto, non vi rivolge la parola e vi lascia in piedi come se non vi conoscesse. Non vi accorereste, forse, di questa mancanza di riguardo? Non vi pentireste di aver intrapreso quel viaggio? Ebbene, ad ogni Messa, Cristo scende dal Cielo per visitarvi, per consolarvi e colmarvi delle sue grazie. Egli sta davanti a voi, vi guarda, aspetta che gli parliate e voi non tenete conto della sua presenza. Non lo salutate, non l'adorate, non gli rendete alcuno omaggio e continuate le vostre solite preghiere che non hanno nessun rapporto con la Messa: in poche parole voi agite come se non si compisse l'augusto Sacrificio.

    Che dovete fare allora, in quel solenne momento? Imi­tare la condotta del sacerdote. Egli, cadendo in ginocchio, ado­ra Dio che tiene nelle sue mani. Come lui, inchinate profonda­mente la testa, pensate che il vostro Salvatore è nascosto sotto le apparenze dell'Ostia e adoratelo.

    Il più elementare sentimento vi consiglia che è conve­niente rendergli questo onore. La Sacra Scrittura ce lo ricorda in molti luoghi e particolarmente nella storia dei Re Magi. “Ar­rivati a Betlemme - dice san Matteo - trovarono il Bambino con Maria, sua madre, si prostrarono a terra e l'adorarono”. Quando il cieco nato comprese che Gesù era il Figlio di Dio, cadde anch'egli in ginocchio e l'adorò. I discepoli ci danno lo stesso esempio: "quando incontrarono il Salvatore nella mon­tagna di Galilea, dove aveva dato loro appuntamento, lo adora­rono"'.

  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 1.222
    Sesso: Femminile
    00 07/09/2009 17:14
    CAPITOLO VENTINOVESIMO

    QUALE DEVOZIONE SI DEVE AVERE DURANTE LA CONSACRAZIONE


    La parte più importante, il vero centro della Messa è la transustanziazione. Perché il popolo potesse prendervi un'inti­ma parte, la Chiesa ha voluto che il Corpo di Gesù, nascosto sotto le sacre Specie, fosse presentato agli sguardi dei fedeli im­mediatamente dopo la Consacrazione. In quel momento i Cieli si mettono in festa, le sorgenti della salute zampillano sulla ter­ra, le fiamme del purgatorio si addolciscono e gli spiriti infernali sono atterriti dallo spavento. Non fu mai offerto al Signore un dono più commovente, né più magnifico.

    Altra meraviglia: quella umanità di Gesù, specchio purissimo e fedelissimo della SS. Trinità, gioiello infinitamente superiore a tutti i tesori della terra, viene presentata dal sacer­dote non sotto una sola forma, ma sotto diverse. Fra le sue mani il Verbo s'incarna di nuovo, nasce di nuovo e soffre la passione, il sudore di sangue, la flagellazione, la coronazione di spine, la crocifissione e la morte. Si interpone nuovamente fra la santità divina e il mondo colpevole, fra il giusto giudice e il povero pec­catore. Oh! quanto il Cuore dell'eterno Dio deve essere com­mosso a questo spettacolo!

    Il sacerdote eleva Gesù Ostia

    Non solo il sacerdote, però, pone Gesù sotto gli occhi dell'Altissimo. Nelle Rivelazioni di santa Geltrude si legge che il Salvatore offre se stesso in un modo che sorpassa ogni compren­sione. Come concepire ed esprimere i sentimenti di Dio, alla vista di un tale Sacrificio? Chi potrà scrutare questo mistero? Chi potrebbe soltanto immaginarlo? Poiché si rinnova la pre­senza reale di Gesù Cristo, è come se Dio ricevesse un nuovo Figlio, nel quale si contempla come in un nuovo specchio. Nes­sun linguaggio mortale saprebbe descrivere il colloquio del Pa­dre con il Figlio e le testimonianze di amore che reciprocamente si danno. Il Padre ripete, senza dubbio, le parole che pronunciò al Battesimo di Gesù: "Tu sei il mio Figlio diletto nel quale ho posto tutte le mie compiacenze" e il Figlio risponde: "Tu sei il Padre mio e da Te traggo la mia gioia, le mie delizie".

    San Bonaventura invita il sacerdote e il popolo a dire all'eterno Padre: "Padre celeste, guarda il tuo unico Figlio, che il mondo intero non può contenere, divenuto nostro prigionie­ro. Accordaci, in nome della sua prigionia, quello che con lui ti domandiamo con insistenza: il perdono dei peccati, la remissio­ne delle pene, l'aumento della grazia, l'avanzamento nella vir­tù, la felicità della vita eterna". Il sacerdote potrebbe anche dire al popolo: "Ecco, o cristiani, il vostro Salvatore, il vostro Santificatore, il vostro Redentore. Guardatelo, con viva fede, nell'Ostia e apritegli il vostro cuore". Beati quelli che credono fermamente alla sua presenza, sebbene sia nascosto dai veli! "Ho veduto il Signore faccia a faccia e l'anima mia è stata salvata", possiamo gridare con il patriarca Giacobbe e anche con più ra­gione, perché questi non ha visto che un angelo mandato da Dio, mentre noi abbiamo sotto gli occhi il divin Salvatore in persona. All'Elevazione tutto il popolo deve fissare l'altare e guardare con fervore il SS. Sacramento. Gesù Cristo ha rivelato a santa Geltrude quanto que­sta pratica è gradita a Dio e utile all'uomo. Nella vita della santa si legge: "Ogni volta che apriamo gli occhi sull'Ostia consacra­ta, aumentiamo i nostri meriti e nell'altra vita godremo di una felicità corrispondente a quella con la quale quaggiù avremo contemplato il preziosissimo Corpo di Gesù". Guardate, dun­que, di non rendervi indegni, con la vostra negligenza, di una promessa così consolante. Non imitate i cristiani male illuminati che, chinando troppo il corpo, si mettono nell'impossibilità di vedere il Salvatore. Secondo la rubrica, il sacerdote deve tenere, per qualche istante, le sacre Specie al disopra della sua testa, per presentarle agli sguardi dei fedeli. A proposito del preziosissimo sangue il messale aggiunge: "Dopo aver adorato, il sacerdote si rialza, prende il calice fra le mani e lo mostra al popolo". Tale è la volontà della Chiesa. Chi non osserva questa regola, cioè chi non alza l'Ostia e il Calice o chi, avendoli alzati, li depone sul­l'altare con troppa fretta, commette una colpa, perché priva il Salvatore degli omaggi dei fedeli.

    EFFICACIA DELL'ELEVAZIONE

    In un tratto profetico la Bibbia ci insegna l'efficacia di questo uso. quando gli israeliti mormoravano, il Signore man­dò contro di loro dei serpenti il cui morso bruciava e molti ne furono feriti o uccisi. Mosè, pregato dal popolo, invocò il soc­corso del Cielo e Dio gli disse: "Innalza un serpente di rame ed esponilo come un simbolo: ogni ferito che lo guarderà, vivrà". Obbedendo a quest'ordine, Mosè fece innalzare un serpente di rame e tutti i malati che lo guardavano furono guariti. È’ indub­bio che in questo simulacro dobbiamo vedere un simbolo di Cristo, come leggiamo nel Vangelo di san Giovanni: "Come Mosè ha innalzato un serpente nel deserto, il Figlio dell'uomo deve essere innalzato sulla Croce". Se una semplice immagine aveva la virtù di preservare dalla morte gli ebrei feriti dal vele­noso rettile, quanto più facilmente, la pia contemplazione del Salvatore guarirà le anime ferite dal peccato. Dopo, o piuttosto durante questa contemplazione, fate degli atti di fede sulla pre­senza reale di Gesù Cristo nella santa Ostia e offrite il divin Salvatore a Dio Padre per la vostra salute. Vi preparate così una magnifica ricompensa, perché c'è molto merito a credere quello che gli occhi non vedono, che il gusto non sente, che l'intelligen­za non concepisce. La ragione umana, da sola, non potrebbe certamente ammettere che in virtù di cinque brevi parole, il pane ordinario divenga un Dio e che il vino comune sia cambiato nel Sangue di Cristo e perciò i protestanti e gli infedeli ci giudicano insensati. Nondimeno, dobbiamo restare saldi nella nostra fede e sopportare, per amore di nostro Signore, le critiche e i motteg­gi. "Beati quelli che hanno creduto senza vedere", ci dice Gesù ed è come se dicesse: “Beati coloro che, contro tutte le apparen­ze, credono fermamente alla mia reale presenza nel santo Sa­cramento: ad essi darò la vita eterna”.

    Come Gesù premia la fede

    Il seguente racconto, tratto dalla vita di Ugo da San Vittore, conferma questa consolante dottrina. Ugo aveva insi­stentemente domandato la grazia di vedere Cristo durante la santa Messa. Un giorno gli apparve il Bambino Gesù seduto sul tabernacolo. La visione durò un certo tempo e poi il divin Bam­bino gli disse: "Ugo, tu mi hai voluto vedere con gli occhi del corpo, ma hai perduto un grande merito" e scomparve lascian­do il sacerdote molto rattristato. Esempio efficace per fortificar­vi contro questa tentazione, prova consolante che ogni sguardo gettato sull'Ostia, come testimonianza della vostra fede incrollabile, aumenta il vostro merito.

    San Luigi, re di Francia, non perdeva nessuna occasio­ne per praticare questa virtù. Ho già raccontato che un giorno gli fu detto che, non lontano da Parigi, durante la Messa, Gesù Cristo appariva corporalmente e che la folla si precipitava a ve­dere il miracolo. A coloro che lo invitavano ad andare a vedere, il pio monarca rispose: "Vadano quelli che non credono, a vede­re il Signore Gesù: io credo fermamente alla sua presenza reale nelle sacre Specie e perciò resto qui". Senza dubbio, san Luigi sentiva il desiderio, naturale ad ognuno, di contemplare il Bam­bino Gesù, perché sulla terra non vi può essere niente di paragonabile a questo spettacolo, ma preferì privarsi di una sod­disfazione tanto meravigliosa, piuttosto che perdere il merito della sua fede. Per quanto grande possa essere il vostro desiderio di vedere Gesù nell'Ostia, ad esempio di questo gran santo, con­solatevi con la certezza che ne sarete ricompensati in Cielo.

    San Pasquale Baylon, religioso dell'ordine di san Fran­cesco, doveva sentire un'attrattiva speciale per la contemplazio­ne delle sacre Specie, perché, narrano i suoi storici, durante la Messa dei suoi funerali, mentre il suo corpo era in chiesa col viso scoperto, aprì due volte gli occhi nel momento dell'Eleva­zione e li fissò sull'Ostia con straordinari segni di gioia e di amo­re. I presenti, molto numerosi, furono testimoni oculari di que­sto prodigio e confermati fortemente nella fede.

    Non è meno degno di nota quello che Fornero raccon­ta del valoroso Simone di Montfort. quest'eroe, che ascoltava ogni giorno la Messa, trasaliva di gioia in presenza dell'Ostia e spesso gridava come Simeone: "Ed ora, Signore, lascia riposare in pace il tuo servo, perché i miei occhi hanno visto il mio Salvatore". Per dodici anni combatté gli albigesi col soccorso dei Fran­cesi e dei Tedeschi ma il nemico, conoscendo la sua pia abitudi­ne, un giorno piombò all'improvviso sul campo, seminando il terrore. Gli ufficiali di Simone si affrettarono ad avvisarlo del pericolo che l'esercito correva, pregandolo di uscire di chiesa e correre in soccorso dei suoi. "Lasciatemi prima onorare il Sal­vatore, preferisco le cose divine a quelle terrene", rispose il duca. Ben presto arrivarono altri ufficiali notizie ancora più gravi: le truppe cominciavano a ripiegare. Il generale, però, si ostinava:

    "Uscirò di qui soltanto quando avrò visto e onorato Cristo". Poi volgendosi supplichevole a Cristo lo scongiurò, per la virtù della santa Messa, di salvare il suo popolo. All'Elevazione, con tutto il suo cuore, adorò umilmente Gesù realmente presente e l'offrì all'eterno Padre. Poi, quando il sacerdote depose il calice sull'al­tare, disse a quelli che lo circondano: “Andiamo e se piace a Dio, moriremo per Colui che si è degnato morire per noi sulla Cro­ce”. Dette queste parole, prese le armi, montò a cavallo, ordinò i pochi soldati e ottocento cavalieri su tre linee e in nome della SS. Trinità, si slanciò contro il formidabile esercito degli eretici, a capo del quale erano il conte di Tolosa e Pietro d'Aragona. L'eroica schiera di Simone attaccò valorosamente il nemico, uccise ventimila uomini e mise in fuga i superstiti. La vittoria fu attribuita a Montfort, ma per quanto egli fosse valoroso, è certo che, con seicento uomini non avrebbe potuto riportare la vitto­ria, senza uno speciale soccorso del Cielo, soccorso che aveva implorato per i meriti della santa Messa.

    Roberto I re di Francia, assediava la città di Melun che non si arrendeva per la strenua difesa dei suoi abitanti. Un gior­no alla Messa mentre all'Elevazione pregava con fervore, per ottenere la vittoria, le mura della città caddero da sole, come già quelle di Gerico e lasciarono il passo libero al re. E’ superfluo dire che questo fatto aumentò ancora la devozione di Roberto.

    Dopo avere adorato l'Ostia, fatene subito l'offerta. Ho già trattato dell'efficacia di questo atto, ma aggiungerò alcune efficaci parole che santa Geltrude scrive nelle sue Rivelazioni:

    "L'oblazione della santa Ostia cancella tutte le nostre colpe". Cioè, non vi è mezzo più efficace di questo per riconciliarci con Dio. Meditate queste parole, o peccatori, e all'Elevazione, o immediatamente dopo, con tutte le vostre forze, offrite a Dio l'Ostia consacrata, per ottenere il perdono delle vostre colpe. Questo consiglio non è utile soltanto ai grandi peccatori, ma a tutti.

    All'Elevazione dell'Ostia, segue l'importantissima ce­rimonia dell'Elevazione del calice. Proprio allora il preziosissi­mo Sangue di Gesù Cristo scorre sui presenti in un modo misti­co, come risulta dalle parole del Vangelo che l'apostolo san Gia­como ha inserito nel suo messale: "questo è il Sangue della nuova Alleanza, versato per voi e per molti altri per la remissione dei peccati".

    Identiche espressioni si trovano nella liturgia di san Marco e determinano che nel santo Sacrificio viene versato il Sangue del Salvatore. Ai piedi dell'altare voi ricevete la stessa grazia, come se foste stati, pieni di pentimento e di compunzio­ne, ai piedi della Croce mentre cadevano le gocce del Sangue di Gesù.

    Si legge nel libro dell'Esodo che Dio disse agli ebrei: "I figli di Israele immoleranno un agnello e col suo sangue segne­ranno gli stipiti e gli architravi delle loro porte... Alla vista di questo sangue passerò oltre e non saranno colpiti quando flagellerò la terra d'Egitto". Se il sangue dell'agnello pasquale salvò gli israeliti dai colpi dell'angelo sterminatore, il Sangue dell'Agnello senza macchia non ci preserverà, dunque, dagli at­tacchi del demonio che, qual leone che ruggisce, gira attorno a noi per divorarci?

    Unirsi spiritualmente al sacerdote che eleva Gesù Ostia

    Ma che cosa faranno quelli che sono fuori della chiesa? La Chiesa ha saggiamente ordinato di annunciare l'Elevazione col suono del campanello. A questo segno non mancate di in­ginocchiarvi. Nei campi, come in casa, volgetevi verso la chiesa, per adorare Gesù Cristo che si trova fra le mani del sacerdote. Questa pratica salutare è in uso in molti paesi e bisognerebbe che si diffondesse dappertutto, poiché contribuisce potentemente alla gloria di Dio e alla salute di quelli che la praticano con fe­deltà, come dimostra l'esempio seguente.

    Gabriele Biel, distinto teologo, narra che una povera donna aveva un marito brutale che la picchiava senza pietà e la copriva di ingiurie. Da molto tempo soffriva in silenzio, nella speranza che il malvagio si emendasse, ma peggiorando il male ogni giorno di più, cadde in un profondo scoraggiamento e nel­la disperazione. Essa diceva: "Ohimè! Non devo più pensare alla sua conversione, il tempo non fa che aggravare le mie prove e per liberarmene non mi resta altro mezzo che finirla con la vita". Detto questo, prese una corda, l'attaccò ad un chiodo fis­sato in una trave della sua camera, salì sopra una sedia e si passò al collo il nodo fatale. Stava per respingere la sedia sulla quale poggiava i piedi, quando la campana della chiesa vicina annun­ciò l'Elevazione. La poveretta aveva la pia abitudine di inginoc­chiarsi sempre a questo segnale, per adorare umilmente il Sal­vatore. Non volle mancarvi nell'ora suprema e liberatasi della corda, s'inginocchiò e rivolta verso la chiesa, disse: "Signore Gesù, che sei elevato dalle mani del sacerdote, imploro per l'ultima volta la tua misericordia. Io che ti ho adorato tutti i giorni della mia vita, ti adoro e ti offro al Padre celeste, ma poiché tu non mi hai esaudita, ho deciso di porre fine da me stessa al mio insop­portabile tormento". Pronunciate queste parole, la trave si spez­zò e la corda le cadde tra le mani. Piena di stupore non sapeva che cosa pensare, quando nel suo cuore sentì risuonare una voce paurosa: "Se tu non avessi adorato il tuo Dio sull'altare, da oggi saresti all'inferno". Era la voce del demonio. Piena di spavento, la donna comprese subito il pericolo di dannarsi in cui era in­corsa; si pentì della cattiva risoluzione, ne chiese perdono a Dio e lo ringraziò di averla miracolosamente salvata. Compiuto que­sto dovere andò da suo marito e gli rimproverò francamente la sua condotta: "Uomo crudele, - gli disse - tu mi hai ridotta ad una tale disperazione che stavo per porre fine da me stessa alla mia infelice esistenza. Ma nel momento fatale ho sentito la cam­pana dell'Elevazione e a questo segnale mi sono inginocchiata. Appena mi sono rialzata, la trave, alla quale avevo attaccato la corda, è caduta e nello stesso tempo ho sentito il demonio grida­re che se io non avessi adorato il mio Dio sull'altare, da oggi sarei all'inferno. Riconosci, dunque, la tua cattiveria e sappi che risponderai tu del mio delitto davanti al giusto giudice". Impau­rito da queste parole e toccato dalla grazia, il marito confessò i suoi torti. Si corresse, divenne anch'egli molto assiduo alla Mes­sa ed edificò il prossimo con l'esempio.

    Quando non potete andare in chiesa, se udite il suono della campana che annuncia l'Elevazione, inginocchiatevi, come quella donna, nella vostra casa. Fatelo francamente senza paura delle beffe dei cattivi. Piuttosto pensate alla sentenza di Cristo: "Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, Io lo riconosce­rò davanti al Padre mio"'. "Chiunque arrossirà di me e delle mie parole sarà rinnegato anche dal Figlio dell'uomo, quando verrà nella sua Maestà".

    Ecco un fatto degno di nota riportato negli Annali dei Cappuccini. Fra Bonaventura serviva regolarmente la Messa con gran rispetto e con una gran gioia. Un giorno che non poteva assistervi, perché occupato in cucina, al suono del campanello che annunciava l'Elevazione, si rivolse verso la chiesa e adorò nostro Signore. Quell'atto fu così gradito a Gesù che lo ricom­pensò immediatamente. Le mura che separavano la cucina dal luogo santo, miracolosamente si scostarono e il buon religioso poté vedere l'altare. Immaginiamo facilmente con quale fervore adorò il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo. Terminata la sua preghiera, le mura si chiusero così bene che non restò alcuna traccia di quell'apertura, ma in fra Bonaventura fu notato un'ar­dente devozione e si capì bene che gli era successo qualche cosa di straordinario. Noi conosciamo il fatto perché il superiore gli ingiunse di dire tutta la verità'. Presso i Cappuccini è ancora in uso, quando sono fuori del coro, di inginocchiarsi, al momento dell'Elevazione, verso l'altare, per adorare anche da lontano Gesù nascosto sotto le sacre Specie.

    Un altro esempio vi farà ancora meglio comprendere quanto è gradito a Dio quest'uso. La duchessa Draomira, ma­dre di san Venceslao, perseguitava i cristiani allo scopo di an­nientarli. Un giorno che, accompagnata dalla figlia, si recava da Praga a Staaz, per onorare la tomba dei suoi antenati e sterminare i cristiani, arrivò ad una cappella situata sul ciglio della strada, al momento in cui il campanello suonava l'Eleva­zione. Il cocchiere scese e si inginocchiò sulla soglia della cap­pella. La duchessa, infuriata, gli ordinò di salire a cassetta e di continuare il cammino, ma essendosi egli rifiutato, proruppe in orribili bestemmie. Immediatamente la vettura ed i cavalli affondarono nel suolo. Le due donne chiedevano soccorso, ma invano e la vettura infine sparì nelle viscere della terra. Il cocchiere si compiacque del suo atto di pietà, perché se invece di scendere per adorare nostro Signore, fosse restato sul sedile, sarebbe stato inghiottito anche lui'. Se non potete ascoltare la Messa nei giorni feriali, fate il possibile per essere presente al­meno all'Elevazione; se passate vicino ad una chiesa dove si celebra la Messa, entrate e se il sacerdote è vicino alla Consa­crazione, inginocchiatevi ed adorate Gesù in questo solenne momento.

    La nostra partecipazione liturgica accompagna il sa­cerdote durante tutto il Sacrificio

    Che dobbiamo fare quando il calice viene rimesso sul­l'altare? Certe persone hanno l'abitudine di recitare cinque Pater et Ave, in onore delle cinque piaghe. Questa è una pratica eccel­lente, ma fuori luogo. Altre persone continuano a recitare altre preghiere. In campagna ho sentito cantare cantici in lingua vol­gare e inni latini, uso contrario alle intenzioni della Chiesa, che dal Sanctus al Patei; prescrive un silenzio rispettoso, per dare modo al popolo di occuparsi esclusivamente dei Misteri. Infatti, i canti hanno il grave inconveniente di distrarre l'assemblea dei fedeli dall'unica cosa che dovrebbe assorbire tutti i suoi pensieri. I parroci non dimentichino di far osservare una legge così sag­gia e dopo aver raccomandato il raccoglimento ai loro parroc­chiani, li invitino a rivolgere i loro cuori verso Gesù Cristo pre­sente sull'altare.

    Premesso ciò, vi dico: dopo la Consacrazione fate quel­lo che fa il sacerdote. Il santo Sacrificio è sua e vostra proprietà e come egli prima della Consacrazione ha offerto continua­mente la Messa a Dio, ora insiste più che mai nella stessa of­ferta. E veramente, che potrebbe fare di più opportuno? Così dopo che ha deposto il calice sull'altare dice: "Noi, tuoi servi e popolo tuo santo, offriamo alla tua sublime maestà un Sacrifi­cio + puro, un Sacrificio + santo, un Sacrificio+ senza mac­chia, il pane + sacro della vita eterna e il calice + dell'eterna salute". Dice il Sanchez: "In tutta la Messa, il sacerdote non pronuncia parole più preziose di queste, essendo impossibile fare qualche cosa di meglio che offrire a Dio questo augusto Sacrificio."

    Dunque, se dopo l'Elevazione del calice vi date alle vostre povere, aride preghiere e cessate di unirvi agli atti del sacerdote, rinunciate ai vostri interessi. Miserabili peccatori quali siamo, non abbiamo forse niente da presentare a Dio? Eppure, nonostante la nostra povertà, disponiamo di un tesoro capace di arricchire il Cielo e la terra. Tesoro che san Paolo ci descrive in questi termini: "Dio ci ha dato il suo unico Figlio, come non ci ha dato con lui tutte le cose?". questo dono Dio non ce l'ha fatto una volta soltanto, ma ce lo rinnova ad ogni Messa, come ho ripetuto più di una volta in questo libro. Nello stesso tempo ci dà tutti i suoi beni, affinché glieli offriamo come pagamento di tutti i nostri debiti. Volete, dunque, diventare ricchi? Offrite spesso la santa Messa a Dio Padre. Nei libri si possono trovare dei metodi eccellenti, oppure si potrà usare la seguente preghie­ra: "O mio Dio, ti offro il tuo diletto Figlio, la sua Incarnazione, la sua Nascita, la sua dolorosa Passione; ti offro il suo sudore di Sangue, la sua coronazione di spine, le sue umiliazioni, le sue sofferenze, la sua crocifissione, la sua morte crudele, il suo San­gue prezioso; ti offro, per la tua maggior gloria e per la salute dell'anima mia, tutto ciò che Egli ha fatto, tutto ciò che ha sop­portato, tutti i misteri che riproduce sull'altare".

    Semplicissima preghiera, ma molto efficace, che può essere imparata a memoria dal più umile fedele. Questa pia pra­tica che io non cesserò di consigliare alle persone semplici, sarà loro più proficua della recita del rosario. Oltre a ciò, pregate nostro Signore di supplire alla vostra insufficienza e di presenta­re, in vece vostra, la divina oblazione al suo celeste Padre. Il fatto seguente vale più di ogni altra esortazione. Un giorno san­ta Matilde recitava nove Pater in onore dei nove cori degli ange­li e voleva incaricare il suo angelo custode di portare queste pre­ghiere al Signore. Gesù Cristo le disse: "Incarica me del tuo messaggio, perché ogni offerta che mi viene affidata, fra le mie mani si nobilita infinitamente". Prendete per voi quest'invito prezioso e rispondete: "O Gesù, poiché non posso offrire conve­nientemente il tuo Sacrificio, ti scongiuro di presentano per me al tuo eterno Padre". Guardatevi poi da qualunque irriverenza: astenetevi dal ridere, dal parlare, restate in ginocchio, a meno di una vera impossibilità, dalla Consacrazione fino dopo la Comu­nione: sarebbe una sconvenienza farvi prendere dalla noia alla presenza di Colui che si abbassa tanto profondamente per amor vostro. Vi esorto anche ad inginocchiarvi sul pavimento.

    I peccati commessi durante la Messa hanno una gravi­tà particolare e, perché offendono direttamente il Salvatore, ri­vestono il carattere di una specie di sacrilegio. "Coloro che chiac­chierano o che ridono durante la Messa - dice san Giovanni Crisostomo - meriterebbero di essere fulminati in chiesa". que­ste severe parole sono indirizzate particolarmente ai padri e alle madri che non correggono l'irriverenza dei loro figli. Ohimè! In molti luoghi, non solamente i più piccoli, ma anche i ragazzi più grandi mancano di rispetto a Gesù Cristo. Si vedono chiacchie­rare senza riguardo, spingersi gli uni gli altri, agitarsi in mille maniere e tutto ciò sotto gli sguardi dei parenti che, per non averli rimproverati, porteranno la responsabilità della loro con­dotta scandalosa davanti a Dio.

    CAPITOLO TRENTESIMO

    DEL RISPETTO COL QUALE SI DEVE ASCOLTARE LA S. MESSA


    Il sacro Concilio di Trento dice: "Poiché i fedeli non possono compiere niente di così santo, né di così divino come questo augusto Sacrificio, nel quale la vittima vivificante è im­molata quotidianamente dal sacerdote sull'altare, è evidente che bisogna portare all'altare un'estrema purezza interna e la devo­zione più fervorosa". questo, per i sacerdoti e anche per gli stes­si fedeli, è un grave argomento di meditazione. Secondo lo sto­rico Giuseppe, nel tempio di Gerusalemme erano impiegati ogni giorno settecento sacerdoti per immolare le vittime, purificarle, bruciarle sull'altare e tutte queste cose si compivano con lo stes­so rispetto come se non ci fosse stato che un solo uomo. Eppure quei sacrifici erano semplici immagini. Con quale devozione, dunque, con quale silenzio e con quale attenzione dobbiamo assistere al santo Sacrificio?

    I primi cristiani non erano meno edificanti dei sa­cerdoti giudei: "Se entrano in chiesa - dice san Giovanni Cri­sostomo - baciano umilmente la soglia e durante la Messa serbano un tale silenzio che si crederebbe di essere in un luo­go deserto". Compivano così alla lettera il precetto formula­to, nella liturgia, da san Giacomo: "Quando il Re dei re, Gesù Cristo nostro Signore, viene ad immolarsi e a darsi in nutri­mento ai fedeli, tutti devono dimenticare le cose terrestri, stare in silenzio, nel timore e nel tremore". San Martino fu fedelis­simo a questa raccomandazione e in chiesa non sedeva mai, ma restava in ginocchio o in piedi come compreso da un pio spavento. A quelli che gli manifestavano la loro meraviglia rispondeva: "Come non temere quando ci si trova alla pre­senza del Signore?". Tali erano anche i sentimenti di David: “Andrò nella tua casa e Ti adorerò con timore nel tuo tem­pio”.

    Ricordiamoci ancora delle parole che Dio indirizzò a Mosè dal roveto ardente: "Levati i calzari, perché la terra che tu calpesti è santa". Ma quanto più santa è questa chiesa, consa­crata dal vescovo con tante cerimonie, unzioni, preghiere e san­tificata ogni giorno con la celebrazione della santa Messa! Oh! Se David si avvicinava tremando all'Arca dell'Alleanza, quanto più noi dobbiamo tremare, quando entriamo nella chiesa dove è offerto il santo Sacrificio. Dio non ha forse detto: “Temete di comparire davanti al mio santuario e nel mio luogo santo.” queste parole si riferiscono più alle nostre chiese che al taber­nacolo di Israele, come la scala di Giacobbe figurava i nostri templi cattolici più del tempio di Salomone.

    Gesù caccia i profanatori dal tempio

    Da questo giudicate il peccato che commettono tanti cristiani che stanno in chiesa senza rispetto, come se fossero in casa loro. Alcuni sono così temerari che durante il tremendo Sacrificio, in cui gli angeli si coprono la faccia con le ali, osano girare gli occhi curiosamente da tutte le parti, occupandosi di chi va e di chi viene, pensando alle cose del mondo e chiacchie­rando senza riguardo e senza utilità. Cristo potrebbe dir loro, con ragione, come ai mercanti del tempio: "La mia casa è una casa di preghiera e voi ne avete fatto una spelonca di ladri". "Le chiese cristiane - scrive Corneille de la Pierre - sono veramente la casa di Dio, poiché Gesù Cristo vi risiede in maniera corpo­rale nel SS. Sacramento". Ora, se nostro Signore cacciò con un flagello i giudei profanatori, come non caccerebbe questi cri­stiani indegni?

    A questo proposito ecco cosa racconta la beata Veronica di Binasco: "Un giorno in cui ero a Messa fissai gli occhi sopra una religiosa, inginocchiata ai piedi dell'altare. Un angelo, che mi stava sempre vicino, subito mi rimproverò con una tale severità che cre­detti morire di spavento. Mi lanciò un terribile sguardo e mi do­mandò duramente: "Perché hai dato tanta libertà al tuo cuore? Perché hai guardato la tua sorella con curiosità? Sappi che per que­sto sei molto colpevole". In punizione della mia colpa, mi impose, per ordine di Dio, una dura penitenza che mi fece passare tre giorni in lacrime. Ora, quando assisto al santo Sacrificio, non oso più muovere la testa, tanto temo di offendere la Maestà divina".

    Questa confessione di un' anima illuminata da una luce celeste, non prova abbastanza quanto dispiace al Signore l'immodestia degli sguardi durante la Messa?

    Se la semplice curiosità merita tali rimproveri, che dire di una conversazione cattiva? Poiché è molto più facile tenere a freno la lingua che gli occhi, così, in generale, è un peccato più grave chiacchierare in chiesa che volgere qua e là gli sguardi.

    Secondo san Cesario, colui che tralascia la Messa è meno colpevole di colui che parla durante la sua celebrazione, perché il suo chiacchierio disturba il prossimo. Ma voi preten­dete giustificarvi col dire che bisogna rispondere a chi vi interro­ga. Vano pretesto! Niente ci autorizza a parlare durante un tem­po così prezioso, se non fosse per vera necessità. quante perso­ne ascoltano male la Messa per questa ragione! Sappiate che, partecipando ai discorsi degli altri, assumereste anche voi una grande responsabilità.

    Ma, obietterete voi: è forse una grande colpa dire una parola all'orecchio del vicino? Ricordatevi la minaccia della Scrit­tura: "Nel giorno del giudizio gli uomini renderanno conto di ogni parola oziosa". Come ogni buona parola sarà registrata nel libro dei vostri meriti, così la più piccola parola inutile sarà scritta nel libro dei vostri peccati.

    Come dobbiamo ascoltare la S. Messa

    Aggiungo che bisogna ascoltare la Messa in ginocchio, col massimo rispetto, come sembra inculcarci san Paolo nel ce­lebre testo: “Al nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nel Cielo, sulla terra e negli inferi”. Dobbiamo tenere quest'umile posi­zione specialmente quando il Salvatore è presente sull'altare, cioè dalla Consacrazione alla Comunione. Molte persone han­no la cattiva abitudine di restare in piedi durante tutta la Messa e se si inginocchiano alla Consacrazione è per rialzarsi subito dopo, come se nostro Signore si fosse ritirato. Questa condotta è sconveniente e contraria alla fede cristiana. Lo so, gli autori spi­rituali, in generale, permettono di prendere, per pregare, una posizione comoda, per favorire l'applicazione dello spirito, ma qui non dimentichiamo mai che siamo in faccia alla divina Ma­està e che si richiede perciò la posizione più conveniente. Alcuni restano seduti anche alla Consacrazione, come se non credesse­ro alla presenza reale. Se un motivo di salute li obbliga a sedersi lo facciano dal principio della Messa alla Consacrazione, ma poi procurino di stare in ginocchio fino alla Comunione.



    Umiltà nell'abbigliamento

    È una grande vergogna vedere, a Messa, le donne e le fanciulle abbigliate come quando vanno al teatro o al ballo. San Paolo si scaglia contro un abuso così deplorevole: “Una donna - dice - che prega con la testa scoperta disonora il suo capo”. Applicando questo testo, il papa san Lino ha fatto una legge, ordinando a tutte le donne di stare in chiesa con il velo sul capo e san Carlo Borromeo prescrive di rifiutare l'ingresso in chiesa a quelle che ne sono senza, perché, secondo le parole di Clemente d'Alessandria, "la loro bellezza è un laccio per il cuore degli uomini". Questi severi avvertimenti sono indirizzati ad ogni ceto: le contadine, le operaie e le signore, perché tutte più o meno si adornano: alcune per orgoglio e altre per civetteria.

    Tommaso Moro, un giorno disse ad una giovane vesti­ta con eccessiva ricercatezza: "Se in ricompensa della cura che avete di voi stessa, Dio non vi desse l'inferno, commetterebbe certamente una crudele ingiustizia". queste parole servano di avviso a tutte le donne troppo occupate di piacere agli altri. Un giorno san Giovanni Crisostomo domandò ad una persona di questo genere, che entrava in chiesa: "Siete una fidanzata che va alle nozze? Se andate nel luogo santo per implorare miseri­cordia, perché questo lusso? È’ forse questo l'abito di una cristia­na pentita? Non solamente non uscirete giustificata, ma aumen­terete il numero dei vostri debiti e provocherete di nuovo, sopra di voi, la collera del Cielo". Le persone eccessivamente adorna­te fanno molto male in chiesa, perché distolgono dall'altare gli sguardi degli uomini, ai quali, aiutate dal demonio, ispirano dei desideri cattivi. San Girolamo scriveva a Nepoziano: "Esse of­frono il veleno al loro prossimo. Ora colui che prepara il veleno commette un peccato grave, anche se la persona per cui lo pre­para non lo beve. queste donne pericolose si rendono, dunque, colpevolissime, per il solo fatto che presentano a tutti una be­vanda mortale. Sono molto più colpevoli se agiscono così in chiesa durante la Messa, mentre dovrebbero espiare le loro colpe". Il linguaggio di sant'Ambrogio non è meno severo: "Più una don­na si mostra magnifica davanti agli uomini - dice - più è abomi­nevole davanti a Dio; più è lodata dal mondo e più è disprezzata da Dio"

    Tommaso de Contimprè racconta che un bambino di sette anni, passando davanti ad un crocifisso per andare in chie­sa, disse a sua madre che camminava vicino a lui ed era ricca­mente vestita: "Guarda, il Cristo è sospeso alla Croce, tutto nudo e sanguinante e tu non hai vergogna di andare ad ascoltare la Messa, vestita con tanto lusso? Bada di non precipitare nell'in­ferno a causa del tuo abbigliamento". quella donna credette riconoscere, in quella sua creatura, la voce di Dio e dopo la Messa, tornata subito a casa, gettò via le sue acconciature, si vestì sem­plicemente e dopo la morte di suo marito, si ritirò in convento. Un po' più tardi suo figlio si fece domenicano. Tutte le donne abbigliate con troppa ricercatezza dovrebbero tremare alla vista del crocifisso. Gesù sembra dir loro: “Vedi, figlia mia, sono so­speso alla Croce, coperto di sangue e di ferite, per espiare la tua vanità. Tu per una crudele ironia vieni qui a far mostra della tua eleganza e non ti vergogni di comparire davanti a me in tale stato, né di scandalizzare col tuo cattivo esempio i presenti. Alla tua morte bada di non essere gettata da me, tuo giudice, nel fuoco eterno”.

    Questa minaccia del Salvatore può compiersi sopra di voi, donna vanitosa, come si è già compiuta su tante altre, perché l'amore del lusso è un peccato del quale è difficile ricevere il per­dono, considerato che nessuno se ne pente, né se ne confessa, né si corregge. A che pro confessarvene, se non siete risoluta a modi­ficare le vostre abitudini, se siete decisa a vivere, a morire e a farvi sotterrare con magnificenza? Per meglio comprendere quanto siete colpevole, pensate al tempo che avete perduto, al piacere che ave­te gustato, alla gioia che avete sentito quando altri vi lodavano, alle molte persone di cui avete ferito lo sguardo e a quelle che per la loro povertà, non potendo imitarvi, sono cadute nel peccato di invidia per colpa vostra. Pensate soprattutto agli uomini nei quali avete provocato sguardi curiosi, pensieri pericolosi. Voi non vi date pena per alcuno di questi peccati, non ve ne pentite, non ve ne confessate; morirete come siete vissuta e arriverete al tribunale di Dio con gran rischio di dannarvi.

    Ascoltate il severo, ma giusto linguaggio del padre Gio­vanni Lejeune, della Congregazione dell'Oratorio: "La carità e la castità non sempre soffocano l'amore del lusso". Altrove dice: "Gli abbigliamenti colpevoli sono simili al fuoco dell'inferno, che brucia senza consumare. Per essi, le donne perdono l'ani­ma, ma le loro vittime non sono soltanto i peccatori, ma anche i giusti che subiscono gli attacchi di queste fiamme divoratrici". Così il santo religioso aggiunge: "I vani ornamenti sono torce che comunicano il fuoco del peccato, sono presagi della eterna riprovazione Tutte le donne, tutte le giovani vanitose dovrebbero meditare con spavento queste parole. Se una persona casta, ca­ritatevole, penitente, ma troppo portata al lusso, per questo solo fatto corre pericolo di perdere l'anima eternamente, come si salveranno quelle che uniscono a questo gusto impudico, l'impenitenza e la durezza del cuore? Se un abito elegante è una torcia che infiamma di desideri impuri gli stessi giusti, quanto maggiormente sconvolgerà il cuore dei giovani inconsiderati? Tali effetti sono da temersi soprattutto durante la santa Messa, quando gli sguardi arditi cercano ordinariamente le persone belle e attraenti e il peccato è molto più grave in ragione del tempo e del luogo.

    Si vedono anche delle donne che osservano curiosa­mente i vestiti o altro che indossano le loro vicine; queste distra­zioni sono una colpa per quelle che se le procurano e per chi ne offre l'occasione.

    Ignoranza liturgica

    Parlerò, infine, di un ultimo ostacolo che impedisce alla maggior parte dei cristiani di seguire con attenzione la Messa: l'ignoranza delle preghiere liturgiche. Molti non sanno nemme­no la prima parola che dice il sacerdote all'altare. Come si uni­ranno a lui? Ogni cattolico dovrebbe essere sufficientemente istru­ito per non trovarsi giornalmente a sentire il Dominus vobiscum, il Gloria, le Orazioni, le Lezioni senza comprenderne il senso. quale rimedio si può porre a questo male? Seguire la Messa nel messale che contiene le preghiere dette dal celebrante e le rispo­ste del ministro. Tutti i fedeli dovrebbero possedere questo pio libro che, senza dubbio, è il migliore di tutti.

    Eccomi alla fine del mio compito. Terminando, rivol­go a tutti quelli che avranno in mano questo piccolo scritto l'umile preghiera di leggerlo e meditarlo spesso. Sentiranno così aumentare il loro fervore per i nostri divini misteri e vi assisteranno con maggiore assiduità e devozione. Già compren­dono l'eccellenza dell'opera e la grandezza della ricompensa, ma lo sapranno meglio nell'ora della morte e durante la beata eternità, mentre gli indifferenti ed i tiepidi riconosceranno il loro torto, senza poterlo riparare con un pentimento troppo tardivo. Prego Dio, con Gesù Cristo suo Figlio nostro Signore e per la virtù dello Spirito Santo di illuminare la mente e di infiammare la volontà dei miei lettori, affinché essi profittino del mio lavoro e facciano partecipare me, povero peccatore, del merito delle loro preghiere.

    Anche l'indegno traduttore vi rivolge la stessa preghiera. Ricorda­tevi di lui e dei suoi nel santo Sacrificio e l'avrete pagato al centuplo della fatica che ha sostenuto per farvi conoscere un lavoro così utile e così conso­lante.


    [SM=g27998]